Il buio oltre la siepe. Perché il tentativo’ di Landini difficilmente aggregherà quel che resta della sinistra

23 Febbraio 2015 0 Di Ettore Maria Colombo
Maurizio Landini, segretario della Fiom-Cgil

Maurizio Landini, segretario della Fiom-Cgil

Nutro diverse perplessità sul successo della ‘discesa in campo’ di Maurizio Landini, segretario generale della Fiom-Cgil. Discesa in campo politica, si capisce, per quanto futura e futuribile possa essere. Lo stesso Landini ha cercato di precisare, con una lettera al Fatto, il suo pensiero espresso nell’intervista di domenica scorsa. Il concetto, tra intervista e precisazione, è sostanzialmente il seguente: “Il sindacato si deve porre il problema di una coalizione sociale più larga che superi i confini della tradizionale rappresentanza sindacale e aprirsi a una rappresentanza anche politica. La sfida democratica a Renzi passa anche da qui”. Ora, la frase chiave succitata indica una serie di contraddizioni, non scioglie molti nodi sul tappeto e resta, volutamente, criptica, confusa, indefinita.
Landini – dice chi ne sa – non sopporta non solo Renzi e il suo Pd liberal, ma pure la litigiosità e frammentazione dei ‘partitini’ della sinistra radical. Come lui la pensano due intellettuali – a mio parere del tutto avulsi dalla realtà del loro tempo e chiusi da troppo nella loro torre eburnea radical – come Stefano Rodotà e Barbara Spinelli. La quale ultima, eurodeputata che di certo non brilla per presenze a Bruxelles, ha di fatto rotto i rapporti con la lista L’altra Europa con Tsipras che pure l’ha fatta votare ed eletta. Insomma, il concetto – espresso dal sindacalista e dai due intellettuali – sarebbe che i ‘partitini’ della sinistra che resta a sinistra del Pd (SeL, ma pure i rimasugli della sinistra comunista che fu, Prc e Pdci, ma anche l’accozzaglia di liste elettorali di scarso, L’Altra Europa alle Europee, o nessun successo, Rivoluzione civile di Ingroia, quando chiedono i voti) sono ‘cani morti’ e che bisogna, giustappunto, ‘ripartire dal sociale’.
Facile a dirsi, molto meno a farsi. Anche una giornalista di valore, Angela Mauro, cronista politica dell’Huffington Post, che conosce bene le vicende citate e pur mantenendo un occhio benevolo, verso Landini e la sua impresa, non mi pare riesca a venirne a capo. La Mauro spiega così il passo di Landini: costruire un “laboratorio sociale”, a meta’ strada tra un nuovo ruolo e protagonismo sindacale, i giovani e i loro network sociali dal basso in fieri nelle citta’ metropolitane e legarlo a una idea della politica ‘orizzontale’ ma non ‘alla centro sociale’, bensì alla Podemos. “C’è l’esempio greco di Tsipras, ovvio – scrive Mauro – che parla di un partito alla lotta con l’Europa dell’austerity e non di un laboratorio sociale, ma che dice che con la forza del consenso e delle urne anche chi sembra debole in partita può spuntarla. E c’è l’esempio di Podemos, il movimento spagnolo nato dalle acampandas contro l’austerity, candidato a vincere le elezioni del prossimo autunno a Madrid, almeno stando ai sondaggi. Ci può essere come punto di arrivo la lista e la candidatura, il partito e la rappresentanza democratica in Parlamento. Ma è un punto di arrivo”. Alla fine si arrende pure Mauro: “c’e’ un idea. Piu’ che un idea, un pensiero”.
Siamo, insomma, alle famose “poche idee ma confuse” di Ennio Flaiano. Soprattutto, Landini non ha dietro di sé ‘tutta’ la Cgil, ma solo la sua Fiom. E qui c’è un altro punto critico e di estrema debolezza del suo ragionamento. Quando Cofferati trascinò in battaglia la Cgil sempre contro il tentativo, ma all’epoca messo in campo dal governo Berlusconi, di svellere l’art. 18, aveva molte frecce al suo arco: un sindacato grande, ‘generale’ (e non, appunto, una semplice categoria, forte e tosta, ma sempre ‘parziale’), per quanto isolato da Cisl e Uil; una fitta rete di alleanze nel tessuto sociale (movimenti, associazioni, intellettuali, riviste: da Moretti a Flores d’Arcais); pezzi di partiti politici ancora strutturati (la sinistra Ds, tutta, Rifondazione, pur se tra mille ambiguità dovute a rivalità con Bertinotti); un vasto movimento di opinione pubblica insofferente e ribelle verso l’allora trionfante senso comune di un berlusconismo assai oppressivo; l’eco di movimenti sociali e politici che avevano infiammato il mondo, oltre che l’Italia (i no-global, le associazioni e i movimenti anti-G8, etc.). insomma, una vera ‘coalizione’ di forze politiche, sociali, sindacali, morali. Cofferati non seppe, nel 2000-2001, definito il nuovo ‘biennio rosso’ della politica italiana, sfruttare e usare tutti questi elementi a suo vantaggio e non volle buttarsi definitivamente in politica, ritirandosi nel suo ‘orto’ da piccolo Cincinnato da cui uscì tardi e male (Bologna, Bruxelles, etc.) tanto che oggi la sua azione e la sua influenza a stento interessa la … Liguria.
Ma perché dove non riuscì Cofferati, che aveva tutte le condizioni migliori e i presupposti giusti per condurre una ‘buona battaglia’, dovrebbe oggi riuscire Landini? Il segretario della Fiom, sconfitta in quasi tutte le elezioni delle Rsu di fabbrica che si tengono da mesi, non ha l’appoggio della Cgil, che anzi gli è contro sia per motivi di rivalità interna della Camusso verso Landini sia per ragioni politiche (il rapporto con la sinistra Pd e Bersani) che per motivi squisitamente sindacali (il principio dell’autonomia dalla politica). Non esiste, nel Paese, un sentimento e moti di protesta forti e di massa, ma solo un malcontento diffuso, refrattario, politicamente vano e sterile. L’autunno è passato, non è stato affatto ‘caldo’ e la Cgil non ha inciso, per segno e qualità delle proteste, neppure su un tema caldo come l’art. 18. Partiti politici in grado di organizzare la protesta e incalanare la rabbia non ve ne sono, o sono debolissimi se non del tutto scomparsi (Prc, Pdci) o (vedi Sel) alternano ricerca d’intesa con il Pd a livello locale e parlamentare a momenti di contrapposizione dura al governo Renzi ma senza numeri né mezzi per poter reggere un alto e lungo il livello dello scontro con il Pd. La minoranza dem non si sogna di uscire dal partito, è divisa in mille rivoli, spezzata in correnti (bersaniani, cuperliani, etc.) di scarso peso e spessore o rappresentazione macchiettistica di una ‘scissione’ che, troppe volte evocate, quando ci sarà si rivelerà di scarso peso e consistenza (Civati). Tutti fattori che impediscono e impediranno a Landini, debole già di suo nella sua Cgil, di porsi da ‘federatore’ e organizzatore di una sinistra sociale e politica.
Il Pd di Renzi, d’altra parte, e il suo leader nonché premier del governo, macina risultati che, per quanto ‘di destra’ e ‘liberisti’ siano, ci sono, e non trova, a fermarlo, per esempio sulla strada delle riforme istituzionali ed elettorali iper-maggioritarie o da vera dittatura della maggioranza, altro che opposizioni ‘finte’ (FI) o solo populiste e demagogiche (Lega). Cosa contrapporre a tutto questo, e cioè una vera ‘rivoluzione culturale’ in seno alla sinistra storica che finirà per stravolgerne senso e direzione, quella di Renzi, secondo il Landini pensiero? “Un’idea, più che un idea, un pensiero”. Quello del “laboratorio sociale della rappresentanza politica”. Parole confuse, vaghe, velleitarie. C’e’ solo il buio, oltre la siepe.