Il “frente amplio”. Nel Pd le correnti anti-Zingaretti pronte ad andare alla guerra, ma divise non hanno speranze

Il “frente amplio”. Nel Pd le correnti anti-Zingaretti pronte ad andare alla guerra, ma divise non hanno speranze

26 Febbraio 2021 2 Di Ettore Maria Colombo

Nel Pd è iniziata la ‘guerra di tutti contro tutti’. Sindaci, governatori ed ex renziani di Base riformista si dicono pronti a dare “l’assalto al Cielo” sotto le insegne di Bonaccini, in ticket con la Bonafé o da solo o anche dietro un sindaco, ma le aree anti-Nazareno, divise, rischiano di venire anche battute.

assalto al cielo

In discussione, dicono tutte, c’è il ‘profilo riformista’ e il futuro del Pd. Nel mirino poi hanno messo sia ‘la linea’ (l’alleanza ‘strategica’ con M5s e LeU dietro le insegne di Conte) che ‘i posti’ (la segreteria Zingaretti e il ruolo del vicesegretario Orlando). Chi vincerà non è dato sapere, ma il congresso anticipato e nuove primarie si avvicinano a grandi passi

 

NB: questo articolo è stato pubblicato il 26 febbraio 2021 sul sito di notizie Tiscali.it

a la guerre comme a la guerre

“à la guerre comme à la guerre”

“A’ la guerre comme à la guerre” sembra diventato il grido di battaglia – per ora non ancora esplosa, ma che erompe dalle aree che non si riconoscono nella segreteria Zingaretti.

A prepararsi alla ‘guerra’ interna, e cioè alla richiesta di un congresso anticipato, dentro il Pd, sono da un lato soggetti politici storicamente, culturalmente e umanamente ‘miti’ (nel senso di non con un diavolo per capello o le zanne fuori da denti), ma anche soggetti politici diversi tra loro.

 

Il ‘frente amplio’ che si vuole opporre al Nazareno

frente amplio

Insomma, un frente amplio, si sarebbe detto nei Paesi della sinistra sudamericana degli anni Settanta, un po’ composito. Forse ‘troppo’ composito per poterlo tenere davvero unito.

C’è il ‘partito dei sindaci’ (Gori a Bergamo, Nardella a Firenze, Decaro a Bari), che da giorni, anzi settimane, sparano a palle incatenate contro la linea di Zingaretti, quella ‘svolta gialla’, più che ‘rossa’, che vede il Pd cercare l’alleanza a tutti i costi e costi quel che costi con i 5Stelle. Poi c’è il partito dei governatori: in testa a tutti Stefano Bonaccini in Emilia-Romagna – probabile candidato alla segreteria di questo ‘fruente amplio’ che vuole unire tutti i ‘non’ zingarettiani – forse anche Eugenio Giani in Toscana. Non di certo Vincenzo De Luca, in Campania, ‘re’ e ‘sceriffo’ per conto suo, e Michele Emiliano, in Puglia, schieratissimo con Zingaretti e con l’ex ministro Boccia.

guerini lotti

Guerini Lotti

La novità è che sta per arrivare, come ‘fanteria pesante’, accanto alla ‘cavalleria leggera’ dei sindaci e governatori, anche Base Riformista. L’area politica degli ex renziani (definizione che, peraltro, loro vivono con forte fastidio), che fa capo al ministro alla Difesa, Lorenzo Guerini, e a Luca Lotti: erano “il braccio destro e il braccio sinistro” di Renzi, quando l’attuale leader di Iv dirigeva il Pd e reggeva le sorti del governo, poi hanno rotto con Renzi e la rottura, dalla nascita di Italia viva in poi – che ha cercato di portarsi via il più possibile i ‘pezzi pregiati’ di Br (l’acronimo più infelice nella storia delle correnti dem, questo va detto), è diventata, di fatto, insanabile, anche a livello personale. Insomma, checché ne pensino al Nazareno, dove vivono di ‘gomblotti’ orditi dietro le colonne del Transatlantico tra Renzi e i suoi ‘accoliti’ (così vengono definiti i renziani) e gli ex renziani oggi nel Pd, la verità è molto più banale. Renzi, con Lotti e Guerini, non si parlano praticamente più.

 

“Br”, gli ex renziani che con Renzi hanno davvero rotto i ponti

renzi e guerini

Guerini con Renzi ci ha parlato, una volta, dentro il Senato

Gli ultimi contatti, durante la crisi di governo del Conte 2, quella che ha preceduto la nascita del governo Draghi, sono stati sporadici e gelidi. In più, mentre Lotti – come è del resto sua abitudine, da sempre – non parla mai con nessuno, Guerini con Renzi ci ha parlato, una volta, dentro il Senato: il risultato della conversazione fu un disastro e, per la prima volta nella loro vita, storici amici del ministro alla Difesa hanno visto “Lorenzo perdere le staffe in modo così palese” ma l’oggetto dei suoi strali non era Zingaretti, ma proprio il suo ex ‘dante causa’, cioè Renzi…

Insomma, la battaglia di ‘Br’ contro l’attuale direzione politica e filosofica, tattica e strategica, contenutistica e formale, diretta contro ‘la brutta piega’ presa dall’attuale dirigenza del Pd non è “un modo per far rientrare Renzi” modello ‘cavallo di Troia’, ma anzi gli ex renziani puntano a prendersi loro il partito in mano per coprire lo spazio che si è creato al centro, nell’area che va da FI a Iv e Azione (cioè tra Carfagna-Renzi-Calenda-Bonino), e risucchiarlo, riportarne ‘a casa’ i voti e i dirigenti da anni in libera uscita e che, ‘per colpa’ di Zingaretti, si sono allontanati dal Pd.

Manovra abile e raffinata quanto difficile e spregiudicata che non è affatto detto che riesca, anzi. Come dicono i ‘sinistri’ e sherpa dell’attuale leadership democrat “Guerini non ha capito che, così facendo, perderà i voti della sinistra e non guadagnerà quelli del centro. Una idea fallimentare”.

 

Aree del Pd in movimento: Giovani turchi, Delrio, Franceschini

matteo orfini

Giovani Turchi, guidati da Matteo Orfini

Infine, in grande movimento, ci sono anche altre due aree ‘minori’ ma di spessore, dentro il Pd. Quella dei Giovani Turchi, guidati da Matteo Orfini, e l’area del capogruppo alla Camera, Graziano Delrio, vicina ma distante dal Nazareno e anche dalla filiera del vecchio Pci-Pds-Ds.

Graziano Delrio

Graziano Delrio

L’area di Delrio (personalità carismatica che, un tempo amico fraterno di Renzi – si chiamavano ‘Mosé’ e ‘Giosué’ ai bei tempi della Leopolda ma che a sua volta con lui ha rotto in via irrimediabile) – e fino a ieri guidata dall’ex ministro, ed ex vicesegretario dem, Maurizio Martina, oggi andato a lavorare alla Fao: ‘Sinistra è cambiamento’ si chiamava quando si presentò al ultimo congresso, ottenendo peraltro un pessimo risultato – oggi ha scarso peso specifico dentro i territori e anche in Parlamento non è fortissima, ma gode del carisma e vive di luce riflessa di Delrio.

maurizio martina

Maurizio Martina

Cattolico sociale impegnato, sincero nel profondo nella sua fede, a differenza di tanti cattolici, padre di nove figli, Delrio vive come un frate francescano. Va in giro in bicicletta, veste sempre con gli stessi vestiti ed ha una interpretazione ‘ultra-prodiana’, mondo da cui viene, della Politica che si può riassumere nel detto evangelico ‘il vostro dire sia ‘sì sì’ o ‘no no’, il resto è parola di Diavolo”.

neri marcore franceschini

Neri Marcorè imita Franceschini, fai click per vedere il video

Infine, ovviamente, c’è l’ormai piccola, esigua, Area dem che fa capo al ministro alla Cultura, Dario Franceschini. In teoria alleato di Zingaretti, ‘Giu-Dario’, come lo chiama, da anni, il sito Dagospia (imperdibile, a dirla tutta, la parodia che Neri Marcorè fa di Franceschini su La 7, da Floris…), “aspetterà l’ultimo giorno per capire chi ha più chanches di vincere, poi assesterà la coltellata finale, quella di Giuda” dice chi gli vuole male in entrambi i fronti contrapposti.

Il presidente mattarella in ufficio

Il Presidente Mattarella

Certo è che, dati i suoi rapporti (ottimi) con Di Maio come con Bersani, e persino quelli ‘ritrovati’ con Renzi (i due, per indole e temperamento agli antipodi, si detestano), ma soprattutto dato il suo solidissimo rapporto con il Quirinale (Mattarella ne è una sorta di ‘zio’ affettuoso e saggio…), la scelta finale di Franceschini potrebbe far pendere la bilancia da una parte o dall’altra per chiunque voglia correre con qualche probabilità di successo alla segreteria.

 

La risposta ‘imperiale’ del Nazareno: “divide et impera”

divide et impera

In ogni caso, tutte queste aree, in modo diverso e a volte carsico, si stanno posizionando sempre più in chiave anti-Zingaretti, e anti-Orlando: si dicono nettamente contrari al concetto stesso di ‘alleanza dei progressisti’ con M5s e LeU, linea politica che l’ideologo di Zingaretti (e di Conte, che di tale alleanza dovrebbe essere, nei loro sogni, il leader ‘naturale’), Goffredo Bettini, propugna ormai da mesi. Al netto delle sue recenti, assai deboli, smentite, ovviamente.

goffredo bettini

Goffredo Bettini, ideologo di Zingaretti

Ma, dato che la capacità della sinistra di dividersi è sempre superiore al suo sforzo di unirsi, tutte queste aree potrebbero, se sommate, impensierire davvero il Nazareno, mentre – se divise – finiranno presto facile preda di una maggioranza forte, per quanto si tratti di una maggioranza ‘relativa’, che le può battere una a una – negli organi interni come pure nelle sezioni e alle primarie aperte – secondo il vecchio detto, mai passato di moda, in politica, divide et impera.

Insomma, tra gli zingarettiani come pure tra gli orlandiani – aree che, però, di recente si guardano sempre più come cane e gatto: mai fusesi davvero, le due diverse ‘declinazioni’ della sinistra dem sono entrate, in questi mesi, ai ferri corti – la speranza è che i loro ‘nemici’ interni siano troppo divisi, e troppo deboli, specialmente sui territori, nei circoli e nella mitica ‘base’, per riuscire a pensare seriamente di impensierire il ‘carro armato’ delle truppe che ancora presidiano il Nazareno.

Ma nella giornata di ieri, giusto per scendere dai grandi scenari alla politica quotidiana, è stato un articolo di giornale – o meglio un’intervista – a dar fuoco alle polveri e a provocare reazioni pesantissime, nelle aree non renziane del Pd, quella del ministro Andrea Orlando alla Nazione.

 

Galeotta fu l’intervista… Orlando parla al quotidiano ‘La Nazione’ e vien giù il putiferio. Gli ex renziani: “Ora hai stufato”

agnese pini

Agnese Pini

“Galeotta” infatti fu l’intervista che l’attuale ministro al Lavoro, e leader della sinistra interna del Pd, Andrea Orlando, ha dato alla direttrice della Nazione, Agnese Pini. Un’intervista che è piombata come una bomba in un terreno che, di suo, era già zeppo di mine come pure di cavalli di frisia.

alessandro alfieri

E’ stato un atto di guerra – dicono, in coro, esponenti di peso di Base riformista, diversi sindaci, ambienti vicini al governatore Bonaccinici addita come il nemico interno, le ‘quinte colonne’ di Renzi. Ora basta. Se Orlando e Zinga vogliono la guerra, avranno la guerra”. Alessandro Alfieri, coordinatore nazionale di Base riformista, con alle spalle una carriera da ‘diplomatico’ (vero) la mette giù più soft, ma il concetto non cambia: “Per ora dobbiamo mettere in condizione chi del Pd sta al governo di combattere il Covid, la crisi sociale, economica, e di lavorare al Recovery Plan. Poi, dobbiamo lavorare pancia a terra per vincere le future elezioni amministrative nelle grandi città coi candidati dem. Prima o poi, però, dovremo aprire una grande discussione, seria e profonda, sull’identità del Pd e sul suo ruolo futuro, coinvolgendo tutta la comunità del popolo democratico. Noi al profilo riformista non rinunceremo mai. Anzi, voglio sfidare il mondo di Iv, Azione e +Europa sul nostro terreno, a venire con noi e noi a rapportarci con loro”. Traduzione: Base riformista, che la prossima settimana terrà una sua assemblea di area, con i parlamentari e i dirigenti di base, sui territori, si appresta a chiedere un congresso anticipato, ma – spiegano fonti interne a Br – “prima vogliamo parlarne tra noi e confrontarci con tutti i nostri, in modo collettivo, poi si decide che fare”.

Tra le ipotesi in circolazione, c’è quella di lanciare la candidatura del governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini contro la ricandidatura di Zingaretti (che ieri ha smentito seccamente di volersi dimettere o di voler mollare il Pd per candidarsi a sindaco di Roma o per altri ruoli).

 

Il ticket della possibile candidatura ‘anti-Nazarenica’ alla leadership del Pd alle primarie: il duo Bonaccini&Bonafé

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Bonafè e Bonaccini

Forse da solo, si dovrebbe e potrebbe candidare Bonaccini, oppure in ticket con la segretaria dem della Toscana, Simona Bonafé, “donna, giovane, con un profilo riformista alto e ben conosciuta nell’ambito del Pse-S&D” (la Bonafé è vicecapogruppo del Pse nel Parlamento Ue) dicono in Br.

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Debora Serracchiani

Ma sono in pista, quando mai si terrà il congresso anticipato – e, quindi, le nuove primarie – del Pd,- forse in autunno, di certo non in primavera, più probabile verso fine anno – anche altre candidature: Deborah Serracchiani ‘si scalda’, per l’area che fa capo a Delrio, Giuditta Pini per i Giovani Turchi. Troppe candidature, però, potrebbero indebolire il fronte – assai composito e affatto unito – degli ‘anti-Zinga’ e permettere al segretario, o a Orlando, un nuovo trionfo interno.

giuditta pini

Giuditta Pini

Peraltro, su una linea politica – quella del Nazareno – che almeno ha il pregio di essere ‘chiara’, la linea propugnata e teorizzata, ormai da tempo, dall’ideologo Goffredo Bettini: alleanza ‘organica’ con M5s e LeU e Giuseppe Conte (ieri, però, da Zingaretti mai citato) ‘leader dei Progressisti’.

 

Ma poi, alla fine, si litiga sempre sulle stesse cose: le ‘poltrone’

poltrona

E, infine, si litiga sempre sulle stesse cose: le ‘poltrone’

Infine, però, come sempre accade – in tutti i partiti, quindi ‘anche’ nel Pd – a esacerbare gli animi c’è anche la eterna questione dei ‘posti’. Quelli che c’erano e non ci sono più e quelli che sono rimasti ‘attaccati’ alle sedie di chi doveva. Le scelte di Zingaretti sui nomi della rosa dei sottosegretari e viceministri che dovevano andare, per conto del Pd, al governo con Draghi (clamorose alcune esclusioni come quelle di Misiani, Martella, Mauri, come pure alcune new entry: l’assessore al Bilancio del Lazio, Lepore, e la carneade senatrice Messina, pugliese) hanno provocato malumori e dissapori a non finire da parte degli ‘esclusi’, ovviamente, ma anche delle correnti interne. Ieri, nella Direzione convocata dal segretario – un ‘primo tempo’ che vedrà un ‘secondo tempo’ lunedì prossimo, quando parleranno molti big – non se n’è parlato, del tema.

 

“S’è parlato solo di donne”. Le ‘amazzoni’ democrat in lotta per un posticino visibile quanto inutile, quello da vicesegretario

Peter Paul Rubens The Battle of the Amazons

“la battaglia delle amazzoni”
Peter Paul Rubens – olio su tela

Abbiamo parlato solo di donne…” gemono alcuni dem che speravano si entrasse nel dibattito pre-congressuale e dimostrando, così, una scarsa sensibilità femminista. Ma anche sulle donne, e sul maggior ruolo che dovranno avere, nelle intenzioni di tutti, nel Pd del futuro, non si riesce a trovare la ‘quadra’. Si dice, infatti, che Zingaretti, all’Assemblea nazionale, che si terrà sotto forma di – sicwebinair il prossimo 13 e 14 marzo, voglia proporre uno certo, se non due, vice-segretari donna.

cecilia delia

Cecilia D’Elia

La scelta cadrebbe su Cecilia D’Elia – attuale presidente della ‘conferenza delle donne’ del Pd, organismo pletorico e inutile come molti, in casa dem – che viene dalla stessa filiera di ‘Zinga’ (la Fgci, e in particolare la Fgci romana, degli anni Ottanta). Insomma, l’ennesima nomina giocata in casa. L’altro vicesegretario potrebbe essere, invece, un’altra donna, ma di un’altra area interna.

valeria fedeli

Valeria Fedeli

Si parla o di Valeria Fedeli (vicina a Base riformista) o di Deborah Serracchiani (area Delrio). Una mossa tesa a ‘spaccare il fronte’ dell’area riformista, dunque. O, ancora, potrebbe trattarsi dell’ex ministro Paola De Micheli, che ieri ha fatto capire, papale papale, che “un ministro non può fare il vicesegretario. Io, mi sono subito dimessa, da vicesegretario, non appena divenni ministro”.

Paola De Micheli (Pd)

Paola De Micheli (Pd)

De te fabula narratur, avrà pensato il povero paladino Orlando. Infatti, scottata dalla fregatura presa con la fine del Conte 2 (sono molti i ministri che non riescono a darsi pace nel tornare a fare i deputati semplici…), la De Micheli – l’altro ieri lettiana, poi ieri renziana, infine zingarettiana – ha il dente avvelenato. Il guaio è che Andrea Orlando – cui la De Micheli ‘parlava’ pur senza citarlo – non ha alcuna intenzione di dimettersi dal suo attuale ruolo nel partito, quello di vicesegretario.

andrea martella pd

Andrea Martella-Pd

Sia perché è quello che, ben più dello stesso Zingaretti, ha più truppe sul territorio, sia perché ha il dente avvelenato con il segretario che non si sarebbe battuto per riconfermare molti dei suoi uomini, da Antonio Misiani al Mef al suo Andrea Martella, fino a ieri sottosegretario all’Editoria.

Già lunedì, in Direzione, la discussione salirà di tono e sarà al calor bianco. All’Assemblea nazionale potrebbe esplodere. La verità è che, dentro il Pd, la ‘guerra’ interna è solo iniziata.