“Assalto al cielo!”. Il Pd va verso il congresso e gli ex renziani all’attacco del Nazareno

“Assalto al cielo!”. Il Pd va verso il congresso e gli ex renziani all’attacco del Nazareno

25 Febbraio 2021 3 Di Ettore Maria Colombo

“L’assalto al Cielo!”. Il Pd verso il congresso. Gli ex renziani partono all’attacco del Nazareno e dell’asse Zingaretti-Bettini-Orlando. Possibile una sfida a due o a tre. Ticket Bonaccini-Bonafé? I contrari all’alleanza con M5s e Conte

Nel Pd è tempo di congresso. Bonaccini lancerà la sfida?

pd zingaretti bonaccini bonafe

E’ tempo di congresso, dentro il Pd. In buona sostanza, ci si avvia verso una sfida a due o, forse, verso una sfida a tre. La sfida a due vedrebbe il governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini – ormai entrato in piena rotta di collisione con il Nazareno, personalità forte e nota, ormai, a un pubblico nazionale, da quando ha ‘stracciato’ la Lega alle regionali e poi da quando, in era Covid, guida il fronte dei governatori nella Conferenza Stato-Regioni – sfidare l’attuale segretario, Nicola Zingaretti, e i suoi.
Bonaccini potrebbe farlo da solo o, meglio, formando un ticket con una donna in forte ascesa, nel partito e fuori, la segreteria dem della Toscana, nonché vicepresidente del Pse nel Parlamento europeo, Simona Bonafé, ex renziana.

E se Zinga facesse un passo indietro? E’ pronto Orlando…

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Zingaretti, ed un passo indietro

Ma ‘Zinga’ potrebbe fare un clamoroso passo indietro –scottato anche da una ‘cattiva gestione’ della partita sui sottosegretari che ieri gli imputavano in molti, nei gruppi (“Ha tutelato solo i suoi, promuovendo il suo assessore in Lazio e gli uomini di Boccia-Emiliano come la pugliese Messina) – magari per candidarsi a sindaco di Roma, alle prossime amministrative, lasciando la regione Lazio, che oggi guida, e il cui mandato scade non tra molto, nel 2022, dato che è stato rieletto a quella carica nel lontano 2018, poco prima, cioè, di diventare segretario del Pd, a marzo del 2019.

Roberto Gualtieri

Roberto Gualtieri

Elezioni amministrative che riguardano molte grandi città (Torino, Genova, Bologna, Napoli, etc., oltre che Roma) e che dovrebbero tenersi – in teoria – tra maggio e giugno, ma che causa Covid potrebbero slittare a settembre-ottobre. Anche se, a Roma, molti esponenti del Pd chiedono le primarie, per decidere lo sfidante dell’attuale sindaca, Virginia Raggi, e puntano sul ministro del Mef uscente, Roberto Gualtieri, per unire un ‘fronte progressista’ che, ovviamente, non vedrebbe l’alleanza con i 5stelle, fermi in modo tetragono sulla ricandidatura della ‘loro’ Raggi. Solo una candidatura di Zingaretti, invece, potrebbe indurre l’M5s a ‘mollare’ la Raggi al suo destino.

I giochi, nel Pd, si fanno sempre a partire dalla Capitale…

Inoltre, è di oggi la notizia che sempre Zingaretti avrebbe chiesto proprio a Gualtieri di sostituire il suo assessore al Bilancio in Regione, Alessandra Sartore, da ieri sera ‘promossa’, assai a sorpresa, e solo in quanto zingarettiana doc, sottosegretaria al Mef, stracciando le chanches del povero Antonio Misiani, viceministro al Mef nel governo Conte due, che tanto bene aveva lavorato. Insomma, se Gualtieri diventa assessore in Regione, non può certo correre per la carica di sindaco di Roma. Una deputata romana, esponente di Base Riformista, e molto forte nella Capitale, Patrizia Prestipino, spiega, sempre oggi, all’agenzia di stampa Dire, che “A Roma bisogna cambiare schema e allargare la coalizione non verso sinistra, ma verso il centro, modello ‘maggioranza Ursula’…”. Morale, la Prestipino, di fatto, chiede al Pd romano di ‘scaricare’ LeU (sia lato Articolo Uno che SI) e aprire sia al mondo liberaldemocratico di Iv-+Europa-Azione civile-Radicali che direttamente a FI. Difficile, però, che il Nazareno accetti un simile schema di gioco, anche a costo di perdere Roma.
In quel caso, Zingaretti lascerebbe il campo aperto al suo vicesegretario, e attuale ministro del governo Draghi, Andrea Orlando, leader della sinistra interna del partito, pronto a correre alle primarie, anche se lo ha già fatto, nel penultimo congresso, quello contro Renzi, e non andò bene.

L’alternativa è una sfida a tre, con Bonafé o Gori oppure Sassoli o Nardella, più la Pini, contro il ‘fronte del Nazareno’

pd zingaretti orlando bettini
Oppure si potrebbe vedere di nuovo – come è stato spesso, anche se non sempre, in passato – una sfida a tre, alle prossime primarie dem. Un candidato ‘campione’ dell’asse che regge l’attuale segreteria (Zingaretti-Orlando-Bettini, vero ideologo di entrambi), asse che crede nell’alleanza ‘strategica’ con M5s e LeU e che individua nella figura di Giuseppe Conte il leader del ‘campo dei progressisti’ contro due/tre sfidanti.

guerini lotti

Guerini Lotti

Il primo sfidante sarebbe espresso dalla minoranza – nel partito, ma maggioranza dentro i gruppi parlamentari – della corrente ‘Base Riformista’, l’area guidata dal riconfermato ministro alla Difesa, Lorenzo Guerini e da Luca Lotti, ex braccio destro di Renzi che, come Guerini, ha rotto col leader di Iv, quando questi provocò la scissione dentro il Pd (Guerini e Lotti, con molti altri, hanno scelto di restare ‘nel gorgo’, come disse Pietro Ingrao, quando scelse di non aderire al Prc e restare nel Pds).

Giorgio Gori

Giorgio Gori

Il loro campione potrebbe essere il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, o il sindaco di Bari, Antonio Decaro oppure ancora il sindaco di Firenze, Dario Nardella – tre sindaci riformisti, e assai bravi, che, ormai da tempo, criticano l’attuale segreteria e invocano un congresso per discutere ‘la linea politica’ – o ancora la stessa Bonafé o, ancora, l’attuale presidente del Parlamento europeo, il romano Davide Sassoli, che gode, come si sa, dell’appoggio del commissario Ue, Paolo Gentiloni.

giuditta pini

Giuditta Pini

Inoltre, è molto probabile l’altra minoranza oggi presente nel Pd, quella dei Giovani turchi, decida di muoversi in autonomia, lanciando nella corsa la giovane deputata modenese, Giuditta Pini, come candidato ‘di bandiera’ di un’area, la loro, piccola ma assai tosta e combattiva su molti fronti, fortemente caratterizzati ‘a sinistra’, dal tema dell’immigrazione al welfare alla legge elettorale.

Dario Franceschini

Il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini

Tace, invece, l’area che fa capo al ministro ai Beni culturali, Dario Franceschini. Il quale, come sempre, resterà ‘in sonno’ fin quando non saranno chiare tutte le posizioni e tutti i candidati. Solo allora, Franceschini deciderà con chi schierarsi, gettando tutto il suo peso a favore di… vincitore.

La ‘variante’ Bonafé e il ‘caso Toscana’, ormai già esploso

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La Toscana

La ‘variante’, in ogni caso, resta proprio la Bonafé che, scottata dal ‘caso Toscana’, esploso proprio in questi giorni, nel Pd, ha tre scelte davanti a sé: accettare il ‘corteggiamento’ di Base riformista, che spinge per averla come candidata o, comunque, in ticket con Bonaccini; lasciarsi alle spalle le polemiche e restare dov’è, in Europa e in Toscana, dove gode del 65% dei consensi, all’interno della sua segreteria, anche perché se c’è una che non ha bisogno di cercare ‘posti’ è proprio la Bonafé.

Valerio Fabiani

Valerio Fabiani

Il ‘caso Toscana’, esploso in modo clamoroso sui giornali, è presto detto. Il vicesegretario della Bonafé, Valerio Fabiani, zingarettiano doc, spara a palle incatenate contro la sua segretaria che si oppone sia alla linea dell’alleanza ‘strategica’ con 5Stelle e LeU sia, e soprattutto, alla candidatura di Giuseppe Conte nel seggio uninominale di Siena, dove si terranno le suppletive per un seggio vacante alla Camera, lasciato libero dal dem Piercarlo Padoan, ex ministro all’Economia che ha preso un incarico in banca. Bonafé, inoltre, invoca un congresso ove “la linea del Pd fosse l’alleanza strategica con i 5Stelle”. Prima Fabiani, rimosso dalla Bonafé, in men che non si dica, dal suo ruolo, e poi il coordinatore nazionale della segreteria di Zingaretti, il napoletano Nicola Oddati, ‘sparano’ contro la Bonafé, e a palle incatenate, in diverse interviste e dichiarazioni.

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Nicola Oddati

Ma dal caso Toscana, tutto il Pd, dalle Alpi alla Sicilia, s’infiamma. Solo ieri hanno ‘invocato’ il congresso straordinario due sindaci riformisti, già citati e molto bravi (Gori di Brescia e Decaro di Bari) e molti esponenti, seppur anonimi, di Base Riformista. In realtà, i suoi leader (Guerini e Lotti) tacciono, per ora, e anche i loro colonnelli, ma i caporalmaggiori parlano assai: “Zingaretti è bollito. La Bonafé è un ottimo candidato. Con un forte profilo e identità riformista il congresso lo si vince. Se poi scende in campo pure Bonaccini è fatta, è già vinto”. Sarà, si vedrà. Nessuno può preventivare come andranno le primarie dem, soprattutto mesi e mesi prima che si tengano.

Orlando intervistato da La Nazione: “Basta remare contro”

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Andrea Orlando

A complicare il problema, ci si mette anche l’attuale ministro al Welfare, Andrea Orlando. In un’intervista rilasciata, oggi, in esclusiva, alla direttrice de La Nazione, Agnese Pini, il ministro – e leader della sinistra interna Pd – le canta chiare, agli avversari interni di Zingaretti, e suoi.
Quella di Renzi nel Pd “è stata una stagione e una linea politica importante, ma che sarebbe sbagliato identificare con una persona. C’è invece la rimozione delle ragioni della sua fine: l’isolamento politico e sociale” è l’attacco del ‘paladino Orlando’. Poi ribadisce che “in questa fase è più che mai necessaria l’unità, che non può essere sacrificata sull’altare della reticenza. Del resto, Zingaretti ha lavorato e sta lavorando duramente in nome dell’unità sebbene la sua generosità non sia sempre ripagata”. Orlando commenta gli attacchi al segretario piovuti da più parti negli ultimi giorni da Nardella, Gori e Decaro come “rigurgiti di posizioni che guardano a un Pd del passato, improntato verso un centrismo non più al passo coi tempi”.
La cosa strana – osserva il ministro dem – è che chi critica non si è mai esposto nelle sedi ufficiali. Non solo: non vuole neppure il congresso”. Quindi, secondo Orlando, “diciamolo con chiarezza: puntano a un logoramento del gruppo dirigente”. E poi aggiunge: “Scatenare la crisi è stato sbagliato, ma Renzi lo ha fatto per un obiettivo: spaccare il fronte Pd-5 Stelle. Lo stesso obiettivo che oggi hanno alcuni esponenti democratici”. Orlando ammette comunque che “il Pd debba iniziare una fase di cambiamento, interrotto dalla pandemia, con un confronto costruttivo”. Insomma, il warning di Orlando agli ‘odiati’ ex renziani è chiaro: se volete seguitare a ‘sparare contro il quartier generale’ fatelo alla luce del sole, e dimostrate coraggio, oppure meglio tacere.

Nel Pd ci si prepara alla “notte dei lunghi coltelli”: oggi la Direzione, a metà marzo l’Assemblea nazionale decisiva

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La sede del Pd al Nazareno

Morale, il Pd si prepara al suo prossimo congresso, e pure anticipato, e, quindi, a nuove elezioni primarie, la tipica modalità di elezione del segretario del Pd da quando il Pd medesimo esiste, cioè dal lontano anno domini 2009. Certo, ancora non si sa quando mai sarà possibile tenerle, – causa Covid imperante e ancora molto galoppante – queste benedette primarie, quindi di certo ‘non subito’, cioè entro l’estate. Molto più probabile che, proprio come succederà per le prossime elezioni amministrative, il congresso si tenga, invece, dopo l’estate coi gazebo aperti a settembre.

Matteo Orfini

Matteo Orfini

Matteo Orfini, ex presidente dell’Assemblea nazionale, e leader dei Giovani turchi, la unica corrente di minoranza oggi all’opposizione interna e nettamente contraria alla segreteria di Zingaretti e alle sue scelte strategiche, una corrente piccola ma agguerrita di veri e propri ‘guastatori’ – ne parla, mentre nel cortile d’onore di Montecitorio è buio pesto e i deputati conversano tra una pausa e l’altra durante le votazioni dell’ennesimo decreto ‘Milleproroghe’, con il presidente della commissione Statuto, Gianni Del Moro, ex della Margherita, oggi membro di Base riformista. La chiacchierata, tra un ex comunista e un ex democristiano, prende subito la piega del ‘leguleio’…
Se convochiamo il congresso, e le relative primarie, prima dell’estate, la Polizia entra nei circoli dem e ci arresta tutti. – è il ragionamento che Orfini svolge con Del Moro, che lo ascolta pensoso – Mica possiamo creare, proprio noi, assembramenti non autorizzati con il Covid che infuria. E’ una cosa assurda, nemmeno dirla, o farla correre, bisognerebbe. Forse, e dico forse, si potrebbero fare le primarie dopo l’estate, a settembre, ma vedremo. L’assemblea è e resta sovrana”.

“L’Assemblea è sovrana” è il leit motiv dei big delle correnti

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Invece, esponenti dem vicini alla segreteria, come l’ex ministro agli Affari regionali, Francesco Boccia, tornato deputato semplice e incontrato a Montecitorio, sbottano così, davanti all’ipotesi di un assai probabile rinvio delle assise congressuali a dopo l’estate: “Con questa storia del Covid, avete rotto. Non si può votare, non si può fare il congresso, bisognava far cadere il governo Conte… Bravi! Ora però lasciateci discutere in pace, tra di noi. In ogni caso, l’assemblea è sovrana. Decideremo lì cosa vogliamo fare del nostro futuro e come vogliamo farlo, non sui giornali. Anche perché voi giornalisti siete tutti contro di noi. Vi siete innamorati di Renzi e della sua follia…”.
Il leit motivl’assemblea è sovrana” riecheggia anche nelle stanze del Nazareno, dove – di fronte ai continui attacchi di quello che viene identificato come “i renziani nascosti del Pd ci vogliono fare guerra” – “è ora di dire basta a questo logoramento continuo. Comunque, l’Assemblea è sovrana”. Ma Zingaretti si ricandiderà? E, se non ora, quando? E se non lui, chi? E contro di lui chi, invece?

Lo Statuto del Pd, ovvero “un enigma dentro un mistero”…

Walter Veltroni

Walter Veltroni

Prima di affrontare l’argomento, però, bisogna spiegare i tempi e le modalità tecniche con cui si svolge un congresso in un partito come il Pd che, dai tempi di Walter Veltroni, fondatore del partito che disse “il Pd si chiama così perché, nel nome (Partito democratico) è scritto il suo destino”, è ‘regolato’ da uno Statuto arzigogolato e capzioso, scritto, forse non a caso, da due intellettuali e teste d’uovo e non da due politici, il costituzionalista Stefano Ceccanti, oggi deputato dem, e il politologo Salvatore Vassallo, all’epoca entrambi di fede ‘veltroniana’. Ebbene, lo statuto del Pd prevede procedure complicate e, a dir poco, ‘faticose’.

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Il professore e deputato del Pd Stefano Ceccanti

Infatti, lo Statuto dem prevede due fonti di legittimità: le primarie ‘aperte’ e l’Assemblea nazionale. I più credono che un segretario, legittimato dalle primarie, abbia potere di vita e di morte, sul partito, e che, una volta eletto, resti in carica fino alla fine del suo mandato, ma invece non è così. Le cose – cercando di non entrare troppo nei tecnicismi – prevedono, invece, che l’Assemblea nazionale (composta da mille delegati circa, eletti in occasione delle primarie e divisi per liste legate ai candidati con un rigido metodo proporzionale) possa, se trova una maggioranza, rovesciare il segretario, approvando una mozione di sfiducia contro di lui e destituendolo.
Dall’altro lato, se il segretario si dimette, alla presidente dell’assemblea stessa (oggi è il sindaco di Marzabotto, Valentina Cuppi, zingarettiana di ferro) corre l’obbligo di verificare, prima di indire le primarie, se in assemblea si forma un’altra maggioranza sulla base di candidati che, raccogliendo le firme, possono proporsi, in seno all’Assemblea, come concorrenti alla carica di nuovo segretario.

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Ove ciò non avvenga, cioè se nessuno si fa avanti, sempre la presidente dell’assemblea fissa le primarie, ovvero le regole per indire il nuovo congresso. Il tutto, però, giusto per non farsi mancare niente, non avviene nella ‘stessa’ assemblea in cui il segretario, eventualmente, si presenta dimissionario, ma nella Assemblea immediatamente seguente e che va convocata dopo un certo lasso di tempo. Ma, dati i tempi e il Covid,il fatto comporta una serie di problematiche non piccole: non è facile, infatti, riunire più volte circa mille persone (i delegati con diritto di voto), un centinaio di ‘invitati permanenti’ – che non hanno diritto di voto, ma di partecipare ai lavori sì – e un nutrito manipolo di giornalisti, fotografi, etc. che vogliono presenziare ai lavori. Insomma, prima di poter arrivare a indire nuove primarie, realisticamente, possono passare anche diversi mesi. Ergo, è impensabile che il ‘congresso’ dem, con relative primarie (e, dunque, le conseguenti file ai gazebo, dove votano iscritti e simpatizzanti, dopo il voto nei circoli, dove votano solo gli iscritti al Pd a far data, di solito, all’anno in corso), possa tenersi prima dell’estate, più facile che si faccia in autunno.

La replica di Ceccanti alle nostre critiche: “il Pd è contenibile”

Ribatte alle critiche il professor Ceccanti: “Con quello Statuto, da più parti criticato, ma poi affinato e migliorato, abbiamo reso ‘contendibile’ il Pd che, dalla ‘comunità chiusa’ che era radicata nella concezione monolitica del Pci, in parte trasferita anche nel Pds e nei Ds, comunità in cui votavano solo gli ‘adepti’, cioè solo gli iscritti, è diventato una ‘comunità aperta’, dove possono votare anche i semplici simpatizzanti ed elettori del Pd come pure del più largo centrosinistra”.

https://stefanoceccanti.it/guida-alla-lettura-di-quelle-che-in-generale-sembrano-a-me-le-principali-novita-della-bozza-di-riforma-dello-statuto-pd-ma-ognuno-si-faccia-sua-idea-leggendola/ : qui sempre il professor Ceccanti riporta, con dovizia di particolari, le nuove regole dello Statuto Pd. 

Ci permettiamo solo di eccepire che la nostra critica era rivolta al meccanismo della doppia legittimazione e della doppia elezione – da parte dei votanti alle primarie, che comunque si devono ‘registrare’ e dichiarare di ‘aderire’ alla comunità del Pd, per poter votare, oltre che donare 5 euro – si appunta sul fatto che il Pd non viene ‘trattato’, nello Statuto, come un ‘partito politico’, ma come se si trattasse di un ‘Parlamento’ (monocamerale) che può concedere, o revocare, la fiducia al premier. Il che, francamente, ci porta a dire ‘troppa grazia, Sant’Antonio‘ per i compiti di un semplice partito…

 

Ma quando verrà convocato il congresso? Tempi e modalità

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Ma quando verrà convocato il congresso? Tempi e modalità

Ma quando verrà convocato il congresso, se verrà indetto? Oggi si tiene, sempre da remoto, la Direzione nazionale e, molto probabilmente, già in quella sede se ne parlerà. Ino ogni caso, Zingaretti, alla prossima Assemblea nazionale, convocata per il 13 e/o 14 marzo in modalità ‘webinair’ (cioè su piattaforma digitale), sarebbe molto tentato di lanciare il guanto della sfida, e cioè l’idea di un congresso straordinario anticipato rispetto alla sua scadenza naturale.

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Giachetti, Martina e Zingaretti.

Zingaretti, trionfalmente eletto alle primarie del marzo 2019 col 65% dei voti (ai due sfidanti, Maurizio Martina, oggi passato a un ruolo nella Fao, e Roberto Giachetti, oggi passato in Iv, andarono le briciole: 22,5% e 12,5%), formalmente potrebbe restare in carica ancora per due anni, cioè fino al 2023. Ma dati i tempi e la situazione politica, è difficile che resti segretario fino allora.
Certo, i tempi per ora non sono dati da sapere. La sola cosa certa è che il congresso del Pd si è, nei fatti, già aperto. Tutti lo dicono, ormai, nelle interviste e nelle dichiarazioni, e tutti lo sanno, nei pour parler che fanno i deputati dem nel cortile d’onore di palazzo Montecitorio (unico luogo rimasto ‘deputato’ al fumo libero), anche se ‘formalmente’ non c’è nessun congresso né convocato né chiesto da alcuna componente del Pd. Anche di simili ‘contraddizioni’ vive il partito democratico.
E così, se è vero, come è vero, che la prossima Assemblea nazionale del 13/14 marzo sarà il momento in cui si scopriranno i giochi, è ormai chiaro che si profila una sfida a due o… a tre.

Il “caso D’Urso”. Un twett di Zinga e gli sfotto’ sui social…

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Il “caso D’Urso”. Un twett di Zinga e gli sfotto’ sui social…

Ieri, inoltre, il leader dem è incorso in un’infortunio, peraltro del tutto innocente. Ma cosa è successo? Apriti cielo.Zingaretti, segretario del Pd, esterna via Twitter il proprio apprezzamento per la conduzione di Barbara D’Urso, presentatrice (ormai da tre edizioni) del talk show Mediaset “Live – Non è la D’Urso” di cui sarebbe stata decisa la chiusura, in via anticipata, su Canale 5.
Il talk potrebbe subire uno stop anticipato al 28 marzo e, al suo posto, potrebbe arrivare Paolo Bonolis con “Avanti un altro”, o l’avvicendamento con “Scherzi a parte” a causa delle percentuali di ascolto della D’Urso tacciate di essere in calo (12% di media di share, regolarmente battuto dalla concorrenza della Rai). Certo, la D’Urso si può ‘consolare’ con “Pomeriggio Cinque”, il suo show della domenica, ma in ogni caso alcuni vip hanno fatto scattare la solidarietà, sempre via social: da Imma Battaglia, storica attivista del movimento Lgbtq, fino al… segretario nazionale del Pd.
Il tweet ‘incriminato’ del segretario dem è il seguente: “In un programma che tratta argomenti molto diversi tra loro – è il post di Zingaretti indirizzato a @carmelitadurso – hai portato la voce della politica alle persone. Ce n’è bisogno!”.
Pochi minuti e la Rete s’indigna o lo sfotte pesantemente, fino a portare il tweet di Zinga primo nelle ‘Tendenze Italia’. Il guaio è che c’è un numero abnorme di commenti, per la maggior parte negativi. “Gli hanno hackerato l’account?”. “Da Gramsci alla D’Urso, passando per Rocco Casalino!”. “Salvini, esci da questo corpo!”. E via così in un crescendo di sfottò e dileggi davvero esagerati.

durso zingaretti

D’urso Zingaretti

“Colpevole”, Zinga, di essere andato nel salotto della D’Urso a parlare molte volte e sempre accolto con grande affetto (l’ultima volta il 17 gennaio scorso), ma va detto che, nel ‘salotto’ della D’Urso, sono transitate quadrate legioni di leader politici (non ultimi Renzi e Salvini…). O forse, maligna il sito di gossip Dagospia, “perché il social media manager del Pd, Carlo Guarino, è un amico di vecchia data della D’Urso, delle sue feste e dei suoi salotti”. Una colpa assai minore, a dirla tutta.

 

NB: questo articolo è stato in parte pubblicato sul Quotidiano Nazionale del 25 febbraio 2021


AGGIORNAMENTO DELLE H 17 DEL 25 FEBBRAIO 2021

Zingaretti: “Io dimettermi? Ma non ci penso nemmeno!”

Fedelissimi del segretario e non (Delrio) si schierano a sua difesa modello testuggine romana contro i ‘barbari’…

Sono delle sciocchezze atomiche“. Seppure ingentilito, è questo il senso delle parole di un dirigente dem sulle voci che si rincorrono e che vorrebbero Nicola Zingaretti pronto a un passo indietro ancora prima dell’assemblea del 13-14 marzo. Voci pilotate ad arte, viene aggiunto, da chi “strumentalizza il momento politico per mettere in difficoltà il partito e il suo segretario“. A confermare che le dimissioni di Nicola Zingaretti non sono sul piatto e’ anche il capogruppo del Pd alla Camera, Graziano Delrio. “No. Ci ho parlato un’ora fa e mi ha detto di no, che non e’ vero“. Non solo: le difficoltà attraversate dai dem sono da far risalire al passaggio politico segnato dalla nascita del governo Draghi e dalla larga maggioranza che lo sostiene: “A me ha detto che non e’ vera questa cosa, che stiamo semplicemente discutendo, perché siamo in una fase nuova” chiude Delrio.
Una analisi condivisa dal politologo di sinistra Gianfranco Pasquino: “Solo tenendo sempre presente che il Pd è nel bene e nel male, l’architrave anche del sistema partitico, e’ possibile capire le difficoltà in cui si trova Zingaretti e la problematicità delle sue scelte – spiega a Formiche.net Il segretario ha fatto funzionare regolarmente tutti gli organismi del partito e non sono emersi dissensi significativi. Una buona politica rispetta i tempi e i modi”.
Intanto, pero’, tra gli esponenti un tempo vicini a Matteo Renzi cresce il dissenso nei confronti del gruppo dirigente. La corrente capeggiata da Matteo Orfini ha sottolineato più volte la scarsa rappresentanza femminile nei ruoli di governo. Un ‘gap’ di cui si e’ accorto immediatamente lo stesso Zingaretti che, a pochi minuti dalla lettura della lista da parte di Mario Draghi, ha scritto un post in cui si impegnava a rimettere a posto le cose con i sottosegretari.
E, almeno al momento, Zingaretti sembra aver mantenuto la promessa: il Pd, è vero, ha perso posti nel nuovo governo, ma e’ pur vero che la maggioranza si e’ allargata a due forze politiche come Lega e Forza Italia.
I posti di sottogoverno disponibili sono andati, in ogni caso, ad esponenti donne, con la sola eccezione di Vincenzo Amendola. La questione femminile sarà affrontata dalla direzione convocata oggi alle 14,30 e slittata per permettere ai senatori di partecipare al voto di fiducia sul Milleproroghe.
Ci sono poi i tre sindaci del Pd – Dario Nardella, Antonio Decaro e Giorgio Gori – che lamentano una certo scollamento del partito dai territori: “Stiamo diventando il partito del palazzo“, scrive su Facebook Nardella.
E se da una parte Zingaretti si trova a dover fare quadrare i conti tra le correnti e la rappresentanza di genere, dall’altra ci sono le aspettative della base che guarda con crescente preoccupazione alle polemiche interne.
Succede, ad esempio, a Roma dove gli oltre 100 iscritti al circolo Pd di Ponte Milvio, “stufi delle polemiche”, indirizzano al segretario una lettera aperta che sta girando e che ha gia’ raccolto adesioni di altre sezioni. “Stop alle liti – scrivono – si pensi a mettere in campo le qualita’ migliori per vincere le elezioni amministrative a Roma“.
A difendere il segretario e’ il gruppo dirigente dem, a cominciare dal vice, Andrea Orlando: “Stanno emergendo rigurgiti di posizioni che guardano a un Pd del passato, improntato a un centrismo non più al passo con i tempi. Zingaretti ha lavorato e sta lavorando duramente in nome dell’unita’, sebbene la sua generosità non sia sempre ripagata”. Per Orlando, “la cosa strana è che chi critica non si e’ mai esposto nelle sedi ufficiali. Non solo: non vuole neppure il congresso”. Quindi, conclude, “diciamolo con chiarezza: puntano a un logoramento del gruppo dirigente“. Sulla stessa lunghezza d’onda e’ l’ex ministro Peppe Provenzano: “Vedo un grande affollamento al centro, nel favoloso mondo moderato e liberale. Spero che tutto il Pd capisca ora che serve ridefinire, con forme, intelligenze
e relazioni nuove, identita’ e ruolo della sinistra nel XXI secolo. E’ tempo di idee, non di rese dei conti interne“.
(AGI)Mol