Dizionario della crisi di governo 2019/3. Curiosità, formule politiche, riferimenti storici e statistiche

Dizionario della crisi di governo 2019/3. Curiosità, formule politiche, riferimenti storici e statistiche

23 Agosto 2019 1 Di Ettore Maria Colombo

E’ tornato il ‘Dizionario’ della Crisi di governo, anno di grazia 2019!  Dizionario della crisi che si affianca a quello dell’anno scorso (2018, rintracciabile qui ) ! Siamo partiti, questa volta, con le consultazioni che si tengono al Colle (cosa sono, come si svolgono, aneddoti storici, etc): Dizionario della crisi di governo 2019/1. Si apre il rito delle consultazioni al Colle 

Siamo passati per le formule politiche, costituzionali e tecniche più usuali in una crisi di governo:

Dizionario della crisi di governo 2019/2. Il Colle e le formule politiche dei governi possibili

e concludiamo con un excursus storico sulle varie definizioni dei governi della Repubblica, i tempi delle possibili elezioni e alcune formule e definizioni ricorrenti nella vita politica italiana.

Il governo Conte, il 65 governo dell’età repubblicana

 

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Foto di gruppo durante il giuramento del governo Conte al Quirinale, Roma, il 1 giugno 2018 (foto ANSA/ALESSANDRO DI MEO)

Il governo Conte, che si è appena dimesso, è stato il 65 esimo governo della storia repubblicana, il primo della XVIII legislatura, iniziata il 4 marzo 2018 con le elezioni politiche e insediatasi il 25 marzo 2018. Il governo Conte, retto dall‘alleanza politica tra M5S e Lega stipulata sulla base di un “contratto di governo“, ma anche da alcuni gruppi minori (come i senatori eletti all’Estero del Male), è entrato in carica il I giugno 2018 dopo che il presidente del Consiglio incaricato, Giuseppe Conte, aveva ricevuto l’incarico di formare il nuovo governo dalle mani del Capo dello Stato il 31 maggio

Il governo Conte ha ottenuto la fiducia del Senato il 5 giugno 2018 con 171 voti favorevoli, 117 contrari e 25 astenuti. Il giorno seguente, il 6 giugno 2019, ha ottenuto anche la fiducia della Camera dei Deputati con 350 voti favorevoli, 236 voti contrati e 35 astenuti. Dopo 15 mesi (445 giorni), Conte, lo scorso 20 agosto 2019, è salito al Quirinale per dimettersi nelle mani del Capo dello Stato dopo aver ascoltato il dibattito che si è tenuto, lo stesso giorno, nell’aula del Senato sulle comunicazioni che il presidente del Consiglio ha voluto tenere, cui non è seguito voto dell’Aula. 

 

In Italia non si è mai votato né d’estate né d’autunno…

Votazioni ad ottobre

Votazioni

 

In Italia non si è mai votato d’estate (nei mesi di luglio-agosto) non si è mai votato d’inverno (nei mesi di settembre-ottobre-novembre-dicembre). Il mese più ‘invernale’ in cui si è votato è stato febbraio (elezioni del 2013). Di solito si è sempre votato nei mesi di aprile, maggio e giugno e il 26-27 giugno è stato il giorno più in avanti in cui si è votato, durante la Prima Repubblica, come è avvenuto nel 1983, mentre nel 1976 si è votato un po’ prima, per la precisione il 20 giugno

Nella Prima Repubblica e fino alla Seconda Repubblica, inoltre, si è sempre votato in due giorni (domenica, dalle ore 7.00 alle ore 23.00) e il lunedì successivo (dalle ore 7.00 alle ore 14). Solo a partire dalle elezioni politiche del 2018 si è deciso di votare in un solo giorno, la domenica.

Per trovare un precedente, e cioè un voto ‘autunnale’, bisogna risalire al… 1919, quando l’Italia era ancora una monarchia e si tennero elezioni politiche invernali, precisamente il 16 novembre.

 

Legislature e loro durata. Le più corte e le più lunghe

 

 La XVIII legislatura si è aperta solo l’anno scorso, nel 2018 e rischia ancora oggi, se si andrà al voto anticipato, di passare alla storia come la più breve nella storia della Repubblica italiana.

Va detto, in premessa, che solo dalla I (1948-1953) alla IV legislatura (1963-1968) le legislature hanno rispettato la scadenza naturale della loro durata (cinque anni), mentre dalla V legislatura (1968-1972) in poi si sono verificati sempre scioglimenti anticipati (nel 1972, 1976, 1979, 1983, 1987) e che solo nel 1992 si è andati a votare alla fine dei cinque anni di legislatura stabiliti.

Nella XIV (2001-2006), XVI (2008-2013) e XVII (2013-2018) legislatura, cioè in ben tre legislature della Seconda Repubblicaè stata rispettata la scadenza naturale dei 5 anni, mentre in altre due, la XI (1992-1992) e la XIII (2006-2008) le Camere sono state sciolte in via anticipata.

Fino ad ora, le legislature più brevi sono state due, entrambe collocate nel corso della II Repubblica. Si tratta della XI (1992-1994) e della XV (2006-2008) legislatura. La prima, la XI legislatura (1992-1994) ha visto operare solo i governi Amato I (1992-1993) e Ciampi (1993-1994), due esecutivi che si possono definire governi del Presidente (in quel caso il presidente era Scalfaro), ed è stata finora la più breve nella storia della Repubblica: è durata 722 giorni. La seconda legislatura più breve è stata la XV legislatura (2006-2008), durata 732 giorni che ha visto operare un solo governo (fatto mai registratosi prima), il Prodi II (2006-2008), retto dall’alleanza dell’Unione.

 

Berlusconi e Dini

Governo ‘tecnico’ fu anche il governo Dini, dopo la caduta di Berlusconi

 

Un’altra legislatura molto breve, la terza per numero di giorni, è stata – sempre all’interno dell’arco temporale della II Repubblica – la XII legislatura (1994-1996): è durata solo 755 giorni ed ha visto operare due governi, il I governo Berlusconi (1994) e il governo Dini (1995-1996).

 

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Il premier italiano che firmò il trattato di pace di Parigi e adotto il Piano Marshall, Alcide de Gasperi (Dc)

 

Per quanto riguarda le legislature più lunghe, il record spetta alla I legislatura (1948-1953) che ha visto operare i governi V, VI e VII guidati da Alcide De Gasperi che inaugurò allora la formula politica del ‘centrismo’ (Dc più alleati minori): è durata ben 1874 giorni. La seconda legislatura più lunga è stata la XIII legislatura (1996-2001): è durata 1874 giorni e ha visto operare i governi Prodi I (1996-1998), D’Alema I e II (1998-1999) e Amato II (2000-2001), tutti governi politici di centrosinistra. Per risalire alla terza legislatura più lunga si deve tornare alla Prima Repubblica: si tratta della IV legislatura (1963-1968): è durata 1847 giorni ed ha visto operare i governi Leone, Moro I, II e III che hanno operato sulla base della formula del centrosinistra. La quarta legislatura più lunga è stata, invece, la XVII (2013-2018), cioè quella che si è conclusa prima di questa: è durata ben 1833 giorni e ha visto operare i governi Letta, Renzi e Gentiloni.

 

letta renzi gentiloni

Letta, Renzi e Gentiloni

 

Per la quinta legislatura più lunga bisogna risalire alla II legislatura (1953-1958): è durata 1813 giorni e ha visto operare i governi De Gasperi VIII (secondo la formula del ‘centrismo’), Pella, Fanfani, Scelba, Segni e Zoli (appoggiati, a seconda dei casi, da esponenti della destra).

Per quanto riguarda la sesta legislatura più lunga si tratta della III legislatura (1958-1963): è durata 1799 giorni e ha visto operare i governi Fanfani II, Segni II, Tambroni, Fanfani III e IV(governi centristi e di pre-centrosinistra).

 

Governo Berlusconi

Governo Berlusconi

 

La settima legislatura più lunga è stata la XIV (2001-2006): è durata 1794 giorni e ha visto operare i governi Berlusconi II e III secondo la formula del centrodestra.

L‘ottava legislatura più lunga è stata la XVI (2008-2013): è durata 1781 giorni con i governi Berlusconi IV (2008-2011), di centrodestra, e il governo Monti (2011-2013).

De mita andreotti

De Mita, Andreotti

 

La nona legislatura più lunga è stata la X legislatura (1987-1992): è durata 1757 giorni con i governi Goria, De Mita, Andreotti VI e VII (formula del pentapartito).

La decima legislatura più lunga è stata la VI legislatura (1972-1976): è durata 1502 giorni e ha visto operare i governi Andreotti II (1972), secondo la formula del centrodestra (Dc e Pli), e i governi Rumor IV e V, Moro IV e V secondo la formula del centrosinistra.

L’undicesima legislatura più lunga è stata la VIII legislatura (1979-1983): è durata 1483 giorni ed ha visto operare i governi Cossiga I e II, Forlani, secondo la formula del quadripartito, e i governi Spadolini I e II e Fanfani VII con la formula del pentapartito.

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Amintore Fanfani, storico leader della Dc

La dodicesima legislatura più lunga è stata la IX legislatura (1983-1987): è durata 1451 giorni e ha visto operare i governi Craxi I e II, Fanfani VI secondo la formula del pentapartito.

La tredicesima legislatura più lunga è stata la V legislatura (1968-1972): è durata 1450 giorni ed ha visto operare i governi Leone II, Rumor I, II e III, Colombo e Andreotti secondo la formula del centrosinistra.

giulio andreotti

Giulio Andreotti

La quattordicesima legislatura più lunga è stata la VII legislatura (1976-1979): ha visto operare i governi Andreotti III, IV e V secondo la formula della non sfiducia e della solidarietà nazionale: è durata 1080 giorni.

La VII legislatura è stata anche la quarta legislatura più corta, ma superiore ai mille giorni di piena attività mentre le tre legislature più corte (la XI, la XV e la XII) di cui abbiamo detto non sono arrivate ai mille giorni.

 

Incarico esplorativo, pre-incarico e incarico ‘con riserva’:

nomi e numeri politici di diverse tipologie di ‘mandato’

 

Nella seconda parte di questo Dizionario della crisi 2019 abbiamo descritto, dal punto di vista tecnico-istituzionale, le formule politiche che contraddistinguono una crisi di governo. Analizziamo lo stesso tema dal punto di vista politico-istituzionale con una serie di riferimenti storici.

Dopo che il presidente della Repubblica concede l’incarico per formare un nuovo governo a un presidente incaricato, come abbiamo visto, questo incarico può essere di diversi tipi e concesso sulla base di diverse motivazioni. Si può trattare di un incarico pieno, di un pre-incarico, di un incaricato esplorativo (meglio detto ‘mandato esplorativo’). Ma come si sono sviluppate, queste diverse forme tecniche, nella storia della Repubblica? Eccone un rapido excursus.

 

Pre-incarico

 

Il pre-incarico solo in cinque casi su 11 ha visto trasformare il pre-incarico in un incarico vero.
Il pre-incarico, nell’arco di 64 governi, è stato conferito finora per 11 volte nella storia della Repubblica italiana:

  • dal Presidente Luigi Einaudi al Presidente del Consiglio uscente Alcide De Gasperi (Dc), nel luglio 1953.
  • dal Presidente Giovanni Gronchi all’ex ministro Antonio Segni (Dc), nel maggio 1955.
  • dal Presidente Gronchi al segretario della Dc Amintore Fanfani, nel giugno 1957.
  • dal Presidente Giuseppe Saragat al Presidente del Consiglio uscente, Aldo Moro (Dc), nel febbraio 1966.
  • dal Presidente Saragat al segretario della Dc Mariano Rumor, nel giugno 1968.
  • 6, 7, 8. dal Presidente Saragat al ministro degli Esteri Moro (Dc), poi al Presidente del Senato Fanfani (Dc) e infine al Presidente del Consiglio uscente Rumor (Dc), marzo 1970.
  • 9, 10. dal Presidente Oscar Luigi Scalfaro al Presidente del Consiglio uscente Romano Prodi e poi al segretario dei Ds Massimo D’Alema, nell’ottobre 1998.
  • dal presidente Giorgio Napolitano a Pier Luigi Bersani, segretario del Pd, nel marzo 2013.
  • Una curiosità 
  • pierluigi_bersani_pd

    L’ex segretario del Pd, Pier Luigi Bersani

    Il pre-incarico affidato da Napolitano a Pierluigi Bersani nel marzo del 2013 per verificare la possibilità di trovare una maggioranza che il centrosinistra aveva solo nella Camera, ma non al Senato, rimase tale: non si trasformò mai, cioè, in un incarico pieno, ma rimase ‘congelato’ fino al 30 marzo, quando Napolitano comunicò che restava in carica il governo Monti, dimissionario ma in carica per il disbrigo degli affari correnti, e mai più ‘scongelato’. Bersani allora non protestò, ma anni dopo, in diversi libri e testimonianze, espresse tutto il suo disappunto.

Come dicevamo prima, solo in cinque di questi undici casi. il presidente del Consiglio “pre-incaricato” ha ricevuto l’incarico pieno e ha formato un governo: i casi De Gasperi (Dc) nel 1953, a Segni (Dc) nel 1955, a Moro (Dc) nel 1966, a Rumor (Dc) nel 1970 e a D’Alema (Pds) nel 1998.

 

Incarico esplorativo

 

Nella storia dei 65 governi repubblicani, fino ad ora un “mandato esplorativo” è stato conferito, dal Capo dello Stato, ben dodici volte:

  1. dal Presidente Giovanni Gronchi al presidente del Senato, Cesare Merzagora (indipendente), il 15 giugno 1957;
  2. dal Presidente Gronchi al presidente della Camera, Giovanni Leone (Dc), il 4 marzo 1960;
  3. dal Presidente Giuseppe Saragat al presidente della Camera, Sandro Pertini (Psi), il 24 novembre 1968;
  4. dal Presidente Saragat al presidente del Senato, Amintore Fanfani (Dc), nell’agosto 1969;
  5. dal Presidente Giovanni Leone al presidente del Senato, Spagnolli (Dc), nell’ottobre 1974;
  6. dal Presidente Sandro Pertini al presidente del Senato, Giuseppe Morlino (Dc), nell’aprile 1983;
  7. dal Presidente Francesco Cossiga al presidente del Senato Fanfani (Dc) il 4 luglio 1986;
  8. dal Presidente Francesco Cossiga al presidente della Camera, Leonilde Jotti (Pci), nel marzo 1987;
  9. dal Presidente Cossiga al presidente del Senato, Giovanni Spadolini (Pri), il 26 giugno 1989;
  10. dal Presidente Giorgio Napolitano al presidente del Senato, Franco Marini (Pd), nel gennaio 2008.
  11. Dal Presidente della Repubblica Mattarella alla presidente del Senato, Casellati, dal 18 al 20 aprile del 2018.
  12. Dal Presidente della Repubblica Mattarella al presidente della Camera, Roberto Fico (M5S) dal 23 al 27 aprile 2018.

In nessuno di tali dodici casi, il presidente esploratore è stato poi nominato Presidente del Consiglio.

Incarico con Riserva 

Il presidente del Consiglio incaricato accetta sempre l’incarico da parte del Presidente della Repubblica con la formula di rito della “con riserva”. Vuol dire che, non essendo sicuro di formare una maggioranza di governo, in quanto deve ancora ottenere la fiducia delle Camere, il presidente del Consiglio incaricato si ‘riserva’ la possibilità di scioglierla davanti al Capo della Stato.

La prassi della ‘riserva’ è sempre stata rispettata dai presidenti del Consiglio incaricati ed è stata violata solo in due occasioni. La prima volta dal presidente del Consiglio Pella (Dc) nel 1954 che, concorde l’allora Capo dello Stato Luigi Einaudi, va direttamente davanti alle Camere per chiedere e ottenere la fiducia. 

La seconda volta accade con Silvio Berlusconi nel 2008: forte della vittoria elettorale ottenuta alle elezioni, rifiutò la formula dell’accettazione “con riserva” e procede subito alla nomina dei ministri con un incarico pieno, nonostante le proteste dell’allora Capo di Stato, Giorgio Napolitano.

 

Definizioni e tipologie dei 65 governi della storia repubblicana

 

Governissimo? Governo istituzionale? Governo di scopo? Governo tecnico? Governo di minoranza? Governo elettorale o, addirittura, governo ‘balneare’? Le formule, nel linguaggio giornalistico e politico, si accavallano senza sosta, senza permettere a una persona ‘normale’ di capirci qualcosa. Con l’aiuto della storia politica contemporanea e sulla scorta del conforto di costituzionalisti e politologici, cerchiamo di fare chiarezza e avventurarci in un ginepraio.

 

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Il premier italiano che firmò il trattato di pace di Parigi, Alcide de Gasperi (Dc)

Governo “amico 

 

La definizione è di Alcide De Gasperi, ma non è per nulla cortese. Il premier Dc, a capo di ben otto governi dal 1947 al 1953, è costretto a passare la mano perché – dopo che, alle elezioni politiche del 1953, non è scattata, per un pugno di voti, la famosa “legge truffa” – il suo VII governo (16 luglio – 28 luglio 1953) non ottiene la fiducia della Camera a causa dell’astensione polemica degli alleati minori (Psdi, Pri e Pli).

Attilio piccioni

Attilio Piccioni

A quel punto, il presidente della Repubblica, Luigi Einaudi, incarica Attilio Piccioni (Dc) – ricevuto in forma privata, fatto davvero singolare e mai più ripetuto nella tenuta presidenziale della Caprarola, vicino Roma – di formare un governo il 2 agosto 1953. Piccioni non vi riesce per i contrasti tra i partiti minori (Pri, Pli, Psli) e la Dc. La palla passa a Giuseppe Pella, ministro del Bilancio nell’uscente VII governo De Gasperi, ma anche in questo caso non c’è una chiara indicazione di sostegno da parte della Dc. Tanto che De Gasperi si limita a definirlo “governo amico”, frase gelida che trasuda disprezzo e distanza, non certo ‘amicizia’.

 

dc

Simbolo della DC

 

Il governo Pella (17 agosto 1953 – 5 gennaio 1954) nasce come un monocolore Dc, cerca il sostegno di Msi a destra e quello del Psi a sinistra sulla questione del ritorno di Trieste all’Italia, ma presto va in crisi, sempre per contrasti interni alla Dc, nonostante un estremo tentativo di rimpasto.

Il governo Pella viene anche definito, nella pubblicistica dell’epoca, un Governo “d’affari” o “governo amministrativo”. Si tratta di formule ormai definitivamente in disuso, ma che venivano spesso usate nel corso della Prima Repubblica e indicano, di fatto, quello che oggi si chiamerebbe un “governo del Presidente” (vedi alla voce). Ma la caratteristica del governo Pella è proprio quella di essere, di fatto, un governo del Presidente perché, appunto, di diretta emanazione della volontà di Einaudi.

 

Governo “balneare

 

La definizione deriva dal fatto che alcuni governi duravano lo spazio di un’estate (o anche meno): servivano ad approvare provvedimenti urgenti, per poi tramontare alla fine della stagione estiva, normalmente con nuove elezioni politiche nella primavera dell’anno successivo.

Infatti, come si è ricordato in precedenza, in Italia non si è mai votato né a ridosso dell’estate né, tantomeno, in autunno. Tali governi, dunque, servivano come governi ‘ponte’ o governi ‘traghetto’ (vedi alla voce) o, a maggior ragione, come governi ‘elettorali’.

Si trattava, cioè, di governi destinati a cadere entro breve tempo, dunque, a causa della fragilità delle basi politiche su cui poggiavano e che limitavano la loro attività, al disbrigo degli affari correnti e alla ordinaria amministrazione.
Tipici, più che altro, della Prima Repubblica, i governi ‘balneari’ operavano, dunque, solo in funzione di mero traghettamento per portare il Paese al voto, privi di solide maggioranze e con la data delle elezioni già in tasca. Quella che veniva detta “la regola del Generale Agosto” impediva, infatti, nella Prima Repubblica, che si tenessero urne prima dell’estate. Infatti, mai ci si è spinti a convocare gli italiani alle urne oltre il limite del Solstizio d’Estate, che cade il 21 giugno, data già considerata avanzatissima (si votò così tardi solo due volte, nel 1976 e nel 1983).

 

solstizio estate

Solstizio d’estate

 

Per evitare il voto “durante le vacanze” ci si inventava di tutto, compresi gli esecutivi “balneari”. 

In realtà, si trattava di esecutivi che permettevano, al sistema dei partiti, una scappatoia nei momenti più neri di una crisi politica, in attesa che l’autunno portasse lucidità e soluzioni. Da segnalare che la figura scelta come premier per guidare tali esecutivi ‘balneari’ era sempre una super partes e  di garanzia (anche se soltanto politica: come si vede, si tratta sempre di un esponente della Dc in tutti gli esempi citati) anche per gli altri alleati, minori o laici, al governo.

 

giovanni leone

Giovanni Leone

 

I governi balneari o simili sono stati quattroZoli (1957), il I (1963) e II (1968) governo Leone, il governo Rumor (1969) e il governo Goria (1987), ma anche altri governi, pur avendo caratteristiche e formule diverse, hanno preso anche il nome di ‘governi balneari’. Vediamoli.

I governi Pella (1953), Fanfani I (1954), Tambroni (1960)

 

Pur definiti anche governi amministrativi o d’affari (vedi alla voce) e che oggi verrebbero definiti governi del Presidente (vedi alla voce) possono essere considerati governi balneari, in parte, i governi Pella (1953), il governo Fanfani (1953) e il governo Tambroni (1960). 

giuseppe pella

Giuseppe Pella (AP-PHOTO) 16.02.1955

 

Il governo Pella (1953): come abbiamo già richiamato nella definizione del governo ‘amico’, Giuseppe Pella, ministro del Bilancio uscente dell’ultimo VII governo De Gasperi, ottiene l’incarico dal presidente Einaudi. Il governo Pella (17 agosto 1953 – 5 gennaio 1954) è un monocolore Dc, nasce come un governo di ispirazione presidenziale (vedi alla voce “governo del Presidente“), ma è presto costretto a dimettersi per i contrasti emersi tra le correnti della Dc.

 

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Amintore Fanfani

 

Il governo Fanfani (1953): Pella viene sostituito da un governo Fanfani (18-30 gennaio 1953) che, però, viene battuto dalle Camere quando si presenta per chiedere la fiducia e che, dunque, nonostante il teorico sostegno di Dc e Pri, si dimette dopo appena due settimane. 

Nasce al suo posto il ben più duraturo e famoso governo Scelba (1954).

Tambroni

Fernando Tambroni

Il governo Tambroni (23 marzo – 19 luglio 1960): è definibile come governo del Presidente” (vedi alla voce), anche se allora si preferiva definirlo governo d’affari”.

E’ considerato anche un governo balneare ma solo per la sua brevissima durata temporale. Nasce su input del nuovo presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, che incarica il ministro al Bilancio Fernando Tambroni nell’uscente governo Segni (1959-1960, un monocolore Dc) di formare un “governo d’affari” (vedi alla voce).

Antonio Segni

Antonio Segni

Il governo Tambroni è un monocolore Dc che si presenta e ottiene la fiducia delle Camere, ma con i voti favorevoli dell’Msi, partito allora fuori dal cosiddetto arco costituzionale. I ministri della sinistra Dc, Sullo, Pastore e Bo, si dimettono in segno di protesta contro quel voto e la Direzione Dc lo disconosce. Il governo Tambroni a quel punto si dimette in tre giorni. Si riapre la crisi di governo, ma dopo un infruttuoso tentativo di formare, con Fanfani, un governo tra Dc e Psi, causa i dissidi interni ancora forti in entrambi i partiti, Gronchi respinge le dimissioni di Tambroni e lo rimanda davanti alle Camere che gli accordano la fiducia con l’accordo che debba avere una durata limitata.

Il II governo Tambroni (25 marzo – 19 luglio 1960), poi, si dimetterà a luglio a causa di una situazione politica e sociale diventata insostenibile per gli scontri e gli incidenti causati da manifestazioni di piazza (scioperi, cortei, scontri con le forze dell’ordine) organizzati dalle sinistre (Pci e Psi) e represse in modo brutale dalla Polizia (luglio).

Nel frattempo si apre la prospettiva di una collaborazione tra Dc e Psi che poi aprirà la stagione del centrosinistra. Ed è in occasione della nascita del III governo Fanfani (1960-1962), che ancora si base solo sull’appoggio esterno del Psi, ma non ancora sul pieno ingresso dei socialisti al governo, che Aldo Moro conia il termine, e la formula politica, delle convergenze parallele”: Moro indica il fatto che il governo Fanfani si regge da un lato sul voto favorevole di Dc, Pri, Pli, Psli e dall’altro sull’astensione benevola sia del Psi, a sinistra, che dei monarchici (Pdium), a destra. 

 

*****“Curiosità. La politica “dei due forni”*****

 

giulio andreotti

Giulio Andreotti

La politica “dei due forni” di cui molto, in questi giorni, si è parlato a proposito delle scelte che potrebbe o non potrebbe fare il leader dei 5Stelle, Luigi Di Maio, e di cui molto si è parlato anche durante la crisi dell’anno scorso (marzo-maggio 2018) in riferimento alla possibilità di fare un accordo politico e di governo o con la Lega o con il Pd quasi indifferentemente, e cioè a seconda delle convenienze del momento, non solo è un espressione impropria, in riferimento alla situazione politica attuale, ma non è, ovviamente, neppure farina del sacco di Di Maio. Si tratta, infatti, di un’espressione tipica della Prima Repubblica, diventata famosa perché coniata dal leader della Dc Giulio Andreotti, più volte ministro e, per ben sette volte, presidente del Consiglio nella I Repubblica.

Va premesso che, nella pubblicistica politica, ricorrono riferimenti concorrenti sia ai due forni che alla teoria dei due forni.  La “teoria dei due forni” sarà spiegata da Giulio Andreotti in dettaglio nella Storia d’Italia da Mussolini a Berlusconi di Bruno Vespa: «Dopo le elezioni dell’87 ci fu un braccio di ferro molto forte tra noi (la Dc, ndr.) e i socialisti. Fu allora che inventai la “teoria dei due forni” (il forno socialista e quello comunista, con la Dc che sceglieva dove comprare il pane…). I socialisti, da una parte,  volevano stare al governo con noi, dall’altra lavoravano per fare una maggioranza con il Pci e mandarci all’opposizione. Forse avremmo dovuto incoraggiarli a imboccare questa seconda strada, ma allora non mi piaceva l’idea che Bettino Craxi stesse con noi in attesa di andarsene con gli altri. Anche sul piano internazionale, Craxi perseguiva un disegno equivoco: sperava di poter ottenere lui l’ammissione del Pci all’Internazionale socialista, ma poi i comunisti entrarono come osservatori senza bisogno del suo consenso». Questa la sistematizzazione della “teoria dei due forni” come raccontata da Giulio Andreotti, il quale Andreotti, in realtà, però, mise in pratica la “teoria dei due forni”, ma senza dirlo, anche nella fase storico-politica dei primi anni Sessanta, fase caratterizzata dalla centralità della Dc nel sistema politico. In quel momento il suo partito, la Dc, “per acquistare il pane” (cioè per fare la politica più congeniale ai propri interessi alleandosi con altre forze), poteva servirsi di uno dei due forni che aveva a disposizione, a seconda delle opportunità, ma si trattava di ‘forni’ diversi rispetto a quelli poi raccontati e riferiti agli anni Ottanta: erano il forno di sinistra (socialisti) o il forno di destra (liberali ed eventualmente anche i missini).

A quell’epoca Andreotti incarnava la destra della Dc e i due fornai erano uno il Psi di Pietro Nenni, a sinistra, e l’altro il Pli di Giovanni Malagodi (e, all’occorrenza, anche gli esponenti dell’Msi), a destra. Andreotti, dunque, mise in atto la sua teoria prima di teorizzarla: la usò anche nel suo primo governo del 1972, quando, dopo la fine del centrosinistra, tornarono al governo i liberali assenti dal 1962 in un esecutivo che strizzava anche l’occhio ai missini di Almirante. Alla fine degli anni ’70, però, dopo l’assassinio di Aldo Moro, il quadro era completamente mutato: a offrire ‘pane’ alla Dc c’erano sempre i socialisti di Bettino Craxi ma anche i comunisti di Enrico Berlinguer, ma l’obiettivo era sempre lo stesso, quello di salvaguardare la centralità della Dc. Anche secondo una ricostruzione del quotidiano La Repubblica, infine, Andreotti spiegò  di avere inventato i “due forni” durante la crisi politica che portò alle elezioni anticipate del 1987. Va anche precisato che politici e media hanno tirato in ballo la teoria dei “due forni” anche in relazione a situazioni diverse da queste. Lo ha fatto, ad esempio, Silvio Berlusconi contestando le scelte del suo (allora) alleato, e leader dell’Udc, Pierferdinando Casini che a volte pencolava a destra e a volte verso sinistra. 

 

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Bettino Craxi, segretario e leader del Psi

 

Oggi, se si parla dei “due forni” a proposito del comportamento politico di qualcuno (singolo o forza politica), s’intende in realtà ingentilire eufemisticamente l’idea di un’atteggiamento trasformistico. Tutt’altra definizione, confusa con quella dei due forni, è quella di un leader (o di un partito) che, sempre nell’ambito della Prima Repubblica, faceva da ago della bilancia. L’espressione viene riferita, a partire dalla fine degli anni Settanta, alla posizione e alla politica del Psi sotto Bettino Craxi che si collocava come elemento di equilibrio decisivo tra Dc e Pci al centro del panorama politico, mostrandosi fautore di scelte accortamente svincolate da ogni rigidità di schieramento (al governo del Paese  con la Dc, ma al governo di numerose Regioni, Province e Comuni insieme con il Pci).

 

governo Leone

Governo Leone

 

Leone I (1963): è considerato il primo, ‘vero’, governo ‘balneare’. La prima coalizione di centro-sinistra organico (I e II esecutivo Fanfani, 1960-1962, con l’appoggio esterno del Psi) si era appena inabissata a causa dello scontro suscitato dalla nazionalizzazione dell’energia elettrica, la riforma della scuola media unica e il tentativo (fallito) di istituire le Regioni, tutti temi che vedevano in disaccordo i due contraenti dell’alleanza, Dc e Psi. Trovare la quadra diventa impossibile e così, dopo un fallito tentativo affidato a Moro, viene varato, in soli tre giorni, il governo Leone (Dc), allora presidente della Camera, che tra il 18 e il 23 giugno 1963 forma il suo primo governo. Si tratta di un monocolore Dc che serve come governo ‘ponte’ (vedi alla voce) in attesa che i partiti formino un governo di centrosinistra organico che nascerà a dicembre e che sarà il primo governo Moro. Il governo Leone (in carica dal 21 giugno al 5 novembre 1963) si dimetterà quando il congresso del Psi deciderà di entrare a pieno titolo nel governo del Paese. Presidente della Repubblica era Giuseppe Saragat (Psdi).

 

Giuseppe Saragat

Giuseppe Saragat

 

Leone II (1968): Il secondo governo ‘balneare’ è sempre a guida Leone: ci si trova nel 1968, alla vigilia dell’autunno caldo, ma le elezioni politiche del 1968 (19-20 maggio) non hanno registrato “equilibri più avanzati”, come diceva sempre Aldo Moro. Si resta sempre nella cornice del centrosinistra, ma la fusione tra Psi e Psdi nel fronte unitario del Psu decisa nel 1966 non ha portato i risultati sperati ai socialisti, alle elezioni politiche del 1968. In attesa di nuovi assetti più avanzati, il presidente della Repubblica Saragat affida, dopo un incarico andato a vuoto a Rumor, che non riesce a formare un governo di centrosinistra, a Giovanni Leone l’incarico di formare un nuovo esecutivo, di tipo – appunto – balneare, in attesa delle decisioni del Psu (Psi-Psdi) sull’alleanza con la Dc. Il II governo Leone, dopo l’incarico ricevuto il 19 giugno, nasce il 24 giugno e dura fino al 19 novembre 1968: si tratta sempre di un monocolore Dc con l’astensione di Psi e Pri.

 

Il governo Rumor

Il governo Rumor

 

Rumor II (1969): Il II governo Rumor (5 agosto 1969 – 7 febbraio 1970) è stato un governo ‘balneare’, ma è più corretto definirlo governo ponte’ o ‘governo traghetto’ (vedi alla voce): si tratta, infatti, di un monocolore Dc, con l’appoggio esterno di Psi e Psu, che si dimette nel giro di pochi mesi per poi poter arrivare alla formazione di un nuovo gabinetto di centrosinistra, sempre a guida Rumor (1970) che – dopo una serie di incarichi dati e rifiutati affidati a Moro e a Fanfani – e appoggiato da Dc, Pri, Psu e Psi (i quali hanno ricomposto la loro frattura) fa ripartire una formula, seppur zoppicante, di centrosinistra organico.

Il governo goria

Il Governo Goria

 

Goria (1987): L’ultimo governo ‘balneare’ nella storia della Prima Repubblica è quello guidato da Giovanni Goria (Dc) e si forma nel 1987. Si era nella fase dei governi di ‘pentapartito’, nuova formula politica del centrosinistra organico degli anni Ottanta, ma il famoso patto della staffetta’ tra il leader del Psi, Bettino Craxi, che aveva guidato il primo governo a guida socialista della Repubblica (1983-1987), e il leader della Dc, Ciriaco De Mita, era saltato all’improvviso.

Per circa due mesi, non si riesce a formare un governo. Falliti, uno dietro l’altro, i tentativi Andreotti, Jotti, Fanfani, Scalfaro, nasce un governo Fanfani, allora presidente del Senato, che peraltro non si dimette dalla sua carica. Il VI governo Fanfani è un governo ‘elettorale’ (18 aprile – 9 luglio 1987), più che ‘balneare’perché porta il Paese al voto, elezioni anticipate, il 14-15 giugno 1987.

Ma anche dopo il voto la persistente opposizione del Psi di Craxi a De Mita costringe il presidente della Repubblica Cossiga (Dc) a chiedere di formare un nuovo governo all’uscente ministro del Bilancio Giovanni Goria che lo forma (28 luglio 1987 – 11 marzo 1988). Sostenuto da Dc, Psi, Psdi, Pri e Pli, il governo si dimette una prima volta a novembre per disaccordi con il Pli, una seconda volta a febbraio 1988 perché messo in minoranza più volte e definitivamente a marzo 1988 per dissidi tra Dc e Psi sul nucleare. Il governo Goria è un governo ‘ponte’ o ‘traghetto’ più che ‘balneare’.

 

Governo “di minoranza”

 

Nasce quando un presidente del Consiglio e il suo governo, dopo aver giurato nelle mani del Presidente della Repubblica, si presenta davanti alle Camere, NON ottiene la fiducia della maggioranza in una o in entrambe le Camere o in una delle due Camere.

In altri Paesi occidentali, i governi di minoranza, detti anche governi di maggioranza relativa, sono stati, in molti casi, la norma. E’ successo frequentemente in Francia, Danimarca, Svezia, e, recentemente, in Spagna. Governi “di minoranza” lo sono stati, nella Prima Repubblica, quei governi, di solito a guida Dc, che venivano sistematicamente battuti in Parlamento per scelta dello stesso partito di maggioranza relativa (la Dc) il quale toglieva loro la fiducia quando venivano meno condizioni politiche concordate o per raggiungere equilibri più avanzati. Nella storia repubblicana italiana è successo a ben sei governi di entrare in carica come governi di minoranza, cioè senza godere di una maggioranza assoluta in nessuna o almeno in una delle due Camere. Si tratta dei governi Leone I, Leone II, Andreotti III, Moro V, Cossiga I, Fanfani IV. Vediamoli:

  • Fanfani IV (1962-1963): Guidato da Amintore Fanfani, è un governo tripartito, cioè appoggiato da Dc, Psdi e Pri che resta in carica per un anno e mezzo (485 giorni) tra il 21 febbraio 1962 e il 16 maggio 1963. E’ composto da democristiani, socialdemocratici e repubblicani, ma si regge sull’astensione dei socialisti. Durante il Fanfani IV accadono due fatti: il 28-29 aprile 1963 si tengono le elezioni politiche e il 6 maggio 1962 il ministro degli Esteri, Antonio Segni, si dimette perché eletto presidente della Repubblica. Il IV governo Fanfani è un’anticipazione del centrosinistra al governo negli anni successivi.
  • Leone I (1963): è stato definito anche il primo governo “balneare” (vedi alla voce) e anchgoverno “ponte” in quanto nato a ridosso dell’estate e durato dal giugno al dicembre del 1963 (la durata è di 166 giorni). E’ un monocolore Dc e si tratta di una soluzione di transizione, presa subito dopo le elezioni del 1963, per preparare il terreno al primo esecutivo che, dal 1947 in poi, vedrà la partecipazione del Psi e, dunque, il voto favorevole dei socialisti. Il governo Leone si regge su soli 255 voti alla Camera: per entrare in carica diventano decisive le astensioni di Psi, Psdi, Pri. Ecco perché è un governo di minoranza.
  • Leone II (1968): è più giusto, in realtà, definirlo un governo “balneare” (vedi alla voce) per molti versi analogo al precedente. Resta in carica 171 giorni, tra il 24 giugno e il 19 novembre 1968, per superare lo stallo successivo alle elezioni politiche del 1978. Si regge sulle astensioni dei socialisti e dei repubblicani.
  • Moro V (1976): nato subito prima delle elezioni politiche del 1976, è un monocolore Dc che si basa sull’astensione di Psi, Pri e Pli. Ottiene la fiducia delle Camere, ma dura solo 168 giorni e si dimette per accelerare le procedure di scioglimento anticipato delle Camere in vista delle politiche del 20-21 giugno 1976.
  • Andreotti III (1976-1978): Viene formato dopo le elezioni politiche del 1976 e si tratta di un monocolore Dc, ma con una maggioranza parlamentare del tutto diversa e assai anomala rispetto a tutte le maggioranze e i governi precedenti. Si regge, infatti, sull’astensione del cd. “arco parlamentare” o “arco costituzionale” (formato da Pci, Psi, Pri, Psdi, Pli, Dc), con le astensioni che superano, per la prima volta, i voti favorevoli (303 rispetto a 258 e solo 44 contrari, le opposizioni di destra, Msi, e sinistra, Pr e Dp). E’ anche il primo governo cui il Pci non vota la sfiducia, dai governi dell’immediato secondo dopoguerra in poi (1944-1947).
  • Per queste caratteristiche si può paragonare, in modo spurio e con molte cautele, a un governo “di grande coalizione” (vedi alla voce), ma è passato alla storia come “governo della non sfiducia” o “delle astensioni” (vedi alla voce). Dura 590 giorni, dal 29 luglio 1976 al 16 gennaio 1978, e termina poco prima del rapimento di Aldo Moro che stava per presentare alle Camere il suo nuovo governo. Ed è proprio il rapimento di Moro che porta il Pci a entrare apertamente in maggioranza di governo: si passa dalla ‘non sfiducia’ alla formula della ‘solidarietà nazionale‘.

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    Francesco Cossiga prima di diventare presidente della Repubblica (1987-1992)

  • Cossiga I (1979): nato il 4 agosto, subito dopo le elezioni politiche del 3-4 giugno 1979 e rimasto in carica fino al 19 marzo del 1980 (244 giorni), è il governo che archivia la collaborazione Dc-Pci degli anni precedenti, rispostando al centro la coalizione. Oltre ai democristiani, vi partecipano  liberali e socialdemocratici, ma si regge sull’astensione di repubblicani e socialisti, anticipando la formula del pentapartito rimasta tale fino al 1992.

Governo “della non sfiducia” o “delle astensioni”

Viene chiamato così perché la gran parte dei partiti che lo sostenevano appoggiavano il governo con l’astensione o, uscendo dall’aula, facevano passare i provvedimenti di quel governo. Ci vollero due mesi di tempo per vararlo perché, dopo le elezioni politiche del 1976, nessuno dei due grandi partiti politici allora in campo, la Dc e il Pci, aveva vinto o meglio, come disse Aldo Moro – teorico, insieme a Enrico Berlinguer, che la lancia nel 1973, della strategia del “compromesso storico” – c’erano stati “due vincitori”, cioè la Dc e il Pci, alle politiche del 1976. Dc e Pci,, dal 1947 in poi, non avevano più governato insieme: il Pci era sempre rimasto fuori dal governo in base alla cd. conventio ad excludendum, la quale indicava il fatto che un partito come il Pci, che dichiarava, storicamente e apertamente, la sua appartenenza al campo comunista internazionale, allora guidato dall’Urss, e al blocco del Patto di Varsavia non poteva governare in un Paese appartenente alla Nato.

 

III governo Andreotti (1976-1978)

III governo Andreotti (1976-1978)

 

Dopo lunghe trattative nacque così il III governo Andreotti (1976-1978): un monocolore Dc che vedeva l’astensione di tutti gli altri partiti, PCI in testa, il quale, fino ad allora, aveva sempre votato contro i governi a guida Dc. I partiti che sostenevano il governo – e cioè Dc, Pci e tutti gli altri partiti dell’arco costituzionale (Psi, Psdi, Pri, Pli) – si astenevano, tranne la Dc, che votava a favore. L’Msi, considerato fuori dall’“arco costituzionale”, votava contro, ma contro votavano anche altri partiti di estrema sinistra (Pdup, Dp e Radicali). Dc e Pci scelsero di operare, invece che dal governo, in Parlamento, facendo lavorare di più le commissioni parlamentari che ebbero così ruolo cruciale.

 

Governo di “solidarietà nazionale”

governo Andreotti

 

Il IV governo Andreotti (1978-1979) si insedia pochi giorni prima del rapimento di Alfo Moro, il 18 marzo 1978, e doveva essere il governo che sanciva l’ingresso del Pci nell’area di governo con un voto a favore di tutte le sinistre a sostegno del presidente del Consiglio incaricato (Moro). Invece, proprio a causa del rapimento e poi dell’omicidio, il 18 maggio 1978, del presidente della Dc, Aldo Moro, il governo assunse altra forma, detta “solidarietà nazionale”.

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Aldo Moro, statista della Dc, rapito e ucciso dalle Brigate Rosse nel 1978

 

Al IV governo Andreotti partecipavano tutti i partiti dell’arco costituzionale (Dc, Psi, Psdi, Pri, ma non il Pli, che andò all’opposizione, più il Pci, il quale, per la prima volta dal 1947, votava a favore di un governo) e dovette gestire la fase del rapimento Moro e seguenti. Non vede, però, la presenza di ministri del Pci al governo, come invece doveva essere, almeno nelle intenzioni dello stesso Moro, e viene meno quando la fase di emergenza dovuta al rapimento Moro viene chiusa, ma anche a seguito delle dimissioni dell’allora Capo dello Stato, Giovanni Leone (Dc) per lo scandalo Lockheed. Il IV governo Andreotti viene sostituito, alla fine dell’VIII legislatura, dal V governo Andreotti (1979), semplice governo di passaggio verso le elezioni, che torna a essere sostenuto solo da Dc, Psdi e Pri.

L’espressione governo di “solidarietà nazionale” è stata usata anche, più in generale, per indicare governi cui partecipano esponenti di tutti (o quasi) i partiti dell’arco parlamentare quando si tratta di affrontare momenti critici dal punto di vista istituzionale o sociale ed economico del Paese.

 

Governo “del Presidente” o governo “istituzionale”

 

In teoria, la definizione in sé è un ossimoro: il presidente della Repubblica non può, per Costituzione e natura del suo mandato, guidare governi o anche solo ‘ispirarli’ in quanto è solo il garante dell’unità nazionale e della sua forma di governo parlamentare.

Il “governo del Presidente” si caratterizza, in ogni caso, in base al fatto che l’indicazione del Presidente del Consiglio, come dei ministri, non arriva direttamente dai partiti ma viene sponsorizzata, di fatto, dal Quirinale, il quale lo ‘ispira’ in base a due importanti parametri: la durata dell’esecutivo (necessariamente breve) e la focalizzazione degli obiettivi (limitati) da perseguire.

C’è anche chi lo definisce, soprattutto nella pubblicistica, “governissimo” (vedi alla voce). Di solito la guida di un tale governo viene affidata ad uno dei presidenti delle due Camere, o al presidente della Corte Costituzionale, o a un suo ex presidente, o a un senatore a vita, o al presidente di un alto organo della magistratura amministrativa o al governatore di Bankitalia (come  nel caso di Carlo Azeglio Ciampi). Più corretto è definire tale tipo di governo“istituzionale”. 

 

Governo Zoli

Governo Zoli

 

In buona sostanza, di fronte a una situazione politica, oltre che sociale ed economica, difficile e/o altamente conflittuale il Capo dello Stato affida a una figura istituzionale di alto livello il compito di formare un governo (che può essere definito anche ‘governo di tregua’ o ‘di decantazione’, vedi alle voci) per salvaguardare e preservare il funzionamento delle istituzioni in attesa che la situazione politica si rassereni e torni la normale dialettica parlamentare. 

“Governi del Presidente” lo furono di fatto, il governo Pella (1953), sotto la presidenza di Luigi Einaudi, e il governo Zoli (1958-’59) sotto la presidenza di Giovanni Gronchi (Dc).

 

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Giovanni Gronchi, il secondo presidente della Repubblica (1955-1962)

 

Anche il famoso governo Tambroni (1960) lo fu, in parte, in quanto eterodiretto, di fatto, dal presidente della Repubblica Gronchi (Dc). Detti anche, almeno all’epoca, governi “amministrativi” o “governi d’affari” (vedi alla voce), questi furono governi che ebbero breve durata e che godettero della stretta vigilanza del Capo dello Stato. Vengono confusi, i governi istituzionali o del Presidente, o assimilati ai governi tecnici (vedi alla voce).

 

Governo di “Grande coalizione”

 

La formula è mutuata dal vocabolario politico tedesco. La nascita della Grosse Koalition, in Germania, risale al periodo 1966-1969 quando per la prima volta i due partiti antitetici dell’allora Repubblica Federale Tedesca (Rft), la Cdu-Csu e la Spd, governano insieme guidati dal premier Kurt Georg Kiesinger (Cdu). L’esperimento, per quanto funzionante, venne ritenuto, all’epoca, un’eccezione da non ripetersi più in futuro, in quanto i due principali partiti tedeschi e i loro alleati minori si ritenevano alternativi. Eppure, a partire dalla legislatura 2005-2009 si tornò proprio a un governo di Grosse Koalition con i governi guidati dalla cancelliera Angela Merkel (Cdu). 

 

Angela Merkel Plakat 1998

Angela Merkel Plakat 1998

 

L’esperimento fu replicato anche nella legislatura 2013-2017 e, dopo le ultime elezioni politiche del 2017, è stato riproposto: l’ultima volta ci sono voluti sei mesi per vararlo ma, sempre sotto la guida della cancelliera Merkel, dura ancora oggi. Ogni volta viene stipulato, tra Cdu-Csu e Spd, un “contratto di governo” e, di volta in volta, vengono specificati i punti programmatici dell’intesa. In Italia, un governo di Grosse Koalition (larga coalizione) è stato ritenuto il governo Letta (2013-2015) che viene comunemente definitogoverno di larghe intese” (vedi alla voce).

 

Governo di “larghe intese”

 

E’ un governo che vede andare al governo forze politiche molto diverse tra di loro, politicamente e culturalmente anche molto distanti, se non opposte, le quali decidono di governare insieme per affrontare problemi estremamente urgenti come una crisi economica, una crisi politica, una crisi istituzionale o internazionale. Il governo Letta (2013-2015), dotato di un’ampia base parlamentare, può essere considerato un “governo di larghe intese”, o di “grosse koalition” (vedi alla voce). E’ è più complicato definirlo anche come un “governo del Presidente” (vedi alla voce), presidente che, in quel caso, era Giorgio Napolitano.

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Giorgio Napolitano

 

Il governo Letta nacque dopo il lavoro di una Commissione speciale dei 30 saggi: imposta da Napolitano al Parlamento, subito dopo la sua doppia rielezione (2013) a Capo dello Stato, causa l’impossibilità di far partire la legislatura e l’impasse politica creatasi dopo le elezioni del 2013, causata dalla ‘non vittoria’ del Pd, dalla commissione dei saggi scaturì, di fatto, il governo Letta.

Il governo Letta viene definito anche un governo “delle larghe intese” o anche, ma in senso spregiativo, un “governassimo” (vedi alla voce) perché ha visto il Pd e FI, più i loro alleati minori, collaborare al governo, nominando i loro relativi ministri.

 

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L’ex segretario ed ex premier del Pds-Ds, Massimo D’Alema

 

La definizione di “larghe intese” era già, però, corrente prima che nascesse il governo Letta come formula politica. La formula prevedeva l’intesa tra le forze politiche principali (il centrodestra e il centrosinistra) della Seconda Repubblica per varare riforme condivise in grado di cambiare l’assetto della Repubblica. Di ‘larghe intese’ furono definiti i lavori della commissione Bicamerale sulle Riforme (1994-’95), presieduta da Massimo D’Alema (Pds): non produsse alcun risultato pratico e le sue raccomandazioni non furono mai sottoposte al vaglio delle Camere di allora. Va ricordato che anche il (fallito) tentativo del governo Maccanico (1995) era nato sotto la medesima impellenza: arrivare a un governo di larghe intese che però non nacque.

 

Governo di “unità nazionale” o di “emergenza nazionale”

 

Si tratta di governi squisitamente politici che vedono presenti, al loro interno, tutti (o quasi) i partiti dell’arco costituzionale. La formula “arco costituzionale” indicava, nella Prima Repubblica, l’adesione ai valori costituzionali e della Resistenza partigiana di tutti i partiti che contribuirono, tra il 1946 e il 1948, a scrivere la Costituzione e che avevano fatto parte del governi di Cnl (Dc, Dl, PdAz-Pri, Pli, Psli-Psdi, Psiup-Psi, Pci). Il termine aveva l’intento di definire l’esclusione dell’Msi.

Con la definizione di “governo di unità nazionale” si indicava, dunque, la partecipazione di partiti anche molto lontani politicamente tra loro che però in tali governi sedevano a pieno titolo, con propri ministri, per affrontare momenti storici particolarmente gravi e drammatici della vita nazionale. Governi di unità nazionale furono i Governi Nitti-Salandra (1915-1919), in epoca pre-fascista, per affrontare la Prima Guerra Mondiale e la fase successiva alla Vittoria. Governi di unità nazionale furono anche i ‘Governi di Cnl’ (1945-1947) che affrontarono la fine della II guerra mondiale, la ricostruzione e accompagnarono il percorso istituzionale e politico che portò l’Italia alla nascita della Repubblica e alla scrittura della Costituzione (1948).

 

Governi ‘traghetto’ o ‘governi ponte’

 

Erano considerati tali, come abbiamo visto all’inizio, quei governi che, in presenza dell’avvio di una svolta istituzionale molto importante, nascevano per ‘traghettare’ il Paese verso un nuovo corso politico-istituzionale e per poi cedere il posto a un Governo politico vero e proprio che attui la svolta. governi Bonomi (1943-1944) e i governi Dc-centristi, nati prima dei governi di centrosinistra, si possono considerare due esempi di governi ‘traghetto‘ o ‘governi ponte’. 

 

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Lo scenario è preoccupante e Mattarella è più che ‘preoccupato’

 

Governo “neutrale” o “di garanzia” 

 

E’ la formula che l’attuale Capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha usato, alla fine del terzo giro delle consultazioni, lo scorso 7 maggio 2018, quando era in corso la crisi di governo che poi, alla fine, sfociò nella nascita del governo ‘gialloverde’ Conte, per definire il governo a guida Carlo Cottarelli cui Mattarella stava per dare vita: doveva essere un governo a tempo che si sarebbe dovuto dimettere una volta completato l’esame della manovra economica e dimettersi anche, in ogni caso, se si fosse formata una nuova e stabile maggioranza politica in Parlamento. Il governo Cottarelli, come si sa, non nacque mai, anche se il presidente del Consiglio – convocato al Colle ma mai formalmente incaricato, cioè Cottarelli – aveva già in tasca la lista dei ministri perché, proprio grazie all’impulso dato alla crisi di governo dal Presidente Mattarella – si crearono le condizioni per la nascita di un governo ‘politico’ che sfocerà, dopo un altro mese di trattative, nel governo Conte. Molto probabilmente, si sarebbe trattato di un ‘governo di minoranza’ o di un ‘governo traghetto’. 

 

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Cottarelli

 

Governo “di scopo”

 

Nasce per affrontare provvedimenti urgenti e impellenti come possono essere una nuova legge elettorale e/o una difficile manovra economica: il governo di scopo ha, dunque, una guida politica, ma durata breve e obiettivi limitati.  Si parla anche di governo funzionale” o “governo di missione”, termine che ricalca l’espressione francese government de mission usata da Chirac.

Il governo Ciampi (1993-’94), con presenza di ministri scelti su indicazione dei partiti, ma di area, e un presidente del Consiglio che era di fatto un nome ‘tecnico’ (Ciampi era stato governatore della Banca d’Italia), nonché scelto direttamente dall’allora presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro(Dc), è l’esempio classico di un governo di scopo. Il governo ‘di scopo’ ha un carattere politico e non va confuso con il governo tecnico (vedi alla voce), ma è più simile a un ‘governo traghetto’..

Il governo Ciampi, infatti, ‘traghettò’ l’Italia per uscire dal terribile biennio 1992-’93 (Tangentopoli, tempesta economica, etc.). Altra dizione comune è governo istituzionale o del Presidente.

Governo “di coalizione

 

Con tale termine si intende l’esecutivo che nasce da un accordo fra gruppi o partiti, sulla base di una maggioranza parlamentare che gli consenta di operare secondo un programma concordato.

 

Prodi e Scalfaro

Prodi e Scalfaro

 

Per limitarci alla II Repubblica, il I governo Prodi (1996-1998) si basava sulla coalizione dell’Ulivo, il II governo Prodi su quella dell’Unione (2006-2008), mentre i diversi governi Berlusconi si basavano, a loro volta, su coalizioni di centrodestra (FI-An-Lega e Pdl-Udc-altri). 

 

Governo “parlamentare” o “di programma”

 

Con queste formule si intende definire, paradossalmente, non il classico e normale governo politico, ma un governo caratterizzato dal non avere una precisa e/o compatta base parlamentare, ma che si prefigge il compito di realizzare il proprio mandato giovandosi, a seconda delle circostanze, dell’appoggio di questo o di quel partito che si trova in quel momento al governo o all’opposizione, promuovendo in cambio di tale appoggio favori o misure politiche a favore dei suoi interessi.

 

Governo “politico”

 

E’, o dovrebbe essere, la norma. Con tale definizione si intende un esecutivo sostenuto da forze politiche che in Parlamento configurano una maggioranza in grado di assicurare il voto di fiducia.

 

Governo “tecnico”

 

La definizione di governo tecnico sta a sottolineare che il presidente del Consiglio e/o i ministri vengono scelti per le loro competenze professionali e non in base all’appartenenza ad uno schieramento politico. Viene varato, di solito, in caso di impasse politica e di grave difficoltà economica e sociale del Paese. Accadde, in parte, durante la crisi economica del 1992-’93, con i governi Amato (1992-1993) e Ciampi (1993-1994), e dopo la rottura interna a una maggioranza politica (governo Berlusconi nel 1995), con igoverno Dini (1995-1996), che è stato il primo vero governo tecnico della storia repubblicana. Il secondo governo tecnico, a causa della crisi finanziaria e politica del 2011, sorge con il governo Monti (2001-2013).

 

Lamberto DIni

Lamberto Dini

 

Il Governo Dini (1995-’96) era nato su input di Scalfaro (Dc), dopo il crollo del I governo Berlusconi. Il Governo Monti (2011-2013) nacque su input del presidente Napolitano (Pd). Entrambi godettero del sostegno dei partiti in Parlamento (quasi tutti) ma i ministri erano tecnici.

Il governo Amato e il governo Ciampi, pur sostenuti dai partiti e con ministri indicati da loro stessi, si può anche dire che ebbero più un profilo tecnico-istituzionale che di governi ‘tecnici’ veri e propri anche se, nel caso di Amato, si trattava di un giurista (ma a lungo impegnato in politica nella fila del Psi) e nel caso di Ciampi di un premier che, per la prima volta nella storia italiana, non era un parlamentare. Presidente della Repubblica, in entrambi i casi, era Oscar Luigi Scalfaro.

 

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L’ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro (Photo by © MARCO MERLINI / LAPRESSE)

 

Nella Prima Repubblica la formula del governo tecnico non esisteva. Governi simili o similari si chiamavano governi ‘traghetto’ o governi ‘ponte’ (vedi alla voce).

Nei governi tecnici, tecnici e non politici sono stati non solo il premier, come nei casi di Dini (ministro del Tesoro di Berlusconi ed ex funzionario di Bankitalia) e di Monti (ex commissario Ue e professore alla Bocconi), ma anche tutti i ministri che venivano scelti tra personalità di alto livello (economisti, avvocati, giuristi, dirigenti d’azienda, etc): erano, cioè, ministri di natura tecnica e non politica.

 

Governissimo”, “governo di tutti”, “governicchio”

 

Con tali definizioni, poco appropriate ma assai frequenti nell’uso giornalistico e nella pubblicistica corrente, ma non certo nella prassi costituzionale, si intendono – in modo dispregiativo – governi che ottengono un largo consenso, sia politico che parlamentare, ma che vengono considerati ‘un’ammucchiata’ di partiti e gruppi politici lontani tra loro che mirano “solo a spartirsi il Potere”. Come ‘Governissimo‘ fu bollato soprattutto il governo guidato da Enrico Letta (2013-2015).

 

Governi “non eletti dal Popolo”

 

L’uso è assai frequente nella pubblicistica di parte e nella propaganda diretta alcuni partiti politici (Lega e M5S ora, Forza Italia in passato) per prendere di mira soprattutto governi squisitamente ‘tecnici’ (Berlusconi e la Lega contro il governo Dini, Lega e M5S contro il governo Monti) e per lasciare così intendere che, nella storia italiana, ci siano stati esecutivi “scelti” dagli elettori e governi “non scelti” dai medesimi elettori come se il meccanismo di formazione di un governo derivasse da un voto popolare diretto. Ma così non è: l’Italia è una repubblica parlamentare e il dettato costituzionale prevede che i governi nascano (e muoiano) in Parlamento. L’articolo 92 della Costituzione è chiaro: è il presidente della Repubblica a nominare il presidente del Consiglio, i cittadini eleggono ‘solo’ i parlamentari delle due Camere, peraltro privi di vincolo di mandato.

 


 

NB: Questo articolo è stato pubblicato in forma originale per questo blog il 22 agosto 2019