Senato, la nuova grana di Renzi si chiama Ncd. I centristi, senza soldi né sede, ora si spaccano in tre

30 Agosto 2015 0 Di Ettore Maria Colombo

MENTRE tutti gli occhi sono puntati sulla minoranza dem e sulla sua voglia di “Vietnam”  al Senato, Renzi rischia pure sul lato Ncd. Partito malmesso e in stato confusionale, per quanto piccolo, ma essenziale a tenere in piedi la maggioranza, a palazzo Madama

Dove sono almeno una quindicina i senatori (lombardi, emiliani, calabresi e siciliani, per lo più) che non rispondono più alle «chiame» del governo su molte leggi, da diverso tempo, facendosi trovare assenti, o astenendosi o addirittura votando contro, e che potrebbero venire a mancare, «assenti per caso», su due ddl cruciali della ripresa settembrina: il ddl Boschi (riforma istituzionale) e quello Cirinnà (diritti civili), la cui discussione riprenderà a partire dall’8 settembre. Votazioni e ddl, anche a causa loro, e non solo della minoranza dem, assai a rischio. Area popolare si chiama il gruppo parlamentare che raccoglie, allo stato, due partiti (Ncd e Udc) fusi a livello parlamentare, dopo molte, lunghe, discussioni, mai uniti politicamente: 35 senatori e 34 deputati in totale, al netto di varie perdite (le ultime Barbara Saltamartini e Nunzia De Girolamo alla Camera).

IL PARTITO guidato dal ministro Angelino Alfano – che ne è il fondatore e il segretario – è, ormai da mesi, in gran sofferenza, spaccato com’è in tre tronconi che a stento si parlano tra di loro. Il primo è quello dei «lealisti» a Renzi e al governo di cui fanno parte. Sono al lavoro per federarsi con altri pezzi di centristi sparsi (i Popolari-Demos-Cd di Dellai e Tabacci, alcune liste civiche come quelle di Schittulli in Puglia e Spacca nelle Marche, forse la stessa Scelta civica oggi guidata da Zanetti) e dare vita a una sorta di «Margherita 2.0» alleata stabile con il Pd, alle prossime amministrative e, quando sarà, pure alle Politiche, in ogni caso dando vita a un mega-gruppo parlamentare di ottanta unità circa. A spingere su tale linea, anche più di Alfano, sono il ministro Beatrice Lorenzin (ormai una renziana di fatto), il viceministro Simona Vicari (in rotta col suo padre politico, Schifani), alcune deputate che Renzi stima molto (Dorina Bianchi, Rosaria Scopelliti) e l’ala laica e socialista di Ncd guidata da Fabrizio Cicchitto e Sergio Pizzolante, oltre che l’Udc del presidente della commissione Esteri al Senato Casini e del ministro Gianluca Galletti.
LE MALELINGUE dicono che Renzi avrebbe già garantito loro 15 posti alle prossime Politiche. Ne ha scritto il Fatto quotidiano, che i “posti sicuri” per gli alfaniani li ha pure contati: sarebbero, nella fattispecie, per Alfano, Casini, Galletti, Cesa, Gioacchino Alfano, Dorina Bianchi, Corrado Castiglione, Rosaria Scoppelliti, Cicchitto, Pizzolante, Lorenzin. A loro latere, pensoso e dubbioso, sta Gaetano Quagliariello: ambiva a tornar ministro, forse sarà sottosegretario di una fantomatica «attuazione delle Riforme», ma sotto la Boschi. Renzi di più non gli darà: non lo ama a tal punto che, ad Alfano, ha detto: «Piuttosto faccio ministra la vostra portavoce (quella alla Camera, ndr.), che almeno è donna e carina…».

In mezzo – tra i lealisti e gli antagonisti (per quanto si possa esserlo, dentro l’Ncd…) sta l’Ncd ciellina e teocon: il capogruppo alla Camera Maurizio Lupi (vuole candidarsi sindaco a Milano a tutti i costi, con chi ci sta ci sta…), il sottosegretario alla Scuola, Gabriele Toccafondi, in ottimi rapporti con Renzi, una pattuglia di deputati italiani ed europei di Cl lombardi e il laico piemontese, viceministro alla Giustizia, Enrico Costa. Qui, invece, a latere, sta il capogruppo al Senato, Renato Schifani: ha smentito di essere andato a trovare Berlusconi in Costa Smeralda, ma è in rapido riavvicinamento a FI e voglioso di rientrare nell’alveo del centrodestra. Come gli altri, per ora guardano e attendono, ma – tranne Enrico Costa – sanno già che Renzi, a loro, non se li piglierà mai, come alleati.
La terza ala è la più rognosa (per il premier). Vogliosi di essere riaccolti, e subito, nelle braccia del Cav, che però per ora nicchia, in attesa di capire cosa accadrà al Senato e soprattutto per nulla voglioso di andare ad urne anticipate (“Non siamo pronti” continua a ripetere Berlusconi a suoi), sono sia quei senatori teocon e ciellini, di fondo ratzigeriani, guidano la battaglia anti unioni civili (Formigoni, Giovanardi, Sacconi, Binetti), ma anche quelli che vengono da An (Domenico Piso e Andrea Augello) e governano pezzi di territori.

PROPRIO in vista delle comunali del 2016 il caos, dentro Ap, regna sovrano. A Napoli, il coordinatore regionale, Alfano (Gioacchino, omonimo e sottosegretario), spinge per allearsi con il Pd e chiama a raccolta tutti i moderati e centristi per scegliere il candidato insieme ai democrat mentre Giuseppe Esposito mostra insofferenza vero il Pd e chiede di allearsi con il centrodestra. In Sicilia pure c’è confusione: Giuseppe Castiglione (sottosegretario all’Agricoltura, indagato) e Vicari hanno fatto terra bruciata dietro Schifani. In Emilia, il laicosocialista Sergio Pizzolante chiede «alleanze organiche» con il Pd in tutta la regione, a partire da Bologna, e apre all’alleanza con l’attuale sindaco, Virginio Merola, ma la portavoce nazionale, la bolognese Castaldini, a Bologna guarda al centrodestra e FI. Infine, a Torino l’Ncd occhieggia alla ricandidatura di Piero Fassino mentre a Roma apre alla lista civica guidata da Alfio Marchini e alla ricomposizione del centrodestra con FI. Infine, appunto, c’è Milano: Lupi vorrebbe candidarsi, ma non sa con chi e, ove andasse male, i centristi appoggerebbero la lista di Corrado Passera, che si candida a sindaco, o sarebbero pronti ad allearsi con FI e la Lega, ma quella di Maroni, non quella di Salvini…

L’ultima nota dolente riguarda la sede e i soldi. A livello ‘abitativo’, l’Udc ha dismesso la storica sede di via dei Due Macelli, l’Ncd ha lasciato la (costosa) sede di via Arcione per una più dimessa, anche se comunque sta nella centralissima via Poli (dietro Trinità dei Monti). Il guaio è che porta sfiga: in via Poli, nacquero e morirono FLI di Fini e Sc di Monti. Infine, i soldi: l’Udc ha chiuso il 2014 con un passivo di quasi due milioni. L’Ncd ha 993 mila euro di disavanzo, ma un tesoretto di 2 milioni e 726 mila di entrate. Merito «dei nostri 190 mila iscritti» che, però, come la linea politica di Ap, restano, allo stato, impalpabili.


Questo articolo è stato pubblicato il 30 agosto 2015 a pagina 9 del Quotidiano Nazionale