“Macchine indietro tutta!”. Sull’orlo del baratro della crisi, Pd e Iv si lanciano segnali. Conte resiste, ma…

“Macchine indietro tutta!”. Sull’orlo del baratro della crisi, Pd e Iv si lanciano segnali. Conte resiste, ma…

25 Gennaio 2021 2 Di Ettore Maria Colombo

Sommario

“Macchine indietro tutta!”. Sull’orlo del baratro di una crisi che appare irrisolvibile, arrivano i primi timidi segnali di disgelo tra #Pd #Iv. Intanto, i #5Stelle fanno quadrato su #Bonafede come su #Conte, il cui nome però resta ‘il problema’ per uscire dall’impasse. Voci di Palazzo non confermate parlano di dimissioni del premier entro martedì, ma che verrebbero date solo con l’obiettivo di ottenere un reincarico e formare il #Conte ter.

Macchine indietro tutta Colombo

“Macchine indietro tutta!”. Sull’orlo del baratro della crisi, Pd e Iv si lanciano segnali. Conte resiste, ma…

NB: questa parte viene dall’articolo pubblicato per il sito Tiscali.it il 25 gennaio 2021

1) La partita di poker della crisi è arrivata all’ultima mano…

Il giro di poker è arrivata alla mano finale: chi bluffa?

Il giro di poker è arrivata alla mano finale: chi bluffa?

Come nelle partite di poker i giocatori più esperti – e spesso ‘bari’ – alzano di continuo la posta – con i vari ‘buio’ e ‘contributo’ al fine di intimorire gli avversari e buttarli fuori dal tavolo da gioco, in modo da prendersi tutto il piatto, senza far vedere il punto che hanno in mano, così in questa crisi di governo latente gli attori in campo drammatizzano la portata e i contendenti dello scontro per spingere gli altri a cedere.

La domenica di passione – fintamente passata in surplace – è stata infatti segnata da una parte per la pressione dei dem su Conte a riaprire il dialogo con Iv, passando per le dimissioni al Quirinale e un nuovo re-incarico; dall’altra parte da Luigi Di Maio che ha paventato il voto anticipato in caso di bocciatura mercoledì della relazione sulla giustizia del ministro Bonafede alle Camere, dando 48 ore di tempo ai ‘Volenterosi’ per uscire allo scoperto. I potenziali ‘Responsabili’ sembrano resistere allo spauracchio delle urne e nessuno si muove da dove sta, ma la pressione su parlamentari di Iv e centristi resta forte e la tensione si aza: ” o vengono fuori in 48 ore o è inutile, arrivano troppo tardi”.

Quelle appena passate sono state anche ore in cui Palazzo Chigi ha scelto il silenzio, ma – ieri notte – voci incontrollate diffuse nei Palazzi da ambienti di Forza Italia come del Pd parlavano di dimissioni ‘imminenti’ di Conte, al massimo entro martedì (prima cioè che il caso Bonafede venga discusso alla Camera mentre giovedì sarà il turno del Senato), in modo da preservare, andando al Colle prima di un voto di sfiducia, il suo nome per il “dopo” puntando a ottenere un reincarico e a far nascere finalmente il Conte ter.

Boccia, all’improvviso, apre a Renzi, ma solo se ‘abiura’…

francesco boccia

Francesco Boccia

A smuovere lo stallo nella mattinata di ieri, però, ci ha pensato il ministro dem Francesco Boccia, uno dei più vicini a Conte e dei più ostili, tra i dem, a Conti che lo ha invitato a riaprire il dialogo con Iv, rompendo quindi il mantra del “mai più con Renzi’ finora ripetuto dai vertici dem. “In questa crisi irresponsabile aperta da Iv – sottolinea il titolare degli Affari Regionali – non c’è alternativa a Conte premier”. Anche il capogruppo dem alla Camera Graziano Delrio, che pure in Aula aveva attaccato Renzi, ha rivolto lo stesso invito a Conte, pur chiedendo al leader di Iv un “gesto” di ravvedimento, un “fatto” oltre alle parole ribadite in giornata da Ettore Rosato o Teresa Bellanova.
Un gesto che potrebbe essere per esempio un voto non ostile su Bonafede. Il problema, infatti, è che in vista del voto mercoledì sulla relazione del Guardasigilli, non si vedono nuove truppe che allarghino l’esiguo drappello dei “volenterosi” emerso la scorsa settimana, come ha confermato uno dei promotori dell’iniziativa, Bruno Tabacci.

I ‘consigli’ interessati di Tabacci come pure di Casini, presunti ‘alleati’: Conte si dimetta e apra il dialogo con Renzi, altrimenti…

di maio M5S

Luigi Di Maio

E anche Tabacci, ‘volenteroso’ per eccellenza, suggerisce a Conte di rimettere il mandato al Quirinale e riaprire il dialogo con Iv in vista di un Conte ter. La risposta di Luigi Di Maio è un no, però: prima pone un veto a Renzi (“tra Conte e Renzi, scegliamo Conte”), poi drammatizza il voto di mercoledì (“non è un voto su Bonafede ma sul governo”) e infine intima ai potenziali “responsabili” di palesarsi entro 48 ore, cioè entro il voto di mercoledì, altrimenti si “scivolerebbe verso il voto”, cioè verso le elezioni anticipate. Le parole di Di Maio a “In mezz’ora” sono state smontate subito dopo da Pierferdinando Casini, anch’egli ospite di Lucia Annunziata: “Di Maio parla di elezioni sapendo che è una bugia” – dice il senatore centrista, vecchia volpe dei Palazzi – anche perché se dovesse cadere Conte “poi c’è sempre qualcun altro” su cui si costruisce una maggioranza in Parlamento, Ma poi ecco che arriva il “consiglio gratuito” del vecchio democristiano: Conte rimetta il mandato da Mattarella e riapra il dialogo con Renzi, solo così potrà ottenere il reincarico. Anche Benedetto Della Vedova (+Europa), oggi all’opposizione, rivolge la stessa esortazione come premessa ad un allargamento della maggioranza in chiave europeista. Inoltre, importanti senatori del Pd, come il capogruppo Andrea Marcucci, il suo vice Gianni Pittella, Dario Stefàno e Stefano Collina hanno palesato l’irritazione verso il muro contro muro di Conte contro Renzi e hanno chiesto al Pd di ‘rientrare’ in gioco riaprendo il dialogo con Iv.

Forza Italia vuole rientrare in gioco, ma non con Conte…

Forza Italia

Bandiera di Forza Italia

In questo scenario Forza Italia, rientrata in gioco sabato con Silvio Berlusconi con la proposta di un governo istituzionale, scommette sul fatto che Conte non ascolti i consigli, venga in Aula per la conta, e la perda. “Conte è parte del problema e non la soluzione” dicono i senatori Andrea Cangini e Osvaldo Napoli, esponenti dell’area moderata azzurra e molto vicini a Mara Carfagna. Quindi, solo se l’attuale premier dovesse cadere si aprirebbero scenari graditi agli azzurri, come un governo Ursula o di unità nazionale. Di qui l’esortazione a tutti gli azzurri di Maria Stella Gelmini come di Mara Carfagna a serrare le fila: “tutti i veri garantisti votino ‘no’ a Bonafede” dice la prima e “votare la sfiducia a Bonafede è un dovere morale” dice la seconda. Pronte, però, dopo la fine di Conte, a lavorare su altre soluzioni (maggioranza ‘Ursula’ o governissimo che sia). Del resto, morto un Papa se ne fa sempre un altro.

Conte non ha intenzione, almeno per ora, di fare passi indietro

giuseppe conte dimissioni

Conte non ha intenzione di fare passi indietro

Ma Conte non ha alcuna intenzione di dimettersi, perché non si fida, e vuole andare ‘alla conta’, sulla relazione del ministro Bonafede come su tutti gli altri provvedimenti che il governo farà, a costo di ‘cadere’ in Parlamento e lì farsi male. Eppure, il governo non ha i numeri, specie al Senato, per passare indenne al voto sulla relazione del Guardasigilli che mercoledì affronterà il voto dell’aula della Camera e – ma lo formalizzerà solo domani una conferenza dei capigruppo – giovedì si troverà di fronte alle Forche caudine del Senato. Rispetto ai 156 voti presi da Conte sulla fiducia, a Bonafede mancheranno i tre senatori a vita, forse Nencini (che però attende ‘aperture’ sul garantismo, come Orlando ha chiesto al ministro di fare), di sicuro Casini, lady Mastella, ex FI che, sul tema, sono agli antipodi del giustizialismo grillino. Con Iv che dovrebbe votare col centrodestra, la relazione di Bonafede – nonostante il Pd spergiuri che sarà molto ‘tecnica’ e tutta incentrata sui soldi del Recovery che andranno alla giustizia – dovrebbe sicuramente finire impallinata, a meno che una serie di ‘assenze’ strategiche, con la paura del voto, abbassi le presenze dell’opposizione rispetto a quelle della maggioranza, precettata a ranghi serrati, abbassando anche il quorum.
Certo è che, in caso di vittoria dei no, invece, non solo il ministro, ma l’intero governo sarebbe di fatto stato sfiduciato, al Senato, e a Conte non resterebbe che salire al Colle per dimettersi.

La voce delle sue dimissioni, però, gira forte dentro i Palazzi

bruno tabacci

Bruno Tabacci

Del resto, persino il suo reclutatore principe di ‘Volenterosi’, il costruttore ex dc Bruno Tabacci, ieri si è arreso: “Conte si dimetta, se vuole sopravvivere. I nuovi gruppi in tre giorni non arrivano”. E i ‘fedelissimi’ che ha dentro il Pd (Bettini, su tutti, ma anche Zingaretti e Orlando) sono rimasti basiti, di fronte all’idea, che suscita perplessità anche nei 5Stelle, della conta di Conte. I secondi si sono compattati intorno a Bonafede, i primi – dopo l’alert di Orlando dell’altro ieri (“Al Pd dico: Conte non si molla”) – sono restati chiusi in un preoccupato silenzio”. “Un giorno si sente De Gasperi, un giorno De Gaulle, un giorno Prodi”, commenta acido un big democrat appassionato di storia contemporanea, “non ha alcun senso della misura, e comunque il cocciuto Prodi in Parlamento cadde due volte”.
Ma Conte ribadisce che preferisce la sfida a viso aperto in Aula, al Senato, su un tema delicato come la giustizia, e la strada a Renzi la mantiene sbarrata. Per ora le dimissioni del premier vengono negate, a palazzo Chigi, ma 48 ore sono lunghe tanto che da ieri sera, gira forte, nei Palazzi, la voce di dimissioni a tamburo battente di Conte che sale al Colle già martedì prossimo.
E un cambio di schema – apertura a Renzi inclusa – nella maggioranza non lo escludono più. La relazione del ministro Alfonso Bonafede potrebbe contenere il segnale atteso dal Pd sulla riforma del processo civile e penale. I pontieri sono al lavoro, circola l’ipotesi di un decreto per la riforma che accelerando i processi smini anche il blocco della prescrizione. Ma i Cinque stelle non sono pronti a digerire abiure sulle loro bandiere e Italia viva non è disposta ad accontentarsi. E poi, come dichiara Luigi Di Maio, il voto è ormai diventato un voto sul governo. Su Bonafede, ma anche su Conte. Solo che, se la relazione sarà bocciata, non solo il Guardasigilli ma l’intero esecutivo e il premier rischiano di essere travolti.

Difficile un reincarico a Conte, ma altrimenti, se non a lui, a chi?

a chi

Difficile un reincarico a Conte, ma altrimenti a chi?

E se è difficile, osservano fonti parlamentari, che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella possa dare al premier un reincarico in queste condizioni, è anche difficile ipotizzare altri nomi plausibili e papabili e nuove, inedite, maggioranze. E a quel punto si potrebbe scivolare verso lo scenario del voto, che – negli auspici dei contiani – potrebbe ‘cancellare’ Matteo Renzi relegandolo sotto il 3% e incoronare Conte leader dell’alleanza progressista per conto di Pd-M5s-Leu. Ma si potrebbe anche allargare una faglia che inizia a intravedersi tra le fila parlamentari di Pd e M5s (Carelli, Trizzino,etc.), aperta da chi promette che farà di tutto per sventare il voto.
Il Nazareno e i leader M5s continuano a ‘blindare’ Conte come unico premier possibile (e digeribile dai gruppi M5s). Ma dalla minoranza Pd ricordano che la direzione Dem non si è mai chiusa: la linea del voto andrebbe discussa e sia Bettini che Orlando hanno definito le urne “una sciagura”, per quanto sarebbero inevitabili per colpa di Renzi. E anche tra i pentastellati c’è chi a taccuini chiusi dice che “non si può rischiare di far saltare il Recovery per salvare Conte.

Fa capolino la ‘maggioranza Ursula’ (ma non è la Andress)….

maggioranza ursula

Fa capolino la ‘maggioranza Ursula’….

Un nuovo governo senza Conte, magari con una “maggioranza Ursula” (termine coniato da Romano Prodi durante la crisi di governo dell’agosto 2019 per indicare chi, dentro il Parlamento di Bruxelles, dal Pd a FI, votò ai tempi a favore della Von der Layen, che si chiama Usula, appunto…) che includa FI: ecco la minaccia che anche qualche pontiere paventa al presidente del Consiglio. Senza fatti politici nuovi ed entro le prossime 48 ore, il premier – è il suggerimento – dovrebbe presentarsi al Quirinale per rassegnare le dimissioni e aprire ufficialmente il tavolo politico per il Conte ter. La linea potrebbe anche essere definita in un vertice con i capi delegazione e leader di Pd, M5s e Leu.
Riunioni non sono però ancora convocate, anche se le fonti più avvedute già ragionano sugli eventuali passi formali da compiere. Se Conte andasse al Colle, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella potrebbe dargli un mandato esplorativo se non fosse uscita allo scoperto una maggioranza certa, o dargli l’incarico pieno di formare un nuovo governo, se si palesassero numeri certi con Italia viva e magari un gruppo di centristi. Ma può Conte fidarsi dei suoi partiti?
Pd e M5s gli garantiscono di sì. Ma il rischio è che nelle more delle consultazioni Renzi, magari con gli stessi centristi, apra a ipotesi diverse. Ed è vero che Conte tiene aperto il filo con la parte più dialogante di Forza Italia – su proporzionale, elezione del capo dello Stato, Recovery e anche, secondo qualcuno, telecomunicazioni – ma un sostegno aperto di FI a un Conte ter è difficile che si materializzi subito, comunque non prima del voto al Senato sulla giustizia, e gli azzurri di certo ci si troverebbero stretti a differenza di una maggioranza ‘Ursula’ che riparta davvero da zero con nuovo premier, nuova squadra, nuove idee.

Il Quirinale, per ora, tace e aspetta che il premier faccia un passo

sergio mattarella 1

Mattarella: occorre uscire al più presto da una situazione di incertezza

“Al Quirinale restano in attesa di notizie ufficiali.”
Certo è che sono ore decisive per il destino del governo di Conte, ma proprio per questo la consegna del silenzio si fa sempre più rigida. Man mano che le trattative si fanno più convulse, cresce la preoccupazione del Presidente della Repubblica di mantenere il più stretto riserbo, evitando ogni minima affermazione o iniziativa che possa apparire come interferenza. Né trapelano indicazioni circa limiti temporali fissati al premier per uscire dall’impasse, dopo l’udienza concessa mercoledì scorso o su eventuali nuovi incontri. Il governo è atteso nuovamente in Parlamento tra mercoledì e giovedì per la relazione sullo stato dell’amministrazione della giustizia del ministro Alfonso Bonafede ed entro quella data sarà indispensabile arrivare ad un chiarimento, per capire se ci sono spazi che consentano all’esecutivo di proseguire nella sua azione. Ciò che Mattarella non ha bisogno di ribadire, perché l’ha ripetuto continuamente, è che occorre uscire al più presto da una situazione di incertezza di fronte ai drammatici problemi sanitari, economici e sociali posti dalla pandemia.

‘Chiamare’ o meno Renzi a ‘tornare a casa’ questo il dilemma dem

renzi porta a porta

Matteo Renzi

Ma mentre il Quirinale tace i telefoni dei partiti ribollono di indiscrezioni e ipotesi. “Chiamare” o no Renzi, questo è il dilemma. Al Nazareno aperture non se ne registrano: “Il problema – dice un parlamentare vicino a Zingaretti – è molto più complicato di certe facilonerie. Il Pd vuole dare all’Italia un governo autorevole e stabile che possa con credibilità affrontare i prossimi mesi e chiudere la legislatura. Alzi la mano chi ha il coraggio di dire senza essere deriso che Renzi garantisce credibilità e stabilità o durata a un governo”. In parallelo anche da Iv dicono che, a parte una telefonata di Conte a Ettore Rosato – come agli altri gruppi di opposizione – per annunciare la nomina di Piero Benassi a sottosegretario con delega ai Servizi, segnali veri di apertura non se ne sono visti. Perciò Renzi conferma l’orientamento per il No su Bonafede.
Ma Iv è pronta a sedersi al tavolo e rivedere la linea, magari astenersi, se un segnale arriverà. La riunione dei gruppi renziani è prevista mercoledì. A quel punto – scommettono i fautori della sfida in Aula – i renziani potrebbero spaccarsi e non seguire il leader sulla linea del No: ecco perché Renzi potrebbe dare un segnale unilaterale di apertura al governo, ma non di debolezza, virando verso l’astensione per riaprire il dialogo con il Pd, sapendo che se conferma il voto contrario di Iv Bonafede finisce impallinato. E qui Conte rischia davvero di andare a sbattere: ormai anche i ministri lo avvertono del rischio, ma lui continua a fare orecchie da mercante.
L’ora X però è vicina e Conte dovrà decidere in fretta se dimettersi o meno, nel giro di 48 ore.


2) Il Pd ora ‘cerca’ Renzi, ma non per salvare Bonafede o Conte, bensì per evitare la via del voto anticipato che ora nega di volere

(Nb. Questo articolo è stato pubblicato il 25 gennaio 2021 sul Quotidiano nazionale)

 

Il Pd a Renzi: “Vota la fiducia a Bonafede e forse ricomponiamo”

dario franceschini lorenzo guerini

Franceschini e Guerini

Il messaggio che, in modo più che discreto, i ministri Franceschini e Guerini, in modo aperto il ministro Boccia e un filo più criptico il Nazareno hanno recapitato ieri a Renzi è stato il seguente: “Se Iv vota contro Bonafede, in aula, il governo va sotto, è vero, che non abbiamo i numeri, ma noi metteremo una croce su te e i tuoi. Sarà guerra. Se invece porti Iv sull’astensione e Bonafede, che ci ha promesso farà concessioni sui temi del garantismo e del processo, a te cari, si salva, allora si può riprendere il filo del dialogo e ridiscutere di fare un’alleanza di governo insieme sempre con Conte, però, perché come sai bene i 5stelle non reggono altri nomi oltre lui”.
Renzi si è preso 48 ore di tempo per decidere, oltre che per consultare i suoi (la riunione formale in cui Iv deciderà come votare ancora non c’è stata), anche perché fu proprio su Bonafede che, un anno fa, stava per aprire la crisi di governo (a fermarlo, in quel caso, fu un certo Covid19….): insomma, retrocedere dal no alla fiducia all’astensione, oltre che poco comprensibile fuori, gli costerebbe molto in termine di principi e di coerenza (per quanti ne possa avere, si capisce).

Nel Pd sono entrati in azione i ‘Ricucitori’ che parlano con Iv…

ricucire

Nel Pd sono entrati in azione i ‘Ricucitori’

Insomma, nulla è deciso, ma l’aria sta cambiando. Un tenue dialogo è ripartito, tra chi, come Pd e Iv, fino a ieri si tirava i piatti in testa come nelle scene di un matrimonio che è andato in pezzi. Sono entrati in azione i ‘Ricucitori’ e, forse, potrebbero avere più successo dei ‘Volenterosi’, persino, che invece stanno fallendo miseramente.
In testa a tutti i capigruppo parlamentari dem di Camera e Senato, Marcucci e Delrio – che oggi usciranno con interviste su Quotidiano Nazionale e altrove – lavorano fitto per ricomporre il quadro e riallacciare i fili del dialogo tra Pd e renziani. Il senatore centrista Pierferdinando Casini, fiuta l’aria e, ospite da Lucia Annunziata, a In mezz’ora (su Rai 3) spiega a Conte il da farsi: “Conte dovrebbe andare al Quirinale a dimettersi e portare la crisi a un confronto politico con il fine di recuperare il dialogo con Renzi”.

Ma il premier, tetragono, resiste: “Dimettermi? Non lo farò mai!”

mai

Conte: “io dimettermi? Mai!”

Facile a dirsi, più difficile a farsi, specie nell’ottica di Conte. Il guaio, infatti, è che questa è esattamente la strada che il premier, sempre più solo ogni giorno che passa, non vuole seguire. Conte teme che, alle consultazioni, il suo nome ‘salti’ e che il Pd, l’M5s dimaiano, Iv, FI e forse persino la Lega si accordino su un governo istituzionale guidato da una figura che, ovviamente, non potrebbe essere lui, mandandolo a casa, o meglio ai suoi studi, una volta per sempre. Vuole andare alla conta, Conte, e ‘morire per Bonafede’, come si ‘moriva per Danzica’, sicuro che gruppi autonomi di Responsabili stiano per nascere e per stabilizzare la sua maggioranza, salvandolo oggi su Bonafede e domani sul resto. Peccato che non sia così: persino il suo reclutatore per eccellenza, Bruno Tabacci, ieri si è arreso, via intervista a Repubblica: “Non abbiamo i numeri” ha ammesso sconsolato, pur essendo arrivato a quota 13 alla Camera e a quota sette al Senato (ma ne servono venti e dieci).

Il moloch anti-renziano dentro il Pd inizia a scongelarsi…

moloch

Il moloch anti-renziano del Pd inizia a sciogliersi

“Ma così si lega mani e piedi a Bonafede e rischia di finire sconfitto in Parlamento e nella polvere dopo: il suo nome sarebbe ‘bruciato’ per ogni re-incarico” spiegano dal Pd e, ovviamente, dice Iv. Inoltre, ormai, le resistenze del premier a dimettersi, dar vita al Conte ter e trovare la quadra con Iv iniziano a suscitare forti perplessità in casa dem (“non si fida più neppure di noi”).
Ieri sera, poi, due anodine dichiarazioni di Michele Bordo (zingarettiano doc) e Anna Rossomando (orlandiana doc), puntualizzano in stereofonia che “il Pd non ha mai puntato al voto anticipato”, criticano Renzi per la ‘crisi al buio’ e rilanciano il ‘patto di legislatura’ ma senza citare mai il nome di Conte e, pur criticando Iv, senza calcare troppo la mano contro Renzi. Parole criptiche, come è nello stesso del Nazareno.
Certo è che anche il Pd inizia a guardare ‘oltre la siepe’: Conte ter o governo X, la crisi bisognerà pur risolverla in qualche modo e soprattutto senza precipitare il Paese nel baratro, facendo saltare un’occasione storica come il Recovery Plan, lamentava su La Stampa il ministro Amendola. Un altro ministro, ma agli Affari regionali, Francesco Boccia, una vita passato sulle barricate opposte a quelle di Renzi, invita Conte a “riprendere il dialogo con Iv, che pure ha aperto la crisi in modo irresponsabile”, chiedendo, però, a Renzi “un gesto di ravvedimento”, insomma un’abiura per la crisi inutilmente provocata. Renzi non replica, resta in silenzio, ma per Iv Rosato e Bellanova rifiutano abiure, ma tendendo la mano e non vedendo l’ora di tornare in partita.

Il ‘partito dei ministri’ dem fa sentire la sua voce

fae sentire la propria voce

Il ‘partito dei ministri’ dem fa sentire la sua voce

La novità è che il moloch del Pd nazarenico e i suoi slogan (‘mai più con Renzi’, ‘pronti al voto’, ‘o Conte o morte’) si sta sgretolando. Del resto, proprio il ‘partito’ dei ministri – specie i capofila di due aree interne importanti, Guerini per Base Riformista e Franceschini per Area dem – hanno detto chiaro e tondo che, così, si va a sbattere, la maggioranza non ha i numeri sufficienti per sopravvivere, in Parlamento, solo poggiandosi sui Responsabili, e che Conte, nel cercare la conta e la prova di forza a tutti i costi, sta esagerando. La ‘rivolta’ dei sindaci del Nord (Gori), dei governatori (Bonaccini), diversi deputati e senatori (Giovani Turchi, liberal, ex renziani) hanno fatto il resto: chiedono tutti di riaprire il dialogo con Renzi e ricomporre la maggioranza.
Insomma, dentro il Pd, mezzo partito è ormai in piena rivolta, anche se non ancora del tutto aperta, rispetto alla linea del Nazareno “o Conte o morte”, cioè Conte o voto anticipato. Dopo le lettere aperte di dieci deputati e quattro senatori, ‘pesci pilota’ di molti altri scontenti, dentro i gruppi, della linea del Nazareno, dopo le prese di posizione di onorevoli di nome e di peso (Nannicini, Madia), dopo il lavorìo ai fianchi (di Renzi come di Zingaretti) messo in campo dai capigruppo dem di Camera e Senato, Marcucci e Delrio, nel tentativo di riportare ‘alla ragione’ due leader che ormai si detestano, ora anche i ministri di sangue non Pci-Pds-Ds, ma PPI-Margherita, si muovono. Franceschini, che con Renzi non si parlava più da anni, manda ambascerie all’ex leader dem e Guerini, che pure era entrato ormai in fredda con il suo ex segretario (di cui era stato il coordinatore nazionale) ha ripreso a dialogare. Già teorico della ‘strategia del secondo tempo’, Guerini, nella sua riunione di corrente, ha anche ammonito il Nazareno e le sue ‘fregole’ nella corsa al voto anticipato e con il retro-pensiero di operare un massiccio ricambio dei parlamentari (nel 2018 tutti decisi e scelti da Renzi, pochi quelli che si sono giocati veramente i loro collegi) usando una metafora neppure troppo criptica: “L’ingenuità in politica non è un valore e non è neppure un valore cristiano”… chiaro warning a chi pensa di ‘giocare con il fuoco’ delle elezioni.


3) Il Pd dà ‘i tre giorni’ al premier: “o trovi una maggioranza o trovi l’accordo con Renzi”. Le mosse di Orlando e dei ministri Pd

(Nb: questo articolo è stato pubblicato il 24 gennaio 2021 sulle colonne del Quotidiano nazionale)

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Sarà lo stress, sarà la stanchezza, sarà il caso e caos Bonafede, tempesta che si addensa già all’orizzonte, ma certo è che il Pd ha deciso di dare i ‘tre giorni’ al suo amato premier, Giuseppe Conte. “Conte non si molla” redarguisce gli scettici e tiepidi Andrea Orlando, ma “si dia una mossa”. Poi, magari non saranno esattamente tre, i giorni, e si allungheranno all’intera settimana che inizierà domani, ma certo è che al Nazareno la pazienza è finita, dice sempre Andrea Orlando (“Restano pochi giorni, ormai ci siamo”): preme, con tutto il Pd, su Conte affinché risolva presto la crisi, trovi i gruppi di ‘Responsabili’ che servono e, poi, salga al Quirinale per dimettersi. Infatti, anche il Pd, ormai, preme per un solo sbocco alla crisi: dar vita al Conte ter via dimissioni, consultazioni, nuovo incarico, nuova fiducia.
Altro che rimpastone del Conte bis. Serve un governo nuovo, con la possibilità di assegnare incarichi ai famelici e numerosi nuovi alleati, i piccoli oggi solo ‘Responsabili’, serve una maggioranza certa e certificata con numeri solidi e un fatto politico nuovo, gruppi di impianto ‘europeista’. Guarda caso, si tratta di parole ricalcate su quelle del Colle, non foss’altro perché “il Pd ‘è’ il partito del Quirinale”, come ricorda, ad ogni piè sospinto, un big dem ex renziano. La differenza è che il Pd – a differenza del Quirinale, che si tiene aperte tutte le vie d’uscita – dice un no secco al ritorno di Iv in maggioranza, a premier che non si chiamino Conte, e, tantomeno, a governissimi con la ‘destra’ anti-europeista.
La giornata, vista dal lato dem, è stata segnata proprio dalle dichiarazioni del leader della sinistra interna, Orlando che, in un crescendo rossiniano, esclude tutti gli altri governi che non vedano Conte alla guida, sennò ‘minaccia’ il voto; chiude la porta in faccia a Renzi (“rimettere insieme i cocci con chi si pone il fine di distruggere il Pd è impossibile”), ma, soprattutto, mette nel mirino il ministro Bonafede: “Serve un fatto politico nuovo da parte del governo e del ministro, altrimenti si va a sbattere” dice. Parole che creano sconcerto, ma non è la richiesta di dimissioni di Bonafede, ma – come precisa poi Orlando all’Ansa – la richiesta che “il ministro apra, nella sua relazione, ai contributi dei gruppi parlamentari, anche di quelli nuovi ed europeisti”.
Insomma, Bonafede si deve cercare una nuova maggioranza (e Conte pure), devono farlo al più presto e farlo al meglio, altrimenti ‘si va a sbattere’. Cioè a quelle urne anticipate che il Pd, o meglio il Nazareno vede con malcelato piacere.
Ma il governo rischia davvero di finire ‘sotto’ sulla relazione Bonafede? E’ possibile. Non solo il centrodestra, ma anche Iv voterà no. Soprattutto al Senato, Bonafede rischia grosso: Casini, Binetti, la Lonardo Mastella, forse pure Nencini voteranno no. Per non dire di tutta FI, che questa volta sarà compatta. Dice Mara Carfagna, leader dei moderati azzurri, che votare contro Bonafede “è un dovere morale, non tattica politica”.
Il primo fuoco di sbarramento del governo è regolamentare. La relazione del ministro Guardasigilli sullo stato della giustizia in Italia si voterà prima alla Camera e poi al Senato, ma venerdì si inaugura l’anno giudiziario e la ‘relazione’ del ministro deve arrivare prima di quella data. L’idea è di far incassare, al Guardasigilli, prima la fiducia piena di una Camera, quella dove i numeri sono migliori, e solo dopo affrontare le forche caudine del Senato. L’altro appiglio è che si vota a maggioranza semplice: basta che i sì battano i no. Ergo il messaggio all’opposizione è “restate a casa, così andiamo avanti e non si corre il rischio delle elezioni” e ai Responsabili è “fatevi avanti, o ora o mai più, se volete aiutare il governo”.


SCHEDA TECNICA SUI NUMERI. La prova del fuoco è su Bonafede

alfonso bonafede

Alfonso Bonafede, Guardasigilli

Mercoledì prossimo, dunque, a Palazzo Madama, si assisterà a “una prova del fuoco”, prevede dunque Tabacci. Per il governo ma anche per il ministro Bonafede, sottolinea Clemente Mastella: “La vedo dura e nulla vieta che possa essere messo da parte un ministro della Giustizia”, dice il sindaco di Benevento, ricordando che lui stesso finì sotto inchiesta, nel 2008, si dimise da ministro Guardasigilli (Mastella alla Giustizia: sì, in Italia è accaduto anche questo, per giunta in un governo guidato da Prodi…) e, subito dopo, tolse l’appoggio al governo di cui era parte (il Prodi II). Poi, a chi gli chiede cosa farà sua moglie, la senatrice Alessandra Lonardo, che l’altro giorno ha votato la fiducia a Conte, risponde tartufesco e minaccioso: “E’ perplessa. A lei non piace l’idea della giustizia di Bonafede, giustizialista”. Insomma, Mastella, come tutti i senatori peone, venderanno a caro prezzo il loro singolo voto, e forse al governo neppure bastErebbe, per salvarsi. Senza contare che l’opposizione di centrodestra sarà compatta e che in FI sul tema sono tutti uniti.

Numeri strettissimi per Bonafede, Senato a a rischio

numeri

Numeri strettissimi per Bonafede, Senato a a rischio

Si vanno via via assottigliando i numeri al Senato a sostegno del Guardasigilli Alfonso Bonafede, in vista del voto sulla relazione sullo stato della giustizia. E se tutti i ‘critici’ confermeranno il ‘no’, la maggioranza rischia di essere ‘battuta’. Il voto dell’Aula di palazzo Madama potrebbe svolgersi già mercoledì (alla Camera e’ già stato fissato), anche se nelle ultime ore si ipotizza un possibile slittamento a giovedì. Sara’ la Conferenza dei capigruppo del Senato, convocata per martedì, a pronunciare l’ultima parola. Fatto sta che il pallottoliere, salvo sorprese, parla chiaro: al momento appare difficile per la maggioranza bissare i 156 voti favorevoli alla fiducia incassati dal governo la scorsa settimana. Ad oggi, infatti, i sì certi a sostegno del ministro della Giustizia, sulla carta ed escludendo possibili assenze giustificate, sono 145 (36 Pd, 92 M5s, 6 Leu, 5 Maie, 6 su 8 delle Autonomie, in quanto Casini ha spiegato che sarà difficile il suo voto favorevole e sulla presenza della senatrice a vita Elena Cattaneo non si hanno certezze). Difficile, inoltre, che la senatrice a vita Liliana Segre, arrivata a Roma martedì scorso solo per votare la fiducia al Conte II, sia nuovamente presente in Aula.

La senatrice Liliana Segre

Difficile, che la senatrice a vita Liliana Segre, arrivata a Roma martedì, sia nuovamente presente in Aula.

Alla Camera, invece, la situazione pallottoliere non dovrebbe impensierire la maggioranza e il governo. Mercoledì sul voto sulla relazione del Guardasigilli sullo stato della giustizia non dovrebbero essere sorprese contro il governo: infatti i numeri, sulla carta, sono a favore dei giallorossi. I sì alla relazione di Bonafede dovrebbero raggiungere quota 315 (salvo le assenze), mentre i voti contrari dovrebbero aggirarsi sotto i 300. Anche se Iv dovesse votare contro, i numeri dei renziani, in tutto 28 (-due uscite) deputati, non dovrebbero essere determinanti. Nel dettaglio, il Guardasigilli può contare su 12 voti di Leu, 190 di M5s (il gruppo e’ composto di 191 deputati ma il presidente della camera Fico non vota), 93 del Pd, 13 di Centro democratico, 3 Maie, 4 Minoranze linguistiche, per un totale di 315. A questi potrebbero aggiungersi singoli voti di deputati del Misto non iscritti ad alcuna componente (come accaduto per la fiducia lunedì scorso). I voti contrari alla relazione di Bonafede, sempre sulla carta e salvo eventuali assenze, sono: 91 Forza Italia, 33 FdI, 131 Lega, 11 NcI, per un totale di 266. Se i 29 Iv dovessero unirsi ai voti contrari del centrodestra, i no arriverebbero a quota 295 cui potrebbero unirsi i voti di altri deputati del Misto.