“Aridatece er Cencelli!”. Incassata la fiducia, con la doppia scissione nei M5s, inizia la partita del sottogoverno

“Aridatece er Cencelli!”. Incassata la fiducia, con la doppia scissione nei M5s, inizia la partita del sottogoverno

19 Febbraio 2021 1 Di Ettore Maria Colombo

Sommario

Incassata la fiducia in entrambe le Camere, e provocata la doppia scissione dentro il M5s (i dissidenti fonderanno gruppi autonomi), inizia la partita del sottogoverno. “Aridatece er Cencelli!” urlano i partiti che, famelici negli appetiti, si lanciano nell’assalto alla diligenza.

assalto diligenza

Assalto alla diligenza

Draghi resiste, e avoca la pratica a sé. Il braccio di ferro sarà lungo. I 5Stelle dissidenti rispolverano l’IdV di Tonino Di Pietro per formare gruppi autonomi e scissioni dal Movimento. In ogni caso, i loro sono numeri importanti (15 senatori e 16 deputati). Gli equilibri, dentro le Camere, possono cambiare e pure presto

GOVERNO DRAGHI

 

Il governo Draghi ha chiuso in modo pieno e soddisfacente, pur se non eccelso, la partita della fiducia nelle Camere. Al Senato, mercoledì, con 262 si, 101 in più del quorum, ma restando sotto il record dei 282 sì del governo Monti, e trovandosi 40 voti contrari, tra i quali esplode la defezione dei pentastellati: ben 15 senatori M5s hanno votato contro e sono stati cacciati dal gruppo. Per ora, finiranno nel Misto, ma sono possibili evoluzioni formali, come vedremo dopo.

Da notare anche che, come già accaduto al Senato, i voti di fiducia a Draghi ‘non’ battono il record del governo Monti, che ottenne 556 sì, a Montecitorio. Draghi si posiziona al terzo posto, per voti favorevoli, al suo governo dopo gli esecutivi guidati da Monti e l’Andreotti IV (1978, 545 sì).

Al Senato i voti del centrodestra pro-Draghi superano quelli del centrosinistra, alla Camera non ancora…

elena fattori

Elena Fattori

Un voto solido, quello a favore di Mario Draghi in Senato, ma che può cambiare gli equilibri fra le due principali coalizioni che in queste ore riflettono sulla costituzione in intergruppi o federazioni. Le 21 defezioni fra i 5 Stelle (15 voti contrari e sei che non hanno partecipato al voto, e pur senza considerare i due M5s in congedo o missione) fanno scendere la compagine grillina a 71 componenti, da sommare ai 35 senatori del Pd e ai 5 di Leu: la pattuglia di Liberi e Uguali conta in realtà 7 senatori, ma due iscritte ex grilline – Elena Fattori e Paola Nugnes – hanno votato contro la fiducia.

Paola Nugnes

Paola Nugnes

I calcoli sono presto fatti: i giallorossi vantano adesso 110 senatori, contro i 115 di Fi e Lega. Si badi: anche senza i 19 senatori di Fratelli d’Italia – schierati per il No – i due partiti del centrodestra (Lega e FdI) che sostengono Draghi sono più rappresentativi rispetto a quelli di centrosinistra (Pd-M5s-LeU) a livello parlamentare e nei fatti si pongono come azionisti di riferimento dell’esecutivo. Alla Camera, invece, l’effetto ottico è meno distorcente: 221 deputati di Lega e FI, più vari sottogruppi e gruppetti di area centrodestra (Noi con l’Italia, Cambiamo, Udc, etc.) per un totale di 231 e rotti deputati non si avvicinano nemmeno lontanamente alla somma di M5s+Pd+LeU, (280 seggi), pur se decurtata dei 16 deputati M5s scissionisti.

 

Draghi supera la fiducia in modo largo nelle Camere

fiducia

Anche alla Camera, ieri, dunque, con un voto arrivato sempre in notturna il governo Draghi tiene alta l’asticella della fiducia ottenendo 535 sì contro 56 no e 5 astenuti. Anche qui – come al Senato – i contrari rappresentano però un numero corposo (40 senatori e 56 deputati), superiore alle attese della vigilia. Innanzitutto, cresce e si consolida la fronda dentro il M5s con 16 deputati che hanno votato no mentre in quattro si sono astenuti (al Senato erano in sei) mentre in 14 erano assenti, di cui solo due erano ‘in missione’ (quindi assenti giustificati) e solo due i malati. Anche di questi 30 deputati in totale, a partire da domani, si occuperanno i probiviri per decretare possibili espulsioni-

Gianluca Vinci

Gianluca Vinci

Da segnalare, infine, un deputato leghista, Gianluca Vinci, che ha votato no, passando nel gruppo di Fratelli d’Italia. Una piccola, ma significativa, emorragia. Sono in tutto tre gli esponenti leghisti che hanno lasciato il partito di Matteo Salvini e si sono mossi verso Fratelli d’Italia. Il più inatteso è il voto di ieri Gianluca Vinci, leghista di lungo corso, eletto per la prima volta consigliere comunale a Reggio Emilia nel 2009. In dissenso con la scelta di Salvini di appoggiare l’ex governatore della Bce, anche l’eurodeputato calabrese Vincenzo Sofo, fidanzato di Marion Le Pen, e il capogruppo in Consiglio regionale della Basilicata, Tommaso Coviello. Sofo ha lasciato il gruppo dei sovranisti (Id), a Strasburgo, per passare a quello dei Conservatori (Ecr), dove siedono gli esponenti di FdI.

 

Cosa faranno i due gruppi di fuoriusciti dal M5s

scissione

Alla Camera, i 16 pentastellati dissidenti, e che verranno espulsi, potranno facilmente – basta loro raggranellare altre quattro anime perse uscite dal M5s, oggi vegetanti al Misto – costituire un gruppo autonomo perché, per farlo, basta avere con sé venti deputati. Un modo per evitare il calderone e la ‘tagliuola’ del Misto, ma anche e soprattutto per diventare attrattivi, ottenere molti più posti e prebende. Il che vuol dire anche servizi utili, finanziamenti, personale, soprattutto si può ‘contare’ nella conferenza dei capigruppo (che decide il calendario d’aula dei lavori parlamentari), nei tempi di parola e di presentazione degli emendamenti, etc. In ogni caso, il nascente gruppo si metterà all’opposizione del governo Draghi, il che vuol dire che può aspirare, e legittimamente, anche a ottenere importanti e delicate presidenze di commissioni e comitati di garanzia (Copasir, Vigilanza Rai, Antimafia, Giunte elezioni) che, per statuto e regolamento delle Camere, vanno alle opposizioni, evitando così di lasciare a FdI la possibilità di farne man bassa.

 

La ‘gabola’. I 5Stelle risuscitano l’IdV di Di Pietro…

Logo Italia dei Valori

Al Senato, invece, in base al nuovo Regolamento, varato nel 2018 in epoca in cui era presidente Pietro Grasso, non basta avere il numero minimo di dieci senatori per potersi costituire in gruppo autonomo. Serve anche un simbolo o contrassegno che si sia effettivamente presentato alle ultime elezioni politiche. Ma fatta la legge, trovato l’inganno. Come il piccolo Psi di Riccardo Nencini si è prestato all’operazione compiuta da Renzi con la spaccatura nel Pd e la nascita di Iv, prestando al nuovo gruppo al Senato il simbolo, che si era presentato alle Politiche 2018, con grafica minuscola, dentro la lista ‘Civica e Popolare’ che l’ex ministro di Ncd-Ap, Beatrice Lorenzin, aveva creato in collegamento con il centrosinistra e alleata al Pd per ‘traghettare’ verso questi alcuni sparuti gruppi politici. Scialuppa di salvataggio che elesse solo lei, la Lorenzin, ma dentro cui vi erano anche Ap (Alternativa Popolare) e l’IdV dell’oscuro Carneade Ignazio Messina, succeduto ai ‘fasti’ dell’era in cui imperversava, nella politica italiana, Tonino Di Pietro, ormai da anni ritiratosi, novello Cincinnato, nella sua terra natia, quella di Montenero di Bisaccia, in Molise.

 

Il ‘personaggio’ Lannutti e la sua operazione politica

Elio Lannutti

Elio Lannutti

Com’è, come non è, il senatore Elio Lannutti – già animatore del Codacons e dell’Adusbef, macchine per gonzi della comunicazione che spacciavano per oro colato sondaggi e rilevazioni assai discutibili, ma soprattutto agitatore di complotti giudo-pluto-massonici, uno che crede al complotto dei ‘Protocolli dei Savi di Sion’, protagonista di altre ‘perle’ comiche, rintracciabili facilmente in Rete – è riuscito ad ‘accaparrarsi’ il simbolo dell’IdV, oggi in mano a Messina, e intende portarlo in dote a quelli come lui e cioè agli scissionisti del M5s, oggi rimasti senza casa.

 

La pratica dell’entrismo. Dibba e Casaleggio restano ‘dentro’

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Casaleggio jr e Alessandro Di Battista sul palco di Catania

Eppure, l’operazione ‘gruppo autonomo’ non sarà benedetta da Di Battista. Oggi fuori dal Parlamento, dove però non vede l’ora di rientrare, non foss’altro che per lo stipendio, ‘Dibba’ ha deciso di restare alla finestra, per ora, e di fiancheggiare ‘da dentro’ – modalità ‘entrismo’ dei trotzkisti nel Pci stalinista che fu… – la opposizione velata alla svolta pro-Draghi del Movimento guidata da Di Maio, opposizione che fa capo direttamente a Casaleggio junior, per poi giocarsi la leadership del M5s in un secondo tempo, quando la regola del tetto dei due mandati – se non sarà abolita, nel frattempo – farà saltare, per Statuto, gran parte dell’attuale dirigenza pentastellata, Di Maio in testa a tutti.

 

Il problema dei sottosegretari già oggi angustia il governo…

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Il primo G7 di Draghi

Ma con il voto di fiducia conferito dalle Camere i problemi, per il governo, sono appena iniziati. A ‘scaldare’ il clima c’è una partita che si apre oggi, per il premier Mario Draghi, ma che di certo, entro oggi, non si chiude, quella del sottogoverno (nomina di sottosegretari e viceministri). Innanzitutto, si apre solo, la partita, perché oggi il premier è atteso da importanti impegni interni (inaugurazione dell’anno giudiziario della Corte dei Conti) e internazionali (vertice del G7, per quanto i leader della Terra si collegheranno in streaming), poi perché il ‘braccio di ferro’ tra i partiti è appena cominciato e non intende finire subito.

 

I rapporti di forza dentro il precedente governo

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Il Big Ben ha detto stop!

Draghi, ovviamente, alla fine suonerà la campanella e dirà ‘stop’, come il Big Ben, ma per ora, nei partiti, si ‘balla’ e si registrano appetiti famelici e ansie da competizione. Innanzitutto, prima di ‘sparare’ dei nomi, bisogna parlare delle quote che, in base all’antico – e mai caduto in disuso – ‘manuale Cencelli’ spettano a ogni partito. Nel Conte due, il M5s poteva vantare la bellezza di 14 sottosegretari, il Pd 11, due LeU e uno Italia Viva. Ai 5Stelle, inoltre, andarono inoltre sei viceministri, quattro al Pd, zero a LeU e a Iv.

Oggi, però, vanno trovati posti per le nuove, e di certo non piccole, forze politiche (Lega e FI) entrate in maggioranza, ma anche dare un ‘contentino’ ai piccoli gruppi (Responsabili-Cd al Senato, Azione-Più Europa, Maie, etc) rimasti, ovviamente, a bocca asciutta in quanto a ministeri.

 

Le quote stabilite tra i partiti in base al ‘Cencelli’

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Il manuale Cencelli

Le quote, stabilite in base al ‘Cencelli’, sarebbero, dunque, queste: 12/13 sottosegretari al M5s, sette ciascuno a Pd, FI, Lega, due a Iv, uno a LeU e tre da dividersi tra i gruppi più piccoli, inesistenti nel Paese ma esistenti in Parlamento. “La somma, che fa il totale”, diceva Totò, non ‘deve’ però non superare il magic number dei 65 membri al governo. Draghi di certo non sfonderà il ‘tetto’ previsto dalla legge Bassanini del 1997 che prevede il numero dei ministri con portafoglio pari a tredici e i membri totali del governo pari a 65, compresi cioè ministri, viceministri e sottosegretari, e che indica anche un’altra richiesta oggi di gran moda e in gran voga, quella della ‘parità di genere’. Un tema che, almeno nel Pd, è diventato un vero e proprio ‘caso’ politico.

 

“Cherchez la femme!”. La nuova ‘moda’ in voga nel Pd

Cherchez la femme

“Cherchez la femme!”

In pratica, data l’assenza di ministri donne, nella delegazione dem al governo, ne è scaturita, in casa Pd, la ‘rivolta delle donne’. Ecco perché; almeno in casa dem, vale l’adagio: Cherchez la femme!. “Se non sei donna e, meglio ancora, donna e del Sud (i ministri del governo Draghi sono molto sbilanciati verso la rappresentanza del Nord del Paese, ndr.) scordati un posto di sottogoverno!” mastica amaro, nel cortile di Montecitorio, un democrat, rigorosamente maschio, che aspirava a uno strapuntino, mentre fumava una sigaretta all’aperto, nonostante il freddo, giusto per ammazzare la noia della fila per votare la fiducia a un governo, quello Draghi, che lui e molti come lui – di tutti i partiti – hanno sostanzialmente e solo subito. Speranze potrebbe avere, invece, un maschietto, ma del Sud come il sindaco di Lampedusa, Totò Martello, nomina chiesta, ieri, a gran voce da tutti i democrat della Sicilia.

 

La regola aurea: come si scelgono i sottosegretari da ‘alleati’

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La regola Aurea di Fibonacci

Venendo, invece, alle caselle dei singoli ministeri, vale un’altra regola aurea: se un ministro è di un partito (per dire, Orlando al Welfare) sarà circondato da sottosegretari degli altri partiti con l’ordine di scuderia di marcarlo stretto. Traduzione: al Welfare andranno sottosegretari di M5s, FI, Lega, magari LeU o Iv, ma di certo non un altro democrat.

Forza Italia ha molti nomi, fino a venti, e tutti assai ambiziosi, ma per soli sette posti

Logo Forza Italia

Logo FI

Ma vediamo ora i principali partiti e i loro uomini e donne da piazzare. I nomi certi che girano tra gli azzurri da giorni sono sei ma la maxi lista consegnata dal partito arriva a 20. I ‘magnifici sette’ azzurri sicuri di prendere un posto sono: Valentino Valentini, ex braccio destro di Silvio Berlusconi, agli Esteri; Francesco Battistoni, uomo ombra di Tajani, all’Agricoltura; l’avvocato barese, musicista per passione, Francesco Paolo Sisto alla Giustizia; il piemontese Gilberto Pichetto Frantin (due cognomi, sic) in un dicastero economico, forse al Mef; Giuseppe Tommaso Vincenzo Mangialavori (un cognome, ma ben tre nomi di battesimo) molto vicino a Lucia Ronzulli, al Lavoro. Tranne Valentini, dunque, tutti senatori e tutti forti della sponsorizzazione della capogruppo Annamaria Bernini, dovuta anche al fatto che tutti e tre i ministri azzurri sono tutti e tre deputati. Infine, gira anche il nome di Andrea Mandelli, fedelissimo di Berlusconi e presidente dell’Ordine nazionale dei farmacisti, in lizza per un incarico al ministero della Salute, ma il suo nominativo gira anche per raccogliere l’eredità della Gelmini come nuovo capogruppo di FI alla Camera. Infine, il partito del Cavaliere potrebbe persino spuntarla nella partita di quale partito si aggiudicherà il delicato – e potente – sottosegretario con delega allo Sport: in questo caso la partita è a tre tra Cosimo Sibilia, presidente ai vertici della Figc, ma anche l’ex schermidore olimpionico Marco Marin e Paolo Barelli, ex presidente del Fin.

Nel Pd ci sono “troppi culi per poche sedie”…

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Logo Pd

Nel Pd, come abbiamo detto, bisogna ‘cercare la donna’. Ottime chanches ha Marianna Madia, ex ministra, al Mef o all’Innovazione tecnologica. Possibili le riconferme per Marina Sereni agli Esteri e Anna Ascani alla Scuola, ma si giocano la riconferma le uscenti Sandra Zampa (Salute), Simona Malpezzi (Rapporti con il Parlamento), Alessia Morani (Mise), Francesca Puglisi (Lavoro) e Lorenza Bonaccorsi (Cultura). Possibili new entry anche Valeria Valente alla Giustizia (dove l’uscente è Andrea Giorgis), Chiara Braga (Ambiente), ma anche Debora Serracchiani, sebbene il suo nominativo venga avanzato come possibile vicesegretaria dem. Altro nome forte è quello di Cecilia D’Elia, presidente della conferenza delle donne del Pd.

Le riconferme maschili dovrebbero essere quelle di Matteo Mauri (stimato e quotato anche da LeU e dalle Ong) e di Antonio Misiani, viceministro dell’Economia. Molto quotato è anche Andrea Martella, nel ruolo avuto sinora di sottosegretario alla presidenza con delega all’Editoria, dove ha ben operato. In corsa c’è anche Stefano Vaccari, fedelissimo del segretario Zingaretti. Come si vede, però, si tratta di un numero esorbitante per i sette posti disponibili.

Nella Lega Salvini vuole piazzare i suoi uomini d’oro

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Il logo storico del Carroccio

Nella Lega, il segretario Salvini aveva chiesto la promozione di Nicola Molteni, suo braccio destro quando era al Viminale, nonché estensore dei contestati ‘decreti Sicurezza’, ma i dem hanno già posto il veto sul suo nome come pure la ricandidatura a sottosegretario o viceministro al Lavoro di Claudio Durigon, artefice di “quota 100”. Molteni alla fine potrebbe lasciare il posto al collega Stefano Candiani, altro ‘fedelissimo’ di Salvini. Invece, nell’ala ‘giorgettiana’ della Lega un posto dovrebbe avere (alla Difesa o agli Interni) Raffaele Volpi, oggi al Copasir.

Alla Salute, per dare una mano a Speranza, molto criticato da Salvini, può arrivare l’ex sottosegretario Luca Coletto. Guglielmo Picchi sembra già destinato agli Esteri, Massimo Bitonci all’Economia. Lucia Borgonzoni è in pole per i Beni Culturali mentre con il tecnico Giovannini potrebbe finire ai Trasporti il ligure Edoardo Rixi, deputato molto vicino a Salvini, sponsor del ‘modello Genova’ per i lavori pubblici. Ma la Lega punta anche a un posto di sottogoverno nel ministero del Sud con il senatore Guglielmo Pepe. Per Giulia Bongiorno si parla di un incarico a Largo Arenula come viceministro del Guardasigilli tecnico Cartabia. Infine, la Lega chiede che il dipartimento dello Sport venga accorpato al nuovo ministero per il Turismo, già suo.

I 5Stelle dovranno ‘dimagrire’, ahiloro, e non poco…

M5S bandiere

Bandiere del M5S

Per salvaguardare il bottino politico nel Conte I e poi nel Conte II, il capo politico Vito Crimi lascerà gli Interni e punta a trasferirsi al ministero della Giustizia per ‘salvare’ la riforma della prescrizione targata Bonafede (ma c’è chi dice che Crimi rinuncerà del tutto a incarichi di governo). Stesso discorso per il dicastero del Lavoro, guidato dal dem Orlando, dove per puntellare il reddito di cittadinanza può arrivare l’ex capogruppo al Senato Gianluca Perilli.

I Cinque Stelle vogliono un loro uomo al ministero per la Transizione ecologica, ‘pallino’ di Beppe Grillo. In pole per affiancare il ministro Cingolani c’è Stefano Buffagni, se non resterà al Mise. In alternativa potrebbe approdarvi Giancarlo Cancelleri (sottosegretario uscente ai Trasporti), ma il siciliano potrebbe andare anche al dicastero del Sud, come vice di Mara Carfagna, per placare il dissenso dei parlamentari meridionali che si lamentano da giorni per l’inconsistenza del loro Sud nella compagine governativa.

Al ministero dell’Economia i pentastellati puntano sulla riconferma di Laura Castelli, mentre all’Interno dovrebbe restare Carlo Sibilia. Pierpaolo Sileri potrebbe restare con Roberto Speranza alla Salute. Una delle possibili novità è Luca Carabetta al ministero dell’Innovazione tecnologica. La verità è che il M5s, che aveva fatto la parte del leone nei governi Conte Uno e Conte due, in fatto di sottogoverno, oggi è il partito più penalizzato dai nuovi ingressi altrui, e quello che deve praticamente dimezzare richieste e pretese.

Italia Viva vuole piazzare Rosato e Faraone, Leu la Guerra

italia viva

Per Italia Viva Ettore Rosato potrebbe andare agli Interni con il ruolo di viceministro e Davide Faraone potrebbe lasciare il posto di capogruppo al Senato, che Renzi vuole affidare alla sua Teresa Bellanova, per spostarsi al Lavoro. I posti non sono, però, più di un paio e, tra i nomi in elenco, figurano anche quello di Gennaro Migliore per la Giustizia (in alternativa c’è Lucia Annibali) e Francesco Scoma per l’Agricoltura. In quota Leu c’è l’uscente Cecilia Guerra al Mef. Altre ipotesi Rossella Muroni (Transizione ecologica) e Francesco Laforgia (Rapporti col Parlamento).