Quasi sei anni di “non governo”. Le crisi di governo nell’Italia repubblicana (1946-2018). L’articolo di Luca Tentoni per “Mente politica”

22 Aprile 2018 1 Di Ettore Maria Colombo

L’articolo che pubblico qui di seguito è frutto del prezioso e certosino lavoro di Luca Tentoni, analista politico ed editorialista per la Gazzetta di Parma e per il Giornale di Brescia ed è stato pubblicato sul sito www.mentepolitica.it

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La facciata principale di Palazzo Montecitorio, a Roma, sede della Camera dei Deputati

La durata delle crisi di governo. 
Dal primo luglio 1946 ad oggi, l’Italia ha avuto 65 crisi di governo, durate in media 33,23 giorni (contando anche quella in corso, con dati aggiornati all’8 aprile riprendendo uno studio pubblicato dall’autore di questo articolo prima nel 1989 sulla Voce Repubblicana e poi – con l’aggiunta di un testo di Guglielmo Negri – nel 1992, col titolo “L’instabilità governativa nell’Italia repubblicana”). In pratica, il Paese ha avuto un governo “in ordinaria amministrazione” per 2160 giorni (5 anni e 11 mesi: poco più di una legislatura, dunque). L’8,25% della nostra storia è trascorso fra consultazioni, incarichi esplorativi, elezioni anticipate, ricerca di nuovi assetti politici. I nostri governi hanno avuto una durata media di 402,75 giorni (dei quali 369,52 nella pienezza dei poteri), però la media non permette di distinguere fra Prima e Seconda Repubblica. In quest’ultima abbiamo avuto 14 governi contro i 51 della Prima, per complessivi 8723 giorni contro 17456 (durata media dei governi: 1946-1994, 342,27 giorni, 33,24 dei quali di crisi; 1994-2018, 623,07 giorni, 33,21 dei quali di ordinaria amministrazione). In parole povere, nella Seconda Repubblica abbiamo avuto governi molto più longevi (in media, 22 mesi e mezzo contro gli 11 mesi e 10 giorni della Prima Repubblica) ma crisi altrettanto lunghe. Non tutte le formule politiche degli ultimi ventiquattro anni, però, hanno avuto lo stesso “rendimento” sul piano della durata: il centrosinistra ha avuto Palazzo Chigi per il 50,18% dell’intero periodo (4377 giorni), ma i suoi governi (otto) sono durati in media 547,13 giorni (dei quali 20,5 di crisi), mentre il centrodestra vi è rimasto per il 38,17% (3330 giorni; media: 832,5 giorni, dei quali 11,5 di crisi) e i “tecnici” Dini e Monti per il restante 11,65% (1016 giorni; media: 508 giorni, ma ben 127,5 di ordinaria amministrazione).
La durata ‘media’ dei governi. 
Rispetto alla Prima repubblica, dunque, bisogna osservare che: 1) la durata media dei governi è diversa a seconda delle formule (più stabile quella di centrodestra, con 832,5 giorni medi contro i 342,27 del periodo 1946-’94; abbastanza stabili le altre – 547,13 il centrosinistra, 508 i tecnici); 2) la durata media delle crisi è identica (33,2 giorni), ma in realtà, nella Seconda Repubblica, solo in tre casi si è andati oltre il mese: con Monti (128 giorni), Dini (127), Prodi II (104). In tutto, 359 giorni di crisi per tre governi (media 119,7), contro i 106 degli altri undici (media 9,6), segno che nell’ultimo quarto di secolo gli intervalli fra un governo e il successivo sono stati ampi solo in momenti di transizione politica: il 1995, il 2008, il 2013 (non è escluso che nel 2018 anche la crisi del governo Gentiloni si protragga, anche se forse non per così tanto: per raggiungere il Prodi II dovremmo avere un nuovo Esecutivo il 7 luglio, cosa possibile solo in caso di nuove elezioni a fine giugno); 3) le formule di governo non durano più di cinque anni consecutivamente (nessuno ha mai avuto la maggioranza dei seggi in una o entrambe le Camere per due volte di fila: centrodestra 1994, centrosinistra 1996, centrodestra 2001, centrosinistra 2006, centrodestra 2008, centrosinistra 2013, più l’esito del 2018) ma, salva l’eccezione del secondo governo Prodi (2008), in sette casi su otto la crisi del centrosinistra è durata non oltre i 15 giorni e quella del centrodestra in tre su quattro (1994: 25 giorni, ma c’era la rottura con la Lega), mentre sono stati i tecnici a dover “traghettare nella crisi” il Paese: nel 1995 come nel 2013, andando dimissionari a gestire nuove elezioni. Se si considera che dal 1994 ad oggi le crisi ministeriali si sono protratte in tutto (all’8 aprile 2018) per 465 giorni e che quelle dei soli sette governi guidati da Giulio Andreotti fra il 1972 e il 1992 sono durate 454 giorni, si ha un’idea della differenza fra Prima e Seconda Repubblica. Il leader democristiano è stato di gran lunga il più grande “gestore di crisi” della nostra storia. Rimasto a Palazzo Chigi per 2669 giorni (7 anni e quasi 4 mesi) ha però curato “gli affari correnti e l’ordinaria amministrazione” per ben 15 mesi (in media, il 17% della durata complessiva dei suoi governi). Fu Andreotti a portare il Paese alle urne nel 1972, 1979, 1992: nella Prima Repubblica furono suoi i record di permanenza in carica durante la crisi: 126 giorni nel 1979, 121 nel 1972 (in quest’ultimo caso, fu sfiduciato dopo appena nove giorni dalla nascita del suo governo). Dini (127 giorni) e Monti (128) l’hanno battuto per un soffio.
Le crisi di governo ‘lunghe’. 
Le crisi lunghe corrispondono spesso a conclusioni anticipate delle legislature: nella Prima Repubblica si votò sette volte prima del termine nel 1972 (121 giorni di crisi), 1976 (90), 1979 (126), 1983 (91), 1987 (91), 1992 (65), 1994 (25), mentre durante la Seconda le interruzioni sono state solo due: 1996 (127) e 2008 (104). Ciò non toglie, però, che in fasi politiche molto delicate – di transizione o di attesa – ci sia stato bisogno di un lungo lavoro di ricucitura: nel 1970 (crisi del governo Rumor II), 1974 (Rumor V), 1978 (Andreotti III), 1979 (Andreotti IV), 1987 (Craxi II), 1989 (De Mita) e che si sia arrivati a sette o più settimane di “ordinaria amministrazione”. Come abbiamo scritto in un precedente articolo su Mentepolitica (“Fasi politiche e durata dei governi”, 15 ottobre 2016), i presidenti del Consiglio che si sono avvicendati nel corso della Prima Repubblica sono stati molto più numerosi che nella Seconda: 19 fra il 1946 e il 1994, 9 nella Seconda (una proporzione abbastanza in linea con la durata dei due periodi storici: 48 anni il primo, 24 il secondo), però le formule del vecchio sistema dei partiti erano complessivamente più continuative e durature: a fronte dei complessivi 12 anni del centrosinistra 1996-2018 (non consecutivi: 1996-2001, 2006-2008, 2013-2018) e dei 9 anni abbondanti del centrodestra 1994-2011 (idem: 1994, 2001-2006, 2008-2011) abbiamo avuto la stagione centrista (1947-1960), il centrosinistra (1962-1974/76) e il pentapartito (1981-1992). Un elemento essenziale per distinguere la gran parte delle crisi della Prima repubblica da quelle della Seconda è che fra il 1946 e il 1994 la fine di un governo non comportava necessariamente la conclusione di una formula politica (in questo, il centrosinistra del 1996-2001 e del 2013-2018 ha avuto un mutamento di presidenti del Consiglio – ben sei per otto governi – simile a quello del precedente sistema dei partiti) mentre nella Seconda si è avuto per almeno cinque volte (1996, 2001, 2006, 2008, 2013) un cambiamento (nel primo e nell’ultimo caso, però, con alcuni elementi di continuità: il sostegno del centrosinistra a Dini nel 1995 e di Pdl e Pd a Monti nel 2011-2012). Inoltre, come abbiamo scritto nel 2016 (nell’articolo di Mentepolitica qui richiamato), la durata dei governi per formula politica non è stata omogenea. Nel periodo centrista si sono succeduti quindici governi in altrettanti anni; in quello del centrosinistra “storico” (anni Sessanta-Settanta) tredici governi in tredici anni e mezzo; durante il pentapartito, dieci governi in undici anni. Ma anche qui bisogna distinguere, sia sottraendo le “parentesi balneari” (sulle quali torneremo), sia distinguendo fra prima e seconda fase di ciascuna formula politica della Prima Repubblica. Nella fase nascente e “gloriosa” del centrismo degasperiano (1947-1953) abbiamo avuto quattro governi in cinque anni (durata media: 559,5 giorni, dei quali 13,25 di crisi) con lo stesso presidente del Consiglio (De Gasperi, ininterrottamente dal 1945 al 1953 per otto governi), ma, dall’ultimo governo guidato dallo statista trentino (1953) al primo governo Fanfani (1954) abbiamo una durata media di 69,7 giorni (14,7 dei quali di crisi). Il decollo del secondo centrismo è faticoso ma si regge su equilibri nella Dc che portano la permanenza media in carica dei governi (1954-1958) a 534 giorni (13 di crisi) finché non è il leader democristiano Fanfani a volere il “doppio incarico” (conquistando anche la presidenza del Consiglio) e aprendo una stagione di instabilità che provocherà presto (oltre alle doppie dimissioni di Fanfani, dal governo e dalla segreteria) il declino del centrismo, che produrrà (compreso l'”eccentrico” esperimento quirinalizio del governo Tambroni) tre governi in due anni. Nel 1960-’63, però, si comincia ad avviare la stagione del centrosinistra, preparata da due lunghi governi Fanfani (530 giorni in media, 27,5 di crisi). Abbiamo, dunque, un centrismo che vive una prima fase di forza (1947-1953) e di transizione (1953-’54) e una seconda abbastanza stabile (non nei presidenti dei consiglio, però), seguita da una nuova transizione “in due stadi” (1958-’60; 1960-’63). In sintesi, come scrivevamo nel 2016, “il primo centrismo (1947-1953) è durato 6 anni per 5 governi guidati da un solo esponente politico (Alcide De Gasperi), mentre il secondo è proseguito per 9 anni e 10 governi (7 presidenti del Consiglio diversi)”.
I presidenti del Consiglio più ‘longevi’.
Fra le caratteristiche dei governi della Prima repubblica c’è la continuità non solo di alcuni titolari di dicasteri, ma anche dei presidenti del Consiglio. Ben 37 governi sui 65 della Repubblica hanno visto rimaneggiamenti della compagine ma non cambi al vertice. Dopo gli otto governi consecutivi di De Gasperi (1945-1953) abbiamo avuto i due di Fanfani (1962-1963), i tre di Moro (1963-1968), i tre di Rumor (1968-1970), i due di Andreotti (1972-1973), gli altri due di Rumor (1973-1974), altri due di Moro (1974-1976), tre di Andreotti (1976-1979), due di Cossiga (1979-1980), due di Spadolini (1981-1982), due di Craxi (1983-1987), ancora due di Andreotti (1989-1992), due di D’Alema (1998-2000), due di Berlusconi (2001-2006), poi più nessun mandato consecutivo. A consuntivo, su 65 governi, i primi dieci (pari al 15,3% del totale) hanno totalizzato 9298 giorni in carica, 224 dei quali per l’ordinaria amministrazione (il 2,41%). Tranne il secondo Prodi, insomma, tutti i più longevi sono stati anche quelli ai quali è seguita una crisi molto breve. Questi Esecutivi hanno governato il Paese per il 35,5% dell’intera storia repubblicana (gli altri 55, per il residuo 64,5%); la media dei giorni di crisi per ciascuno dei primi dieci è di 22,4 giorni, contro 35,2 degli altri (senza il Prodi II, scende a 13,3 giorni). I dieci presidenti del Consiglio che sono rimasti al governo per più tempo (in una o più occasioni, per un totale di 42 su 65: il 64,6%) hanno totalizzato insieme 18912 giorni di mandato (il 72,2%). In altre parole, la guida del Paese non è stata affatto “dispersa” come si potrebbe pensare guardando il numero dei governi, perchè dieci persone in 72 anni hanno presieduto quasi i due terzi degli Esecutivi governando per quasi 52 anni l’Italia. Il susseguirsi degli “inquilini di Palazzo Chigi” non è stato dovuto alla debolezza numerica delle coalizioni parlamentari, spesso sovradimensionate rispetto alla maggioranza minima richiesta, ma a fatti squisitamente politici.
Anche nella Seconda Repubblica, dove le crisi sono state meno frequenti, solo in due casi il governo è stato battuto in Aula (Prodi: 1998 e 2008) avendo subito defezioni da una maggioranza che – in un ramo del Parlamento (la Camera nel 1998, il Senato nel 2008) – non aveva consistenti margini numerici di vantaggio sulle opposizioni. Si è verificato il venir meno del sostegno al governo, però, per defezione di alleati, anche nel 1994 (Berlusconi I), 1995 (Dini), 2011 (Berlusconi IV: si tratta di un caso particolare, peraltro). Nel 1999 (D’Alema I), 2000 (D’Alema II), 2005 (Berlusconi II), 2014 (Letta), 2016 (Renzi) si è invece avuto un problema nella coalizione. Infine, nel 2001 (Amato), 2013 (Monti), 2018 (Gentiloni) la fine del governo è stata sostanzialmente dovuta al termine della legislatura (la fine dell’appoggio del Pdl a Monti ha anticipato di poche settimane il voto “naturale” già previsto). Tornando al nostro excursus sulle fasi storiche, notiamo che anche nel centrosinistra degli anni ’60-’70 ci sono state due fasi: una caratterizzata da governi guidati da un solo esponente politico, Aldo Moro (1963-1968) come nell’era degasperiana. Durata media in carica: 547,6 giorni; segue una seconda fase con dieci governi e cinque presidenti del Consiglio (durata media 278,1 giorni). Anche negli anni brevi dell’incontro fra Dc e Pci (1976-1979, governi Andreotti III e IV) si assiste ad una prima fase di 590 giorni, seguita da 54 giorni di crisi (risolta col contributo determinante di Aldo Moro) e alla seconda (avviata col voto di fiducia del 16 marzo, giorno del rapimento dello statista democristiano) che segnerà il declino della formula, dopo appena 326 giorni (alla quale faranno seguito 48 giorni di mediazioni fra i partiti) e, in seguito ad un brevissimo quinto governo Andreotti (11 giorni) nuove elezioni. Dopo un biennio di transizione, la Prima repubblica vede il prevalere di una nuova, l’ultima, formula politica: il pentapartito. Come già scritto su Mentepolitica (2016, cit.): “L’unica distinzione che si può invece fare nel periodo del pentapartito è fra fase a guida laica (1981-1987) e fase a guida Dc (già con Fanfani prima delle elezioni e, dopo il voto, con la “staffetta” del 1987). Fra il 28 giugno 1981 e il 17 aprile 1987 si susseguirono cinque governi (durata media: 433 giorni) e tre premier contro i cinque governi in cinque anni e due mesi (quattro premier) della seconda fase.
I governi ‘balneari’.
Naturalmente, nel nostro conteggio sono inclusi i governi balneari o elettorali intermedi, che nelle varie fasi hanno però all’incirca sempre lo stesso peso (durata e numero dei premier). In altre parole, durante la Prima Repubblica i periodi di maggior durata media dei governi (430-550 giorni) coincidevano con l’avvio di nuove fasi politiche, che poi proseguivano – esaurendosi progressivamente – con Esecutivi dalla cadenza annuale e un maggior ricambio alla presidenza del Consiglio”. I governi “balneari” sono quelli in voga soprattutto negli anni Sessanta e Settanta per far decantare la situazione politica. Monocolori Dc, non erano “governi del presidente” (forse lo erano quelli di Pella e Tambroni, ma su questo punto non ci sono giudizi concordi). Caratterizzati da una durata breve, erano presieduti da esponenti politici considerati “super partes” o “pontieri” (Leone, per esempio, presidente della Camera). Nella storia d’Italia ne abbiamo avuti nove, rimasti mediamente in carica per 137,3 giorni. Proseguendo nel nostro viaggio fra i governi e le loro crisi, arriviamo alla Seconda Repubblica, non senza aver sottolineato che nel triennio fra l’ultimo pentapartito (Andreotti VI) e il primo governo Berlusconi ci sono tre Esecutivi che nascono in un periodo di transizione: Andreotti VII (1991-’92), Amato I (1992-’93), Ciampi (1993-’94). Restano in carica mediamente per un anno.
Le crisi di governo ‘record’. 
Anche per la Seconda Repubblica dobbiamo distinguere fra più fasi. Quella preparatoria (1994-1996) che vede il rapido susseguirsi dei governi Berlusconi I e Dini (durata media: 269 giorni, 76 dei quali in ordinaria amministrazione), poi quella del consolidamento del sistema (1996-2011) durante la quale il Paese ha otto governi in quindici anni (media: 706,25 giorni, dei quali 19,6 di crisi). È il periodo in cui centrosinistra (1996-2001) e centrodestra (2001-2006) riescono a governare per cinque anni di fila, anche se le esperienze del Prodi II (2006-2008) e del Berlusconi IV (2008-2011) durano entrambe meno del previsto. È un periodo di record: il primo governo Prodi dura 886 giorni (11 di crisi), il Berlusconi II 1412 (2 giorni di crisi), il Prodi II 722 giorni (104 di crisi), il Berlusconi IV 1277 giorni (4 di crisi), che figurano tutti e quattro nella lista dei dieci governi di maggior durata fra il 1946 e il 2018, insieme a cinque della Prima Repubblica (Craxi I, 1092; Moro III, 852; De Gasperi VII, 721; Segni I, 683; Andreotti VI, 629) e al governo Renzi (2014-2016: 1024 giorni). Il periodo della crisi economica e dell’avvio della ristrutturazione del sistema dei partiti (2011-2018) è caratterizzato invece da quattro governi: uno tecnico (Monti), uno di centrosinistra/grande coalizione (Letta, affiancato per pochi mesi anche dal Pdl), due di centrosinistra (con apporti centristi). In media, questi governi (compreso l’attuale) durano 583,75 giorni (di cui 39 di crisi, quasi tutti dovuti all’interregno di Monti durante le elezioni del 2013). Se Renzi supera i mille giorni a Palazzo Chigi, Monti e Gentiloni vi restano per circa cinquecento (rispettivamente 529 e 482, di cui senza ordinaria amministrazione 401 e 467) mentre Letta si ferma a 300. Quote quasi tutte superiori alla durata media di un governo della Prima Repubblica (342). Nel nostro rapido excursus sulle crisi di governo in Italia e sui 2160 giorni “in ordinaria amministrazione” vogliamo far notare che su 65 governi, solo 15 sono rimasti in carica per almeno un anno e mezzo (dei quali 6 per più di due anni), ma 18 fra un anno e un anno e mezzo, 18 fra sei mesi e un anno, 12 fra tre e sei mesi e due (De Gasperi VIII e Fanfani I) per meno di tre mesi (rispettivamente 32 e 23 giorni, dei quali però solo 12 nella pienezza delle funzioni). Gentiloni, all’8 aprile 2018, è al 22° posto in classifica (482 giorni), ma può superare i governi Fanfani IV (485) e Dini (487); se la crisi si protrarrà oltre il 7 maggio, potrà sorpassare anche Scelba (511), raggiungere Monti il 25 e il sesto governo De Gasperi il 10 giugno. Ma se la crisi fosse lunga come quella che seguì il governo Monti, Gentiloni potrebbe addirittura superare il secondo esecutivo presieduto da Moro, attestandosi al dodicesimo posto fra i governi della Repubblica.


NB.Questo articolo è frutto del prezioso lavoro di Luca Tentoni. Nota biografica. 
Nato a Roma (1966), Luca Tentoni è analista politico ed editorialista per la Gazzetta di Parma e per il Giornale di Brescia. È autore di numerosi volumi e saggi su istituzioni, sistema elettorale e comportamento politico degli italiani, fra i quali: “Le elezioni comunali del 2017”; “La lunga transizione”; “Le elezioni comunali del 2016 nei capoluoghi di regione”; “Brevi cenni sulla Repubblica”; “Maggio 2015: elezioni regionali e sistema politico italiano: una analisi”; “L’Italia di Weimar”; “Bicameralismo e rappresentanza delle comunità locali negli Stati federali: un’analisi comparata”; “Dalla Prima alla Terza Repubblica”; “Riforme istituzionali in Italia e modelli di riferimento”; “La novità del maggioritario alla prova delle urne”; “Fra consenso e crisi – L’Italia elettorale dopo il 5 aprile”; “Gli strumenti per cambiare – viaggio nei sistemi elettorali”.
Nb: L’articolo è stato pubblicato il 22 aprile 2018 ripreso da sito “Mente Politica”, 

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