Una giornata di ordinaria guerriglia a Montecitorio: M5S e Pd litigano sul taglio delle indennità ai parlamentari

Una giornata di ordinaria guerriglia a Montecitorio: M5S e Pd litigano sul taglio delle indennità ai parlamentari

24 Ottobre 2016 2 Di Ettore Maria Colombo

In attesa dell’arrivo di Beppe Grillo – già sbarcato a Roma nella mattinata di oggi – che salirà sulla Tribuna riservata agli ‘ospiti’ (di solito si tratta di scolaresche o parenti dei deputati, al massimo di delegazioni di parlamentari esteri…) che domina gli scranni dell’emiciclo di Montecitorio, oggi pomeriggio, nell’Aula della Camera dei Deputati, è iniziata – presidente di turno il vicepresidente Roberto Giachetti (Pd) – la discussione generale sulla proposta grillina (pdl a prima firma Lombardi) di dimezzare le indennità (la parte ‘fissa’ dello stipendio di ogni deputato e senatore) dei parlamentari. Il dibattito è stato forte e duro, ma senza toni particolarmente virulenti. Ovviamente M5S e Pd se le sono date, e cantate, di santa ragione. Sempre in attesa di oggi, quando Grillo salirà, appunto, in Tribuna e, fuori da Montecitorio, i militanti grillini organizzeranno un possibilmente molto rumoroso e polemico sit-in di protesta.

Per primo ha preso la parola il presidente della I commissione Affari costituzionali, Andrea Manziotti (Scelta civica), che ha relazionato sui lavori tenuti in commissione nella scorsa settimana e nei mesi precedenti spiegando perché il provvedimento è arrivato in Aula senza mandato al relatore (la stessa Lombardi, che ha rifiutato la richiesta di unificare il suo testo con quello di altri deputati di altri gruppi inerenti la stessa materia) e senza la possibilità di discutere gli emendamenti in Commissione (sempre per volontà dell’M5S che voleva a tutti i costi che il provvedimento venisse discusso dall’Aula, anche a costo di vedersela bocciare, ma al fine di ottenere la massima pubblicità alla discussione che ogni dibattito in Aula, a differenza di quello in commissione, garantisce). Sta qui, peraltro, nell’assenza del mandato al relatore e nell’impossibilità di discutere gli emendamenti degli altri gruppi, l’inghippo tecnico che consentirà al Pd, forte dei numeri suoi e della sua maggioranza, alla Camera, di votare contro la richiesta grillina di continuare ad esaminare la pdl in Aula, obbligando la Camera a rimandare la pdl Lombardi in commissione, dove tornerà – almeno fino al 4 dicembre, data del referendum costituzionale – in un cassetto.

La posizione del gruppo M5S era, invece, chiara sin dall’inizio. Come hanno scritto in una nota i componenti grillini della I commissione, “con l’approvazione della nostra proposta di legge si farebbero risparmiare circa 87 milioni di euro ai cittadini. E questa cifra, comprensiva del dimezzamento delle indennità e della riduzione delle spese, che avranno l’obbligo della rendicontazione, supera di 30 milioni di euro il risparmio stimato della riforma Boschi. Con l’ok ad una semplice legge ordinaria e senza stravolgere la Costituzione in senso autoritario, si porterebbe a casa un risultato eccezionale per il Paese. I parlamentari hanno una grande occasione: facciano come noi e dimostrino che hanno a cuore gli interessi degli italiani e non solo i loro, tagliandosi gli stipendi”. La Lombardi ha, ovviamente, rincarato la dose, dicendo polemicamente che “se volete voi oggi tagliarvi e dimezzarvi le indennità, oggi, banalmente, basta un Sì…” (riferimento alla campagna sul referendum del premier che si chiama, appunto, Basta un Sì). La proposta di legge Lombardi riguarda, oltre alle indennità, i rimborsi spese e la diaria (argomenti a cui si limitava il testo unificato presente in commissione e che la Lombardi ha voluto, invece, ‘disabbinare’, insistendo per presentare il proprio),  norme sulle pensioni dei parlamentari, l’indennità dei consiglieri regionali e i congedi parentali dei parlamentari. 

E così in un emiciclo semivuoto (nonostante l’importanza dell’argomento è pur sempre lunedì pomeriggio…) con i banchi del centrodestra semideserti, quelli del Pd con larghi vuoti e pieni sono quelli dell’M5S, i grillini sono scesi in campo con interventi a raffica, anche per non sfigurare davanti ai big del Movimento (Di Maio, Fico, Di Battista), tutti presenti in Aula. “Stiamo chiedendo al Parlamento di votare una legge che dà 3 mila euro netti ai deputati (peraltro non è vero, sarebbero molti di più: 3500 netti più 3500 di diaria e 3600 di rimborsi, due voci che la proposta grillina non tocca, chiede solo di limare, ndr.) – attacca Di Maio – presidente Renzi venga in Aula, l’aspettiamo!”. “Nel giorno in cui l’Aula parla di tagliare gli stipendi dei parlamentari il Pd parla di Dumas, di Catilina, della Raggi! Basta vedere i loro volti colmi di vergogna e bianchi in viso per capire!”, tuona ‘Dibba’.

Solo Sinistra Italiana – Sel, con Alfredo D’Attorre, si è detto contrario al rinvio in commissione della pdl Lombardi e ha chiesto di continuare a discuterne in Aula. D’Attorre ha accusato Renzi di “demagogia, ipocrisia e incoerenza”, ha sostenuto che il reale risparmio che deriverebbe dalla riforma del Senato “è solo un decimo dei 91 milioni promessi” e che il suo “populismo di governo” fatto di slogan come “il Parlamento è un luogo dove si prede tempo” lo farà “perire della stessa demagogia che usa oggi”. Per il resto, tranne appunto Sel-SI, che si vuole “confrontare” nel merito con M5S e voterà contro il ritorno in commissione della Pdl, tutti gli altri partiti si sono espressi contro la pdl Lombardi o hanno… parlato d’altro. Renato Brunetta, capogruppo di FI alla Camera, ha proposto di “adeguare gli stipendi dei parlamentari ai lavori che facevano in precedenza, con un tetto massimo di 240 mila euro, e di usare le attività lavorative precedenti e il relativo reddito percepito come parametro per le future indennità”, applicando a quei parlamentari che non dichiarano alcun reddito precedente alla loro elezione “il reddito di cittadinanza” (il quale, peraltro, a oggi, in Italia non esiste…). Insomma, semplice fumo.

I diversi interventi dei deputati del Pd hanno preferito prendere di mira le contraddizioni, pur evidenti, dei grillini nella loro rendicontazione delle spese (per esempio, i deputati M5S prendono dai gruppi e rendicontano molto male tutta una serie di spese accessorie), come hanno fatto la marchigiana Alessia Morani e l’emiliana Giuditta Pini, o hanno attaccato la giunta romana guidata dalla Raggi (M5S) e i lauti stipendi che hanno assegnato a molti dei loro assessori e collaboratori, come ha fatto il romano Marco Miccoli, piuttosto che presentare una loro proposta alternativa. Il milanese Emanuele Fiano, membro della I commissione, ed esperto di materia costituzionale, ha parlato di “ipocrisia, cultura del sospetto e volontà di fingere di attaccare al Casta per colpire la Politica e la Democrazia”, ricordando però un punto debole del Movimento 5 Stelle: “L’M5S propone di dimezzare le indennità, ma non intende minimamente toccare la diaria e i rimborsi spese per l’esercizio del mandato (le altre due, corpose, voci che compongono lo stipendio del parlamentare, ndr), che vogliono mantenere ai livelli attuali mentre le loro restituzioni al Fondo M5S (quello che i parlamentari grillini devolvono per aiutare le piccole e medie imprese, ndr.) sono diminuite, nell’arco di questi due anni, non certo aumentate grazie a un uso assai disinvolto di diaria e rimborsi spese”. Fiano ha concluso ricordando che, grazie al Pd, “i rimborsi elettorali e i finanziamenti pubblici ai partiti sono passati da 470 milioni di tre anni fa a zero” (il Pd ha promosso e fatto votare, l’anno scorso, la legge che aboliva ogni forma di finanziamento pubblico ai partiti politici). In sostanza, il Pd sostiene che con il Sì alla riforma costituzionale si risparmieranno molti più soldi che col taglio alle indennità.

Naturalmente, alcuni degli interventi più pittoreschi sono arrivati dai deputati grillini. L’onorevole Castelli ha accusato il Pd di “pagarsi le amanti con i soldi dello stipendio”, il deputato Carinelli si è chiesto “dove sono le rendicontazioni del Pd, su quale sito stanno?” e il deputato Bonafede ha sostenuto che “gli stipendi del Pd sono un furto ai cittadini” mentre il deputato Gallinelli ha detto che, con la riforma di Renzi, si passerà “dalla Costituzione di Pertini a quella di Verdini”, mentre il deputato Parentela (nomen non omen…) ha detto che “voi del Pd avete le tasche piene di indennità e privilegi!”. Solo l’onorevole Cecconi ha specificato: “Noi abbiamo restituito 18 milioni di euro ai cittadini e la nostra proposta sul taglio delle indennità farebbe risparmiare 61 milioni allo Stato!”.

Non manca, naturalmente, la ‘nota di colore’: il deputato fittiano (Conservatori e riformisti di Raffaele Fitto) Rocco Palese, per rivendicare il lavoro svolto alla camera si presenta in Aula sfoggiando sotto la giacca una t-shirt bianca dove in primo piano campeggia il numero percentuale delle sue presenze in Parlamento: ‘99,19’. Che è un po’ come dire: guadagno tanto, è vero, ma i soldi che prendo sono tutti ben meritati…

Ma oggi è stato solo l’antipasto della giornata di domani. Tra Grillo sugli spalti e i militanti grillini in piazza Montecitorio se ne vedranno delle belle e l’Aula si farà di certo infuocata.

NB: Questo articolo è stato scritto in forma originale il 24 ottobre 2016 per questo blog  


“Stipendi legati alle presenze: Renzi prova a giocare d’anticipo sui Cinque Stelle. Oggi in Aula la proposta grillina per dimezzare l’indennità ai parlamentari

IL PREMIER, Matteo Renzi, sa così bene che il tema della riduzione dei costi della politica è molto sentito dai cittadini che he fatto uno degli atout della campagna nazionale ‘Basta un Sì’ al suono di slogan come «A casa 315 politici (i senatori, ndr) subito». Ecco perché ieri, a ‘In mezz’ora’ (Rai 3), non ha voluto svicolare sulla proposta grillina che, a partire da oggi, verrà discussa nell’Aula della Camera – con Beppe Grillo presente in tribuna, «una giornata storica» la definiscono nel Movimento, pronti a proteste plateali – e che punta a dimezzare l’indennità dei parlamentari. «Siamo favorevoli, come governo, alla riduzione degli stipendi dei parlamentari, ma dipende come la si fa», dice Renzi. Ma aggiunge che «M5S butta la palla in calcio d’angolo perché è in difficoltà».
IL PREMIER abbozza una controproposta che oggi potrebbe essere avanzata dal gruppo parlamentare del Pd alla Camera sempre che il suo capogruppo, Ettore Rosato, non si limiti a chiedere il rinvio della discussione sulla proposta di legge a prima firma Lombardi dall’Aula alla commissione per «approfondirne meglio gli aspetti». L’idea di Renzi consiste nel «legare l’indennità parlamentare alle presenze». E qui arriva l’altra stoccata ai grillini: «Luigi Di Maio, ad esempio, ha il 37% delle presenze in aula, ma Di Maio e Di Battista prendono il doppio di quello che prendo io come presidente del Consiglio. Quindi, se Di Maio fa il 37% di presenze, perché si deve prendere l’indennità intera? I 5 Stelle giocano a fare i puri, ma sono uguali a tutti gli altri», conclude.
LA REPLICA di Di Maio non si fa attendere ed è un guanto di sfida: «Mi aspetto che il premier venga a vedere i suoi parlamentari che votano una proposta che fa risparmiare quasi il doppio della cifra che fa risparmiare la sua riforma». Il deputato pentastellato Carlo Sibilia fa, invece, i conti in tasca allo stesso Renzi: «Lui guadagna 114.796,68 euro lordi l’anno, circa il doppio di un parlamentare M5S». I numeri di Sibilia sono questi: «Un parlamentare guadagna 125.220 euro lordi all’anno solo d’indennità, esclusi i rimborsi. Oggi solo quelli del M5S ne guadagnano 62.612 euro, la metà, perché l’altra metà va a finire in un fondo statale per le imprese».
In realtà, anche sulla proposta Lombardi va fatta chiarezza: la misura chiede di fissare un tetto per l’indennità dei parlamentari pari a 5mila euro lordi al mese per dodici mensilità (oggi sono circa 10mila euro lordi, pari a 5.100 euro netti), il che vuol dire 3.500 euro circa netti, ma con adeguamenti Istat annuali. In più ci sarebbe un rimborso delle spese di soggiorno e viaggio (tranne per i residenti a Roma, ora compresi) di 3.500 euro mensili, che andrebbe a sostituire l’attuale ‘diaria’ (oggi è di 4mila euro, decuratata di 206 euro al giorno se il deputato non vota in Aula). Verrebbe poi confermato l’attuale regime del «rimborso per l’esercizio del mandato» (oggi vale 4mila euro mensili, in parte da documentare e in parte forfettari), solo ridotto a 3.600 euro mensili. In sostanza, la proposta M5S dimezza solo lo stipendio del deputato, ovvero l’indennità, ma lascia semi-inalterate le altre due, consistenti, voci.
NB. Questo articolo è stato pubblicato il  24 ottobre 2016 a pagina 4 del Quotidiano Nazionale