Verdini ha i numeri: “Silvio addio”Al Senato farà da sponda a Renzi. L’ex coordinatore di FI vede Lotti a cena e poi strappa definitivamente a pranzo con il Cavaliere

24 Luglio 2015 0 Di Ettore Maria Colombo
Silvio Berlusconi al Senato

Silvio Berlusconi al Senato, accanto Antonio Razzi

DI CERTO non è stato un pranzo da «lasciamoci così, senza rancor». Due ore e passa di colloquio, travestito da pranzo, in quel di Palazzo Grazioli, tra l’ormai «senatore semplice» Denis Verdini, nelle parti del povero Renzo Tramaglino, e Silvio Berlusconi (in quelle, ovviamente, dell’Innominato di manzoniana memoria) hanno registrato quelle che, quando vuoi far finta (ma solo finta) di non litigare, vengono definite, via dichiarazioni alle agenzie di stampa, «posizioni politiche che restano distanti». E a nulla, come era prevedibile, sono serviti i tentativi di mediazione che l’Innominato (il Cav) ha fatto recitare ai buoni (o cattivi) di turno: conte Zio (Fedele Confalonieri), dottor Azzeccagarbugli (l’avvocato Niccolò Ghedini), don Ferrante (Gianni Letta). Denis, coriaceo come solo uno nato a Fivizzano (provincia di Firenze) sa essere, non ha ceduto di un millimetro, ha salutato, preso il cappello e detto addio.
È finita così, sotto il solleone di una Roma semi-deserta e, sostanzialmente, disinteressata alla cosa, la «lunga storia d’amore» tra l’ex premier, ex Cavaliere, ex tutto – tentato un giorno dalla fuga ad Antigua, un giorno di correre «a Mosca! A Mosca!» dall’amico Putin, e il giorno dopo ancora di fondare «L’Altra Italia», e cioè una FI ormai, di fatto, «3.0» – e il suo principale uomo d’ordine, non solo in quanto organizzatore della macchina del partito o estensore delle liste elettorali, ma in quanto mente politica di FI fino al patto del Nazareno.
Resta, in piedi, però, la domanda: quante «divisioni» ha Verdini? E, soprattutto, quanto potranno essere d’aiuto, al governo Renzi che, al Senato, balla sul filo di sette-dieci voti di scarto, a quota 173-175, per farlo arrivare, magicamente, a quota 183-185, se non di più? Alla Camera, dove i verdiniani sono ininfluenti, il conto è facile: i soldati sono solo otto (per formare un gruppo parlamentare ne servono venti, di deputati), capitanati da Ignazio Abbrignani, che di FI è, da sempre, l’esperto responsabile elettorale, Giovanni Mottola e Luca D’Alessandro, ex mitici portavoci dell’ufficio stampa di palazzo Grazioli, e pochi altri (Faenzi, Parisi, etc.). Al Senato, invece, Verdini sa che la nascita di un nuovo gruppo (nome «Alleanza liberalpopolare», sede in via del Corso, dove c’era il Psdi, presentazione ufficiale non prima di mercoledì, ma statuto già depositato dal notaio) vale come oro, agli occhi di Renzi. Ed è stato proprio sugli scranni dei “nuovi ascari” di palazzo Madama, che la trattativa – tra caffé e aperitivi al bar «Ciampini», cene, incontri serrati, faticosissimi, tra Verdini e i suoi soldati: Denis ha visto almeno trenta senatori, tra promesse e blandizie – ha rischiato di subire un clamoroso stop. Ancora mercoledì sera, per dire, Berlusconi ha riunito i senatori azzurri per i saluti estivi: il suo fascino, ancorché ammaccato, sembrava aver fatto rientrare la scissione, facendo perdere pezzi su pezzi a «quello», come ormai chiama Verdini, con disprezzo, il Cav. Invece, alla fine, Verdini ci è riuscito: dieci senatori doveva avere, dieci (anzi, forse undici…) ne avrà. I nomi degli «ascari»-«Responsabili» meriterebbero, peraltro, ognuno una storia e un racconto a sé.
In ogni caso, Lucio Barani, ex Psi craxiano sanguigno e verace che gira con il garofano all’occhiello, sarà il neo-capogruppo dei verdiniani e il focoso campano Vincenzo D’Anna, vicino all’ex deputato (oggi in carcere) Nicola Cosentino, il portavoce. Gli altri tre senatori sicuri sono due campani (Ciro Falanga e Eva Longo), appena trasmigrati da Fi al gruppo di Raffaele Fitto, e un toscano, fedelissimo di Denis, Riccardo Mazzoni, ancora in FI. Ne mancavano ancora quattro. Solo in corner, dopo formali rassicurazioni date più da Lotti che da Verdini, all’ex governatore siciliano Raffaele Lombardo sul «post-Crocetta» (cosa succederà, cioè, in Sicilia, quando si voterà), si sono mossi i fedelissimi di quest’ultimo, i due Sancho Panza di Cuffaro Giuseppe Compagnone e Angelo Scavone. Si dibattono ancora, invece, tra dubbi amletici, Giuseppe Ruvolo, seguace di un altro ex ras siculo, Totò Cuffaro (oggi in galera), e un’altro campano, Domenico Auricchio, che però avrebbe assicurato a Berlusconi che lui “mai e poi mai andrà con ‘quello'”. Ne mancavano, a star sicuri, altri due, ma i tentativi di moral suasion con i fittiani e i «tosiani» (e cioè i seguaci dell’ex governatore veneto Flavio Tosi, uscito dalla Lega, che poi sono tre e tutte donne) non erano andati a buon fine, ma Verdini, da giocatore di poker, sapeva di avere una doppia coppia di assi nella manica. La prima coppia è formata da Pietro Langella, ora in Ap (Ncd-Udc), e da Riccardo Conti (toscano, ex FI, ora nel Misto). Laa coppia Bondi-Repetti, che ha già abbandonato il Cav e pure con tanto rancore, forma la seconda doppia coppia. E così, Verdini è arrivato a undici senatori. Numero sufficiente per far gruppo e pesare, tra commissioni e Aula, a favore «delle riforme» di Renzi e far pesare meno, d’altro canto, la minoranza dem. A questo giro di poker, Denis, col Cav, ha vinto lui. Con Renzi si vedrà.


NB. Questo articolo è stato pubblicato il 24 luglio 2015 a pagina 10 del Quotidiano Nazionale.