Renzi e Berlusconi insieme, ma all’opposizione. Le parole, le mosse e le strategie di due ex premier contro il governo gialloverde
6 Giugno 2018NB: Pubblico qui di seguito due articoli sulle opposizioni al governo Conte. Nel primo racconto del discorso in Aula del Senato dell’ex premier Matteo Renzi. Nel secondo della posizione presa da Silvio Berlusconi in merito al nuovo governo gialloverde. Entrambi, ieri al Senato e oggi in quella della Camera, votano no al governo Conte.
1) CENTROSINISTRA – Renzi torna in scena: «Rispetto sì, sconti no». Il Pd verso le primarie, ma a novembre
Ettore Maria Colombo ROMA
2) Berlusconi rovina la festa: o noi o loro. «Governo giustizialista e pauperista, no alla fiducia».
Ettore Maria Colombo ROMA
«CI OPPORREMO al pauperismo, al giustizialismo, a ogni atto che metta in pericolo i conti pubblici, il ruolo internazionale del nostro Paese e la nostra libertà». Un giudizio così duro e netto arriva da Silvio Berlusconi in persona. Il quale, la mattina del 2 giugno, mentre ai Fori Imperiali tutto è pronto per la sfilata delle Forze Armate, alla presenza dei novelli ministri leghisti (Salvini in testa) e pentastellati, ricompare con un video ‘modello 1994’, con lui ringalluzzito e pronto alla pugna. Alle spalle del leader di FI compare un’enorme bandiera italiana e la parola Libertati, cioè la parola «Libertà», ma scritta in latino. Scelta raffinata e poco pop, ma sempre di lessico berlusconiano. «Non possiamo che votare no alla fiducia a questo governo», continua Berlusconi che intende rovinare la ‘Festa’ a Salvini, più che a Di Maio. Il leader leghista Salvini prova a buttare acqua sul fuoco e dice, in serata, «dimostrerò con i fatti anche a Berlusconi della bontà di questo governo, magari lungo il percorso» ribadendo che le giunte di centrodestra restano al loro posto.
OVVIAMENTE, dentro Forza Italia, si plaude alle parole del leader. Mariastella Gelmini, capogruppo alla Camera, dice che quello di Berlusconi è «un manifesto per il riscatto dell’Italia» e attacca la «demagogia mascherata» al governo». Ma la Gelmini è una fedelissima, una lombarda che ha sempre lottato contro lo strapotere della Lega, anche sotto la Madonnina. Già dalla capogruppo al Senato, Annamaria Bernini, bolognese, arrivano accenti diversi: «La nostra opposizione sarà netta, al governo Conte, ma il centrodestra resta unito sui territori». Sarà che la Bernini la Lega la voleva presidente del Senato, sarà che in Emilia, come nelle Marche e in Toscana, i padani hanno spazzato via gli azzurri, alle Politiche, ma le lingue sono tante e parlano con linguaggio biforcuto. Il governatore ligure, Giovanni Toti, per dire, ritira fuori la sua formula politica di derivazione diccì: «Dobbiamo avere verso questo governo ‘benevolenza critica’» (un mese fa l’aveva chiamata «astensione benevola»). Certo, Toti, in pratica è una quinta colonna della Lega, e tifa da sempre per quel «partito unico» del centrodestra che, se nascesse, per FI equivarrebbe a una dolce morte. Vero è che, anche in Liguria, Forza Italia non gode di buona salute. A Imperia si vota e l’ex ministro Claudio Scajola si candida, contro Toti e suo nipote, suo assessore, in una sorta di guerra dei Roses ligure, ma sotto le insegne di Forza Imperia perché «Berlusconi mi ha tolto il simbolo», eppure sottolinea che «il mio cuore batte per Berlusconi presidente». E per un Renato Schifani, che parla di «governo a trazione grillina cui Forza Italia non farà sconti», ci sono altri suoi colleghi che, dietro rigoroso anonimato, dicono: «Se il governo non azzannerà Berlusconi su giustizia e tv, ne terrà conto». Ma se la vox populi che arriva dal Senato vede alcuni azzurri pronti a mollare gli ormeggi verso la Lega, il mood del Cavaliere, per ora, resterà barricadero a causa dei segnali che lo inquietano. PRIMA le ventilate nomine di ‘nemici’ storici come i pm Di Matteo e Davigo al ministero della Giustizia, dove c’è Bonafede, visto di malocchio da tutti i berluscones. Poi il rischio concreto che, nel braccio di ferro tra Lega e M5S su quale dei due partiti debba avere il viceministro con delega alle Tlc (già inglobate nello Sviluppo, a guida Di Maio), vincano questi ultimi con il rischio di vendette, o intralci, negli affari di Mediaset.
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NB: l’articolo è stato pubblicato sul Quotidiano Nazionale del 3 giugno 2018.