Rimini, bel suon d’amore. Renzi lancia la sfida del Pd al 40% e prepara i suoi a “ogni evenienza” come il voto ad aprile

29 Gennaio 2017 0 Di Ettore Maria Colombo
Matteo Renzi parla alla kermesse di Rimini

RIMINI  Assemblea nazionale amministratori locali Pd del 28/01/2017 In foto: Matteo Renzi

Renzi si tiene pronto ad ogni evenienza, compreso il voto ad aprile. “Puntiamo al 40%, la corsa sarà a tre”. Dal palco toni soft ma ai suoi prospetta la crisi lampo a febbraio.
Ettore Maria Colombo
DAL NOSTRO INVIATO  – RIMINI –
«NON IMPORTA la data del voto, prima o poi andremo a votare, solo se dichiarassimo guerra a qualcuno, e non penso sia il caso di farlo, verrebbero sospese le elezioni» scherza il segretario del Pd, Matteo Renzi, dal palco di Rimini dove ha riunito i mille amminitratori locali del Pd. «Il punto – ribadisce – non è la data delle elezioni, ma i programmi». Sì, certo, per carità, magari sarà così, però ai suoi – Gnassi, Ricci, Rosato, Ermini, Bonaccini, etc. – che poi si appartano con lui per circa un’altra ora, Renzi dà la carica. E spiega che «ora, ragazzi, dobbiamo concentrarci solo e soltanto sulla campagna elettorale».
MA ELEZIONI quando e con quale legge? «Con quella uscita dalla Consulta, non faremo in tempo a cambiarla, è impossibile», spiega il premier ai suoi, stavolta, però, nel retro palco. Elezioni anticipate a giugno, ovvio, con la data già scritta in rosso per l’11, è e resta la via maestra che Matteo Renzi ha scelto e ha ancora davanti a sé. Di certo mai e poi mai elezioni a febbraio sì, ma del 2018, quando «la legge di Stabilità lacrime e sangue 2017 sarà stata squadernata e i grillini ci avranno fatto a pezzi con il tormentone vitalizi», spiega l’ex premier ai suoi uomini. Ma alle brutte, e cioè se il «braccio di ferro» con l’Ue dovesse precipitare, facendosi slavina, e continueranno ad arrivare quelle «odiose letterine» sui conti, elezioni anticipate ad aprile e scioglimento delle Camere non oltre fine di febbraio.
Il che vorrebbe dire, però, crisi di governo lampo. Crisi di governo che «l’amico Paolo» (Gentiloni) sarebbe pronto ad avallare , ma che «l’amico Piercarlo» (Padoan) vorrebbe scongiurare. Certo, non sarebbe una via facile (anzi, tutt’altro), quella delle elezioni ad aprile, ma Renzi la sta prendendo in considerazione. «Non si è ancora rassegnato all’idea di non essere lui il premier che porterà l’Italia al G7 di Taormina», spiega un ministro che ieri era a Rimini. «Non guardare i sorrisi, i toni suadenti, la finta bonomia, l’ironia usata dal palco» – spiega un suo fedelissimo – e non guardare neppure al fatto che è un po’ ingrassato, anzi: guardaci. Matteo è tornato famelico, vuole tornare a combattere, alla gara per la premiership», anche se – spiega un altro renziano – in cambio del voto subito, della rivincita, Matteo sarebbe pronto a tutto, anche a cedere la guida del futuro governo, magari affidandola a uno dei suoi fedelissimi, tipo Graziano Delrio o lo stesso Gentiloni…».
INTANTO, il partito stesso – un partito che, insiste Renzi, deve e può puntare «al 40% dei voti», unico modo, dice «per evitare il caos, e a prendere il premio di maggioranza – è già, di fatto, un gabinetto di guerra permanente: l’11 febbraio mobilitazione dei circoli, il 13 febbraio la Direzione, poi altre iniziative ancora, quasi senza soluzione di continuità. Come ieri: la platea di amministratori che dovevano essere di 750 persone «e invece abbiamo dovuto aggiungere le sedie perché siamo almeno 1500», spiega, orgoglioso Matteo Ricci, sindaco di Pesaro. Amministratori locali che, guarda caso, sono tutti o quasi renziani mentre sia i franceschiniani (pochi, pochissimi, tipo Piero Martino) tirano fuori dubbi e i Giovani Turchi (Raciti, Verducci, invece, sono appena poco più convinti e pure compatti. Renziano di certo lo è, e di prima linea, Andrea Gnassi, il primo cittadino di Rimini che Renzi ieri vuole accanto a sé ogni passo e che chiede “un governo forte, serio, di durata e di legislatura altrimenti noi sindaci non ce la facciamo ad affrontare le emergenze”. O come Stefano Bonaccini, governatore emiliano, che fa venire giù la sala dagli applausi perché, rivolgendosi a D’Alema, quasi urla: «Non prendo lezioni da chi ora dice di voler ricostruire l’Ulivo quando è la stessa persona che lo ha picconato per anni, l’Ulivo!». Ecco, D’Alema: Renzi non gli risponde mai, non lo cita, si limita ad usare l’arma dell’ironia dicendo che «c’è gente che vive pensando sia io il problema, mando loro un forte abbraccio», ma sta cercando persino di dividere la minoranza di Speranza (ieri è venuto a Rimini con il solo fido Stumpo) da ‘Baffino’. I nostri avversari, spiega dal palco, «saranno solo due: Grillo e il centrodestra, vedremo se unito o diviso». Nessun altro, ecco. E infatti è al leader del M5S che riserva le parole più dure: «È inutile che dall’ultimo villaggio turistico alla moda in Africa, mi arriva lo spregiudicato-pregiudicato a dire che il problema è la povertà». Ecco, il Pd del 40% ha un solo vero avversario, davanti: Grillo e l’M5S, non Berlusconi o D’Alema.
NB: L’articolo è stato pubblicato domenica 29 gennaio 2017 sul Quotidiano Nazionale. 


“Dobbiamo rivoltare il Paese”. Renzi pronto a lanciare il ‘grillismo’ di sinistra. Oggi l’intervento dell’ex premier alla convention degli amministratori del Pd a Rimini. 
Ettore Maria Colombo – BOLOGNA –
DATA DEL VOTO anticipato? Tabella di marcia in vista delle elezioni? Disanima della legge elettorale? Analisi delle possibili alleanze del Pd, se farle ‘a destra’ con Alfano e i centristi o, meglio, ‘a sinistra’, con Pisapia e i suoi Progressisti che, ieri, se le sono date, reciprocamente, di santa ragione («Un incubo», per Pisapia, l’idea del ‘listone’ con Alfano, MA “UN INCUBO”, il ‘listone’, lo è pure per Alfano)? Macché, al massimo, a questi temi, farà dei rapidi, sapidi, accenni. Il discorso di Renzi, oggi, verterà su tutt’altro. Verterà sul Paese, «la nostra bella Italia», ma con un mood da ‘grillino di sinistra’ o, meglio, da anti-establishment italiano (il Palazzo) ed europeo (la Ue). E, infatti, eccoli i temi «veri, concreti» che Renzi toccherà oggi quando interverrà nel bel mezzo della kermesse del Pd.
L’UNIONE EUROPEA e la sua «miopia», le sue «letterine avvelenate». Le «storie concrete» (ambiente, sicurezza, sanità, investimenti, lavoro, welfare) dell’Italia «che lavora e che produce». «L’Italia che non ha paura» per parafrasare Francesco De Gregori. Le piccole storie di «uomini giusti» come Nedo, sopravvissuto ad Auschwitz: «questo è il suo nome, oggi vive a Milano», scriveva già ieri Renzi sul suo blog parlando dello scrittore ebreo italiano Nedo Fiano, padre del deputato democrat Emanuele. E, certo, un partito – il suo, il Pd – che «deve ripartire dai suoi circoli, dai suoi sindaci», cioè «dai territori» in un misto di local iper-connesso al glocal per «riportare il nostro Pd in mezzo alla gente normale». E, anche, un partito innervato (e, pure, ‘rinnovato’) dai «comitati per il Sì al referendum, una bella esperienza che non deve andare dispersa».
ALLA FINE, ma arriverà pure la stoccata para-grillina: «Dobbiamo formare una nuova classe dirigente, basta con le solite, vecchie, facce, basta con i litigi che il nostro popolo non vuole, con i bilancini delle correnti, largo ai giovani». Stoccata non da poco, e assai preoccupante, per la ‘Vieille Garde’, la Vecchia Guardia che alligna nel Pd e in quel Parlamento dove i parlamentari «pensano solo a come ottenere il vitalizio». Perché, appunto, le elezioni anticipate sono sempre più vicine e Renzi intende usare questa filosofia ‘rivoluzionaria’, da ‘Rottamatore 2.0’, anche per fare le liste elettorali.
Sarà questo il discorso che oggi pomeriggio Matteo Renzi terrà a Rimini dove è già in corso di svolgimento la «carica dei Mille», l’assemblea nazionale di mille amministratori locali. Si chiama «Città Italia-Energia locale», coordina il sindaco di Pesaro, Matteo Ricci, sul palco saliranno, in format da talk-show, sindaci, governatori, consiglieri comunali e regionali, parlamentari e ministri, da Delrio a Minniti, e forse sarà presente Gentiloni.
Ma tutti aspetteranno solo che prenda la parola – in pubblico, dopo due mesi di assenza – lui, Matteo Renzi, l’ex premier che ha perso la poltrona di palazzo Chigi, ma che conserva ancora quella di segretario. Una di quelle cariche che, di questi tempi in cui non si fa altro che parlare di elezioni anticipate, «vale oro».  Perché va bene la lirica, la poesia, la retorica, ma presto arriverà, nel Pd, sempre che a Renzi riesca l’azzardo di portare il Paese al voto, il tempo della prosa. Quello in cui bisognerà stendere le liste elettorali. E lì si capirà chi sono «i sommersi» e «i salvati», parafrasando Primo Levi. Ecco perché i big del Pd che non vorrebbero andare a votare (Franceschini, Orlando, etc.) si sono acconciati al peggio, e cioè a prendersi i seggi sicuri e votare, mentre i neo pasdaran non renziani del segretario (Orfini, Martina) alzano la voce e dicono – come ha detto ieri Orfini in un’intervista all’Huffington Post – che «ai partiti diamo dieci giorni al massimo per trovare un accordo sulla legge elettorale, altrimenti si va al voto a giugno». Gentiloni, da Lisbona, fa capire che è d’accordo, anche se con il suo, solito, felpato linguaggio («Le scelte del Parlamento dovranno essere prese con la necessaria sollecitudine») ma Renzi, i toni ‘felpati’, neppure sa cosa siano. E anche oggi, da Rimini, ne darà dimostrazione.


NB: Questo articolo è stato pubblicato sabato 28 gennaio 2017 su Quotidiano Nazionale.