“Armiamoci e partite”… La minoranza dem, i riformisti di Br, lanciano un mezzo guanto di sfida a Zingaretti e Orlando

“Armiamoci e partite”… La minoranza dem, i riformisti di Br, lanciano un mezzo guanto di sfida a Zingaretti e Orlando

3 Marzo 2021 1 Di Ettore Maria Colombo

“Armiamoci e partite”. La minoranza dem di Base riformista si posiziona contro il Nazareno, ma per ora sarà “guerra di logoramento” e non una “battaglia in campo aperto”. Tutte le posizioni di tutte le correnti dentro il Pd in vista dell’Assemblea nazionale e, forse, del congresso anticipato. Per fortuna, però, ci sono le donne riformiste a ingaggiare battaglia…

armiamoci e partite

 

NB: il succo di questo articolo è comparso oggi 3 marzo 2021 sulle pagine del Quotidiano Nazionale 

 

Base riformista si schiera: sarà guerra ‘di posizione’ nel Pd

base riformista

Base riformista si schiera, ma è guerra ‘di posizione’ nel Pd

Gli ex renziani del Pd, i riformisti dem di Base Riformista, stavolta sembra davvero che abbiano rotto gli ormeggi e, in una riunione molto partecipata e molto lunga tenuta ieri al Senato, abbiano deciso di andare alla guerra contro la segreteria di Zingaretti e le sue alleanze con M5s e Conte. Solo che, come non può che essere in una corrente di cui il ministro alla Difesa, Lorenzo Guerini, insieme a Luca Lotti, è il leader indiscusso, è una ‘guerra di posizione’, per ora, e non una ‘guerra di movimento’. Una guerriglia, insomma, più che una dichiarazione di guerra vera e propria, ecco.

A fine riunione, esce pure un comunicato che recita così: “Siamo preoccupati per il Pd. Per questo riteniamo prioritario mettere in sicurezza il Pd attraverso un percorso di rigenerazione che non può che passare da una discussione congressuale, l’unica in grado di coinvolgere tutta la comunità democratica” sottolineano fonti di Base riformista al termine dell’assemblea dell’area che fa capo a Lorenzo Guerini e Luca Lotti. “Noi speriamo che da qui al 13 si trovino le modalità per avviare questa discussione, tutti insieme. Speriamo possa partire un percorso con il segretario per riflettere sulla nostra identità, sul ruolo del Pd e anche sul rapporto con il M5s” proseguono fonti Br. “Non subito, ma dopo le elezioni amministrative, appena le condizioni della pandemia lo consentiranno, questa discussione andrà fatta. Il 2023 è un’altra era”. Sul M5s, da Base riformista spiegano ancora: “Per noi il populismo gentile non esiste, né quello maleducato. Abbiamo visto il populismo in combinazione con il sovranismo che ha prodotto i Dl sicurezza, la legge sulla legittima difesa e la definizione di ‘taxi del mare’. Noi apprezziamo l’evoluzione ma bisogna verificare se sia autentica o il grado di opportunismo. Pensiamo sia legittimo discuterne, nel Pd”.

La minoranza Pd va alla ‘guerricciola’ contro il Nazareno

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Il problema, prima di chiarire, il ‘dove’ vuole andare Br, è capire ‘chi’ rappresenta chi, cioè ‘chi sono’ quelli di Br. Rappresentano la parte più grossa della minoranza, gli ex renziani di ‘Base riformista, ma ognuno con le sue specifiche. Un po’ sono intellettuali pensosi e cogitabondi: il costituzionalista Stefano Ceccanti, ma anche il filosofo prestato alla politica Andrea Romano, divisi da antiche rivalità localistiche e campanilistiche (Ceccanti è pisano, Romano è livornese). 

Ceccanti Stefano

Stefano Ceccanti

Un po’ sono lupi di mare avvezzi a ‘navigar in tempesta’, è vero, ma fin troppo sgamati e furbi per esporsi in modo netto e palese, ma conditi da moliti birignao: Enrico Borghi, segretario d’aula alla Camera, della val d’Ossola, e Carmelo Miceli, palermitano, che ha fatto il beau geste di mettere sul piatto le sue dimissioni da responsabile Giustizia della segreteria di Zingaretti (un segnale chiaro). Un po’ sono ‘diplomatici’ per storia, formazione, profilo fisico, prima ancora che intellettuale: il senatore milanese Alessandro Alfieri, portavoce della corrente medesima con il livornese Romano.

Andrea Romano

Andrea Romano

Un po’ sono guardinghi e sospettosi per natura: uno dei due capi della corrente, il fiorentino Luca Lotti, ex braccio sinistro di Renzi come Guerini ne era quello destro. Un po’ sono abituati a ‘troncare, sopire, sopire, troncare’ come il conte Zio di manzoniana memoria: e qui si parla, appunto, dell’attuale ministro alla Difesa, Lorenzo Guerini, l’altro capo della corrente insieme allo stesso Lotti, che viene dall’antica scuola e sapienza Dc dorotea, oltre che dalla scuola di Miglio.

Com’è, come non è, prima che una corrente come Br si decida a ‘muovere guerra’ a qualcosa – figurarsi a qualcuno – servono “lunghe e pacate riflessioni” come avveniva nella Dc e nella Cisl (ma anche nel Pci e nella Cgil) degli anni Sessanta e Settanta: in pratica, mentre il Mondo esterno collassava, implodeva, bruciava, nel Pci-Dc e nella Cgil/Cisl si discuteva, e discuteva, e discuteva…

 

“Sebben che siamo donne/ paura non abbiamo”. In cambio, la pazienza delle donne riformiste dem è davvero finita

sebben che siamo donne

Sebben che siamo donne paura non abbiamo

E, dunque, cosa fa Br, la corrente di Lotti e Guerini? ‘Discute’, appunto, come ha fatto in una riunione di area che si è tenuta ieri nella sala Nassyria del Senato, ha visto la presenza di quasi tutti i parlamentari (35 deputati e una ventina di senatori, la maggioranza relativa dentro i gruppi dem) e dei referenti locali e sui territori, riunione che è durata ore e ore: insomma, sembrava non finisse mai. E potrebbe anche protrarla all’infinito, tale discussione, in Br, se non fosse che – per loro fortuna – di Br fanno parte alcune, anzi molte, donne. Concrete e pratiche, abituate a dire pane al pane e vino al vino, tocca a loro mettere il coltello nella piaga, dire che ‘il re è nudo’ e che, insomma, bisogna rompere gli ormeggi e dichiarare guerra – in senso metaforico, si capisce – a Zingaretti e a tutta la sua ‘banda’ (sempre in senso metaforico, si capisce, ma meglio specificarlo).

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E così, dunque, ecco che persino dentro Br (l’acronimo più infelice, a memoria d’uomo, nella storia delle correnti di ogni partito e di ogni latitudine politica), ci sono ‘i falchi’. O, meglio, appunto, le ‘falche’, aquile reali pronte a beccare l’avversario. Infatti, durante l’assemblea di corrente di ieri, bisogna attendere, pazientemente, che prendano la parola loro, le ‘femmine’.

Molte, se non tutte, le donne di Br (Alessia Morani, Alessia Rotta, Patrizia Prestipino, Anna Ascani, ma anche la new entry, Rosa Maria De Giorgi, etc.) sono per ingaggiare, e subito, battaglia contro Zingaretti e la sua ‘folle idea’ di allearsi, perinde ac cadaver, con M5s e LeU a Roma come nel Lazio, nelle giunte regionali come alle elezioni comunali, con Conte come leader. Sono loro, le donne riformiste, dunque, a cannoneggiare sia il Nazareno (sul congresso) che Orlando (sulla volontà di tenere a sé l’incarico di vicesegretario) sia Zingaretti (sull’alleanza con i 5Stelle) sia Bettini (sul ruolo ‘strategico’ che dovrebbe avere Conte). E lo fanno con frasi, stavolta, chiare, aperte, soprattutto comprensibili. “Congresso in autunno, Conte è un competitor” (Morani), “Subito il congresso, Conte non può essere il punto di riferimento” (Rotta), etc. Fino al “non possumus” della romana – e molto forte in città – Prestipino all’alleanza organica con i 5Stelle che Zingaretti sta portando a dama a Roma e Lazio.

valeria fedeli

Valeria Fedeli

Infine, una donna che poteva ambire a diventare vice-segretaria (e, soprattutto, ministra, specialmente al Welfare, la senatrice Valeria Fedeli, la mette giù così con Qn e con questo blog: “Il dibattito sulla scarsa presenza di donne nella delegazione dem al governo l’ho aperto io e non me ne pento. Il tema però non sono i posti, ma la linea politica, in base a quello chiedi i posti. Vale per le richieste nel sottogoverno come per gli assetti del nuovo Pd. Se io posso concorrere a fare il vicesegretario? Ho fatto il segretario generale dei tessili della Cgil, sono stata in segreteria, ho fatto il ministro della Repubblica, sono senatrice. Mi sembra l’ora di dire: ‘largo ai giovani’.

Serracchiani

Debora Serracchiani

Debora Serracchiani ha lavorato sodo e bene, penso a lei, e rispetto anche il lavoro svolto da Cecilia D’Elia. Se chiedo il congresso anticipato? Serve una discussione vera, profonda, seria, sulla identità politica del Pd: vogliamo essere un partito socialdemocratico alla tedesca? Un partito democrat stile Usa? Un new Labour all’inglese? Zingaretti deve dirci dove ci vuole portare. Abbiamo governato, con il Conte 2, senza un’identità politica forte, ora dobbiamo sostenere l’azione del governo Draghi fino in fondo, ma dobbiamo darci una prospettiva. Anche ai miei amici di Base riformista dico, però, che i riformisti veri, seri, vivono di proposte: dobbiamo dire cosa vogliamo fare, e perché, poi decideremo con chi si vuol farlo. Congresso alla scadenza naturale del mandato di Zingaretti? No, non va bene, nel frattempo il mondo è cambiato e sta cambiando. Si è aperta una fase nuova, con il governo Draghi. Le soluzioni dell’ultimo congresso non sono più in campo. Un governo non di coalizione e partiti sempre più deboli abbisognano di risposte forti e alte,  servono innovazione e passione, riformismo ed esperienza. Non basta dire ‘voglio Renzi’ o ‘voglio Bersani’ per capire in che direzione vuoi porre il Pd del futuro”. Fin qui le considerazioni della senatrice Fedeli

 

Lotti fa il ‘falco’. Guerini, come al solito, fa la ‘colomba’…

lotti guerini

Lotti Guerini Area Riformista

Lotti si è mostrato, nella discussione, più ‘falco’ che colomba’. Guerini, al solito, ha vestito i panni del Conte zio di manzoniana memoria, ma è anche consapevole che “ormai i miei non li tengo più”. Tra i suoi fedelissimi ci sono anche Stefano Ceccanti ed Enrico Borghi, che ne fanno una questione ‘alta’ di “vocazione maggioritaria”, “profilo riformista”, “rilancio politico del Pd”. Parole.

alessandro alfieri

Alessandro Alfieri

Alessandro Alfieri, senatore e coordinatore dell’area, però, pur venendo dalla carriera diplomatica, la riassume così, la questione: “Siamo molti preoccupati per lo stato del Pd. Serve una discussione congressuale vera, appena avremo sconfitto la pandemia e combattuto le elezioni comunali. Gli assetti del Pd, oggi, tocca a Zingaretti deciderli, ma non ci accontenteremo di un vicesegretario donna o strapuntini in segreteria”. Forse, il congresso del Pd stavolta è iniziato davvero? Forse.

 

I riformisti dem chiedono il congresso, sì, “ma non subito”

congresso pd

I riformisti dem chiedono il congresso, sì, “ma non subito”

Congresso, però, che Br chiede “non subito, che non si può, perché c’è la pandemia”, ma “entro l’anno, dopo le amministrative”. Tema, in ogni caso, il congresso anticipato e non naturale del Pd su cui – all’Assemblea nazionale del 13 e 14 marzo – chiederemo – dicono fonti di Br – “risposte chiare e univoche” perché “non possiamo accettare la scadenza naturale delle assisi fissata da Zingaretti”, e cioè il 2023”, quando “sarà passata un’era geologica dal 2018”, anno della sua elezione, “come già ora”. “Rilancio dell’identità riformista e della vocazione maggioritaria del Pd”. “No” – non dichiarato, né esplicito, ma sostanziale – a una ‘ridotta’ che vede il Pd chiudersi nell’alleanza con M5s e LeU, chiudendo ogni altro spiraglio e dialogo con tutto il resto del Mondo, dall’area che oggi si dice ‘liberal-democratica’, da Italia Viva di Renzi (sì, lui, il ‘nemico numero uno’ del Nazareno) ad Azione di Calenda, da Più Europa della Bonino a Base Italia di Bentivogli etc.

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Enrico Borghi

Enrico Borghi – tipo tosto e deciso, poco avvezzo ai compromessi, ex democristiano ma abituato a essere spigoloso – esponente di Br, la discussione di ieri la riassume così: “Abbiamo, ed ho, in particolare, espresso tre questioni: 1) tutta la nostra preoccupazione per la difficoltà a rilanciare la ragion d’essere del Pd e una sua riconoscibile funzione politica nazionale nella nuova stagione inaugurata con il Governo Draghi.  2) un forte impegno di tutta l’area ad accompagnare l’azione dell’esecutivo Draghi sulle priorità della campagna vaccinale, dei ristori e del Recovery Plan. 3) l’allarme per il rischio di un declino del Pd e l’urgenza di un suo rilancio politico, identitario e programmatico che passi necessariamente da una discussione di rango congressuale che coinvolga tutta la comunità politica dem senza timori o chiusure difensive. E neppure senza subalternità nei confronti di altri .4) paventiamo il rischio che l’Agenda Draghi (i cui contenuti di sviluppo economico e coesione sociale sono da rivendicare pienamente ad un programma progressista) venga scippata al Pd e fatta propria da altri partiti a causa ignavia segreteria. 5) urge un confronto con le altre aree del partito che condividono preoccupazioni e analisi con noi in vista di un percorso comune. Faremo un nuovo incontro, alla vigilia dell’Assemblea Nazionale, preparandoci ad una discussione libera e autentica per la tenuta e il rilancio del Pd anche di fronte ai molti rischi che incombono sul suo futuro”.

 Il candidato pronto ai box c’è: è il governatore Bonaccini

stefano bonaccini

Stefano Bonaccini

In attesa che Br prenda il coraggio a due mani e si decida a chiederlo davvero, in una riunione formale del partito, questo benedetto congresso (Matteo Orfini, per dire, lo fa e apertamente), in realtà, pronto ai box, ci sarebbe pure un candidato, un ‘campione’ che dovrebbe sfidare, al prossimo congresso, Zingaretti, se si ripresenterà, o Orlando, se gli impegni di governo glielo permetteranno, o comunque il candidato della sinistra del partito: Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia-Romagna e presidente della conferenza Stato-Regioni. Sempre che, si capisce, il ‘Bonaccia’ prenda il coraggio a due mani e decida davvero a scendere in campo.

Ove lo facesse, Bonaccini sarebbe di certo supportato, nel suo ‘folle volo’ contro il ‘corpaccione’ del Nazareno e del partito, dal ‘partito dei sindaci’ (Gori a Bergamo, Nardella a Firenze, Decaro a Napoli), da altri governatori (Giani in Toscana) e pezzi pregiati dem come la segretaria della Toscana, Simona Bonafé. Un ‘asse’ del Centro-Nord, cioè, regioni dove il Pd gode ancora di buoni voti e tanti iscritti, contro un ‘asse’ del centro-sud (Emiliano in Puglia, De Luca in Campania e, ovviamente, Zingaretti nel Lazio) che, invece, sta con tutti e due i piedi dalla parte del Nazareno.

 

Le posizioni delle altre correnti di minoranza del Pd

Matteo Orfini

Matteo Orfini

Una partita a sé, invece, giocheranno i Giovani Turchi di Matteo Orfini, i più coriacei avversari dell’attuale linea del Pd, che dovrebbero candidare una esponente della loro area, la giovane – e simpatica – deputata modenese Giuditta Pini.

Giuditta Pini

Giuditta Pini

Restano, invece, in attesa di capire con chi è meglio schierarsi per incassare le ‘quote’ e i ‘dividendi’ più alti due aree che numericamente valgono assai poco, ma politicamente valgono molto: l’area Delrio (“Sinistra è cambiamento”, ereditata da Maurizio Martina), che fa capo all’attuale capogruppo dem alla Camera. E Area dem, cioè l’area del ministro Dario Franceschini, il quale, per ora, si limita a tacere e meditare cogitabondo sul futuro di un partito di cui, finora, ha sempre avuto le chiavi, ora non più. In fondo, Delrio (e Marcucci al Senato) devono difendere ‘solo’ i loro posti, come capogruppo, che gli zingarettiani vogliono far cadere, Franceschini deve difendere ‘anche’ il suo futuro (presidente della Camera? O della Repubblica? Chissà).

 

Le truppe ‘lealiste’ di Zinga pronti a difenderlo fino alla fine

Nicola Zingaretti

Nicola Zingaretti

Con Zingaretti, ovviamente, si schierano tutti i suoi – che non sono tanti in Italia ma rappresentano l’intera Roma e l’interno Lazio – il ‘partito del Sud’ (rappresentato da tre ex ministri: il siciliano Provenzano, il pugliese Boccia, il campano Amendola) e, ovviamente, la corrente di Bettini (Meta-Morassut), romanocentrica. Più una serie di governatori di peso (Emiliano in Puglia, De Luca in Campania) e spezzoni di quel che resta dell’antico potere post-comunista nel Sud (Sicilia, Calabria, Basilicata, Campania, etc.) e nel Centro Italia mentre, nel Nord, le truppe di Zinga sono assai esili.

 

Ma pure il ‘paladino Orlando’ è pronto a scendere in campo

ANDREA ORLANDO MINISTRO DELLA GIUSTIZIA

Andrea Orlando

Infine c’è Dems, la corrente di sinistra di Andrea Orlando. Il quale – scottato dalle nomine nel sottogoverno che hanno visto Zingaretti ‘sterminare’ tutti i suoi uomini – e con una vice-segreteria assai a rischio (Zinga vuole offrire il suo posto a una donna, forse la Serracchiani di Area dem, e regalarlo l’altro a una donna tutta sua, la responsabile della Conferenza delle donne, Cecilia D’Elia), posto che, tuttavia, Orlando non intende affatto lasciare, ecco che proprio l’attuale ministro al Welfare sembra ambire a essere lui il ‘campione’ della sinistra interna. Come ha scritto ieri sera ai suoi, dopo una dura giornata di lavoro al Ministero, “Riemergo da una giornata infernale. Grazie a tutti. Il congresso è nei fatti e sarà, purtroppo, il più lungo della storia. In palio c’è la natura del Pd. La sua capacità di parlare ai più deboli e di essere il partito che lotta contro ogni diseguaglianza. Dobbiamo aspettarci un’escalation. Ci vogliono nervi saldi ma anche grazie determinazione. Al lavoro e alla lotta“, cioè la frase che si usava dire ‘ai tempi belli’ del Pci….

cavallo troia renzi

“Un cavallo di Troia” di Renzi nel Pd

Formalmente contro il ritorno degli ex renziani, vissuti come “un cavallo di Troia” di Renzi nel Pd, ma anche contro una gestione del Pd, quella di Zingaretti, che anche a sinistra (vedi alla voce: Gianni Cuperlo) ritengono sia stata pessima, se non del tutto fallimentare. Se fosse Orlando lo sfidante del riformismo (Bonaccini o Gori o un altro) il pendolo della sfida dem si sposterebbe molto a sinistra. Nella testa di Orlando, infatti, c’è l’idea di ‘assorbire’ quel che resta di LeU (Articolo Uno di Speranza e Bersani), far rientrare D’Alema nel Pd e re-imbarcare molti ex dispersi.

Vogliono solo posti”. La reazione stizzita del Nazareno

il nazareno sede pd

La sede del Pd al Nazareno

“Incassati i posti nel governo, ora cominciano a bombardare la segreteria” è la reazione stizzita e nervosa di quanto accade in seno al Pd di un parlamentare della maggioranza dem che non nasconde una certa amarezza davanti alle grandi manovre in corso dentro Base riformista e nelle altre componenti della minoranza del partito. “La gestione unitaria era una pia illusione”, aggiunge il deputato zingarettiano mentre scorre le righe del comunicato seguito alla riunione dell’area che si raccoglie attorno a Guerini e Lotti. E lo stesso Zingaretti, in Direzione, aveva avvertito minaccioso: “Conservo gli sms di tutti i sindaci riformisti che mi imploravano di fare il governo con i 5Stelle…“, mentre fonti della segreteria fanno notare che “la gestione del Pd è sempre stata davvero unitaria”

Mario Draghi

Mario Draghi

Ribadito l’impegno a supportare il governo Draghi – come indicato anche ieri da Zingaretti nel corso della Direzione nazionale – i partecipanti alla riunione di Base Riformista si sono concentrati sulla gestione del partito con la necessità – più avvertita da Lotti che da Guerini – di un congresso vero.

Tradotto: avviare il percorso verso le primarie e la scelta di un nuovo segretario. Il candidato più accreditato resta Bonaccini, che però rifiuta di farsi identificato con questa o con quella corrente, ma a cui guardano gli esponenti di Br in chiave anti-Zingaretti. Quella della leadership, tuttavia, è solo l’ultimo passo del percorso che ieri è stato delineato nel corso della riunione di Br: “prima un progetto riformista”, viene spiegato, “poi le alleanze con chi condivide analisi e prospettiva di un rilancio del Pd e, infine, la definizione della leadership con chi condivide questo percorso”.

 Il delicato passaggio dell’Assemblea nazionale di marzo

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Assemblea nazionale del 13 e 14 marzo 2021

Prima di tutto, però, c’è da affrontare il passaggio dell’Assemblea nazionale del 13 e 14 marzo, quando il parlamentino dem – luogo deputato e sovrano per ogni decisione di rango congressuale – sarà chiamato a scegliere forme e tempi della discussione che, nelle intenzioni del segretario, servirà ad “aprire una discussione su di noi, sulla nostra idea e proposta di Paese e questa discussione andrà fatta anche con chiarezza e con franchezza utilizzando con gli strumenti che abbiamo, dandoci delle regole, un modo di discutere”. Zingaretti non mette sul piatto la leadership del partito e, alla direzione, spiega che “il congresso del Pd si è svolto nel marzo del 2019 e le primarie saranno nel marzo del 2023”. Insomma, ‘mettetevi comodi, tanto comando io’, è il messaggio lanciato dal segretario ai suoi contestatori. Del resto, Zingaretti si fa forte dei numeri.

L’ultima parola spetta all’assemblea, organo che rispecchia i numeri dell’ultimo congresso, in cui Zingaretti vinse con il 66% e che governa con l’appoggio di Area dem, ma che ha da solo la maggioranza dei consensi dell’Assemblea (stavolta, la scelta di Franceschini non sarà decisiva…).

La possibilità che dall’Assemblea non emerga la volontà di procedere con una discussione sulla leadership, dunque, c’è ed è pure alta. In quel caso, Base Riformista potrebbe uscire dalla segreteria del Pd, organo che da statuto spetta alla maggioranza congressuale, ma che Zingaretti all’epoca della sua vittoria ha voluto aprire alle minoranze per cercare l’unità interna del partito.

Se non si condivide un percorso unitario, inutile stare ipocritamente in segreteria”, spiega un esponente di spicco di Base Riformista: “Il segretario, in quel caso, si intesta la responsabilità di rompere il fronte unitario che noi abbiamo voluto condividere e che abbiamo mantenuto nonostante i pesanti attacchi verbali degli ultimi giorni, con alti esponenti del partito che via via ci definivano ‘scorie’ o ‘metastasi’ o‘ rigurgiti’ del renzismo, suoi cavalli di Troia”.

“Vogliono tornare ai Ds”. Br pronta a lasciare la segreteria

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Luca Lotti

Di “segnali di rigurgiti del passato” ha parla ieri anche Lotti. Si tratta, però, di un passato diverso da quello renziano: il leader di Base Riformista ritiene che il Pd stia diventando una “ridotta dei Ds” e che il Pd si stia condannando ad essere subalterno al Movimento 5Stelle. Ma respinge qualsiasi, eventuale, tentazione scissionista: “La battaglia si fa stando dentro al partito, combattendo”.

ANDREA MARCUCCI

ANDREA MARCUCCI

La prima di queste battaglie non sarà sul vicesegretario. Nonostante in Base Riformista siano in molti a chiedere un passo indietro ad Andrea Orlando – vedi alla voce del capogruppo al Senato, Andrea Marcucci – Lotti esorta i suoi a non accettare eventuali proposte in questo senso.

L’ex ministro dello Sport si dice sicuro che lo scopo della maggioranza sia quello di cacciare i riformisti dal partito e, per questo, invita a non dare pretesti agli zingarettiani: “Non saremo noi a dire ‘che fate, ci cacciate?’!”, fa Lotti citando Gianfranco Fini al momento dello strappo con Silvio Berlusconi, stando a quanto riferisce uno dei partecipanti alla riunione.

Lorenzo Guerini

Lorenzo Guerini

Toni più morbidi arrivano da parte del ministro Lorenzo Guerini che, pur condividendo la necessità di procedere a un “dibattito congressuale” spiega: “Non si può dare l’idea di respingere la richiesta di un dibattito congressuale come se fossimo chiusi in un fortino, come se si fosse assediati”.

Per il responsabile della Difesa, “quando le condizioni della pandemia lo consentiranno, non bisognerà avere paura di celebrare un congresso vero, chiaro e necessario al Pd”.

scissione

E se Zingaretti, forte dei numeri dell’Assemblea, negasse il congresso e procedesse come un treno sulla strada dell’unità con M5s e LeU, del ‘patto di azione’ con Conte e della chiusura di ogni istanza dell’area dei riformisti? Allora sì che, come fu per Fini nel Pdl, il quale una volta rotto con Berlusconi, ne uscì creando Fli, non resterebbe che una sola strada, quella della scissione.