“A cercar la bella morte”. La battaglia, persa in partenza, del comitato del No

“A cercar la bella morte”. La battaglia, persa in partenza, del comitato del No

2 Agosto 2020 0 Di Ettore Maria Colombo

“A cercar la bella morte”. La battaglia, persa in partenza, del comitato del No al referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari ricorda, come sempre, la nobiltà dei combattenti sconfitti. L’ultima speranza del Fronte del No al taglio risiede nella decisione della Consulta del 12 agosto. Se l’election day saltasse, la partita referendaria si riapre.

a cercar la bella morte

“A cercar la bella morte”. La battaglia, persa in partenza, del comitato del No al referendum costituzionale

Un referendum cruciale che ‘taglia’ i parlamentari senza criterio

non tagliamoci le palle

“Non tagliamoci le palle!”

Non tagliamoci le palle!” potrebbe essere il grido di dolore come di orgoglio del Fronte del No al referendum costituzionale del 20/21 settembre che riguarda, appunto, il taglio dei parlamentari. Nel senso di non ‘tagliare’/’tagliamoci’ il numero di quanti siamo e potremmo essere, in Parlamento (945, quindi quasi mille oggi, appena 600 – se passa il referendum – domani). Innanzitutto perché “non è vero che siamo così tanti”: in quasi tutti i Parlamenti dell’Unione europea, tra Camera bassa e Camera alta, i rappresentanti del popolo, ovviamente se parametrati alla popolazione, sono di più che in Italia, solo negli Usa sono di meno – 435 e 100 – ma ci sono i parlamentini degli Stati federali. In secundis, perché, per rendere pieno ed effettivo l’esercizio della democrazia rappresentativa, cioè per rappresentare in modo conforme alla popolazione i rappresentati, serviamo tutti e 945.

Potrebbe/dovrebbe essere, questo, “NON TAGLIAMOCI LE PALLE!” lo slogan della campagna referendaria che il comitato del No potrebbe lanciare. Ma servirebbe un po’ di ironia e di coraggio, un po’ di modi di fare spettinati e originali che, ad oggi, latitano, nella classe politica italiana.

Certo è che, se vuole risalire la corrente, in ‘direzione ostinata e contraria’, se ne dovrebbero inventare parecchi, di slogan e di idee, i ‘resistenti’ alla diminuzione del numero dei parlamentari, in vista del referendum che è stato indetto e che si terrà, Covid permettendo, il 20 settembre prossimo.

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In cosa consiste il ‘taglio’ che non migliora il funzionamento delle Camere, a partire dalla follia del bicameralismo perfetto

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Il logo del Referendum Costituzionale

Un referendum costituzionale che chiederà, al popolo italiano, di ‘tagliare’ la rappresentanza dei parlamentari portandola dagli attuali 945 (630 deputati e 315 senatori) a soli 600 (400 deputati e 200 senatori), con un taglio netto di -345 (-230 deputati e -115 senatori), mentre resterebbero in attività i 5 senatori a vita nominati per decreto presidenziale. La cosa curiosa, in negativo, è che il referendum ‘taglia’ la rappresentanza, sostenendo che i parlamentari sono ‘troppi’ e che, con il taglio, si produrrebbero molti ‘risparmi’ (500 milioni in 5 anni, una cifra assai modesta, anzi del tutto risibile, in realtà, per il bilancio dello Stato), ma senza variare in alcun modo né il metodo di elezione delle Camere (elettorato attivo e passivo resterebbero diversificati, tra Camera e Senato, così come sono stati scritti in Costituzione) né il loro funzionamento, cioè la unica e vera riforma che si dovrebbe fare, quella del bicameralismo.

Scilla e cariddi

Scilla e Cariddi

Le Camere, infatti, con il taglio o senza il taglio continuerebbero a fare le stesse identiche cose, mantenendo quello che si dice un regime di ‘bicameralismo perfetto’, a partire dalla famosa ‘navetta’, cioè il principio – costituzionale, ma quasi teologico – che una legge deve essere scritta, votata ed emendata in modo identico e pedissequo, tra Camera e Senato, altrimenti continua a fare la ‘spola’ tra Scilla e Cariddi e nel gorgo delle pastoie del bicameralismo perfetto ci può restare anche mesi, anni, fino a quando il suo testo non è stato scritto in modo uguale e ‘perfettissimo’.

Inoltre ancora, mentre il bicameralismo delle Camere è perfetto, anzi ‘perfettissimo’, in merito alla formazione e produzione legislativa, è del tutto ‘imperfetto’ in quanto al suo funzionamento interno: non solo l’elettorato attivo (chi elegge) e passivo (chi viene eletto) è diverso (18 e 25 anni alla Camera contro i 25 e 40 anni del Senato), non solo la legge elettorale, qualsiasi essa sia, deve essere applicata, per Costituzione, in modo diverso perchè il Senato viene eletto “su base regionale” e da lì non si scappa, la Camera no, ma anche i Regolamenti interni delle due Camere sono del tutto diversi, se non opposti in modo formidabile e assurdo, privo di ogni logica sostanziale (per dire: per costituire un gruppo politico autonomo alla Camera bastano tot requisiti, al Senato ne servolo altri). 

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Simulazione del Germanicum

Infine, appunto, a prescindere dalla legge elettorale adottata, che sia quella in vigore (il Rosatellum) che un altra (il Germanicum, cioè un sistema proporzionale con sbarramento,o altre leggi ancora), il ‘combinato disposto‘ tra il taglio del numero dei parlamentari e la rappresentanza su base regionale obbligatoria, per il Senato, produrrebbe un effetto perverso e dannoso a buone fette di popolazione: la rappresentanza di alcune regioni, specie le più piccole e specialmente al Senato, verrebbe compressa in modo forte. In buona sostanza, alcune regioni avrebbero meno senatori del dovuto.

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Il Rosatellum

Tra le altre cose, un altro taglio molto poco rappresentativo che porterebbe con sé la vittoria del Sì al referendum costituzionale è quello alla rappresentanza degli italiani all’Estero: i parlamentari eletti all’Estero scenderebbero dai 18 attuali a soli 12 rappresentando territori vasti come continenti.

Polemiche e rischi per un Parlamento, l’attuale, delegittimato

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Un simbolo del referendum

L’ultima perla che provocherebbe il ‘Sì’ al referendum costituzionale è l’effetto – indotto e ‘politico’ – di poter gridare a un Parlamento, quello attuale, che dal 21 settembre 2020 in poi sarebbe, per così dire, ‘delegittimato’ perchè un referendum popolare ha deciso che i parlamentari devono diventare 600 mentre le Camere attuali ne contano 945. L’argomento, sul piano costituzionale, non ha valore (le uniche Camere legittime sono sempre quelle elette e riconosciute tali dalla Corte di Cassazione, quando si contano i voti alle elezioni, e dalla Corte costituzionale, in caso di eventuali ricorsi), ma sul piano politico, dall’autunno in poi, autunno probabilmente foriero di disordini, rabbia e drammi sul piano sociale ed economico, potrebbero far presa, specie se sollevati da forze di opposizione.

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Parte del centrodestra (Lega e FdI), forze sovraniste e populiste oggi esterne al Parlamento, ma anche forze e movimenti di altro genere e non collocabili, per forza, nell’arco della destra estrema, potrebbero – con buoni e sostanziosi motivi – dire che il Parlamento attuale, quando varerà il Mes, o il Recovery Found, o quando dovesse votare un nuovo governo, magari ‘tecnico’ o ‘istituzionale’, o quando, nel 2022, dovrà votare per eleggere il prossimo presidente della Repubblica italiana, sarebbe ‘delegittimato’ dal voto popolare del 20 settembre che ha tagliato la rappresentanza. E l’idea di subire la (forte) polemica politica verso un Parlamento, un governo e persino un capo dello Stato ‘delegittimato’ non fa dormire sonni tranquilli a nessuno, dentro i Palazzi della Politica italiana. 

Insomma, il Sì al referendum si porta con sé non solo un pastrocchio indigeribile e del tutto inutile, ma anche una serie di rischi e problemi – quasi insolubili – di livello costituzionale, politico e sociale tali che i danni che deriverebbero dal Sì sono e sarebbero di fatto maggiori di quelli derivanti dal No.

Il frastagliato fronte dei contrari al referendum costituzionale 

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Ma cosa poteva – e cosa può – la esile compagnia di ventura del Fronte del No contro lo schierarsi massiccio del Fronte del Sì che abbraccia tutti i principali partiti italiani (la volontà di scrivere e portare a dama il referendum si deve ai 5Stelle, nel silenzio ‘inoperoso’ del Pd e del centrodestra), dai 5Stelle medesimi al Pd, da Lega a Fratelli d’Italia, dai centristi moderati alle estreme più radicali (contro il referendum, formalmente, si sono schierati solo tre minuscoli partiti: SI-LeU, Pr, +Europa)?  

Poco, molto poco, troppo poco. Certo, nel Pd ci sono e serpeggiano dubbi (il segretario Zingaretti voleva, e declamava, la richiesta dei famosi, e mai approvati, ‘correttivi’), FI ha lasciato, ai suoi, ‘libertà di coscienza’ (e, lo vedremo, buona parte degli azzurri è già scesa in campagna per il No), persino a sinistra – dove, di solito, i temi istituzionali e costituzionali non hanno mai gran fortuna – qualche atto di resipiscienza operosa si intravede (Mdp-Articolo 1, SI e il resto di LeU votano No), come pure nella consistente pattuglia degli ex grillini del Misto, mentre radicali ed ex radicali, come pure centristi ex democristiani, entrambi sparsi tra +Europa, Centro democratico, partito Radicale, si sono messi in moto, e faranno campagna elettorale per il No, ma parliamo pur sempre di atomi. 

Il fronte del No combatte, e in realtà ormai già da mesi, una battaglia impari contro la vulgata e la retorica dell’anti-Casta

Il sondaggista Antonio Noto

Il sondaggista Antonio Noto

Finirà 80% per il sì e 20% per voi del No, nella migliore delle ipotesi, qualsiasi campagna elettorale facciate in qualsiasi giorno dell’anno si tenga il referendum” ha non a caso confidato il direttore dell’Istituto Ipr Marketing, Antonio Noto, a uno dei promotori del Fronte del No, il quale, però, cocciuto come un mulo, si è buttato a capofitto nella pugna, pur sapendo di andare ‘a bella morte’.

De Gregori Conte

De Gregori canta “son tutti ladri, tutti rubano alla stessa maniera”

Una battaglia impari, praticamente già persa, e in partenza, dunque. E una specie di grido ‘a cercar la bella morte!” che echeggiava nei militanti della Rsi, i repubblichini di Salò, quelli che stavano, durante la guerra, dalla parte sbagliata. Ma anche uno sprone a farla per davvero, e dura, la battaglia contro il Fronte del Sì e le ‘ragioni’ di chi ritiene ‘indispensabile’ il taglio del numero dei parlamentari.

Ora, si capisce, remare contro la vulgata comune, quella che – da anni, anzi da decenni – dice e sostiene che la Casta Politica ‘fa schifo’, “sono tutti ladri, rubano tutti alla stessa maniera” (e qui la citazione è del Poeta, più che el cantante, Francesco De Gregori), che i parlamentari sono tutti “fancazzisti, nullafacenti, peones, voltagabbana, trasformisti, voltagabbana, panciafichisti, etc.” (e qui, se permettete, per i vari termini che sono stati affibbiati all’attuale come alla passata classe politica italica, conviene consultare Piove governo ladro. Dizionario di Politica della Terza Repubblica senza dimenticare le altre”, All Around edizioni, 18 euro, autore il cronista medesimo), è impresa ardua, titanica, sostanzialmente inutile, folle e disperata. Una fatica di Sisifo. Ma quelli del Comitato del No ci si sono buttati lo stesso, e a capofitto.

Le ‘belle teste’, ironiche e trasversali, del Comitato per il No

comitato del no

Il malumore dei comitati del No

Va detto che il ‘comitato del No’ al referendum sul taglio del numero dei parlamentari è composto da belle teste di tutti i partiti: i senatori Alessandroo Pagano e Andrea Cangini (giornalista, ex direttore di Qn) di FI come i deputati Simone Baldelli (che ha appena scritto un libro per sostenere le ragioni del NO: “Il coraggio di dire NO al taglio della nostra democrazia”, edito dalla casa editrice Rubettino) e Deborah Bergamini (vicedirettore del quotidiano il Riformista), il radicale Magi, noto per le sue battaglie garantiste, il dem – di sincera schiatta riformista e riformatrice – Tommaso Nannicini.

Ma ci sono, nel comitato del No, persino alcuni 5stelle incredibilmente ancora in carica, come Andrea Colletti (e qui siamo al ‘credo quia absurdum’: l’M5s non lo ha ancora espulso…), ed ex come Matteo Dall’Osso, eletto con l’M5s, oggi in FI (un vero leone, è malato di sclerosi multipla), ex radicali poi diventati renziani o boniniani (Roberto Giachetti e Benedetto Della Vedova), esperti di mille battaglie referendarie combattute in prima persona, eletti all’Estero come Ungaro e Fantetti, la la deputata di LeU Rossella Muroni, il partito Radicale, quelli di SI (nel senso di Sinistra italiana).

Buon ultimo, è arrivato sul No anche un pezzo del Pd (che fu) 

La novità, in campo dem, è rappresentata dall’ideologo di Zingaretti, Goffredo Bettini, che la prende, la questione, da un altro corno del dilemma, quella della mancanza di una legge elettorale ‘adattiva’ rispetto alla modifica costituzionale, come spiega in un’intervista rilasciata il 2 agosto a Repubblica: “Senza una nuova legge elettorale, dimezzare il numero dei parlamentari può persino diventare pericoloso per il regime democratico”. Ora, può il Pd avallare una specie di golpe? “Il referendum interpella le coscienze individuali di tutti e ogni scelta è legittima“, ha aggiunto Bettini: di fatto è lo sdoganamento della libertà di coscienza, che in questo contesto non è una mera applicazione di un diritto costituzionale, ma il segno di una difficoltà politica. Quella che investe direttamente il Pd. 

“Stiamo per mandare una lettera a Nicola Zingaretti per chiedere che nel partito siano concessi uguali spazi a tutte le posizioni, a partire dai dibattiti nelle Feste dell’Unità e nei circoli», spiega a Mario Lavia, che ne scrive su l’Inkiesta, Tommaso Nannicini, uno degli animatori del fronte del No, in un articolo uscito sul giornale https://www.linkiesta.it/2020/08/referendum-pd-taglio-parlamentari/

Insomma, buoni ultilmi, si sono aggiunti un gruppo di ‘teste pensanti’ del Pd, più quello che fu che quello che è, composto dai vari Nannicini (senatore di area riformista che ha firmato la richiesta di referendum e fa parte del Comitato del NO, il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, probabilmente arriveranno il senatore Luigi Zanda, ex tesoriere del pd, l’europarlamentare Daniele Viotti, con Gianni Cuperlo che si associa alla richiesta di una par condicio “interna”, mentre da fuori L’Espresso ha dato il via a una campagna per il No cui si aggiungeranno il manifesto e il nuovo giornale, Domani. Pronti a votare No sono anche diversi padri nobili, da Pierluigi Castagnetti, da Arturo Parisi a Claudio Petruccioli (e chissà cosa farà Romano Prodi) o intellettuali di area ex comunisti come Claudia Mancina, Alberto Asor Rosa, Biagio De Giovanni, Mario Tronti. Se ne vedranno delle belle. 

Insomma, un milieu trasversale a tutti i gruppi presenti in Parlamento, il No, ma che gode anche dell’appoggio di intellettuali (Petruccioli, Giacalone) e blasonate Fondazioni (la ‘Luigi Einaudi’).

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Detto che esiste un altro comitato per il No, quello che fa capo all’avvocato e giurista Felice Besostri e a esponenti della sinistra che fu (Gallo, Gianni, Falcone, Villone) e che è il comitato ‘di sinistra-sinistra’ radicale, per il No, il comitato per il No ‘ortodosso’ le sta provando un po’ tutte.

Solo che, appunto, ci vorrebbe inventiva, genio, fantasia, ironia, da parte del Comitato per il No. Baldelli – noto per le sue straordinarie e spassose imitazioni, stile Alighiero Noschese, di Berlusconi, Tremonti, Cicchitto, Brunetta e molti altri big – ha scritto il libro e lotta palmo a palmo. Giachetti e Magi ci mettono la tigna degli ex radicali, abituati a fare referendum su referendum (e a perderli). Cangini, portavoce di ‘Voce libera’, la rete della Carfagna, tesse i rapporti istituzionali e politici del Comitato e parla con i suoi vecchi colleghi giornalisti per strappare interviste e articoli.

Una battaglia improba. Mosse e idee del “Fronte del No”

Salvini, Renzi e Meloni

Salvini, Renzi e Meloni

Ma la battaglia resta improba, difficilissima, impossibile. Forse, ci vorrebbe un colpo d’ala. Un Salvini modello Paapete estate 2019, mentre mixa cd e le cubiste ballano. Un Renzi che fa le smorfie in Aula, a favor di telecamera, e si lanci in una delle sue – ripetute – ‘mosse del cavallo’.

Ci vorrebbe una Meloni – mancano un po’, le donne, nel Fronte del No – che urla “sono una madre, sono cristiana, sono italiana” e anche quel grido diventa un remix stile rap. Un tormentone. Non che, però, quelli del No non le stiano provando tutte, ma servirebbe il colpo d’ala.

Simone Baldelli

Simone Baldelli

Baldelli contatta la trasmissione satirica ma di politica e super-seguita, ‘Gazebo’ di Diego Bianchi detto ‘Zoro’, e il suo mitico disegnatore Maxxox, cui chiede aiuti, vignette, twitt. Rilancia le parole del direttore dell’Espresso – già convinto di suo, a dedicare la copertina del suo settimanale al No al taglio – tanto che Marco Damilano ci commissiona un fior di numero. Cita pure Ezio Bosso, il grande compositore e musicista, che difendeva le ‘ragioni’ del perché “tanti ottoni e violini siedono in un orchestra: sono così tanti perché così l’autore ha voluto la partitura, altrimenti non è musica, è un’altra cosa” e ne riciccia e riparafrasa il discorso: “i nostri Padri costituenti hanno scritto una partitura precisa e perfetta, non hanno fissato a caso il numero dei membri del Parlamento”.

Andrea Cangini

Andrea Cangini

Intanto, Cangini – che, nel gruppo di testa, è quello serio, roccioso, tutto d’un pezzo – ottiene il ricorso alla Consulta (con qualche chanche di vincerlo), tuona in Parlamento e sulle agenzie contro l’election day, scova cavilli costituzionali e legali per il ricorso. Invoca l’incontro con i presidenti di Camera e Senato, che ottiene, e i vertici della Rai, che si guarda bene dal far partire la par condicio e la campagna informativa sul tema (non che, a dirla tutta, La 7 e Mediaset la stiano facendo).

Arriva persino, Cangini, a contattare il Colle e a trovare tutte le orecchie istituzionali più attente per spiegare perché sia fissare il referendum nel giorno dell’election day, come deciso dal governo, è, più di un vulnus, una vera ‘porcata’, sia perché il referendum lede diritti costituzionali sanciti dalla nostra Carta, provocherebbe un restringimento della democrazia di non poco contro, a prescindere dalla legge elettorale che, de relato, verrebbe applicata. Il problema e il cruccio è che tutto cade nel vuoto, nel silenzio assordante di un Paese che ha tutt’altro cui pensare (la crisi economica, il Covid che rialza la coda, il lavoro che non c’è, etcetera) e di una classe politica che si balocca ogni giorno con i soliti ‘giochi di Palazzo’ (tenuta del governo, votazioni, nomine e presidenze, trasformismi vari), ma che della ‘tenuta’ e del profilo e qualità della nostra democrazia s’interessa e appassiona poco.

La curiosa ‘strategia’ dei grillini: prima hanno voluto e imposto il referendum sul taglio dei parlamentari, ora non ne parlano più

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M5S

Ma oltre al silenzio complice, quanto disattento, dei media (lodevole eccezione quella di Gr Rai Parlamento che ha già iniziato a informare gli italiani e con tanto di ottime trasmissioni, sul tema), rispetto alla competizione referendaria del 20 settembre, c’è anche il silenzio scientifico e programmato dei 5Stelle che hanno deciso di non parlarne più e in nessuna occasione pubblica. Eppure, il referendum costituzionale proprio loro lo hanno voluto, imposto e fatto votare in Parlamento a dispetto dei santi e delle perplessità altrui: se non lo votava, in prima lettura, la Lega, non avrebbero dato vita al governo Conte Uno, disse allora Di Maio a Salvini; se il Pd non lo avesse votato in quarta e ultima lettura, non avrebbero dato vita al governo Conte 2 dissero a Zingaretti. Ma oggi, per i grillini, la questione del referendum costituzionale è come se non esistesse più, come non si dovesse neppure votare, quel giorno, figurarsi imbastirci una campagna elettorale sopra.

Certo, molti parlamentari pentastellati ‘temono’ – li abbiamo sentiti conversare a Montecitorio – che il referendum non passi, nonostante l’abbinamento con l’election day e nonostante sia un gioco da ragazzi rendere ‘appetibile’ le ragioni del taglio del numero dei parlamentari: vedono, sospettano e temono ‘manovre’ in corso da parte del Pd per dare ai propri iscritti ‘libertà di coscienza’ (non è vero: il Pd, che pure per cinque volte, in Parlamento, ha votato ‘no’ al referendum, e solo la sesta volta ha detto ‘sì’, non ha chiaramente ‘le palle’ per schierarsi a favore del No…) e temono che, negli elettori italiani, scatti un riflesso quasi ‘pavloviano’, condizionato, che vada contro il loro quesito.

La verità è che i 5Stelle sono talmente presi e avviluppati nelle loro magagne interne, che sono pure belle grosse, nei loro scontri tra aree e correnti, nei loro ‘posizionamenti’ pro o contro il governo Conte, pro o contro Casaleggio e Grillo, che, del ‘loro’ referendum non gliene importi un fico secco.

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Alessandro Di Battista (m5S)

Prendiamo ‘Dibba’: in questi giorni si trova in spiaggia, a Lanciano (Abruzzo), a preparare aperol spritz in cui vorrebbe mettere foglioline mojito che invece non ci vanno. Parla di tutto, con bagnanti e giornalisti, ‘Dibba’, tranne del referendum. Ma proprio Alessandro Di Battista è stato uno dei più fieri sostenitori e difensori di una battaglia, quella per la riduzione (secca) del numero dei parlamentari, battaglia che porta con sé, peraltro, e vere stimmate del grillismo originario.

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Grillo, il comico genovese

Beppe Grillo invocava il taglio nei suoi spettacoli, nei suoi ‘Vaffa Day’, e tutti i 5Stelle ne hanno fatto, per anni, una bandiera. Quando la riforma costituzionale è passata in via definitiva in Parlamento (ottobre 2019) hanno inscenato pure una ‘festa’ in piazza con tanto di ‘assegno’ che indicava i ‘risparmi’ (modesti) che deriverebbero dal taglio. Dibba ci fece su pure un tour, in motocicletta, per l’Italia, Di Maio la rivendicava come una sua battaglia, Fico pure, ortodossi, governisti e movimentisti dentro i Cinque Stelle (ormai una galassia impazzita e sul punto di esplodere in via definitiva: contro Casaleggio jr, contro Grillo, etc.) erano tutti lì a dire ‘quanto e tanto cambieremo il Paese, con un bel taglio secco dei parlamentari’ e ora invece zitti, tutti muti.

Del resto, credono nel quartier generale M5s, se il referendum è, come appare, ‘già vinto’, è inutile perderci tempo, soldi ed energie sopra. Se verrà perso, sarà una catastrofe, ma il Movimento almeno non si sarà troppo esposto.

Assurdo l’election day per un referendum costituzionale

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E dire che, per vincerlo subito e bene, quasi come una vittoria a ‘tavolino’, il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari, il governo Conte le ha messe in pratica davvero tutte. Con la complicità del Pd (si maligna che sia stato il deputato dem Stefano Ceccanti a ‘armare la mano’ dell’onorevole Anna Macina del M5s, che avrebbe solo risposto, eseguito l’ordine e messo per iscritto) e nel sostanziale disinteresse delle opposizioni di centrodestra (neppure Salvini e Meloni vogliono remare controcorrente, su temi così impopolari o quando si tratta di attaccare la ‘Casta’), infatti, il governo ha fatto passare, in entrambe le Camere, un decreto legge ‘elettoral’, che grida vendetta a Dio. Infatti, il referendum costituzionale, sulla base del decreto legge 20 aprile 2020, n. 26, e approvare in fretta e furia dal Parlamento, ha dato vita a un mostro giuridico e legislativo: l’abbinamento del referendum costituzionale con le elezioni Regionali e le elezioni amministrative del prossimo 20/21 settembre, che è diventato, per il solito inglesismo, giornata di election day.

Stefano Ceccanti

Stefano Ceccanti

Le ‘ragioni’ addotte dal governo  sono le solite di stile Covid19: “concentrazione delle scadenze elettorali, in considerazione delle esigenze di contenimento della spesa e delle misure precauzionali per la tutela della salute degli elettori e dei componenti di seggio”. Insomma, siamo sempre al frusto tema dei ‘risparmi’, con in più il tema del possibile ritorno della pandemia. Ma allora perché, in prima battuta, si doveva tenere il 29 marzo, lontano, come è giusto che sia, da ogni altra consultazione? La verità è che i grillini sperano che chi vota ‘sì’ al quesito referendario poi metta la croce, in una sorta di fantasioso effetto ‘trascinamento’, al simbolo M5s sulla scheda elettorale. Pie illusioni, ma intanto la frittata è  fatta e servita, con l’ausilio dei ‘volenterosi carnefici’ del governo, i democrat.

La piccola – e breve – storia dei referendum costituzionali

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Il comitato del No ha gridato, non senza buone ragioni, al ‘golpe’

Il comitato del No ha gridato, non senza buone ragioni, al ‘golpe’ per il mai successo abbinamento. Non a caso, mai un referendum costituzionale, nella storia d’Italia, era stato abbinato ad altre forme di competizioni elettorali (tranne una volta, nel 2009, ma era un abrogativo, il referendum Segni-Guzzetta, abbinato alle elezioni europee, in ogni caso erano elezioni sull’intero territorio nazionale).

Nel 2001 (riforma del Titolo V), il primo referendum costituzionale confermativo svoltosi in Italia, fu vinto dall’allora centrosinistra (64,5% di Sì contro il 35,79%, affluenza al 34, 05%). Una riforma che ‘tanti lutti agli Achei addusse’: nasce lì l’ircocervo della ‘legislazione concorrente’ e il ‘regionalismo differenziato’, cioè tutte follie ‘federaliste’ pagate molto care soprattutto ora, in tempo di Covid19.

Matteo Renzi

Matteo Renzi

Nel 2006 (riforma della seconda parte della Costituzione e del Titolo V), voluto e perso dal centrodestra di allora (61,29% di No contro il 38,71% di Sì, affluenza al 52,46%, cioè alta), la competizione fu, invece, abbastanza serrata, ma sempre in un voto singolo. Infine, nel famoso referendum sul bicameralismo perfetto che l’allora premier Renzi voleva abolire (insieme al Cnel, alle Province e ad altre cose), ma che perse (59,12% di No contro il 40,88% di Sì, affluenza schizzata al 65,48%, percentuale da elezioni politiche…) e che gli costò la carica e la sedia, nel 2015, il giorno dopo la consultazione, il 4 dicembre. Lì si che, per mesi e mesi, non si parlò che del referendum.

Riassumendo, le competizioni referendarie di tipo costituzionale ‘confermativo’ (il popolo italiano deve dire ‘sì’ o ‘no’ a una riforma che si propone di cambiare la Costituzione) si sono tenute sempre e rigorosamente ‘da sole’,senza alcun ‘abbinamento’ di sorta. Anche perché, particolare non da poco, il referendum confermativo, a differenza di quello abrogativo in cui deve votare il 50,1% del corpo elettorale, per essere dichiarato valido, non prevede quorum di sorta. Insomma, se in passato si è sempre votato senza rtirovarsi inquinamenti di altre votazioni (politiche, regionali, comunali), solo stavolta, guarda caso, il governo ha deciso per l’election day, su formidabile pressione dei 5Stelle.

La previsione più ovvia e scontata è che l’affluenza al voto sarà molto alta nelle sei regioni a statuto ordinario al voto (Veneto, Liguria, Marche, Toscana, Campania, Puglia, più la piccola Valle d’Aosta) e nei mille comuni pure loro al voto e, invece, molto bassa in tutte le altre regioni e comuni italici. Insomma, gli elettori di sei regioni sono quelli che faranno, realisticamente, la cifra dell’affluenza, al referendum, e che determineranno, a seconda del loro orientamento, la vittoria del Sì o del No. 

L’ultima speranza del Fronte del NO: il ricorso alla Consulta…

Palazzo della Consulta Roma scaled

Palazzo della Consulta in Roma

Ma cosa fatta capo (non) ha e, dato che il risultato del referendum in abbinamento con elezioni regionali e comunali dove prevarranno gli interessi di liste e candidati, sarà ovviamente sfalsato e drogato, il comitato del No – che si costituisce, come sempre, quando c’è un referendum, in potere dello Stato, pur se solo per il ristretto periodo della consultazione – ha fatto ricorso alla Consulta.

Anzi, i ricorsi dei comitati referendari del No alla Consulta, che li ha fissati tutti nella stessa udienza, il prossimo 12 agosto, sono ben quattro: uno, a firma Alfonso Celotto, è del Comitato del No, un secondo lo avanza un altro organo referendario costituito dello Stato, la Regione Basilicata, il terzo è di un singolo senatore, Gregorio De Falco (ex M5s), il quarto è dell’Associazione ‘Più Europa’. Regione Basilicata e Comitato del No saranno sicuramente ammessi, come ricorrenti, De Falco e +Europa probabilmente no. Ma cosa chiedono, nello specifico, tutti e quattro i ricorrenti?

Due sono i punti sostanziali del ricorso. Il primo è quello già detto: l’accorpamento con elezioni di altra foggia, specie, natura: corrisponde a un “grave errore” mischiare competizioni politiche e amministrative col voto di rango costituzionale previsto in un referendum in cui il popolo si fa legislatore”. “Persino la stessa legge che, all’epoca, introdusse l’election day escludeva l’accorpamento di votazioni di natura profondamente diversa” nota Besostri, “e solo il recente decreto sulle elezioni regionali ha derogato a questa legge”.

Presidente Trump

Il presidente Trump

Il secondo punto del ricorso del comitato del No – quello dei parlamentari di Cangini, Baldelli, Pagano, Magi, etc – è molto più sottile e ricorda da vicino il grande dibattito che si è aperto, negli Usa, da parte dello stesso presidente Trump, che vorrebbe rinviare le elezioni presidenziali del prossimo 4 novembre, negli Usa, perchè contesta la ‘democraticità’ del ‘voto per corrispondenza’. Infatti, come si sa, da quando è in vigore la legge per il voto degli italiani all’estero (‘legge Tremaglia’), anche gli emigrati italiani con passaporto italiano concorrono alla formazione del Parlamento (oggi sono 18: dodici alla Camera e sei al Senato). Solo che, per farli votare, atto che possono compiere sia nei consolati italiani, in seggi ad hoc, sia per corrispondenza, serve tempo, plichi con le schede preparate e vidimate, controlli dell’anagrafe, molti altri adempimenti burocratici.

Il governo, ora, è con l’acqua alla gola e, in particolare, lo è il Viminale: dal ministero dell’Interno assicurano che, entro il 28 luglio, le pratiche necessarie siano formalizzate. Ma il voto degli italiani all’estero, a causa del Covid19, sta rendendo impossibili anche le più semplice operazioni burocratiche in molti Paesi e interi continenti (America, Usa e Brasile in testa a tutti, ma anche Asia e Oceania) e potrebbe concretamente ledere il diritto di voto dei nostri connazionali all’estero.

Un vulnus che danneggerebbe il loro diritto all’esercizio del voto e la parità del loro voto rispetto ai residenti in Italia. Un argomento, quello della parità del voto, che potrebbe trovare orecchie sensibili e attente, dentro la Consulta, oggi presieduta da una fine giurista donna come Marta Cartabia.

marta cartabia

Marta Cartabia

Certo, è difficile che la Cartabia non ascolti, sul punto, cosa ne pensi il Colle e questi, per quieto vivere, potrebbe voler evitare problemi con un eventuale, clamoroso, slittamento della data di voto del referendum costituzionale, ma nulla può essere, ad oggi, escluso, anche che il ricorso sia vinto e, dunque, la data del referendum costituzionale spostata a una data ad hoc che potrebbe collocarsi, così si dice, tra il 4 ottobre (domenica immediatamente successiva al 20 settembre) e il 4 novembre (la prima domenica a distanza di un mese). I promotori del Comitato del No guardano, dunque, con speranza mista ad apprensione, alla decisione che la Consulta sfornerà in un caldissimo, non solo per l’afa, prossimo 12 agosto. Ma, ove i ricorsi venissero rigettati, non resterebbe loro che lanciarsi in una campagna elettorale per il NO al referendum che sarebbe improba, cortissima e non illuminata dai riflettori dei media, ma anzi con quasi tutti i partiti e soprattutto il senso comune dei cittadini contrari alle loro ragioni. Non resterebbe loro, dunque, che ‘andar a cercare la bella morte’, ma almeno ne varrebbe la pena. Le battaglie (perse) a difesa della Costituzione sono le migliori.

Di cosa tratta nello specifico il referendum costituzionale sul taglio del numero dei parlamentari, noto come ‘legge Fraccaro’

Riccardo Fraccaro

Riccardo Fraccaro

Il referendum costituzionale in Italia del 2020 è stato indetto per approvare o respingere la legge di revisione costituzionale dal titolo “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”. Si tratta del quarto referendum confermativo nella storia della Repubblica, dopo quello ‘istituzionale’ del 2 giugno 1946 (vittoria della Repubblica sulla Monarchia) e gli altri tre (2001, 2006 e 2015) già esaminati in precedenza.

Approvato in via definitiva dalla Camera l’8 ottobre 2019, il testo di legge prevede il taglio del 36,5% dei componenti di entrambi i rami del Parlamento: da 630 a 400 seggi alla Camera, da 315 a 200 seggi elettivi al Senato. All’inizio previsto per il 29 marzo 2020, il referendum è stato rinviato al 20 e 21 settembre (election day) a seguito del Covid19.

La legge di revisione costituzionale – nota come ‘legge Fraccaro’ dal nome dell’allora ministro proponente dei 5Stelle (Riccardo Fraccaro, ministro ai Rapporti col Parlamento, nel Conte I), è stata approvata in doppia lettura da entrambe le Camere a maggioranza assoluta, ex articolo 138 comma 1 della Costituzione. Ma, dal momento che in seconda deliberazione la legge non è stata approvata a maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, un quinto dei senatori ha potuto richiedere il referendum confermativo, come da comma II dell’articolo 138.

In seconda deliberazione al Senato della Repubblica, l’11 luglio 2019, infatti, la legge è stata approvata a maggioranza assoluta senza raggiungere la maggioranza qualificata dei due terzi, in ragione del voto contrario espresso dai senatori dei gruppi di Pd e di LeU, allora all’opposizione del governo Conte I e della non partecipazione al voto di FI. Nella IV lettura alla Camera dei Deputati, l’8 ottobre 2019, invece, incassando il sì di tutti i gruppi parlamentari di maggioranza e opposizione, ad eccezione di alcune componenti del gruppo Misto, il testo ha raggiunto la maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti dell’Assemblea che ha permesso la promulgazione, ma ‘non’ definitiva della legge, con decreto presidenziale firmato dal Capo dello Stato, Mattarella. 

Camera Coronavirus Mascherine scaled

Il parlamento, con i deputati con le mascherine

Il raggiungimento del quorum dei due terzi alla Camera è stato però privo di conseguenze ai fini dell’iter di approvazione della legge. Non avendo infatti incassato i due terzi anche al Senato, come prescritto dall’art. 138 della Costituzione, il provvedimento non è stato direttamente promulgato proprio per dare la possibilità di richiedere un referendum confermativo entro i successivi tre mesi da parte di un quinto dei membri di uno dei due rami del Parlamento, di 500 mila elettori o di cinque consigli regionali. Tale facoltà è stata esercitata da 71 senatori che hanno depositato la richiesta di referendum presso la Corte suprema di Cassazione il 10 gennaio 2020, richiesta subito accolta. Infine, causa lo spostamento delle elezioni derivante dallo stato di emergenza proclamato dal governo Conte 2 in seguito allo scoppio dell’emergenza Covid19, la data di svolgimento del referendnum costituzionale è stata spostata da quella inizialmente prevista (il 29 marzo 2020) a quella del 20/21 settembre 2020 in concomitanza con altre elezioni amministrative (election day). Il 12 agosto, però, sull’accorpamento del referendum con altre elezioni si esprimerà la Consulta

 


NB: una parte, assai più succinta di questo articolo è stata pubblicata sul sito di notizie Tiscali.it il 2 agosto 2020