E’ arrivato l’Esploratore e per tutti è “Very-Fico!”, ma la crisi di governo per ora rimane tale

E’ arrivato l’Esploratore e per tutti è “Very-Fico!”, ma la crisi di governo per ora rimane tale

30 Gennaio 2021 1 Di Ettore Maria Colombo

Sommario

Al presidente della Camera, Roberto Fico, di cui più avanti proponiamo un piccolo ritratto (dal ‘rifondarolo’ che era al pentastellato ‘movimentista’ che è rimasto), Mattarella affida, come da previsioni, il compito di rimettere insieme i cocci della maggioranza di governo giallorossa, ma il compito è assai arduo. Anche impossibile? E se, da ‘esploratore’, Fico via via diventasse ‘esplorato’ per un incarico di governo a lui? Le mosse di Renzi – che punta al solito ‘più uno’: finge di alzare il tiro sui temi, ma in realtà lo fa sui nomi… – e degli altri protagonisti in campo. 5Stelle spaccati. Mattarella, sempre più preoccupato, sta per perdere la pazienza e dichiarare, al secondo giro, il ‘game over’. In calce, tutti i precedenti degli incarichi esplorativi con numeri, date e curiosità, e un piccolo glossario sui termini: ‘pre-incarico’, ‘esplorativo’…

Segnalo che, a questi due link, potete trovare due lunghi e articolati dossier sulle consultazioni precedenti

LE CONSULTAZIONI DURANTE LA CRISI DI GOVERNO DEL 2018 (NASCITA DEL CONTE I, GOVERNO GIALLOVERDE)

LE CONSULTAZIONI DURANTE LA CRISI DI GOVERNO DEL 2019 (NASCITA DEL CONTE II, GOVERNO GIALLOROSSO)

esploratore

E’ arrivato l’Esploratore e per tutti è “Very-Fico!”

 

I 5Stelle vanno in pezzi, divisi tra ‘realisti’ alla Di Maio e ‘duri e puri’ alla Di Battista, che minaccia la scissione. Il Pd è  afono, ma si aggrappa alla speranza che “Renzi si accontenterà di due poltrone e si berrà Conte” (speranza vana: forse non lo conoscono?).

I Responsabili tremano, ma sperano di restare in gioco e di diventare gli ‘Indispensabili’ che servono a ‘pareggiare’ i renziani oggi e renderli superflui domani. Conte si barrica a palazzo Chigi: resta muto e assai triste, preludio del ‘triste, solitario y final’ alle viste.

Renzi, che voleva godersi la vittoria (almeno quella ‘tattica’, per la ‘strategica’ c’è tempo), si ritrova con addosso gli schizzi di fango del ‘caso Arabia’ e l’immagine ‘sporcata’ proprio mentre si gioca tutto…

Come al solito, un solo gigante resta sul campo, a fare la guardia, assai preoccupato, anzi: sempre più preoccupato, al bidone-Italia e ai compiti che l’attendono, Mattarella.

In calce, tutti i precedenti degli incarichi esplorativi con numeri, date e curiosità, e un piccolo glossario sui termini: ‘pre-incarico’, ‘esplorativo’, ‘re-incarico’, etc.

 

Fico prova a fare da paciere tra Conte e Renzi, ma se fallisce decide il Colle cosa succede dopo, ma in quel caso le avvisaglie non sono buone… Mattarella ha parlato alla Nazione, assai seccato.

fico conte renzi

Fico prova a fare da paciere tra Conte e Renzi

Sciogliere la distanza politica tra Giuseppe Conte e Matteo Renzi. Ricucire la faglia tra i parlamentari del Movimento 5 stelle. Un duplice, difficile, incarico attende il presidente della Camera Roberto Fico. “Esplorare” le possibilità di un Conte ter. E’ quella, del resto, l’unica possibilità praticabile, per il M5s. E’ anche il governo cui lavora il Pd, senza subordinate, almeno non per ora…

Renzi preferirebbe un altro premier politico (Gentiloni con Draghi superminiostro all’Economia il top per lui…) ma proverà a sondare la tenuta di pentastellati e dem su un altro premier dal taglio politico, magari lo stesso Fico. Almeno così già fanno capire e così dicono già i renziani: “Ma se va bene al Pd e naturalmente va bene ai 5Stelle, va benissimo pure a noi. E tanti cari saluti a Conte ammazzato dai suoi, mica da noi”.

Invece, nel Pd già si ragione sull’allettante ‘scambio’ di poltrone che dovrebbe preludere, nelle ‘serrate’ trattative col presidente incaricato – trattative che inizieranno oggi pomeriggio nel salone dei Busti e nella sala della Regina di Palazzo Montecitorio, saloni eleganti e storici che si trovano al primo piano, anche se solo stamane verrà fornito il calendario delle consultazioni da parte del presidente ‘esploratore’ che riceverà i gruppi e le delegazioni dei partiti nei suoi bellissimi uffici di Montecitorio – alla nascita di un Conte ter (ma ormai si parla già di Fico I…!), e cioè di un governo che rimetta insieme i cocci andati in pezzi della ex-ex-ex maggioranza di governo, quella quadripartita Pd-M5s-Leu-Iv, che però dovrebbe in teoria allargarsi ai ‘Responsabili’.

Paralleli storici: sta per nascere il nuovo Pentapartito?

forattini spadolini

Spadolini visto da Forattini

Al di là delle facili ironie sul nome di Fico (‘Very-Fico’ come scriviamo noi qui per ricordare una famosa vignetta del disegnatore satirico Giorgio Forattini che, su Repubblica, disegnava il leader del Pri, Giovanni Spadolini, storico di vaglia, pur se assai pingue e dalla nota, pur latente, omosessualità (ormai si può dire e scrivere, un giorno si dirà e scriverà anche dell’omosessualità dei governi Conte, nudo e con una foglia di fico, a forma di edera, storico simbolo del Pri, che chiedeva la ‘very-fica’…), potremmo essere vicini, dunque, o di fronte alla nascita di un neo o nuovo ‘pentapartito’.

Con l’M5s nel ruolo che fu della Dc (sic, manca lo spessore culturale e storico-politico), del Pd nel ruolo del Psi (ri-sic, manca il leader di statura come era Craxi!), Iv nel ruolo del Pri (Renzi è fiorentino come Spadolini, legge solo meno libri, ma la vanità è la stessa), LeU nel ruolo del fu Pli (motto: “ci va bene tutto, purché ci lasciate al governo e ci facciate dire che abbiamo persino dei ‘valori’…”) e i Responsabili, ovvio, nel ruolo del fu Psdi (ma tra la Rossi e Ciampolillo, c’è da rimpiangere la ‘statura’ politica di Nicolazzi o di Cariglia, sola la infinita, sconvolgente, fame di potere è la stessa…).

La fame di Potere come di Poltrone, del resto, avvinghia e avviluppa tutti i partiti, dai famelici pentastellati agli intrepidi renziani al solito Pd. E così, nelle sedi dei partiti, già si ‘scambiano le figurine’ e si gioca a ‘risiko’ o al ‘calciomercato, come ama dire Renzi, che ci gioca a sua volta. Insomma, la cupidigia prima del crash finale (la possibilità che salti tutto) non fa vedere il burrone. Partiti e correnti contano le ‘poltrone’ che spettano loro: tutti, nessuno escluso, mica solo i renziani…

‘Changez la femme!’. Già impazza il nuovo toto-ministri

Dario Franceschini

Dario Franceschini

Tra le principali richieste dei dem, che fanno i ‘militonti’ che vogliono parlare solo di ‘lavoro e scuola’, e tra le loro principali ambizioni, c’è la presidenza della Camera al ministro Dario Franceschini, che così potrebbe continuare a sognare il Quirinale nel 2022, ormai un desiderio ricorrente di ‘GiuDario’. Invece, al ‘cacadubbi’ Andrea Orlando – tentato dal voto anticipato per mesi, anti-renziano doc, ora pronto a ‘camminare sui ceci’ e persino a fare pace col suo nemico Renzi (per anni, mesi, settimana, ne ha detto peste e corna, solo ieri, all’ultimo, è arrivato a difenderlo persino sul ‘caso Riad-sauditi’) – diventerebbe il nuovo capodelegazione dem al governo. Orlando – che ha più uomini nel partito dello stesso Zingaretti a cui li sta sfilando a uno a uno sui territori perché vuole diventare segretario al posto suo – andrebbe inoltre a ricoprire nuovamente l’incarico di Guardasigilli, dove è già stato e dove, a detta di tutti, amici e nemici (noi scriventi qui compresi, dunque…) ha ‘fatto tanto e bene’.

I posti di Potere che si libererebbero (la presidenza della Camera per Franceschini, la vicepresidenza alla Boschi…) e quelli che andrebbero ‘liberati’: via Bonafede, Azzolina, Catalfo, Gualtieri, De Micheli per Rosato e altre new entry. Solo Speranza resiste in tutte le combinazioni possibili…

bonafede

Bonafede

Bonafede va ‘tolto di mezzo’ dicono i renziani, avvelenati contro il ‘Principe del Giustizialismo’, ma ‘è meglio che passi la mano, per il bene di tutti’, dicono anche nel Pd. Inoltre, Guerini (minoranza dem, capofila) andrebbe agli Interni in un ‘changez la femme’ con Rosato (Iv) che va alla Difesa: Guerini è assai benvoluto al Colle, soprattutto, ma anche nel Pd, persino tra i 5Stelle e gode del lassair fare di Renzi, mentre per il fidato Rosato sarebbe un riconoscimento alto e, peraltro, si libererebbe un posto da vicepresidente della Camera, sogno segreto, per puntare anche più in alto, della Boschi che fa il capogruppo di malavoglia e al cui posto andrebbe il più esperto in tattiche d’aula, Gennaro Migliore.

nunzia catalfo

Nunzia Catalfo

Infine, e non sarebbe ancora poco, via la Catalfo dal ministero del Lavoro per un dem ‘corazzato’ (Zingaretti vuole promuovere Provenzano, giovane pupillo di Macaluso di tendenza guachiste), confermati – a malincuore, ma solo agli occhi di Iv – Speranza (LeU) e Boccia (altro nemico storico di Renzi), ma inamovibile dentro al Pd (controlla i voti del forziere pugliese con Emiliano), ma via anche dai Trasporti la De Micheli, detestata nei 5Stelle e mal sopportata nel Pd, per lasciare il passo a un renziano/a di provata fede (Renzi da sempre vuol mettere le mani sulle Infrastrutture).

Lucia azzolina

Lucia Azzolina

Ovviamente, via la Azzolina alla Scuola per una renziana doc (tipo Bonetti), con l’Agricoltura che torna in mano alla Bellanova e la casella di Turismo e Beni culturali che diventa libera e molto ambita, non solo dai renziani. Infine, via Spadafora dallo Sport (non piace al Pd e Iv lo detesta e gli fa la guerra ormai da anni), ma soprattutto via il titolare del Mef Gualtieri, la cui ‘testa’ Renzi chiede da mesi perché lo ritiene responsabile del Recovery Plan ‘truffa’ che Conte voleva smerciare, nottetempo, in cdm, tenendo all’oscuro Iv di una ostilità preconcetti al Grande Piano Grandi Opere. Il Pd dovrebbe trovare per Gualtieri una adeguata e ‘nobile’ compensazione (candidato sindaco a Roma? Un incarico a Bruxelles?), ma anche tra i dem il titolare del Mef ha visto crescere i nemici.

Il ‘tocco’ finale che Renzi impone: “via Rocco Casalino da Chigi”

Rocco Casalino

Il fidato portavoce di Conte, Rocco Casalino

Infine, via Rocco Casalino, ca va sans dire: non è più tempo di fare post, mettere like e inondare di veline i giornali con i modi e la protervia del vincitore della prima edizione del Grande Fratello – azzanna Renzima di comunicazione istituzionale seria, corretta, pacata” (sic, come se lui, Renzi, a palazzo Chigi, l’avesse mai fatta in stile British…), come portavoce del presidente del Consiglio.

Roberto Speranza

Roberto Speranza

Ma se questi sono i ‘sogni’ dei partiti, non le certezze – tranne una: alla Salute resterà, ovviamente, Roberto Speranza, stimato da tutti, specialmente al Quirinale, e di certo i due tecnici, Lamorgese e Manfredi, non protetti da alcun partito, torneranno alle loro occupazioni precedenti… – non finisce neppure qua il Grande Gioco, o nuovo Risiko perché mancano pedine ritenute altrettanto importanti.

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Riccardo Fraccaro

La prima: il commissario all’emergenza, Domenico Arcuri, di cui Renzi chiede, da mesi, la testa e potrebbe ottenerla, la Farnesina (resterà Di Maio o passerà a fare il vicepremier? Con un premier M5s sarebbe impossibile, peggio che con Conte e poi Fico crescerebbe troppo facendogli ombra…), il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, oggi ricoperto dal pentastellato Fraccaro: diventerà appannaggio del Pd? Domanda oziosa e posticcia. Infatti, se per Renzi il nome di Conte ‘non’ è sul tavolo (proverà a lusingare e ‘tentare’ Fico o altri…), per tutti gli altri, che invece dicono che lo sia, sta per uscire. Insomma, serve un altro premier, ormai il dado è tratto, e Conte, con la sua ultima, disperata, telefonata a Renzi l’ha anche capito (ha tanti difetti, Conte, ma non è scemo…).

Il mandato netto del Quirinale: verificare le chance di un Conte ter

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Il Conte Ter

Ma se questi sono i ‘sogni’ e i desiderata dei vari partiti, per il Quirinale il mandato, invece, è chiaro: verificare se ci siano i margini per un Conte ter. Solo se così non sarà, per il “veto” di Renzi sul nome dell’avvocato, si aprirà una fase nuova gestita da Mattarella. E l’orizzonte del voto non è mica escluso. Le elezioni sarebbero uno scenario non sgradito al premier, se sfumasse un incarico ‘ter‘. Su questa linea sono schierati i Cinque stelle anti-renziani e ultra-contiani di Alessandro Di Battista.

Ma sulle elezioni rischiano di spaccarsi i dem e anche le truppe parlamentari M5s. Ecco perché, tra i ‘pontieri’ più vicini al premier che fino all’ultimo confidavano in un reincarico, c’è chi adesso teme la postilla scritta in calce alla dichiarazione congiunta del centrodestra, che apre uno spiraglio a un governo di larghe intese. E’ proprio su quella postilla che fa leva Renzi per sostenere – ancora oggi – che l’unica alternativa a un governo politico con una maggioranza di centrosinistra che includa Iv è un governo tecnico-istituzionale, con un premier alla Mario Draghi, da Iv più volte evocato e tirato in balle, anche se il vero ‘sogno’ di Renzi è un governo guidato da Paolo Gentiloni con Draghi super-ministro all’Economia e lui agli Esteri per preparare quella ‘scalata’ alla Nato cui punta da molti anni.

In realtà un tecnico potrebbe essere chiamato da Mattarella anche a guidare un governo elettorale. E fonti parlamentari non a caso ricordano che solo quando nel 2018, dopo tre mesi di consultazioni, il capo dello Stato diede l’incarico a Carlo Cottarelli, scattò la molla anti-urne e la corsa all’alleanza di M5s e Lega sul nome di Conte, fino a quel giorno bloccata da mesi di impasse e di veti reciproci.

‘Terrore’ a 5Stelle: “E se Renzi proporrà Fico come premier vero?”

movimento5stelle

M5S

Fico resterà dunque nell’alveo di un tentativo di ricomporre la ex maggioranza parlamentare del Conte 2 per un Conte ter. Ma il timore – anzi, il vero terrore – dei Cinque stelle è che il leader di Iv, cui hanno aperto tra grandi tormenti e zero estasi, sparigli e che proponga lo stesso Fico o un altro pentastellato come possibile premier di un nuovo governo insieme a loro e al Pd. Renzi al tavolo col presidente della Camera vorrà vedere la certificazione del suo ritorno a pieno titolo in maggioranza, forte del fallimento dell’operazione Responsabili, ‘squallidi’ personaggi – sostiene – che vuole tenere ai margini perché teme che Pd e M5s, nel tempo, usino loro per arginarlo prima e renderlo inoffensivo poi, acquistando parlamentari, pareggiando Iv nelle commissioni e renderlo ininfluente.

Hanno preso atto che senza di noi non hanno i numeri e hanno ammesso che vogliono proseguire la legislatura – fa notare un dirigente di peso di Iv – Ora noi porremo i nostri temi e proveremo anche a verificare la tenuta di Pd e M5s sui nomi…“. Senza porre aut aut, Iv non farà sconti, dalla richiesta di una svolta garantista al Mes, citato da Renzi anche nella dichiarazione al Colle, pur se con toni soft. Tradotto in ministeri, vuol dire la sostituzione di Alfonso Bonafede come di Roberto Gualtieri.

Inoltre, i renziani punterebbero a un ministero di peso anche in chiave Recovery, magari le Infrastrutture divise dai Trasporti. Secondo gli alleati, Renzi potrebbe anche chiedere un ministero per sé (gli Esteri, appunto) mentre il Pd potrebbe affiancare a Conte un sottosegretario alla presidenza come Andrea Orlando, che però in realtà meglio ambisce a fare di nuovo il ministro.

La speranza dei Dem è comunque ancora quella di rendere non essenziale Renzi, riportando a casa – magari non subito – alcuni senatori renziani e accogliendo in una maggioranza “larga” anche quei forzisti e centristi che già hanno dato segnali di interesse alla nascita del Conte ter in questi giorni.

Lo ‘strappo’ di Dibba. Il Movimento sull’orlo di una crisi di nervi

Dibba

Alessandro Di Battista

L’incognita è però lo strappo di Di Battista che ha generato un nuovo terremoto nel Movimento. Anche perché, spiega una fonte M5s, i suoi colpiscono nel segno: è stato Crimi il primo a dire “mai più con Renzi” e non è stata certo questa la linea emersa all’ultima assemblea congiunta. Di Battista avrebbe assicurato ai parlamentari a lui più vicini che non intende fare scissioni o correnti. Ma certo, tra Senato e Camera, sono perlomeno una ventina (forse meno, forse più…) i parlamentari decisi a non votare la fiducia a un governo che abbia Renzi in maggioranza. Inoltre, a loro si aggiungono i “contiani di ferro”, ovvero i parlamentari secondo i quali o c’è il Conte-ter o c’è il ritorno alle elezioni. Sono, osservano diversi nel Movimento, i futuri eletti in una lista del premier uscente se si va al voto.

La fronda del fronte dei ‘dibba-contiani’ e lo spauracchio urne

La fronda dei “dibbacontiani” potrebbe fare, numericamente, da contraltare a Iv nel tentativo che Fico condurrà: potrebbero, questi parlamentari (venti al Senato, si dice, e trenta alla Camera, quanti i numeri attuali di Iv, cioè…) forzare in direzione del reincarico a Conte oppure ‘impallinare’ il governo della vecchia maggioranza se alla fine fosse guidato da Fico, da Di Maio o da un esponente del Pd, proprio come le correnti minori e più retrive della Dc ‘impallinavano’ i candidati diccì al Colle nel segreto dell’urna o i governi diccì ‘amici’ nel voto di fiducia. Ecco allo stesso modo potrebbero fare, domani, i contieni a un premier dei 5stelle che venisse accusato di ‘tradimento’ dell’ortodossia e di ‘intendenza’ con il Nemico, quel Renzi novello Belzebù che viene indicato ogni giorno sul ‘Misfatto’…

I rigidi ‘paletti’ messi da Mattarella per l’incarico conferito a Fico e il resoconto di un’altra febbrile giornata di consultazioni al Colle

Mattarella

Il presidente Mattarella

L’Italia è in emergenza, serve un governo in tempi rapidi al Paese, una maggioranza disponibile a sostenere il governo c’è ma va verificata, pallottoliere alla mano, la solidità dei suoi numeri e vanno smussati alcuni spigoli. Sono questi i pilastri che reggono la “iniziativa” assunta ieri sera da Sergio Mattarella: incaricare il presidente della Camera, Roberto Fico, con un mandato esplorativo.

Due i paletti posti in modo secco e seccato dal Capo dello Stato, il perimetro definito e i tempi rapidi. Fico dovrà quindi verificare se i partiti che sostengono l’attuale maggioranza sono ancora disposti, nonostante le frizioni delle scorse settimane, a restare insieme, sondando quindi solo M5s, Pd, Leu, Iv, Autonomie ed Europeisti. E dovrà farlo a spron battente, per riportare l’esito della sua verifica entro martedì mattina al Capo dello Stato. La giornata di ieri parte con due incontri cruciali.

Quello con il centrodestra, una delegazione di 13 persone (un piccolo esercito..) guidata da Matteo Salvini, Giorgia Meloni ed Antonio Tajani, che chiede elezioni o in subordine si dice disponibile a valutare altre decisioni del Presidente. Poi l‘incontro risolutivo, quello con il M5s, che non pone veti al rientro di Italia viva in maggioranza. Un non veto che però fa molto scricchiolare il Movimento.

Le doppie rigidità, quella di Renzi sulle politiche di Conte e quelle di parte del M5s verso Renzi, fanno capire che la strada di un re-incarico al premier uscente – mai sfiduciato dalle Camere – avrebbe le stesse incognite di una curva imboccata a 100 all’ora. E quando il percorso non è netto, la cassetta degli attrezzi del Quirinale ha pronto lo strumento già oliato: il mandato esplorativo.

Uno strumento già usato da Mattarella nel 2018, durante i tre mesi della crisi più lunga della storia repubblicana, ma all’epoca introducendo una piccola, ma significativa, innovazione: il Capo dello Stato chiese a Fico – proprio come ha fatto ieri – di verificare una maggioranza ben precisa, con un perimetro definito a priori, quello del rapporto Pd-M5s, e aveva affidato egual compito alla Casellati sul lato del rapporto tra centrodestra – allora tutto unito – e i 5Stelle. Entrambi i tentativi fallirono.

Il ‘mandato esplorativo’: facilitazioni e complicazioni di un genere

Fico tre anni dopo quella esplorazione dovrà ora verificare se le scorie che impediscono alla maggioranza che ha sostenuto fino a pochi giorni fa il governo può ritrovare un modus vivendi, un minimo di armonia se non proprio nuovo slancio. L’incarico esplorativo nella storia italiana può anche prefigurare un incarico pieno ma in questo i partiti di maggioranza che sono sfilati al Quirinale in queste ore, tranne Iv, hanno proposto al presidente, almeno finora, solo il nome di Conte.

Un nome che sfuma appena un po’ nelle dichiarazioni post-mandato, ma forse è solo la fretta del momento… Una fretta impressa anche da Mattarella. “L’Italia, come tutti i Paesi di ogni parte del mondo, sta affrontando nuove, pericolose, offensive della pandemia, da sconfiggere con una diffusa, decisiva campagna di vaccinazione” ricorda il Presidente in modo severo e seccato a chi a volte pare averlo dimenticato, specie tra i partiti che hanno aperto la crisi o i premier che non sanno gestirle, palesi ma non espliciti riferimenti alle ‘reciproche, storiche, responsabilità’ di Conte e Renzi.

Ma ci sono anche, nota Mattarella, “una pesante crisi sociale, con tanti nostri concittadini in grave difficoltà, e pesanti conseguenze per la nostra economia. Queste ulteriori emergenze possono essere fronteggiate soltanto attraverso l’utilizzo, rapido ed efficace, delle grandi risorse, predisposte dall’Unione Europea“. Insomma, il Recovery plan non si scrive da sé, serve un governo che lo rediga aggiustando laddove la Ue ce lo chiede, a costo di farlo scrivere a un governo tecnico-elettorale, e dunque “è doveroso dar vita – presto – a un governo, con adeguato sostegno parlamentare, per non lasciare il nostro Paese esposto agli eventi in questo momento così decisivo per la sua sorte“.

Dalle consultazioni, “32 ore” sottolinea, insoddisfatto per aver perso tanto tempo inutilmente, il Capo dello Stato, è emerso che i veti incrociati si sono un po’ affievoliti, dunque “è emersa la prospettiva di una maggioranza politica, composta a partire dai gruppi che sostenevano il governo precedente”. Ma è una disponibilità che va “doverosamente verificata nella sua concreta praticabilità”. Perché un conto è quel che si dice davanti all’occhio severo del Presidente, un conto è quando si mettono nella stessa stanza i diversi leader i quali di solito litigano. Soprattutto si deve capire quanti sono i parlamentari che sosterrebbero un governo, un programma, un premier precisi.

L’ala movimentista del M5s non ha affatto gradito il possibile ritorno di Iv in maggioranza e minaccia sfracelli. Ora dunque la palla passa a Fico, che entro martedì dovrà portare una soluzione al Presidente. Se ci fosse l’ok di tutti i partiti della vecchia maggioranza, Mattarella potrebbe incaricare un premier (si capirà solo nei prossimi due giorni se potrà essere lo stesso Conte, che garantisce un equilibrio interno al M5s, o Fico o un altro nome). Se il tentativo fallisse, l’attuale maggioranza ovviamente non sarebbe più proponibile, ‘bruciata’ definitivamente dall’esplorazione. A quel punto Mattarella sarebbe costretto a tentare nuove strade dal governo istituzionale a elettorale.

 

Un piccolo ritratto di Roberto Fico. Vita di un 5 Stelle di “sinistra”, cresciuto nei Meetup, ora diventato ‘arbitro’ e un po’ moscio. Nel 2018 tentò di trovare un accordo Pd-M5s, ma Renzi lo stoppò…

Roberto Fico

Roberto Fico

L’uomo che voleva “proporre e non protestare”, come disse una volta lui stesso, sarà chiamato alla più delicata delle proposte: convincere Matteo Renzi e Giuseppe Conte a sedere nello stesso governo. E’ infatti il presidente della Camera, Roberto Fico, ad avere ricevuto dal Quirinale il mandato esplorativo per verificare un governo con l’attuale maggioranza. Napoletano, classe 1974, pentastellato della primissima ora, Fico avrà per la seconda volta il compito di agevolare la formazione di un governo. Nell’aprile del 2018, quando il presidente Mattarella gli chiese di esplorare la possibilità di un’alleanza Pd-M5S, andò male. Fu proprio Renzi a stopparlo. E chissà se, questa volta, la calma quasi flemmatica di Fico non riesca a smussare gli spigoli, anche caratteriali, dei leader della maggioranza. L’esordio di Fico nelle “esplorazioni” risale alla fine dell’aprile del 2018 quando tutti i fotografi e i cameramen lo immortalarono mentre ‘prendeva l’autobus’ e non ‘l’auto blu’ per salire al Colle, facendo impazzire la sicurezza del Quirinale e creando un caos e diversi ingorghi (ieri sera, ovviamente, è salito nella super-corazzata auto blu, e tanti saluti alla ‘diversità’ dei grillini). 

Nel 2018 Renzi era nel Pd, anzi, era il leader dei dem uscito sconfitto dalle elezioni. E, in un quadro già difficile per la tradizionale idiosincrasia del M5S per l’ex premier, lo stop di Renzi, arrivato in diretta serale tv, da Fabio Fazio, fece franare qualsiasi ipotesi di accordo tra Democrat e 5SStelle.

Ma Fico è un personaggio chiave anche all’interno dell’universo pentastellato. E’, infatti, uno dei fondatori (era il 2005) dei Meetup degli Amici di Beppe Grillo, quando il M5S non era stato ancora istituito formalmente e dopo una breve, ma intensa, presenza e militanza giovanile dentro il Partito della Rifondazione comunista allora guidato da Fausto Bertinotti. Punto di riferimento dell’ala sinistra del Movimento, allergico al governo giallo-verde soprattutto per le sue politiche migratorie, Fico è stato uno dei volti più noti del M5S, fedele ai valori fondativi del Movimento. Quando i “grillini” balzarono alle cronache i personaggi simbolo erano lui, la Lombardi, Di Battista, pochi altri.

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Luigi Di Maio

Poi arrivò la cosiddetta “seconda generazione“, quella capitanata da Luigi Di Maio. Dopo un periodo di difficile convivenza – Fico era uno dei 5 membri del Direttorio – i rapporti tra il presidente della Camera e l’allora, giovanissimo, vice-presidente a Montecitorio si incrinarono. Per mesi Fico fu considerato come il principale riferimento dell’ala ortodossa, quella dei dissidenti che, almeno per i temi in agenda, ancora vive (pur restando tuttavia pienamente al fianco dei governisti e di Conte) nella corrente “Parole Guerriere“. Nel 2017, a Rimini, nella Festa 5 Stelle chiamata ad incoronare Di Maio capo politico del Movimento la frattura interna tra Fico e Di Maio si consumò in modo plateale. Fico era tra gli oratori del “congresso” ma, visto che il suo intervento si annunciava molto polemico con la linea dei vertici del Movimento, Grillo lo “bacchettò” in via preventiva e Fico decise di non parlare, novello sorta di Ingrao che rinuncia alla scissione per restare nel ‘gorgo’ della casa madre. Solo un faccia a faccia, prima con Grillo e poi con Di Maio evitò una rottura ancora più fragorosa, anche perché Fico ha il carattere e i modi del ‘mollaccione‘, ma da allora sembra passato un secolo.

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Il caso Regeni

Il Fico degli ultimi mesi è tra i principali “avversari” dell’Egitto per il caso Regeni. E’ uno degli esponenti del Movimento più in sintonia con Giuseppe Conte, sostenitore di un contenitore anche elettorale M5S-Pd, in linea con la tesi di Grillo della “netta evoluzione” cui il Movimento è chiamato. Un’evoluzione che Fico ha tentato di spiegare anche nell’ultima Italia 5 Stelle in presenza, nell’ottobre del 2019, quando nella sua Napoli a lungo parlò con gli attivisti. A Napoli, Fico, ci torna quando può. Lì è nato, si laureato in Scienze della Comunicazione, ha mosso i primi passi nella politica da elettore di Rifondazione Comunista. Del Napoli calcio è tifosissimo. Lì c’è anche la sua compagna, Yvonne De Rosa, fotografa e madre di una figlia, ma che ha a lungo vissuto a Londra. Si conobbero nel 2013 e a volte lì si vede a Posillipo, in uno dei ristoranti che guardano il mare. Alla città di Napoli, Fico avrebbe fatto un pensiero anche come futuro sindaco, successore di Luigi De Magistris, che non si può già ricandidare, dopo due mandati, ma lui ha sempre smentito. Chissà che, se riusciràcon Conte e Renzi, non cambi idea.

Per Matteo Renzi è stata una giornata agrodolce. Sull’incarico a Fico, i temi in agenda e che Iv solleva, la rottura nei 5Stelle e le divisioni nel centrodestra ha ragione da vendere, sui metodi no…

 

renzi italia viva

Renzi Leader di Italia Viva

NB: questo articolo è stato pubblicato il 30 gennaio 2020 sul Quotidiano Nazionale 

E’ stata una giornata agrodolce, quella di ieri, per Matteo Renzi. Da un lato è stato il giorno di una vittoria ‘tattica’, anche se non ancora è diventata una vittoria ‘strategica’, quindi un giorno positivo. Infatti, non appena viene resa nota la notizia dell’incarico al presidente della Camera, Roberto Fico, Renzi parte con il suo classico tweet di ‘congratulazioni’ diretto, peraltro più che a Fico, al Colle (“scelta saggia quella di Mattarella”). Del resto, quando è salito al Quirinale, l’altro giorno, Renzi quello aveva chiesto e tale opzione aveva, con tatto, fatto a Mattarella: incarico esplorativo a… Fico.

mattarella

Il Capo dello Stato Mattarella

Per Renzi la scelta di Mattarella è una prima ‘vittoria’. Prima di tutto perché l’incarico immediato e pieno a Conte, che avrebbe potuto cercarsi di nuovo una maggioranza, tra i presunti ‘Responsabili’, magari ‘tentando’ alcuni senatori renziani, non c’è. La figura di Conte si allontana, sfuma, evapora, sempre più, e resta sullo sfondo di un futuro sempre più indefinito. Secondo punto, nei 5Stelle esplodono tutte le contraddizioni interne, con l’ala Di Battista che spara a palle incatenate contro Fico – e, dunque, contro uno dei ‘fondatori’ del Movimento… Terzo punto, c’è un Pd che, afono, non può far altro che dire di sì a Fico per mantenere, perinde ac cadaver, il ruolo di ‘partito del Colle’.

Tutte le (esose) richieste di Renzi: tanti ‘temi’ e dietro tanti nomi

le richieste

Tutte le (esose) richieste di Renzi

Ma a Renzi non basta mai ‘vincere’, preferisce sempre e comunque ‘stravincere’, a costo di perdere… Ecco perché, fa filtrare dai suoi e poi mette nero su bianco, vuole parlare di “temi e di contenuti”, sì, ma ‘temi e contenuti’ che hanno nomi e cognomi. Un “nuovo piano vaccini” vuole dire ‘via Arcuri’. Basta col giustizialismo vuol dire ‘via Bonafede’. “Basta con l’assistenzialismo” vuol dire ‘via la Catalfo’. “Un ministro ad hoc per il Recovery Plan” vuol dire ‘via Gualtieri’. “Una rivoluzione nel mondo della scuola” vuol dire ‘via la Azzolina’. Puntare “tutte le risorse del Paese” su “turismo e grandi opere” vuol dire ‘via la De Micheli’, etc. Fino al capolavoro: “serve una nuova comunicazione, a Palazzo Chigi, di carattere istituzionale, seria e pacata, basta con le veline e il Grande Fratello”. Vuol dire, ovviamente, ‘via Rocco Casalino’. I 5Stelle, dunque, ma anche il Pd, e soprattutto Conte, dovranno dire tutti e cinque questi sì (“I nostri cinque punti sui temi, programmatici, imprescindibili”, così li snocciola Renzi ai suoi) a Renzi se vogliono davvero che Italia Viva rientri in maggioranza. Un po’ come dire: “ora mi chiedete scusa, fate pubblica ammenda, camminate sui ceci, allora ok”.

Roberto Fico, l'esploratore

Roberto Fico, l’esploratore

Altrimenti, il presidente incaricato ‘esploratore’ Fico – prima ancora che a Conte, Pd e M5s – dovrà riferire a Mattarella, pur a malincuore, che la ‘vecchia’ maggioranza non esiste più. In quel caso, per Renzi, resta aperta l’altra strada da lui indicata, durante le consultazioni, il ‘governo istituzionale’.

E qui si dice che Renzi vedrebbe ‘bene’ – anzi, che il suo vero obiettivo sarebbe un altro, cioè questo – un governo a guida Gentiloni con Draghi come super-ministro dell’Economia. Ma è inutile mettere il carro davanti ai buoi: prima servirà che Fico, per conto di Mattarella, parli con Renzi e capisca cosa il leader di Iv vuole davvero. Anche perché molti renziani temono che dietro il ‘nuovo’ patto di governo che dovrebbe durare fino a fine legislatura ci sia la ‘fregatura’: Pd e M5s fingono di riaccogliere Iv, poi la emarginano coi Responsabili che, pian piano, vanno a ‘pareggiare’ e scalzare Iv.

Scoppia il ‘caso Arabia Saudita’ che toglie il buon umore a Renzi

renzi arabia saudita

Scoppia il ‘caso Arabia Saudita’ che toglie il buon umore a Renzi

Ma ieri è stato anche il giorno in cui è esploso e divampato, il ‘caso’ della sua presenza a Riad, lo scorso week-end, per una conferenza sull’innovazione organizzata dal Future Investment Initiative, ente controllato dalla famiglia reale saudita e nel cui board figura anche, come ex premier, Renzi.

Prima parte all’attacco Carlo Calenda, leader di Azione civile: “Con che credibilità – si chiede caustico e cattivo – Renzi potrebbe in futuro ricoprire il ruolo di ministro degli Esteri o sedere nel Copasir o influenzare la politica estera dopo aver preso soldi personalmente dall’Arabia Saudita?”.

Poi arrivano i siluri e le interrogazioni parlamentari di esponenti del M5s, come il vicepresidente della commissione Esteri Paolo Cabras, che però viene subito ‘sconfessato’ dai vertici dei 5Stelle. Non senza, si dice, un intervento ‘pressante’ e sollecito del Colle che avrebbe chiesto a Crimi e Di Maio di ‘sopire, troncare’, in senso manzoniano, gli attacchi a Renzi per aiutarlo a risolvere la crisi.

Invito subito accolto da Di Maio, che però annuncia anche lo ‘stop’ immediato alla vendita di armi all’Arabia Saudita, e da (quasi) tutti i big pentastellati, tranne l’ala Di Battista che continua a menare contro Renzi. Il sottosegretario agli Esteri, Manlio Di Stefano, per dire, attacca “la presenza di Matteo Renzi alla cosiddetta ‘Davos del Deserto‘” e pone un problema di “conflitto di interessi”.

Renzi ribatte subito, e duramente, via social (“E’ un diversivo, parliamo di cose serie, finita la crisi risponderò a tutte le domande che i giornalisti vorranno farmi su un caso che davvero non esiste”), ma gli sfottò su di lui che indica, in un vecchio video, l’Arabia Saudita come il luogo del “nuovo Rinascimento”, dicendo che si tratta di un Paese che “invidio” (il principe saudita Mohammed Bin Salman è oggetto di forti critiche sui diritti umani dall’Onu come dalla Ue) lasciano il segno, in lui. Solo gli attacchi di Calenda vengono liquidati con facilità e sufficienza (“E meno male che, fino a ieri, ci pregava di indicarlo a candidato sindaco a Roma, ora se lo piò scordare!” sbotta un renziano doc), ma per il resto ieri non è stata una giornata facile per Renzi, nonostante la vittoria tattica su Fico…


SPAZIO CURIOSITA’. Stampelle e selfie entrano, per la prima volta, alle consultazioni. Ironia Salvini sul Renzi show del giorno, contestazioni fuori dal Quirinale dirette contro il leader leghista

Giorgia meloni

Lo strappo al polpaccio, mentre stava facendo un po’ di sport, Giorgia Meloni se lo sarebbe risparmiato volentieri

Lo strappo al polpaccio, mentre stava facendo un po’ di sport, Giorgia Meloni se lo sarebbe risparmiato volentieri. Ma la leader di Fratelli d’Italia ne ha evitato un altro politico, perché alla fine il centrodestra si è compattato e alla fine le stampelle le hanno fornito l’occasione per un ventaglio di battute sul governo Conte. “Diremo no a un governo zoppo…“, scherza prima di recarsi con gli alleati al Colle per le consultazioni. Una delegazione di 13 persone (una specie di assembramento non autorizzato, a causa dei famelici ‘piccoli’ del centrodestra che, da Toti a Lupi all’Udc, vogliono esserci a tutti i costi…), con in testa il leghista Matteo Salvini che non si è levato la mascherina tricolore nemmeno per il selfie da una finestra del Quirinale, anticipando su Twitter alcuni dei concetti poi riportati al capo dello Stato, Sergio Mattarella. Selfie e stampelle, mai viste, al Colle… Un altra rottura di una lunga tradizione di incontri paludati e ‘ufficiali’ che ormai non stupisce più nessuno, tranne i poveri corazzieri. 

Le misure anti-Covid hanno in ogni caso obbligato ad allargare la tavolata, con i leader dei cinque partiti su un lato (c’erano anche i leader dei tre piccoli: Giovanni Toti di Cambiamo!, Maurizio Lupi di Noi con l’Italia, e Antonio De Poli per l’Udc), di fronte al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, con i capigruppo di Senato e Camera ai lati, tutti separati da pannelli di plexiglass.

La riunione è stata la più lunga dei tre giorni di consultazioni ed è finita mentre nel palazzo faceva il suo ingresso la delegazione del Movimento 5 stelle, guidata dal capo politico, Vito Crimi. Poco dopo Salvini si è presentato in sala stampa, esordendo all’insegna del sarcasmo: “Saremo più rapidi di qualche delegazione che ci ha preceduto”, ha detto prima di leggere la nota sintesi del pensiero delle cinque anime del centrodestra (in sintesi: nessun appoggio a Conte, serve soluzione rapida, il voto).

In tutto 150 secondi, 25 minuti in meno di quelli che sullo stesso podio si è preso Matteo Renzi ieri. Salvini è uscito dal Quirinale sorridendo sotto la mascherina e ha tirato dritto ignorando le 4-5 persone che dall’altro lato della strada gli urlavano ‘vergogna, vergogna!’. A marcarli stretti carabinieri e agenti, un imponente cordone di sicurezza che presidiava la piazza, in cui per ore sono rimaste assiepate decine di giornalisti, fotografi e operatori tv. Tajani intanto si è scattato una foto con De Poli e con i capigruppo di FI, Anna Maria Bernini e Mariastella Gelmini. Il centrodestra è compatto? “Più compatto di così”, ha risposto la Bernini allargando le braccia. I prossimi giorni diranno se è vero, ma dalle interviste rilasciate oggi dall’azzurra Mara Carfagna non sembra proprio.

E lo stesso vale per i 5 Stelle, che hanno lasciato il Quirinale mentre faceva buio. I cameraman, per la disperazioni eletti a ‘fonti dai colleghi, sentivano aria di stallo: “Ci si rivede qua lunedì”. Invece in serata al Quirinale è stato convocato il presidente della Camera, Roberto Fico. La sede per risolvere la crisi si sposta a Montecitorio, ma al nuovo governo comunque potrebbe servire una stampella


 

APPENDICE: PUBBLICO, CON AGGIORNAMENTI, LE CASISTICHE E LE DEFINIZIONIE SUI MANDATI ESPLORATIVI, MANDATI PIENI, RE-INCARICHI, PRE-INCARICHI del 2018 e del 2019.

Nb.: questa parte è tratta dalle due voci del ‘Dizionario della crisi di governo 2018’ e dal ‘Dizionario della crisi di governo 2019’

Le formule di governo di cui si parla. Incarico pieno, incarico con riserva, incarico esplorativo, pre-incarico

 

Si parla molto, in questi giorni, delle diverse formule con cui il presidente della Repubblica può concedere l’incarico a formare un nuovo governo. Vediamole tutte o le principali formule e tipologie.

**Incarico (tipo di). Il tipo di incarico a un presidente del Consiglio che il capo dello Stato può conferire (pieno, esplorativo o un pre-incarico) viene reso noto solo alla fine delle consultazioni. L’incarico che viene conferito al presidente del Consiglio è orale, e non scritto: viene cioè comunicato a voce dal presidente della Repubblica al premier incaricato. Il motivo è semplice: se fosse un documento scritto, come ogni documento del Capo dello Stato, dovrebbe essere controfirmato dal presidente del Consiglio uscente, quello in carica per il disbrigo degli affari correnti, che potrebbe – un’ipotesi di scuola, certo – rifiutarsi.  Nella scelta che il Capo dello Stato fa egli ha piena libertà di manovra: può conferire, appunto, un incarico pieno o parziale (pre-incarico o incarico esplorativo), può indicare, per tale incarico, una personalità politica o non politica, di estrazione parlamentare o non parlamentare, una figura espressione di una forza politica, di un’area politica o un tecnico o una personalità istituzionale. Il Capo dello Stato non può sindacare un indirizzo o un programma di governo, ma può chiedere che a) la base parlamentare del futuro governo sia solida; b) i programmi e le alleanze di governo siano chiari; c) i ministri del governo corrispondano a dei particolari criteri per il ruolo prescelto perché spetta a lui il ruolo di controfirma della lista dei ministri oltre che della nomina del presidente del Consiglio (articoli 92 e 93 della Costituzione).

 

***Pre-incarico. Serve per verificare se il presidente pre-incaricato è capace di trovare una maggioranza utile a formare un governo. Il presidente del Consiglio pre-incaricato, dopo il suo – autonomo – giro di consultazioni deve tornare a riferire al Capo dello Stato per comunicare se ha trovato una maggioranza parlamentare e, dunque, se è in grado di presentarsi davanti alle Camere per chiedere la fiducia (vedi alla voce). Ma è il Capo dello Stato che decide, in modo insindacabile, se trasformare il pre-incarico in un incarico pieno (vedi alla voce), facendo giurare il presidente incaricato nelle sue mani e poi mandandolo davanti alle Camere per ottenere la fiducia (vedi alla voce). Il presidente pre-incaricato non giura né compone la lista dei ministri. E’ il Capo dello Stato, inoltre, e non il presidente pre-incaricato a sciogliere la riserva (vedi alla voce). Il pre-incarico è, di fatto, una ‘quasi’ designazione, ma “debole”, a Presidente del Consiglio, ma solo in 5 casi su 11 ha visto trasformare il pre-incarico in un incarico vero.

Il pre-incarico, nell’arco di 64 governi, è stato conferito finora per 11 volte nella storia della Repubblica italiana:

dal Presidente Luigi Einaudi al Presidente del Consiglio uscente Alcide De Gasperi (Dc), nel luglio 1953.

dal Presidente Giovanni Gronchi all’ex ministro Antonio Segni (Dc), nel maggio 1955.

dal Presidente Gronchi al segretario della Dc Amintore Fanfani, nel giugno 1957.

dal Presidente Giuseppe Saragat al Presidente del Consiglio uscente, Aldo Moro (Dc), nel febbraio 1966.

dal Presidente Saragat al segretario della Dc Mariano Rumor, nel giugno 1968.

6, 7, 8. dal Presidente Saragat al ministro degli Esteri Moro (Dc), poi al Presidente del Senato Fanfani (Dc) e infine al Presidente del Consiglio uscente Rumor (Dc), marzo 1970.

9, 10. dal Presidente Oscar Luigi Scalfaro al Presidente del Consiglio uscente Romano Prodi e poi al segretario dei Ds Massimo D’Alema, nell’ottobre 1998.

  1. dal presidente Giorgio Napolitano a Pier Luigi Bersani, segretario del Pd, nel marzo 2013.

*Spazio Curiosità** Il pre-incarico affidato da Napolitano a Pierluigi Bersani nel marzo del 2013 per verificare la possibilità di trovare una maggioranza che il centrosinistra aveva solo nella Camera, ma non al Senato, rimase tale: non si trasformò mai, cioè, in un incarico pieno, ma rimase ‘congelato’ fino al 30 marzo, quando Napolitano comunicò che restava in carica il governo Monti, dimissionario ma ancora in carica per il disbrigo degli affari correnti (vedi alla voce), e non fu mai più ‘scongelato’. Bersani, formalmente, non protestò, ma espresse il suo disappunto e, dopo, diversi libri di memorie lo riportarono, mai smentiti.

  1. dal presidente Mattarella a Giuseppe Conte nel maggio del 2018. Dopo la rinuncia del presidente pre-incaricato, che ha rimesso il mandato nelle mani del capo dello Stato, e l’incarico ‘lampo’ a Carlo Cottarelli (altra piccola curiosità: si è trattato di un incarico dato e revocato in un giorno!), il presidente della Repubblica ha conferito un incarico pieno a Conte, quello che poi lo ha portato a formare il governo ‘Conte I’ (M5s-Lega).

Dunque, solo in cinque di questi dodici casi il presidente del Consiglio “pre-incaricato” ha ricevuto l’incarico pieno e ha formato un governo: De Gasperi (Dc) nel 1953, a Segni (Dc) nel 1955, a Moro (Dc) nel 1966, a Rumor (Dc) nel 1970 e a D’Alema (Pds) nel 1998.

***Incarico esplorativo. E’ un incarico che viene quasi sempre affidato a una personalità terza (di solito il presidente di uno dei due rami del Parlamento, preferibilmente quello del Senato, seconda carica dello Stato) al fine di esplorare nuove possibilità d’intesa che, durante le consultazioni, non sono emerse, ma che potrebbero emergere nei colloqui informali del presidente incaricato. Alla fine dei colloqui informali tenuti con i partiti, il presidente incaricato di un mandato esplorativo riferisce lo stato dell’arte al Presidente della Repubblica che valuta il da farsi e, cioè, se confermare l’incarico al presidente incaricato con un mandato esplorativo, o effettuare un nuovo giro di consultazioni o attribuire l’incarico a un’altra figura. Di solito, l’incaricato di un mandato esplorativo non viene quasi mai trasformato in un pre-incarico o incarico pieno.

L’incarico esplorativo non va confuso con il pre-incarico (vedi alla voce).

Nella storia dei 64 governi repubblicani, fino ad ora un “mandato esplorativo” è stato conferito dodici volte (13 col mandato Fico 2021):

  1. dal Presidente Giovanni Gronchi al presidente del Senato, Cesare Merzagora (indipendente), il 15 giugno 1957;
  2. dal Presidente Gronchi al presidente della Camera, Giovanni Leone (Dc), il 4 marzo 1960;
  3. dal Presidente Giuseppe Saragat al presidente della Camera, Sandro Pertini (Psi), il 24 novembre 1968;
  4. dal Presidente Saragat al presidente del Senato, Amintore Fanfani (Dc), nell’agosto 1969;
  5. dal Presidente Giovanni Leone al presidente del Senato, Spagnolli (Dc), nell’ottobre 1974;
  6. dal Presidente Sandro Pertini al presidente del Senato, Giuseppe Morlino (Dc), nell’aprile 1983;
  7. dal Presidente Francesco Cossiga al presidente del Senato Fanfani (Dc) il 4 luglio 1986;
  8. dal Presidente Francesco Cossiga al presidente della Camera, Leonilde Jotti (Pci), nel marzo 1987;
  9. dal Presidente Cossiga al presidente del Senato, Giovanni Spadolini (Pri), il 26 giugno 1989;
  10. dal Presidente Giorgio Napolitano al presidente del Senato, Franco Marini (Pd), nel gennaio 2008.
  11. dal Presidente della Repubblica Mattarella alla presidente del Senato, Casellati, dal 18 al 20 aprile del 2018.
  12. dal Presidente della Repubblica Mattarella al presidente della Camera, Roberto Fico (M5S) dal 23 al 27 aprile 2018.
  13. dal Presidente della Repubblica Mattarella al presidente della Camera, Roberto Fico (M5S) dal 29 gennaio al 2 febbraio 2021…

Da sottolineare che, in nessuno di questi dodici casi, il presidente esploratore è stato poi nominato Presidente del Consiglio. Ovviamente, l’incarico conferiito il 29 gennaio 2021 dal presidente Mattarella al presidente della Camera Roberto Fico, e in corso di espletamento, è il caso n. 13, ma anche in questo caso si tratta di un ‘work in progress’…

***Incarico pieno. E’, ovviamente, la norma, o dovrebbe esserlo. La prassi costituzionale vede il presidente del Consiglio incaricato di formare un governo accettare l’incarico sempre “con riserva” (vedi alla voce) per poi scioglierla e formare il governo che giura (prima il presidente del Consiglio, poi i ministri) nelle mani del Capo dello Stato. Dopo il formale giuramento, il governo così nato si presenta davanti al Parlamento per chiedere la fiducia (vedi alla voce), che deve ottenere da parte di entrambe le Camere entro 10 giorni (termine tassativo ex art 94 Costituzione).

Ove la ottenga, inizia a governare. Ove non la ottenga, il governo appena nato si dichiara ‘battuto’ e rimette il suo mandato nelle mani del Capo dello Stato, il quale procede a nuove consultazioni. Il governo così nato, a quel punto, si dichiara “dimissionario” (vedi alla voce) ma resta in carica “per il disbrigo degli affari correnti” (vedi alla voce).

****Incarico con Riserva. Il presidente del Consiglio incaricato accetta l’incarico da parte del Presidente della Repubblica sempre “con riserva”. Vuol dire che questi, non essendo sicuro di formare una maggioranza di governo, si ‘riserva’ la possibilità di scioglierla davanti al Capo della Stato. La prassi della ‘riserva’ è sempre stata rispettata dai presidenti del Consiglio incaricati. La formula della “riserva” è stata violata solo in due occasioni. La prima volta dal presidente del Consiglio Pella (Dc) nel 1954 che, concorde l’allora Capo dello Stato Luigi Einaudi, andò direttamente davanti alle Camere per chiedere ed ottenere la fiducia. La seconda volta accadde con Silvio Berlusconi nel 2008: forte della vittoria elettorale ottenuta alle elezioni, rifiutò la formula dell’accettazione “con riserva” e procedette subito alla nomina dei ministri con un incarico pieno, nonostante le formali ‘proteste’ dell’allora Capo di Stato Napolitano.

**Re-incarico. Il presidente della Repubblica può decidere di riaffiorare l’incarico al presidente del Consiglio uscente per formare un governo nuovo rispetto a quello precedente e inviarlo davanti alle Camere per ottenere la fiducia, ove ritiene che vi siano le condizioni politiche per dare fiducia allo stesso premier. Il presidente del Consiglio viene definito, a quel punto, ‘re-incaricato’ e dà luogo a un rimpasto del suo governo, cambiando alcuni ministri e giurando di nuovo, oppure a un esecutivo del tutto nuovo rispetto a quello precedente da lui diretto fino a quel momento. In alternativa, il Capo dello Stato può rimandare quello stesso governo davanti alle Camere, senza che si dimetta, per verificare se goda ancora o meno della loro fiducia.

Breve storia dei mandati esplorativi.

  • Premessa metodologica. Il primo incarico ‘esplorativo’ fu affidato al presidente del Senato, Cesare Merzagora, nel 1957, i penultimi sono stati, anche se non formalmente, nel 2013 i dieci saggi suddivisi in due commissioni; gli ultimi, ovviamente, sono stati gli incarichi esplorativi affidati da Sergio Mattarella alla presidente del Senato, Elisabetta Alberti Casellati e poi al presidente della Camera, Roberto Fico. Sono di solito sempre i presidenti del Senato (più frequentemente) o della Camera i destinatari dell’incarico esplorativo che, durante le procedure per la formazione del governo, il Presidente della Repubblica può chiamare a verificare se esistano i presupposti, ed eventualmente a dare un impulso, per arrivare ad una possibile soluzione della crisi o per favorire una fase di decantazione e guadagnare tempo in attesa che maturino le intese politiche necessarie tra i partiti. Solitamente si tratta di personalità super partes ma con una connotazione più politica rispetto a quella del Capo dello Stato, in grado quindi di avere un approccio bipartisan alle questioni, ma anche di inserire nel confronto tra le forze politiche quegli elementi che possano permettere di superare lo stallo. Il profilo richiesto richiama la figura dei presidenti delle Camere che nei casi citati sono stati chiamati a svolgere l’incarico.

            *Il primo incarico esplorativo a Merzagora nel 1957.

Il primo ‘esploratore’ fu il presidente del Senato, Cesare Merzagora (indipendente, laico), nella fase che poi portò alla formazione del governo Adone Zoli, dopo la crisi apertasi con le dimissioni del governo guidato da Antonio Segni il 6 maggio 1957. Nel conferirgli l’incarico, il Presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, spiegò che come suo supplente (il presidente del Senato lo.è per Costituzione), la Costituzione gli conferiva “il compito di accertare quali concrete possibilità esistessero di costituire un governo in grado, per la composizione e il programma, di riscuotere la fiducia delle Camere e del Paese”. Merzagora accettò il mandato, spiegando di considerare il suo compito limitato proprio a verificare se fosse possibile far nascere un nuovo esecutivo, rinunciando quindi ad una automatica trasformazione in incarico pieno e ritenendo opportuno ricorrere al presidente del Senato solo come estrema risorsa. L’incarico non ebbe seguito. L’incarico esplorativo a Merzagora, pur infruttuoso, portò alla nascita dell’esecutivo (un monocolore Dc) guidato da Adone Zoli che, però, alla Camera, incassò i voti dell’Msi, partito neofascista fuori dall’arco costituzionale, convinto che non fossero decisivi. Ma quando, il giorno dopo la nascita del governo, vennero rifatti i conti e si scoprì che i voti dell’Msi decisivi lo erano stati per davvero (per un voto!), il governo Zoli entrò in crisi  presentò le sue dimissioni ma Gronchi chiese comunque a Zoli di restare in carica e fu il suo governo che porterà nel 1958 il Paese al voto, alla scadenza naturale della legislatura.

  • L’incarico al presidente della Camera Leone nel 1960

Il 4 marzo del 1960, dopo le dimissioni di un esecutivo presieduto da Antonio Segni, il presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, decise di chiamare come ‘esploratore’ il presidente della Camera, Giovanni Leone (Dc). Anche in questo caso, l’accettazione della chiamata da parte del Capo dello Stato fu accompagnata dalla premessa che un incarico pieno ad una carica istituzionale poteva giustificarsi solo in presenza di una situazione particolare come era, in quel caso, la necessità di presiedere un governo destinato a condurre il Paese ad elezioni anticipate. Ipotesi, in quella fase, non ancora all’ordine del giorno e che così resterà per molto tempo. Dopo l’infruttuoso tentativo Leone e un nuovo incarico affidato sempre a Segni, costretto a rinunciare per l’impossibilità di dare vita sia a una nuova maggioranza di centrosinistra che di centrodestra, il presidente Gronchi, con un’iniziativa ‘personale’, decise di affidare un incarico pieno all’allora ministro del Bilancio, Fernando Tambroni, che diede vita a quello che viene definito un governo “d’affari”, cioè di diretta emanazione del presidente della Repubblica: nacque un monocolore Dc “tecnico” che governò dal marzo al luglio del 1960. In prima battuta, il governo Tambroni si dovette dimettere perché, alla Camera, nel voto di fiducia, risultarono determinanti, ancora una volta, come era già successo a Zoli, i voti dell’Msi, fatto politico che comportò le dimissioni immediate dei tre ministri della sinistra Dc e la richiesta, avanzata dalla Direzione della Dc, di far cadere l’esecutivo. Gronchi incaricò Amintore Fanfani di dare vita a un nuovo esecutivo che aprisse la fase del centrosinistra, ma il momento non era ancora maturo e la Dc rifiutò di sostenerlo. Allora, il presidente Gronchi rifiutò le dimissioni di Tambroni e lo mandò davanti al Senato, dove il governo ottenne la fiducia. Il ritiro delle dimissioni e la fiducia del Parlamento furono  condizionati alla durata di pochi mesi per consentire l’approvazione del bilancio. Il governo si dimise, questa volta in modo irrevocabile, per lo scoppio dei disordini e le manifestazioni dell’opposizione contro un governo ritenuto “in combutta” con l’Msi. A quel punto, la Dc maturò la convinzione di aprire la strada al centrosinistra e l’incarico tornò a Fanfani che, con il suo III governo (1960-’63) ebbe l’appoggio del Psi.

  • Ancora un incarico a Leone nel 1963. 

Un nuovo incarico esplorativo venne affidato, nel giugno del 1963, all’inizio della legislatura, al presidente della Camera, Giovanni Leone (Dc), che in tre giorni risolse la crisi: fu nominato dal presidente della Repubblica, Antonio Segni, presidente del Consiglio di un governo rimasto in carica fino all’autunno, prima della nascita del centrosinistra organico di Aldo Moro (Dc). Il governo Leone (giugno-novembre 1963) fu un governo “ponte” o “traghetto” e cioè un monocolore Dc che doveva aprire la strada a un vero governo di centrosinistra che sarà composto da Aldo Moro alla fine del 1963.

  • Gli incarichi esplorativi a Pertini e Fanfani, nel 1968, e a Spagnolli, nel 1974

Nella fase più ‘tarda’ del centrosinistra vennero affidati altri due incarichi esplorativi, durati appena un giorno, dal Capo dello Stato, Giuseppe Saragat (Psdi), prima al presidente della Camera, Sandro Pertini (Psi), il 24 novembre 1968, e poi a quello del Senato, Amintore Fanfani, il 2 agosto del 1969, entrambi del tutto infruttuosi. Nella legislatura successiva, la VI, il 10 ottobre del 1974, dopo la crisi del quinto governo Rumor, il Presidente della Repubblica, Giovanni Leone, affidò l’incarico esplorativo al presidente del Senato, Giovanni Spagnolli (Dc), che tre giorni dopo gli consegna una relazione scritta sui colloqui avuti. Dovette comunque passare ancora più di un mese prima che vedesse la luce il quarto esecutivo di centrosinistra presieduto da Aldo Moro.

  • L’incarico esplorativo a Morlino nel 1983.

Nel 1983 un incarico esplorativo venne conferito dal presidente della Repubblica, Sandro Pertini, al presidente del Senato, Tommaso Morlino (Dc), per verificare se effettivamente emergesse l’incapacità del Parlamento di esprimere una maggioranza dopo le dimissioni del V governo Fanfani per l’uscita del Psi dalla maggioranza che puntava alle elezioni per formare un nuovo esecutivo dopo aver guadagnato voti, ma il tentativo di Morlino fallisce subito, le Camere vengono sciolte anticipatamente e il Paese va alle urne il 26-27 giugno 1983 quando si aprirà l’era dei governi politici a guida Craxi.

  • Ancora un incarico a Fanfani nel 1986.

Nel 1986 Amintore Fanfani, presidente del Senato, venne chiamato dal Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, a coadiuvarlo nella ricerca di una soluzione per la crisi apertasi con le dimissioni del primo governo di Bettino Craxi. Era il 4 luglio 1986 e cinque giorni dopo, terminata la sua esplorazione, Fanfani riferì al Capo dello Stato che dagli elementi raccolti emergeva la possibilità di arrivare ad una soluzione della crisi, che poi culminò con l’avvento del Craxi bis. Fanfani, peraltro, guidò poi un governo che traghettò il Paese nella fase finale della legislatura che si chiuse con le elezioni del 1987.

  • Nilde Iotti, la prima ‘esploratrice’ donna nel 1987

La perdurante tensione tra Dc e Psi rese necessario l’intervento per la prima volta di una ‘esploratrice’, e cioè la presidente della Camera Nilde Iotti (Pci), chiamata dall’allora presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, il 27 marzo 1987, ad esplorare la possibilità della rinascita di una formula di governo che, pur pienamente in vigore, appariva già logora, quella del pentapartito, ma la Jotti dovette presto passare la mano.

  • L’incarico esplorativo a Spadolini nel 1989.

Sempre durante una delle crisi più lunghe e difficili, all’epoca del pentapartito, prima che si riuscisse a dar vita al sesto gabinetto presieduto da Giulio Andreotti, fu chiamato ad ‘esplorare’ il presidente del Senato, Giovanni Spadolini (Pri). La situazione politica si era avvitata su se stessa perché, sotto i fendenti di Bettino Craxi lanciati dal palco del congresso del Psi di Milano, a Roma era caduto il governo guidato da Ciriaco De Mita e il “patto della staffetta” tra i due leader di Psi e DC (Craxi e De Mita, appunto) era saltato. La Dc si era arroccata sul nome di De Mita: “O un altro governo De Mita o nulla” era la minaccia. Spadolini, dal 26 maggio all’11 giugno 1989 ebbe un mandato esplorativo da parte del presidente della Repubblica Cossiga, mandato che portò a termine, dichiarandolo il nulla di fatto, dopo due giri di consultazioni. Dovette passare un mese per la nascita del VI governo Andreotti e per veder risolta una crisi durata ben 64 giorni.

  • Marini esplora nel 2008 dopo le dimissioni di Prodi

Prima di sciogliere le Camere dopo le dimissioni di Romano Prodi nel gennaio del 2008, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, affidò al presidente del Senato, Franco Marini, l’incarico di esplorare se tra le forze politiche esistesse la possibilità di consenso su una riforma della legge elettorale e il sostegno ad un governo che accompagnasse l’approvazione della riforma, assumendo altre decisioni urgenti. Marini, vecchia volpe del Ppi-Margherita e prima ancora leader della Cisl, cercò di convincere Prodi a dimettersi prima e di non andare a una rovinosa conta in Senato “altrimenti da qui non ne usciamo vivi”, ma non ci fu nulla da fare. Ma Prodi, il 24 gennaio 2008, volle la prova dell’Aula e la perse perché l’Udeur di Mastella votò contro. A quel punto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, affidò allo stesso Marini un mandato esplorativo per cercare di tenere in piedi la rissosa maggioranza dell’Unione, ma Marini non riuscì nell’intento e la legislatura fu sciolta per indire nuove elezioni.

  • La stranezza della commissione di saggi ‘esploratrice’ nel 2013

Inedita la formula sperimentata invece dallo stesso Napolitano all’inizio della passata legislatura, dopo l’impossibilità di formare un governo verificata da Pier Luigi Bersani. Al termine di un rapido giro di consultazioni, il 30 marzo del 2013 il Capo dello Stato decise di formare due commissioni di lavoro, chiamate a stabilire contatti con i Gruppi parlamentari, per un confronto su proposte programmatiche in materia istituzionale ed economico-sociale ed europea. Un’iniziativa che avrebbe rappresentato il prodromo per la successiva nascita del governo di larghe intese presieduto da Enrico Letta. Del primo comitato dei saggi (4) facevano parte Valerio Onida, Mario Mauro, Gaetano Quagliariello e Luciano Violante; del secondo (6), Enrico Giovannini, presidente dell’Istat, Giovanni Pitruzzella, presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato; Salvatore Rossi, membro del Direttorio della Banca d’Italia; Giancarlo Giorgetti e Filippo Bubbico, allora presidenti delle Commissioni speciali operanti alla Camera e al Senato in avvio di legislatura; l’allora ministro per gli Affari europei Enzo Moavero Milanesi. Il lavoro della commissione dei dieci saggi fu poi archiviato e non ebbe alcun seguito sostanziale. Ricorda il senatore Gaetano Quagliariello, uno dei saggi indicati da Napolitano, che “si trattò di un’esplorazione endogena perché esplorammo dal di dentro” ma il risultato fu la predisposizione del terreno per la nascita del governo di “larghe intese” a guida Letta.

  • Il mandato esplorativo al presidente del Senato Casellati e della Camera Fico 2018.
    Nel 2018, dopo le elezioni politiche del 4 marzo, un mandato esplorativo è stato affidato dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, alla presidente del Senato, Elisabetta Maria Alberti Casellati (FI)con un confine specifico: verificare la possibilità di formare un governo nel ‘perimetro’ di una possibile alleanza tra centrodestra e M5S e, anche, con un orizzonte temporale molto limitato, i giorni dal 18 al 20 aprile 2018, con l’obbligo di riferire, entro quella data, al Capo dello Stato. L’esplorazione si è conclusa il 21 aprile scorso, è durata solo due giorni e non ha prodotto risultati significativi. Sempre su incarico del presidente Mattarella è stato affidato un mandato esplorativo, per verificare le possibilità di un’intesa tra M5S e Pd, il 23 aprile 2018, al presidente della Camera, Roberto Fico, che ha sondato i partiti e ha parlato di “dialogo avviato”, chiedendo qualche giorno in più – di mezzo c’era il 25 aprile – per approfondire i rapporti tra queste due forze politiche e in vista della Direzione del Pd fissata per il 2 maggio, ma poi l’intervista tv dell’ex leader del Pd, Matteo Renzi, ha tolto all’ipotesi ogni consistenza. Il presidente Fico ha dunque rimesso il mandato esplorativo nelle mani del Capo dello Stato il giorno dopo, il 26 aprile 2018. Oggi, con il conferimento dell’incarico sempre da parte del presidente Mattarella, a Roberto Fico va, nel giro di soli tre anni, il secondo mandato esplorativo per una ricognizione dentro il ‘perimetro’, come ha detto Mattarella nel conferire l’incarico, all’interno delle forze politiche che componevano la maggioranza di governo del ‘Conte II’ (Pd-M5s-Iv-LeU). Fico inizierà le sue consultazioni alla Camera il 30 gennaio e dovrà tornare a riferire al Capo dello Stato entro e non oltre il 2 febbraio 2021. Un work in progress