“Quo usque tandem?”. Renzi-Catilina e Conte-Cicerone forse si fermano prima del precipizio

“Quo usque tandem?”. Renzi-Catilina e Conte-Cicerone forse si fermano prima del precipizio

7 Gennaio 2021 1 Di Ettore Maria Colombo

“Quo usque tandem abutere patientia nostra?”. Renzi-Catilina e Conte-Cicerone forse si fermano prima del precipizio. Inizia un timido disgelo, ma non è ancora detta l’ultima parola. Due giorni, poi sarà ‘o svolta o rottura’

cicerone

“Fino a quando dunque, Catilina, abuserai della nostra pazienza?”

Il (umido) disgelo è iniziato, ma tra Conte e Renzi chi ha vinto?

Renzi Conte

Conte “ascolta” Renzi

Il disgelo tra i due contendenti è iniziato, ma che fatica. E se “la politica non si fa a colpi di post” dice, con un post, Renzi, ora resta da capire, chi tra i due, ha vinto la partita e si assumerà il merito di sbloccare lo ‘stallo alla messicana’ andato in onda fino a ieri. Conte pensa di avere vinto lui: non ci sarà nessun Conte ter, solo un rimpasto, resto a palazzo Chigi senza dover passare per alcuna crisi formale. Renzi, ovviamente, sostiene l’esatto contrario e lo dice ai suoi: “Conte ha calato le braghe totalmente. Ci ha dato ragione anche sul Terzo settore, che uomo incredibile” (nessuno rida, il Terzo settore è uno dei pallini di Renzi da sempre, e in modo sincero e spassionato, però insomma…).

Il lungo post su Facebook del presidente del Consiglio – molte chiacchiere, tanta propaganda, passaggio clou questo: “Rafforzare la coesione della maggioranza e la solidità della squadra di governo” come “premessa imprescindibile” per andare avanti, il che vuol dire ‘sì’ al rimpasto (-ino o -one, poi si vede), ma nessun cenno a dimissioni di sorta – è stato pubblicato da pochi minuti e il leader di Iv si affretta con fretta sospetta, a commentarlo con i suoi. Renzi è convinto di aver segnato un punto importante, sul Recovery plan (il che è vero: su questo ha ragione Renzi) come sul ‘rafforzamento’ della squadra di governo, diventato “imprescindibile” nelle parole del premier (il che non è vero: Renzi voleva, e perseguiva, il Conte ter, e non arriva), ma invita non a caso le truppe a tenere alta la guardia.

Renzi esulta coi suoi: “Conte ha calato le braghe” (mah)

braghe calate

Renzi esulta coi suoi: “Conte ha calato le braghe” (mah)

“Il post va nella direzione delle cose che abbiamo chiesto sul Recovery, ma attendiamo di leggere le carte. La politica parla per documenti, per atti e non per post”, è la linea di ‘Matteo’, linea che si traduce in una velina ai giornali, ma stavolta sembra un più che altro un ‘wishful thinking’ (in italiano si traduce, letteralmente, come ‘pensiero illusorio’, insomma: pie illusioni). Sembra cioè che Renzi voglia e stia per scambiare i suoi desideri e intenzioni per fatti e realtà. Insomma, per una volta lo ‘Spaccone’ è tale, ma insincero.

 

D’Alema lo canzona, Grillo lo paragona a un ‘dittatore’. Renzi-Catilina è di cattivo umore: stavolta è accerchiato

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Massimo D’Alema

Forse il cattivo umore dipende da quell’intervista letta, di prima mattina, su Repubblica, dove parla il suo arci-nemico (quello vero), Massimo D’Alema, e dice, col suo solito tono sentenzioso e pretenzioso, col ditino alzato, che “Non si manda via l’uomo più popolare del Paese per volere del più impopolare” e il più impopolare è lui, senza alcun dubbio. Matteo Renzi, l’ex premier, l’ex leader del Pd, l’uomo che aveva il 40% dei consensi e un Paese in mano e che, per un referendum sbagliato, come Mariotto Segni venti anni prima, “ha perso il biglietto vincente della Lotteria Italia” (copyright Silvio Berlusconi, che di Fortuna se ne intende).

renzi porta a porta

Matteo Renzi

Oggi Renzi ha meno del 4%, come dicono i sondaggi, forse. non il 2%, come malignano i suoi avversari, ma siamo lì, e sentirselo dire da uno come D’Alema – i due si detestano, si odiano, si inseguono da sempre: sono loro i veri ‘duellanti’, altro che Renzi e Conte, al confronto bagatelle tra amici – è una cosa che proprio lo manda ai matti, che non gli va giù.

Il ‘quo usque tandem’ di Grillo-Cicerone e il suo Senato

grillo renzi cicerone

Il ‘quo usque tandem’ di Grillo-Cicerone e il suo Senato

Forse il nervosismo dipende da quella intemerata del primo pomeriggio di un Beppe Grillo che torna a farsi beffardo e ironico: rispolvera una cultura classica insospettabile e insospettata e proprio un illetterato come Grillo – pensa un po’ – pur di canzonarlo cita Cicerone. E di Cicerone segue e piega a suo scopo la nobile e antica arte oratoria, quel dito accusatorio che si erge nell’aula del Senato – quello romano, dell’Antica Roma, anche se un bellissimo quadro, a mo’ di memento mori, ancora oggi ne ricorda il tono e la voce e quel quadro campeggia nella sala dell’emeroteca del Senato attuale, quello prima regio e poi repubblicano, il ‘suo’ Senato, quello dove Renzi oggi finalmente una poltrona, fino a ieri sempre detestata e allontanata, ce l’ha eccome e se la tiene ben stretta, insomma ‘come si cambia’ – e investe, con la sua foga e la sua forza, figlie della nobili virtù di chi difende la ‘Repubblica’ minacciata dai congiurati dittatoriali (‘dittatorelli’ diremmo oggi) il Catilina di allora e, pe’ li rami, i Catilina di sempre. “Quo usque tandem, Catilina, abutere patientia nostra?” (“Fino a quando, Catilina, abuserai della nostra pazienza?”) diceva Catilina, e ri-dice Grillo, la cui traduzione, del Cicerone di allora come del Grillo di oggi è, all’ingrosso, questa:” vuoi forse prenderci tutti per scemi e farci credere che non stai tramando contro il Senato, contro noi, i probi viri, che non vuoi abbattere la Repubblica, instaurare la tua dittatura?
E per Renzi, sentirsi paragonare – da uno come Grillo, poi – all’usurpatore delle virtù repubblicane per eccellenza, al ‘dittatorello’ per eccellenza, ecco, per lui, è davvero troppo.

Il Pd (e il Colle) ieri si sono messi di traverso a Renzi

Corazzieri

Il Pd (e il Colle) ieri si sono messi di traverso a Renzi

Sarà che il Pd – e il Colle, sullo sfondo, che ormai al Pd quello resta: formare il ‘partito del Colle’, pur se nella veste di ‘corazziere semplice’ – frenano, intignano, si pongono a baluardo dei suoi desideri – un po’ napoleonici, un po’ troppo magniloquenti, un po’ troppo ‘catilinari’, forse, ecco – di voler dettare – Lui e solo Lui – le regole della crisi: come deve iniziare (con le dimissioni di Conte nelle mani di Mattarella), come deve svolgersi (con le trattative tra i partiti che portano al Conte ter) e come deve concludersi (con Lui e solo Lui vincitore) senza che né il Pd né il Colle (il che, oggettivamente, non sta bene né a dirsi né pensarsi) possano metterci becco, dire ‘ah’, ma solo pronarsi al suo volere e piacere. Ecco, sarà per tutto questo stato di cose che – direbbe il Poeta, cioè Francesco Guccini – “descrivere non saprei”, che per una volta Renzi barcolla.

Rispunta la minaccia (spuntata) ‘ci vediamo in Senato’

Camera dei Deputati

L’aula del Senato fotografata dalla tribuna stampa

Se Iv alzerà troppo l’asticella – minacciano contiani e dem (anche se non tutti: un gruppo di loro, tra cui Benamati, Boldrini, Quartapelle e altri firmano una lettera aperta contro ogni ‘avventurismo’ del partito verso ipotesi di urne anticipate) resta l’ipotesi del redde rationem in Senato, con un voto di fiducia. Il tentativo, osserva un ministro M5s, è stanare Renzi, metterlo alla prova sui contenuti, lasciargli il cerino – e la responsabilità – di una eventuale crisi. Se così non fosse, sarebbe pronto quello che il leader di Iv chiama lo schema “Grillo-Travaglio”: la sfida in Aula al Senato, dove potrebbe coagularsi un gruppo di Responsabili. E, probabilmente, anzi quasi sicuramente, a quello allude Grillo con il tormentone di Renzi-Catilina-Cicerone di ieri.

In realtà l’operazione di sostituire Iv resta difficile, se non impossibile, e sgradita a Pd e M5s, perché darebbe vita a una “maggioranza raccogliticcia” che il Colle non vuole e renderebbe ingovernabili le commissioni parlamentari. La strada maestra, dice Nicola Zingaretti, è che Conte porti avanti la sua iniziativa sui contenuti. Insomma, il rimpasto.

Di certo il Pd, con Andrea Orlando, avverte l’alleato: se salta questo governo c’è il voto e anche lo schema di un governissimo (magari, come auspica Renzi, con Mario Draghi o Marta Cartabia premier) non sarebbe praticabile perché il Pd sarebbe in “grande imbarazzo” a governare con Meloni e Salvini. “Non ci sarà voto né governo di scopo” contro-ribatte il leader di Iv anche per calmare i suoi. E, nella chat con i suoi parlamentari, fatta uscire ad arte, scrive: “Continuano a fare proposte indecenti ai nostri senatori per passare ai Responsabili. Li aspetto in Senato”.

I renziani stanno tutti in attesa e con il fiato sospeso

col fiato sospeso

I renziani stanno tutti in attesa e con il fiato sospeso

Ma se dentro Iv si fa quadrato, sono tutti col fiato sospeso, oltre che con il fiato sul collo di alleati e anche di gran parte dell’opinione pubblica e dei grandi ‘giornaloni’ che non li amano, e anzi amano sbertucciarli, troppo spesso. Ieri Raffaella Paita, ligure, ha risposto a brutto muso ad Andrea Orlando, altro ligure: una guerra, la loro, che sotto la Lanterna va avanti da decenni. Le due ministre, Bonetti e Bellanova, sdegnate, hanno detto e scritto che loro le loro scelte, dimissioni comprese, le decidono con la ‘forza delle donne’, da sole, mica perché o solo perché gliele chiede Renzi (figurarsi) ma per scelta autonoma e diretta, per convinzione e non per convenienza. Boschi e Rosato si schermiscono: vuoi fare il ministro tu, Ettore? Ma figurati, Maria Elena, vai a fare il ministro tu, si dicono, e in pubblico tacciono che quando stai per diventare ministro meglio tacere, non dare interviste, meglio il low profile.

Ma soprattutto i senatori – due (Vono e Comincini) avrebbero confessato al Capo che “sì Matteo, Conte ci ha chiamati e sì, Matteo, se ci chiede di votare la fiducia noi gliela votiamo” – non saranno tutti tanti Giuda come quei due, ma tanti San Tommaso che non credono davvero sì: vogliono prima vedere il leader vincere, e poi dirgli ‘bravo’. Insomma, le truppe sono confuse, ma ieri pure il Capo lo è.

Renzi al Tg3 stavolta è un po’ confuso: dice e non dice…

renzi tg3

Renzi al Tg3 stavolta è un po’ confuso: dice e non dice…

L’intervista al Tg3 ne è lo specchio plastico, le ‘note’ ufficiose che Iv fa uscire dalla pancia del partito altrettanto. Renzi dice e non dice. Un colpo al cerchio e uno alla botte, come non è – mai – nel suo stile. Al di là della classica sparata propagandistica (“Vacciniamo tutti gli insegnanti”) che stavolta non buca il video, di cui nessuno si accorge, Renzi prima blandisce il premier (“Il governo sembra aver cambiato idea, accettando le nostre, bene, vedremo…”). Poi minaccia, pur se lanciata con voce suadente, sorriso sereno, tono rassicurante: “Prima del 2023 non c’è nessun rischio di voto anticipato (il messaggio è rivolto ai suoi senatori, che tremano, e agli altri, grillini in testa, che se la fanno sotto solo al pensiero, ndr.). Conte ha detto che verrà in Senato? Ci vediamo lì. Se questo governo è in grado di lavorare lo faccia, altrimenti toccherà ad altri”. Governi, si capisce, intesi come futuri, con quali formule non si sa, ma anche qui l’invasione di campo – e che campo, quello di Mattarella – con quel dire “non esistono governi di scopo” è palese, forzato, innaturale e di certo non piacerà al Colle.

Fonti di Iv ‘aprono’ all’apertura di Conte, con cautela

Giuseppe Conte 1

Giuseppe Conte detto “Giuseppi”

Poco prima fonti di Iv sembravano più malleabili: “Il post di Conte va nella direzione delle cose che abbiamo chiesto sul Recovery, ma attendiamo di leggere le carte. Vogliamo vedere se alle parole seguiranno i fatti e restiamo in attesa delle risposte su tutte le questioni che abbiamo posto. La politica parla per documenti, per atti e non per post”. Poco dopo Renzi ribadirà su Facebook che “Sul Recovery intanto adesso tutti danno ragione a Italia Viva: aspettiamo di vedere se dalle parole si passa finalmente ai fatti”. Frase molto meno combattiva e ‘catilinaria’ di quella detta al Tg3 e come detta per aggiustare il tiro, smussare, ridimensionare il peso di parole che sembravano – di nuovo? – definitive, che cioè sembravano preludere alla rottura finale, alla guerra totale. E invece la rottura, la guerra, stavolta non c’è e Renzi sembra proprio come Catilina nel quadro al Senato: torvo, accigliato, assiso sul suo scranno mentre Cicerone lo indica al pubblico ludibrio, lo accusa, e il Senato lo esecra.

Conte ha ceduto sui contenuti, ma non sul contenitore

MES

MES

Morale, Renzi teme che la situazione gli scappi di mano. Conte ha ceduto su quasi tutto, rispetto ai contenuti (Recovery Plan rifatto, anzi stravolto, delega sui servizi pronta a essere ceduta, resta solo quella ‘piccola’ questione del Mes sulla Sanità, che da quell’orecchio i grillini non ci sentono, ma si vedrà), ma in nulla rispetto al contenitore, cioè al percorso che Renzi stesso ha segnato, indicato e nei suoi desiderata imposto per chiudere la crisi di governo.
Non vuole dimettersi, il premier, non vuole il re-incarico, teme la ‘trappola’ (da parte di Renzi, e ne ha ben donde), teme ‘la crisi al buio’: vuol dire che, all’atto delle trattative tra i partiti per il Conte ter, Renzi mette il ‘veto’ – sì, proprio come nell’antica Roma – sul suo nome e il Pd dica ‘beh, allora passiamo a un altro. Ci sarebbe uno dei nostri che fa proprio al caso’ e giù i nomi ed ecco che Conte se ne deve ritornare agli amati studi di legge o a Voltura Appula, nel foggiano, con tutto il rispetto per la terra di Capitanata.

Conte cede sul ‘rimpastone’ e Renzi sulla crisi formale

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L’assalto alla sede del Congresso, Capitol Hill

E dunque, come finisce lo ‘stallo alla messicana’? Mentre il mondo brucia, e non solo per la pandemia, ma anche perché i trumpiani, incitati da Trump, inscenano una cosa mai vista e mai successo in duecento anni di storia patria americana, l’assalto alla sede del Congresso, Capitol Hill, violato solo dagli Inglesi durante la gloriosa Guerra d’Indipendenza delle colonie e che ieri ha subito l’affronto di alcuni folli che, sobillati dal presidente uscente, hanno provato a mettere in discussione con la violenza la vita democratica – la sola cosa certa (e, forse, pure la sola cosa bella, per il Paese, afflitto da pandemia che corre, vaccini che mancano e zone gialle, arancioni, rosse di cui nessuno capisce nulla) è che, dopo lo stallo degli ultimi giorni, dei piccoli segnali di disgelo – ‘veri’, stavolta – ci sono. Sul Piano nazionale di Ripresa e Resilienza, è il ragionamento di renziani e contiani, si può riaprire la trattativa complessiva. Partire dai contenuti del Recovery, per arrivare poi ad affrontare in modo concreto il tema del ‘rimpastone’, la cui necessità è stata messa per la prima volta nero su bianco dal premier.

Il Recovery Plan è stato riscritto per l’ennesima volta…

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Il Recovery Plan è stato riscritto per l’ennesima volta

Se davvero questa fosse la strategia, oltre che la tattica, potrebbero anche allungarsi i tempi – domani 7 gennaio? Dopodomani 8 gennaio? – per arrivare al Consiglio dei ministri, quel cdm fatidico che, a questo punto, o servirà a ratificare in modo definitivo l’intesa, la ‘pace rinnovata’ e pure ‘l’amico ritrovato’ (Renzi&Conte), oppure sancirà, come nelle minacce iniziali e ripetute fino a ieri da parte del leader di Iv, la rottura definitiva, la crisi. Un cdm da ‘svolta o rottura’ come si sarebbe detto ai vecchi tempi del Pci, quando i partiti comunisti erano cosa seria fatta seriamente. Le delegazioni dei partiti della maggioranza hanno già iniziato un secondo giro di incontri con il titolare del Mef, Roberto Gualtieri, che quel benedetto/maledetto Recovery – pietra angolare di ogni scontro e di ogni guerra tra Renzi e Conte, tra Pd e Conte, da almeno tre mesi – lo ha riscritto per l’ennesima volta con l’ausilio dei ministri cooperanti e vigli Amendola e Provenzano, nella speranza che stavolta il Recovery Plan così riscritto (e rimpolpato) vada bene a tutti. Ieri è toccato a Pd e M5S e domani toccherà agli altri, cioè a Iv e LeU, ma è chiaro che tutti attendono solo Iv.

Dem e 5Stelle soddisfatti (e ci mancherebbe pure…)

conte gualtieri

Il premier Giuseppe Conte, ed il ministro Gualtieri

I dem si dicono “soddisfatti” della nuova bozza e ci mancherebbe pure (di fatto, gliel’hanno riscritta loro, a Conte&Gualtieri): giusto dare più peso agli investimenti rispetto ai bonus e bene i fondi in più per la sanità, dicono. Quanto al premier, al Nazareno apprezzano che, dopo le parole di Nicola Zingaretti, Conte abbia preso in mano l’iniziativa e ora si attende l’evoluzione degli eventi.

Anche il M5S definisce “migliorato” il Pnrr (odioso e cacofonico acronimo) e rivendica le indicazioni accolte, anche se non mancano le “preoccupazioni” per un “Movimento troppo schiacciato nella difesa di Conte” che sul Recovery “ha lasciato fare tutto al Pd con Gualtieri, Amendola e Provenzano”. Senza dire dei timori sul Mes: “se cediamo su quello, anche se l’accordo è prenderne metà e non tutto, di soldi per la sanità col Mes non reggiamo più” è il lamento che sale dai gruppi parlamentari pentastellati.

Solo un vertice di maggioranza può blindare l’accordo

48 ore

I partiti avranno 48 ore di tempo per proporre a al ministro dell’Economia ulteriori correzioni di rotta

Oggi, dunque, sarà il turno – decisivo – di Iv e Leu. Dopo, i partiti avranno 48 ore di tempo per proporre a al ministro dell’Economia ulteriori correzioni di rotta. A quel punto, un incontro ‘politico’ tra il premier e gli alleati – e non è escluso che siano i leader stessi dei 4 partiti, i fabolus four (Zingaretti, Crimi in vece di Di Maio, Speranza e Renzi) a sedere al tavolo – dovrebbe servire a ‘blindare’ un accordo su temi e nomi. I più audaci scommettitori del Palazzo azzardano quindi che, a patto siglato, Conte potrebbe dimettersi per procedere a un rimpasto e dare vita al Conte ter. “Se il premier non lascia, chi lo dice ai ministri che devono fare un passo indietro spontaneamente?”, è il ragionamento che, inascoltato, ripete spesso il prof. Ceccanti, teorico della necessità di un adeguamento costituzionale (il potere di revoca dei ministri da parte del premier che, però, al momento, resta nella mente di Dio).La ‘road map’ – quella ipotizzata a palazzo Chigi e dal Pd, però, non quella di Renzi – prevede dunque l’invio nelle prossime ore della bozza ai partiti, un nuovo confronto nelle successive 24 ore con Gualtieri, poi una riunione di sintesi di Conte con i capi delegazione e un Consiglio dei ministri dove mettere alla prova la tenuta dell’accordo. Si era ipotizzato di tenere il Cdm venerdì, ma i tempi si allungano ancora. Conte annuncia “a breve” una sintesi (di nuovo? Sì. L’ennesima? Sì), per poi avviare un confronto con Parlamento e parti sociali: si userà il tempo necessario per poi “accelerare e correre insieme” giura il premier.

Conte ter o Conte bis continua, imperterrito, il totonomi

Translatantico_Montecitorio

Il Translatantico di Montecitorio

Il totonomi di giornata, in ogni caso, non manca. Secondo le ultime voci di ‘radio Transatlantico’ Ettore Rosato – oggi vicepresidente della Camera e coordinatore nazionale di Iv – potrebbe andare al Viminale, al posto della incolpevole Lamorgese, il cui unico demerito è non avere un partito dietro (ma l’ha scelta direttamente il Colle, va pur detto), sempre che al suo posto non vada, a mo’ di trasloco, Guerini (“Lorenzo ha fatto bene, è una garanzia”, dicono al Colle, sanno al Pd, riconosce pure Renzi), mentre Rosato andrebbe alla Difesa, dove ora c’è Guerini. ma ancora si sa. Infatti, pare proprio che, al Quirinale, non si veda mai di buon occhio un cambio alla Difesa, come pure agli Esteri o all’Economia, ministeri non solo ritenuti ‘chiave’, ma anche sotto la ‘doppia giurisdizione’: non solo del premier, ma anche del Colle, che su quei ministeri indica e vigila. Ma nelle mire di Iv sarebbe anche il ministero del Lavoro, con Maria Elena Boschi pronta a sostituire Nunzia Catalfo.

Girano troppi ministeri per Iv e pochi per le donne…

troppa grazie

‘Troppa grazia, Sant’Antonio’, però, due ministeri per Iv, aggiuntivi e non sostitutivi, magari più due sottosegretari. Senza dire del fatto che la Boschi è, indubitabilmente, una donna, mentre Rosato è maschietto e se – Dio non voglia, si sono comportate così bene, sono state così brave, 10elode, dovesse saltare anche una ministra grillina a scelta tra la Catalfo (Lavoro), detestata pure dai suoi e al cui posto ambiscono sia Iv che il Pd, la Azzolina (Istruzione), detestata dal mondo intero ma amata da Conte, o la De Micheli (detestata da Iv, LeU, M5s e mezzo Pd, forse anche da Conte, nessuno capisce come resista ancora), ecco che salta fuori il problema delle ‘quote rosa’ e cioè che il numero delle donne, al netto della Lamorgese, tracolla.

Poi ci sono le mira del M5S che vuol prendere per sé il Mit, con il vice Giancarlo Cancelleri candidato ‘naturale’ mentre Stefano Patuanelli ambirebbe a traslocare dallo Sviluppo economico (altro ministero che vede forti appetiti di Iv) alle Infrastrutture perché, essendo ingegnere (sic), si sente più ‘ferrato’ sul tema, ma soprattutto perché dimaian-contiano.

Le (tante) mire dei 5Stelle, di Orlando e ‘quota 65’

Andrea Orlando

Andrea Orlando

Ma a quel posto, le Infrastrutture, potrebbe andare anche l’attuale capogruppo dem alla Camera, Graziano Delrio, che lì, in via Veneto, ha lasciato ottimi ricordi di sé mentre per il vicesegretario dem, Andrea Orlando, le ambizioni (e pure l’egocentrismo) cresce di ora in ora: chi lo vede ‘sicuro’ vicepremier e chi prendersi anche la delega ai Servizi o, in alternativa, quella alla stesura del Recovery Plan. Con tanto di decreto che ‘spacchetta’ alcuni ministeri e ne aggiunge di altri, non foss’altro perché il governo Conte, rispetto alla legge Bassanini, ha già raggiunto il top, cioè i 65 elementi, quindi serve una ‘leggina’ per sforare il tetto e aumentarli di numero. Tanto, tra un decreto che proroga lo stato di emergenza al 31 luglio e un dpcm, cosa volete che sia un altro decreto che fa lievitare i posti di governo – le famose, aborrite, ‘poltrone’ – a 67 o forse più?

Renzi, più che Catilina, rischia di fare la fine di Pirro

vittoria di PIRRO

Vittoria di Pirro: una vittoria che è stata ottenuta al prezzo di sacrifici e aspetti negativi eccessivi, sproporzionati

Non si sa, si vedrà. Certo è che se il ‘borsino’ della crisi resta in costante aggiornamento, a ieri sera, comunque, la consapevolezza trasversale è una sola: “al voto non si va”. Ecco, almeno su questo, Renzi aveva – ed ha – ragione da vendere. Ma sul resto, la vittoria di Pirro potrebbe essere non di Conte, ma la sua. Una sensazione agrodolce da ‘falsa’ vittoria (di Pirro, appunto, che vinse ma perse, contro Roma: trattavasi di re dell’Epiro che attaccò Roma, sul momento vinse, poi dovette ritirarsi e ritornare a casa) che Renzi sente e prova a scacciare. Perché se essere paragonati a Catilina è offensivo, pure Pirro che diamine, uno rischia di farci la figura del fesso. E di dare ragione, più che a Grillo, a D’Alema (“La crisi si risolverà, conviene a tutti”), ma detta così, con quello sberleffo, mette amarezza.

 

NB: questo articolo è stato pubblicato, in forma ridotta, sul sito di notizie Tiscali.it il 7 gennaio 2021