Dieci motivi per contestare l’Arlecchinum e spiegare perché non è né “immediatamente applicabile’ né un proporzionale né tantomeno un regalo a chi vuole votare subito” (Renzi&co.)

25 Gennaio 2017 0 Di Ettore Maria Colombo

Scrivo di fretta e furia, mentre sono al lavoro su altro (Renzi…), perché odio improvvisazioni, facilonerie, castronerie e soprattutto partigianerie, specie in materie che mi appassionano come la legge elettorale e i sistemi elettorali.
Allora, cercherò di spiegare, in dieci punti, perché a) questa legge non è affatto “immediatamente applicabile” (come dicono e sostengono i giudici della Consulta: anche loro hanno un ruolo politico); b) non permetterà di andare ‘al voto subito’ come voleva il segretario del Pd, Matteo Renzi, e come chiedono anche Grillo e Salvini. Naturalmente, dovrò per forza di cose dare per scontate alcune nozioni di base sulle leggi elettorali presenti e in vigore (Italicum e Consultellum) come decadute e passate (Mattarellum e Porcellum). C) le due leggi elettorali che derivano la prima post sentenza Consulta n. 1/2014 che abrogo’ il Porcellum  (e cioè appunto il Consultellum) chr pero’ vale solo per il Senato e la seconda post sentenza Consulta n. 1/2017 che ora abrogat l’Italicum (io qui lo chiamo Arlecchinum…) che vale per la Camera NON sono affatto e per nullane’ “immediatamente applicabili” come dice la Consulta ne’ tantomeno “omogenee e razionali” come ha chiesto Mattarella in più e diversi interventi solenni e ufficiali. E Mattarella non e’ solo un ‘cultore della materia’ (a lui si deve appunto il Mattarellum) ma anche la massima è inappellabile fonte di diritto costituzionale per qualsiasi partito che pensi o chieda o voglia andare a votare ‘subito’… Ma ecco i miei dieci punti controversi.

  1. La Corte elimina il ballottaggio dal sistema elettorale in vigore alla Camera (Italicum) ma lascia il premio di maggioranza (55% dei seggi cioe’ 340 su 630) alla prima lista meglio piazzata al 40%: se nessuno lo raggiunge, il riparto e’ proporzionale. Peccato che, al Senato, il premio di maggioranza nazionale non c’è e non esiste, ma solo premi regionali, anche se tali premi, abrogati a loro volta insieme al premio di maggioranza nazionale alla Camera perche’ privo di soglia di accesso nel Porcellum. Al Senato risultano pero eestare jn piedi dei premi regionali non ‘effettivi’ ma ‘indotti’, cioè ricavabili dalle soglie di sbarramento che penalizzano i partiti piccoli che perdono seggi in favore di quelli più grandi sempre su base regionale. Es: i seggi persi dalle liste o coalizioni che non raggiungo lo sbarramento dell’8% o 20% vanno attribuiti a chi tali soglie le supera, cioè pochi partiti. Ergo, prima disarmonia, e pure bella grossa. Soluzioni? Estendere il premio al Senato? No, non si può fare. Altre soluzioni? Nessuna, restano due premi del tutto disomogenei.
  2. Il premio, appunto, è fissato al 40% alla Camera ed è regionale al Senato. Ma il premio alla Camera va a una lista (e NON a una coalizione), al Senato alle coalizioni, anche se sono ammesse pure le liste singole. Ergo, dscrepanza massima.
  3. Le soglie di sbarramento. La Corte non ne parla: restano quelle che ci sono in vigore: alla Camera una soglia unica nazionale al 3% (per le liste e NON per le coalizioni), al Senato sono tre: 20% per le coalizioni, 8% per le liste singole, 3% per le liste interne alle coalizioni. Difformi in modo evidente e palese, oltre che stabilite su piani differenti del tutto tra loro: liste alla Camera, liste ‘e/0’ coalizioni al Senato.
  4. La preferenza di genere: alla Camera c’è, è doppia e alternata, lo prevede la legge, al Senato no: il Consultellum creato dalla stessa Corte con sentenza n. 1/2014 ha introdotto la preferenza unica, abolendo le liste bloccate del precedente Porcellum. Come fare? Bisogna introdurre la preferenza di genere anche al Senato. Un obbligo. O almeno così direbbe il buon senso ma non si sa mai.
  5. I capolista bloccati. La Corte, a differenza di alcune prime erronee interpretazioni, non li ha affatto aboliti. Restano eccome, e una bella figura di sé e di loro stessi non la fanno. Cosa c’è dopo? Il sorteggio (ci torneremo dopo – sic) alla Camera, la preferenza unica al Senato. Che fare? Un bel rebus.
  6. Le multicandidature. Queste sì che la Corte le ha abolite, ma nel senso che il primo eletto, quello prima ‘bloccato’ – non potendo più optare per il collegio dove voleva o desiderava essere eletto – deve essere eletto in quello dove si presenta e non in più di essi (da 3 a 6 prevedeva l’Italicum). Ergo, gli altri come vengono eletti? Col ‘sorteggio’.  Qui la fantasia della Corte, dovendo ‘fingere’ di aver scritto una sentenza, appunto, “immediatamente applicabile”, si veste dei migliori panni dell’Azzeccagarbugli di manzoniana memoria. Infatti, la sentenza richiama – testuale – “il criterio residuale del sorteggio previsto dall’ultimo periodo, non censurato nelle ordinanze di remissione, dell’art. 85 del DPR n. 361 del 1957” (è il Testo unico base e ‘Bibbia’ di ogni sistema elettorale vigente in Italia dal II dopoguerra in poi, tutte le leggi elettorali si rifanno a quel testo). Siamo, appunto, al mitico metodo del ‘sorteggio’. Al Senato, che sarà pure zeppo di sopravvissuti, ma sono gente un po’ più seria, resta il metodo ‘normale’, quello delle democrazie occidentali esclusa la Svizzera dell’800: gli eletti li decidono gli elettori, senza capolista bloccati e tantomeno senza pluricandidaturre. non i sorteggi. Bisognerà metterci una bella pezza. Non sarà facile.
  7. I collegi sono e restano diversi: 100, su base nazionale, per l’Italicum alla Camera, 20 perché  su base regionale (così prescrive la Costituzione, Ciampi rimandò indietro il Porcellum solo e soltanto su questo punto) per il Senato. Vuol dire che sono diversi. Pace e amen.
  8. Il metodo di elezione è e resta diverso grazie al mix di premio di maggioranza e soglie di sbarramento: alla Camera puoi ottenere (o perdere) tot seggi in un modo, al Senato li puoi ottenere (o perdere) in un altro: metodi diversi di due sistemi diversi producono risultati difformi, a prescindere dai voti che i cittadini attribuiscono ai partiti.
  9. alla Camera si voterà per ‘liste’ o ‘listoni’, volendo cercare di creare aggregazioni. Al Senato si potrà votare per delle liste singole, per dei listoni o delle coalizioni. Una differenza non da poco che ha effetti diversi e pesanti su ogni sistema politico, come dimostra il passato (il Mattarellum favoriva le coalizioni, il Porcellum le liste).
  10. Camera e Senato hanno elettorati attivi e passivi diversi: 18 e 25 anni alla Camera, 25 anni e 40 anni al Senato: lo prevede la Costituzione certo, non la Consulta, ma così è. Morale: chi pensa che si possa andare ‘subito’ al voto o è un pazzo, o non ne sa un ‘acca’ o si illude, pietosamente. Mattarella sarà lì a spiegare che ‘proprio non è cosa’. Per il resto, rinviamo ad altri articoli ed approfondimenti miei e spero non solo miei.