“Allarme rosso!”. Il Pd, alle comunali d’autunno, rischia grosso in quattro grandi città. Persino a Bologna

“Allarme rosso!”. Il Pd, alle comunali d’autunno, rischia grosso in quattro grandi città. Persino a Bologna

27 Marzo 2021 1 Di Ettore Maria Colombo

Sommario

“Allarme rosso!”. Il Pd rischia alle amministrative di ottobre in quattro città su cinque (Bologna, Torino, Napoli e Roma) al voto, cioè quasi tutte tranne Milano. Il nuovo segretario Letta si gioca il cuore e la testa

Sirena di colore rosso

“Allarme rosso!”. Il Pd, alle comunali d’autunno, rischia grosso

 

“La sindrome Guazzaloca”. Il Pd non può “ri-perdere” Bologna perché per Letta e per tutto il partito sarebbero guai grossi…

Giorgio Guazzaloca

Giorgio Guazzaloca, fu il primo sindaco di Bologna non di sinistra

E se, Dio non voglia, il Pd perdesse Bologna?”. La domanda – angosciosa e angosciante – la pone uno dei maggiori colonnelli del Pd a un suo ‘sottoposto’ cui chiede – ansioso e preoccupato, premuroso e provato nel fisico e nell’animo – notizie del ‘casus belli’ bolognese interno al Pd (uno scontro fratricida tra due candidati alle primarie mentre il centrodestra macina consensi). Il big lo fa durante una pausa delle comunicazioni del governo Draghi sul Consiglio Ue che il premier ha tenuto mercoledì scorso alla Camera. La domanda angosciata riecheggia nell’aere da una panchina all’altra nel bel mezzo del cortile d’onore di Montecitorio ed è lì che il cronista, per puro caso, la origlia.

“Letta, mettici la testa!” è il grido di dolore che sale dai dem

Enrico Letta

“Letta, mettici la testa!” il grido di dolore dem

E se, magari, con Bologna, città ‘rossa’ per storia, merito, eccellenza, il Pd (e Letta) perdessero pure Torino (città sabauda), magari anche Napoli (città partenopea) e, infine, colpo mortale finale con avvitamento carpiato, il Pd capitolasse pure a Roma, tenendo solo Milano? Sarebbe un  disastro.

Di più, uno sfracello di quelli epocali al confronto dei quali la sconfitta in Umbria del 2019 sarebbe un lontano, pallido, ricordo. Verrebbe molto meglio il paragone con la sconfitta – rovinosa – del Pds di D’Alema alle Regionali del 2000 (ci rimise un governo, il suo), con quella di Renzi al referendum costituzionale del 2016 (ci rimise un governo, il suo, e pure il partito, che sempre suo era) e, appunto, con quella di Bologna del 1999, quando il ‘fortino rosso’ cadde, grazie al ‘fenomeno Guazzaloca’ e il Pci-Pds-Ds perse l’anima, la vita e il senso del suo futuro e della sua storia. Può succedere che il Pd ‘ri-perda’ Bologna? Sì, può succedere. Più avanti, per filo e per segno perché.

Letta risponde: “Ci metterò la testa, ma la prossima settimana”

metterci la testa

Letta: “Ci metterò la testa la prossima settimana”

Qui basti dire che il finto scioglilingua (“E se, Dio non voglia, Letta perdesse a Bologna?”) contiene una domanda che è, in sé, traumatica. Può il nuovo Pd a guida Letta permettersi una sconfitta, alle prossime elezioni amministrative? Decisamente no. I suoi avversari – interni (gli ex renziani) ed esterni (Salvini e Meloni) – sono già pronti a fargli la festa e godersi la scena di un segretario che sognavadi rivoluzionare il partito e si ritrova a mangiare la polvere. “In fondo – maligna un ex comunista che la sa lunga e conserva un po’ di sana memoria storica – D’Alema, e parliamo di D’Alema, si dimise da premier dopo le Regionali perse male nel 2000. E Veltroni, e parliamo di Veltroni, si dimise dopo una sola sconfitta, quella in Sardegna, nel 2009. Dovrebbe dimettersi anche Letta, se perde, giusto?”. Letta, però, sommerso da mille guai e mille problemi si limita a un laconico “sulle comunali ci metterò la testa la prossima settimana”. Lo farà.

La gestione Letta causa i primi mal di pancia interni al Pd

Arnaldo Forlani

Questo è un coniglio mannaro peggiore di Forlani (Arnaldo)

In realtà, i malumori e i veri terremoti che la gestione Letta sta provocando nel partito sono già tanti, variegati e molteplici. “Sta facendo in due settimane quello che Zingaretti ‘er Saponetta’ non è riuscito a fare in due anni: ci sta asfaltando tutti – si lamenta ad alta voce un ex diccì di lungo corso – Questo è un ‘coniglio mannaro’ peggiore di Forlani: se non ci accodiamo alle Politiche ci stermina. Mejo che te lo ricordi: nel 2023 le liste le fa Letta, conviene che te strizzi un po’ ar culo e abbozzi…”.

Letta, in effetti, in sole due settimane, è andato con l’accetta in corpore vili del tessuto fondativo dem e dei suoi ‘equilibrismi’ correntizi e di ‘aree’. Ha nominato chi voleva lui in Segreteria, pur scegliendosi da solo i candidati in una sorta di ‘fior da fiore’ correntizio stretto. Ha nominato chi voleva lui come vicesegretari, e cioè i due Peppe Provenzano e Irene Tinagli. E – capolavoro di tattica e di strategia, modello generale Bonaparte in procinto di diventare Napoleon L’Empereur – ha provocato e ottenuto la capitolazione dei due capigruppo dem di Senato e Camera, ormai uscenti (Marcucci e Delrio): teste rotolate nel cesto del Terrore (lettiano) senza neppure eccessivi spargimenti di sangue e tra gli applausi dei nobili dell’ancien regime che salivano al patibolo.

“Leoni per agnelli”. Due donne i nuovi capigruppo dem contro due uomini: Malpezzi al Senato, Serracchiani o Madia alla Camera

simona malpezzi

Simona Malpezzi

Il Pd ha scelto e sceglierà pure i nuovi capigruppo di Camera e Senato, entrambe ovviamente donne, nuovo ‘mantra’ della segreteria lettiana: ‘Towanda!’, Women power! L’utero è mio!, etc. il grido, e poco importa che si tratti di un farisaico pretesto per fare fuori uomini ritenuti scomodi (Delrio) o non allineati (Marcucci) al new kurs lettiano. Ormai è quasi andata. Al Senato Simona Malpezzi (Base riformista) è stata indicata e votata, in modo unanime, dall’assemblea dei senatori dem già l’altro ieri sera e poi è passata all’unanimità con 32 firme a suo favore su 35 membri del gruppo dem: un voto bulgaro, quello per la Malpezzi, aiutata dal fatto che il capogruppo uscente, Marcucci, ha convogliato su di lei tutti i voti della sua area, Base riformista, cui la stessa Malpezzi appartiene. 

serracchiani

Debora Serracchiani

All’interno del gruppo dem alla Camera, invece, ieri è proseguito solo ‘er dibbbattito’ (22 iscritti a parlare, e parlanti, con il segretario Enrico Letta a sua volta presente e parlante). Sembra avere più chanche l’attuale presidente della commissione Lavoro, Debora Serracchiani, sostenuta dal capogruppo uscente, Graziano Delrio (l’area è la stessa, ‘Fianco a Fianco’, la ex area di Martina che, orba di Martina, trasvolato alla Far, oggi è guidata da Delrio), ma un inedito asse tra zingarettiani-orlandiani-Giovani turchi-pezzi non uniformi di ex renziani ha provato a far crescere la candidatura di Madia (Marianna, come la Rivoluzione francese, ex ministra, assai vicina a Letta dai tempi di Vedrò).

marianna madia

Marianna Madia

In ogni caso, il voto – che si terrà martedì prossimo – del gruppo dem alla Camera vedrà il gruppo spaccarsi in modo verticale, e cioè in due tronconi quasi simmetrici, sancendo una rottura netta (e pure altri guai per Letta) perché, con l’appoggio unanime di Base riformista arrivato ieri sera (35 deputati sui 95 totali del gruppo dem), la Serracchiani ha dalla sua circa 40 voti e la Madia solo 15…

Qui un articolo, scritto successivamente, che parla dello scontro in atto tra Serracchiani e Madia: 

Lei, Lui e l’altra Lei. Lo scontro interno al gruppo dem alla Camera è una soap opera

Letta stringe i bulloni dell’alleanza con Conte e l’M5s, ma è ovvio che nelle città andare coi 5Stelle è come intestarsi la sconfitta…

Enrico Letta e Giuseppe Conte con mascherine

Enrico Letta e Giuseppe Conte con mascherine

Intanto, però, Letta gode, almeno per ora, del ‘favore degli Dei’. Per dire, l’alleanza strategica ristabilita con Conte e con i ‘nuovi’ 5Stelle avviene senza che si alzi un solo ‘ma’ di polemica. L’avesse fatto e detto Zingaretti lo avrebbero crocefisso tutti, nel Pd. Ma, se poi si scende ‘pe li rami’, cioè sui territori, in realtà il ‘patto’ con Conte lo inguaia parecchio, al nuovo segretario dem.

Il problema è che i 5Stelle valgono ormai assai poco nei sondaggi in generale e che, nelle grandi città, specie quelle del Centro-Nord, valgono ancora meno. Diciamo abbondantemente sotto il 10%, nelle previsioni più ottimistiche. Un altro po’ e l’M5s precipita alle percentuali di Iv, quella da 2%…

Inoltre, ‘aspettare Godot’, cioè i 5Stelle, crea problemi non da poco a una macchina imballata di uso, quella del Pd, che invece dovrebbe poter ripartire, e al più presto. Ma vediamo le principali città e le principali sfide che vi si prospettano con una particolare attenzione per la felsinea Bologna.

Roma. Calenda va avanti come un treno, la Raggi perde pezzi, il centrodestra è privo di nomi credibili, il Pd non sa che pesci pigliare, ma ora Letta annuncia che, in città, si faranno le primarie

Carlo Calenda

Calenda va avanti come un treno

A ROMA il Pd attende che la Raggi si ritiri (non lo farà) e che il Pd non amico di Calenda (Letta lo è) accetti di convergere sulla candidatura del leader di Azione civile, il solo che può battere la Raggi.

L’ex ministro – in ottimi rapporti con l’attuale nuovo segretario dem almeno quanto entrambi sono in pessimi rapporti con Matteo Renzi – sta girando, da quando ha annunciato ufficialmente la sua candidatura, la Capitale quartiere per quartiere, a partire dai più periferici, dicono i suoi, non dai Parioli (Torbellamonica, Centocelle, Corviale, etc.) e lì incontra, ogni giorno, associazioni di tutti i tipi (dagli animalisti ai vegetariani – sic – dai rom ai residenti, dagli immigrati alle società sportive).

Insomma, Calenda si è ‘portato avanti’ col lavoro e non ha alcuna intenzione di farsi da parte. D’altronde, Letta non glielo ha chiesto, quando è andato a trovarlo nella sede di Azione civile, e lui non intende rinunciare a dare battaglia. “Se Zingaretti o Sassoli si fossero candidati loro, lo avrei fatto, ma loro non lo hanno fatto e io ora vado avanti” dice ai suoi.

Sassoli e Zingaretti

Sassoli e Zingaretti

In effetti, tra Sassoli che non ci pensa proprio (punta a riproporsi come presidente ‘bis’ del Parlamento europeo per il biennio 2022-2024) e Zingaretti che, come sempre, fa ‘sor Tentenna’, Calenda ha campo libero. La fuga in avanti dell’ex ministro Gualtieri (candidato per un giorno in barba a Letta, poi non piace candidato da nessuno, poi col nome che ancora gira) non lo ha impensierito. Ci ha pensato Letta stesso a stoppare quella candidatura, che ormai è già evaporata. La singolar tenzone – Calenda ne è convinto – sarà tra lui e la Raggi che, nonostante tutto, intigna.

Virginia_Raggi_M5S_Roma

Virginia Raggi, sindaco di Roma

Ormai, la sindaca ha perso anche la maggioranza dentro l’Assemblea capitolina del Campidoglio: tra fuoriuscite, abbandoni ed espulsioni, per arrivare a 24 voti (il 50,1% dei voti dell’Assemblea) deve precipitarsi pure lei a votare, sennò non ci si arriva. Solo che i 5Stelle, che vorrebbero farla ritirare, per stringere meglio il patto con il Pd, come hanno già fatto e incamerato in Lazio, non hanno il coraggio e gli attributi per vietarle la corsa. Non che il centrodestra stia messo molto meglio. Uno straccio di candidato, a causa dei veti incrociati tra Salvini, Meloni e Tajani, non riesce a trovarlo.

Tajani salvini meloni

Tajani Salvini e Meloni, non hanno un nome forte per Roma

Guido Bertolaso nega pure di averci solo pensato e il manager Andrea Abodi è un nome debole, anche se pare assodato che il centrodestra, il suo ‘campione’, lo pescherà dalla società civile.

Resta, appunto, il Pd che dovrà decidere cosa fare e Letta pure: se converge su Calenda perde il sì dei 5Stelle all’alleanza, se stringe un patto con l’M5s perde Calenda. In entrambi i casi rischia. E di perdere Roma Letta non se lo può permettere: ne va del suo futuro da segretario Pd fino al 2023. Ecco perché, l’altra sera, Enrico Letta ha annunciato, in tv, ospite di Lilli Gruber a ‘Otto e mezzo’ (su la 7) che “a Roma il Pd e il centrosinistra terranno le primarie”. Un modo per uscire dall’impaccio, ma anche di permettere proprio a Gualtieri, se lo vorrà, di candidarsi, obbligandolo, però, a vincerle…

Napoli, ‘en attendant ‘Fico nel centrosinistra il centrodestra freme

roberto fico

Roberto Fico

A Napoli il Pd attende che il presidente della Camera, Roberto Fico, decida se candidarsi o no. Fico un giorno vorrebbe, il giorno dopo ci ripensa e il giorno dopo ancora sta per annunciare che sì, sarà della partita, lasciando scoperta, in tal caso, una posizione ambita come lo scranno più alto di Montecitorio. Solo che Fico è un nome ‘debole’, in una città dove, ormai, non vive quasi più, e che il fenomeno grillino, a differenza della Campania, lo ha accolto in modo generoso, ma senza troppi entusiasmi né eccessivi trionfalismi. Inoltre, il Pd – tanto per cambiare – è spaccato in vari tronconi: orlandiani, zingarettiani, riformisti, bassoliniani (ex, Antonio Bassolino ormai gioca in proprio) e tutti in guerra tra loro. Inoltre, anche se l’alleanza con M5s decollasse su un nome alternativo a Fico (quello dell’ex ministro all’Università Gaetano Maifredi) l’avversario, già in campo, è un osso duro. Senza parlare dell’ostilità del governatore e dominus campano, Vincenzo De Luca, verso la discesa in campo di Fico, e il disinteresse totale alla sua successione dell’attuale sindaco, De Magistris, che dopo cinque anni di dominio incontrastato con la sua lista di ‘sinistra-sinistra’, “Dema”, ora ha deciso di candidarsi alle elezioni regionali in … Calabria, elezioni che pure si svolgeranno a ottobre 2021.  

Il magistrato Catello Maresca

Il magistrato Catello Maresca

Intanto, il magistrato Catello Maresca, ‘nato’ a sinistra politicamente, è molto conosciuto e popolare e il centrodestra ha deciso di puntare su di lui per strappare Napoli alla sinistra, con buone chanche. Certo, Napoli ha eletto sindaco, a furor di popolo, De Magistris (che si candiderà alle regionali della … Calabria, a ottobre), quindi può rifarlo con Fico e realisticamente lo farà, ma non sarà tutto facile.

Torino, alert! Dem e stellati rischiano. Pd appeso all’Appendino…

Chiara Appendino sindaco di Torino

Chiara Appendino sindaco di Torino

A TORINO il Pd attende, paziente, che la sindaca uscente, Chiara Appendino, decida quale candidato vuole perché pare che debba deciderlo lei, la sindaca uscente: il nome scelto sarebbe quello del rettore del Politecnico, Guido Saracco, gradito alla sindaca pentastellata come al Pd.

Giacomo Portas

Giacomo Portas-Leader dei Moderati

Ma il leader dei Moderati, Giacomo Portas, che è sardo, ma a Torino ci vive e lavora da una vita, nel cortile di Montecitorio mette in fila solo ‘nudi’ fatti: “1) Saracco ha la moglie malata, e gravemente: ha già detto di no e continuerà a dirlo. 2) Allearsi con i 5Stelle e l’Appendino, che erano No-Tav e no-autostrade e no-tutto, ma soprattutto no-Olimpiadi invernali, che Milano ci ha scippato e che dovevamo invece fare da noi, per far ripartire l’economia, è una follia totale. Inoltre, l’M5s in città è un cavallo perdente. 3) Come Moderati valiamo il 9% e siamo la seconda forza della città. Non starò mai con un centrosinistra e un Pd alleato al M5s. Li farò perdere io, e poi lo faranno gli elettori. E anche con un certo godimento. Andavo d’accordo con Bersani, Zingaretti no, Letta non lo capisco”.

L’imprenditore Paolo Damilano

L’imprenditore Paolo Damilano

Ciliegina sulla torta, il candidato del centrodestra, l’imprenditore Paolo Damilano, lavora in silenzio, operoso e dignitoso: è forte, radicato, riconosciuto e stimato. Insomma, ha le chanche per farcela. Certo, Torino non è più una città di sinistra da quando i portoni di Mirafiori hanno chiuso e la Fiat è stata smantellata, ma regalarla alla destra non era – e non è – un dato di fatto così scontato.

Il Pd ha certezza di spuntarla solo nella metropoli global Milano…

Giuseppe Sala, sindaco di Milano

Giuseppe Sala, sindaco di Milano

Morale, il Pd ha certezze, o quasi, solo a Milano, dove si ricandida il new green Beppe Sala – il sindaco si è scoperto ‘verde’ e il partito dei Verdi vuole rifondare, dopo essere stato indipendente nel Pd – e dove il M5S non tocca palla neppure volendo. Al massimo, si accoderà al centrosinistra, che dovrebbe vincere in surplace. Milano sì che, invece, è diventata una città ‘de sinistra’. Il centrodestra, come in tutta la regione Lombardia, è in affanno e non riesce a trovare un candidato, anche se, alla fine, dovrebbe spuntarla il milanese, e ciellino, Maurizio Lupi, oggi deputato e leader di una piccola formazione politica moderata collocata nel centrodestra, il gruppo di Noi con l’Italia.

Poi, appunto, c’è il grosso guaio di Bologna, dove i dem rischiano di perdere e di subire ‘cappotto’. 

Se il Pd franasse lì, oltre che a Roma, vincere Napoli e Milano potrebbe essere una ‘vittoria di Pirro’, mentre perdere quattro importanti città su cinque sarebbe invece una vera e propria Caporetto.

Una legge elettorale stabile, quella dei sindaci, che risale al 1993

Elezioni Comunali 2021

Elezioni Comunali 2021

Le elezioni amministrative prossime venture dovevano tenersi, come si sa, tra maggio e giugno, ma causa pandemia sono state rinviate – esattamente come fu per le regionali del 2020 – in uno slot che il governo Draghi ha fissato tra il 15 settembre e il 15 ottobre. ‘Se’ il Covid19 infurierà meno del previsto e la curva pandemica si attenuerà, ai primi di settembre saranno indetti i comizi elettorali. Il primo turno dovrebbe tenersi, dunque, se ‘andrà tutto bene’ e i calendari politici e pandemici saranno tutti rispettati, il 9-10 ottobre, con eventuali ballottaggi il 25-26, cioè 15 giorni dopo.

La legge elettorale per i comuni (una sorta di Mattarellum ad usum ‘sindacem’), varata nel lontano 1993 e da allora sempre funzionante, è stata quella che ha instillato negli italiani la ‘logica’ del maggioritario più che il Mattarellum stesso. La legge elettorale – un sistema maggioritario a doppio turno – è facile da capire: vince il candidato sindaco che arriva primo con più del 50,1% al primo turno o quello che batte il secondo meglio piazzato al ballottaggio (e viceversa). Le coalizioni sono legate a doppio filo al candidato sindaco e garantiscono piena governabilità al primo cittadino. Casi di ‘anatra zoppa’ (maggioranze ‘politiche’ diverse o opposte da quelle che hanno eletto il sindaco) non si creano quasi mai, specie a partire dalla riforma della legge nel 1999, ma sono possibili.

Bologna, torna ad aleggiare in città la “sindrome Guazzaloca”

Una veduta panoramica della città di Bologna

Una veduta panoramica della città di Bologna

Ma veniamo, appunto, alla gara clou, Bologna. In psicopatologia della vita politica quotidiana, si chiama ‘sindrome Guazzaloca’ e comporta che entri in un trauma da cui, di fatto, non esci più.

Un trauma devastante e paragonabile solo alla sconfitta alle politiche del Fronte popolare del 1948 o a quelle dei Progressisti di Occhetto alle Politiche del 1994.

Walter Veltroni

Walter Veltroni

Il nome della ‘sindrome Guazzaloca’, viene dal ‘macellaio’ – vicino al centro, più che alla destra cittadina, recentemente scomparso – che, il 27 giugno 1999, sbucato dal nulla e nello stupore di tutti, stravinse le comunali bolognesi, contro una ‘signora Nessuno’ (Silvia Bartolini) candidata dai Ds di Walter Veltroni – il quale, poco dopo, nel 2000, peraltro rimise il suo mandato da segretario del Pd – dopo 55 anni di dominio ‘rosso’ incontrastato nella città felsinea.

sergio cofferati

Sergio Cofferati

Nel 2005 i Ds ‘ri-strapparono’ Bologna al Polo della Libertà inaugurando l’era dello ‘sceriffo’ Sergio Cofferati (caso non raro di personalità politica che ha una prima vita ‘di sinistra’ e una seconda ‘di destra’…), ma il trauma e la ferita si sentono ancora, in città, e nel corpo del partito.

 

Bonaccini, o la resistenza del ‘fortino rosso’ in val Padana

bonaccini stefano

Stefano Bonaccini

Peraltro, solo nel 2020, anche grazie ai voti della città di Bologna, il governatore ‘rosso’, Stefano Bonaccini, ha ‘fermato sul bagnasciuga’ le truppe ‘padane’ di Salvini che credevano di strappare il cuore rosso dell’Emilia-Romagna al Pd e al centrosinistra. Ma la netta vittoria di Bonaccini – che poi doveva candidarsi a guidare il Pd nel post-Zingaretti, poi ha aspettato troppo, ha perso ‘l’occasione buona’, come avrebbe detto il grande Vasco Rossi e ora si è ‘allineato’ al regno lettiano – è stata anche un’opera titanica, uno sforzo inane, tutto giocato sul ‘o con noi o contro di noi’ e ‘fermiamo i Barbari!’ (padani) che mobilitò coscienze e voti, militanti delusi e giovani Sardine. Oggi, a Bologna, non si respira aria simile, tra viali e controviali, portici e osterie, per non parlare dei quartieri periferici e più disagiati dove, a differenza del centro storico e delle vie del ‘cicaleccio’ e delle bevute giovanili, sono tutte arrabbiate, disperate, prive di riferimenti.

Il ‘regno’ di Merola e quello del suo ambizioso pupillo Lepore

Virginio Merola, Sindaco

Virginio Merola, Sindaco

Ecco, si respira una imbarazzante aria di apatia, rassegnazione, stanchezza, almeno a sinistra. Il ‘regno’ di Virginio Merola (sindaco ormai dal 2011, cioè ben due mandati) sta per finire, ma Merola vuole continuare a comandare. Ha cercato di imporre, al partito, un suo pupillo, l’assessore Matteo Lepore, passato – nel regno di Merola – dalle attività produttive alla Cultura.

L’assessore Matteo Lepore

L’assessore Matteo Lepore

Un fenomeno, questo Lepore: cittadino del quartiere popolare ‘Barca’, origini comuniste, un passato nelle Coop, oggi area Orlando-Zingaretti (ma più Orlando), quindi sinistra-sinistra del Pd, capelli e barba rossiccia, occhialini da bolscevico, è ritenuto da tutti – e lui così si ritiene – il predestinato a fare il sindaco. E’ ormai dall’estate 2020 che la sua candidatura è in campo, oggi è gradito a Letta ed è pronto anche ad aprire la coalizione al M5s che, con Max Bugani, storicamente ostile al Pd locale, raccoglie subito i segnali e si dice pronto, prontissimo, all’alleanza con il Pd.

La Gualmini nicchia, Aitini invece scende subito in campo

Andrea De Maria - Pd

Andrea De Maria – Pd

Ma non tutto fila liscio, come sempre succede e accade, quando si parla del Pd. Prima sembra volersi mettere in mezzo, contro Lepore, il deputato (ex cuperliano, oggi area Martina-Delrio) Andrea De Maria, simpatico bolognese doc, che poi però ripiega a sua volta su Lepore. Poi sembra il turno – sembra sempre il turno, in verità, ma poi il turno non arriva mai – della eurodeputata Elisabetta Gualmini: bella, giovane, tosta, preparata, avrebbe tutte le carte in regola, è stata pure vicepresidente di Regione con Bonaccini, lavora sodo in Europa in commissioni delicate, ed è moglie di una delle ‘teste d’uovo’ che scrissero lo statuto del Pd, il professore Salvatore Vassallo.

Elisabetta Gualmini

Elisabetta Gualmini

Ma lei, pensa che ti ripensa, alla fine, anche stavolta si tira fuori dalla corsa a sindaco, anche se Letta, a Bologna, vorrebbe ‘una donna’ e non è detto che Letta non vada da Gualmini a chiederle di ripensarci e di bere l’amaro calice di una candidatura che, ad oggi, appare persino rischiosa.

Infine, c’è una parte del Pd cittadino, quello più moderato, riformista e non proveniente dalla eterna – e ormai sfibrata – filiera del Pci-Pds-Ds, che intigna, si muove, si agita, ora et labora.

Merola perde la testa: “Aitini vergognati! Sei sleale, un fagiano!”

fagiano

Merola perde la testa: “Aitini sei un fagiano!”

E così ecco che, a un certo punto, l’area degli ex renziani oggi nel Pd, quella di Base riformista, capitanati dal deputato Francesco Critelli, lanciano la candidatura di un altro assessore della giunta Merola, ma uno che con il sindaco ci fa a pugni, l’assessore alla Sicurezza Alberto Aitini.

Alberto Aitini

Alberto Aitini

Inoltre, inizia un tiro al piccione contro la candidatura del ‘predestinato’ Lepore impallinato in vari modi e critiche (troppo divisivo, troppo meroliano, troppo di sinistra, etc).

Campagna che ha molto innervosito non solo Lepore ma pure Merola. Il quale, non essendo dotato, di default, di un buon carattere, ha insultato, nell’ultimo Direttivo cittadino dei dem, i suoi avversari e in particolare l’assessore Aitini (sempre sul punto di essere cacciato dalla giunta), dandogli dello “schifoso e sleale” fino all’offesa peggiore (“fagiano!”). Offesa pronunciata in ‘political-bolognese’ stretto e che va spiegata: sempre a sinistra Alfredo Cazzola, nel 2009, definì il suo avversario di allora, Flavio Delbono, “l’espressione triste di una Bologna triste, un fagiano che non riesce a volare”. Da cui, appunto, il termine ‘fagiano’ usato, in senso dispregiativo, per gli avversari politici.

A risolvere la contesa saranno le primarie? Forse sì, forse no…

Il segretario del Pd bolognese, Luigi Tosiani

Il segretario del Pd bolognese, Luigi Tosiani

Il segretario del Pd bolognese, Luigi Tosiani, non sa che pesci pigliare, si barcamena e chiede aiuto a Roma. Zingaretti, ai tempi (cioè mesi fa) in ben altre faccende affaccendato, re-invia la pratica a Bologna, dicendo ‘sbrigatevela voi’, anche se il suo uomo forte all’Organizzazione, Stefano Vaccari, modenese (e un modenese che vuole imporsi a dei bolognesi è un non sensedai tempi pià antichi), e che uomo forte è rimasto con Letta, tifa apertamente Lepore in continuità con Merola.

In teoria, dunque, a dirimere la contesa tra ‘papa’ (Lepore) e ‘anti-papa’ (Aitini) si dovrebbero fare le primarie. Preventivate per metà giugno, Covid permettendo (ma si potrebbero tenere pure online, un software è già stato approntato dagli efficienti ex comunisti bolognesi), segnerebbero però la spaccatura ufficiale e definitiva di un Pd lacerato e diviso.

I sondaggi, però, sembrano dare ‘luce verde’ al Pd…

I sondaggi, però, sembrano dire sì al Pd…

I sondaggi, però, sembrano dire sì al Pd…

I sondaggi, però, faceva notare ieri, su Twitter, Giovanni Diamanti (figlio del sociologo Ilvo, cofondatore e amministratore dell’agenzia Quorum e della società di sondaggi You Trend), dicono – o, meglio, dicevano, circa tre mesi fa – che il Pd vincerebbe con qualsiasi candidato: Lepore col 61%, Gualmini 56%, De Maria 54%. Insomma, un balsamo, per il Pd, anche se – con dei candidati moderati forti (Galletti o Tonelli, come vedremo) in campo – andranno rifatti… E proprio Critelli spiega a un amico: “Anche se abbiamo divergenze sui nomi dei candidati, ho la granitica certezza che a Bologna vinceremo noi come Pd e come centrosinistra, e con chiunque”.

Quand’è che Letta ci metterà “la testa”? Si cerca “una donna”…

la donna

Letta ci metterà “la testa”? Pronta una donna

Ovviamente, Letta – che “la testa” sulle comunali ce la metterà la prossima settimana, così ha detto, e non prima – cercherà una soluzione unitaria ed ecumenica, di quelle che Zingaretti proprio non riusciva a trovare, ma ‘trovare la quadra’ stavolta sarà tutt’altro che facile. “Anche perché – ragionava un big dem – se Enrico vuole imporre cinque suoi candidati nelle cinque città al voto (Torino, Milano, Bologna, Roma, Napoli, ndr.) e questi cinque sono tutti maschi, il problema sarebbe notevole”. Ma chi potrebbe essere? Forse la Gualmini stessa, forse una esponente di area civica e moderata, o un’imprenditrice o una del mondo della cultura.

Bugani

Max Bugani-M5S

In ogni caso, in Base riformista come nell’area orlandiana, zingarettiana, e persino gli orfiniani (esponente di spicco emiliano dell’area è Lorenzo Rizzo Nervo, giovane deputato), sono tutti preoccupati di perdere Bologna. La sinistra radicale andrà per conto suo, al voto, il Pd è sempre più esangue, i 5Stelle hanno un peso specifico assai esile in città (ma Max Bugani ha già detto di essere entusiasta dell’alleanza col Pd) e soprattutto i moderati e i civici Merola e i suoi ‘pasdaran’ se li sono persi per strada da anni. Il rischio di un Guazzaloca bis, dunque, resta dietro l’angolo.

I moderati guardano alla candidatura del moderato Galletti…

Cangini Andrea

Il senatore Andrea Cangini

Centristi e moderati, infatti, se ne sono andati da quel dì, con armi e bagagli, dal centrosinistra, e ormai guardano tutti al centrodestra, tornato forte e garrulo. Il candidato, dopo varie voci impazzite (una riguardava l’attuale senatore di Forza Italia Andrea Cangini, ex direttore del Resto del Carlino, molto amato e stimato, da anni, in città), dovrebbe essere l’ex ministro ed ex esponente dell’Udc Gianluca Galletti (molto vicino a Casini, ‘padre padrone’ della Bologna moderata) oppure Gianluca Tonelli, capo della lista Bologna civica.

Galletti

L’ex ministro ed ex esponente dell’Udc Gianluca Galletti

Tonelli invoca, per Bologna, un ‘modello Draghi’ che unisca FdI a FI e moderati passando per Lega ma che, soprattutto, rifiuta l’asse Pd-M5s-LeU perché lo giudica – abbastanza giustamente – come una riedizione di quel “Pds-Prc-Pdci” che, negli anni Duemila, rivinse Bologna, ristrappandola alla destra, ma per fare politiche ‘di destra’ (sulla sicurezza), non certo politiche di sinistra.

Come diceva Dalla, nel centro di Bologna non si perde nessuno…

Lucio Dalla

“Nel centro di Bologna non si perde neanche un bambino” cantava Lucio Dalla

Insomma, Bologna è una città contraddittoria e piena di contraddizioni (politiche e sociali) in piena regola, ma è anche la città di Romano Prodi, che si tiene fuori da ogni appoggio ai vari ‘galli’ in campo, e del cardinale Matteo Maria Zuppi, prete “di strada” molto vicino a Papa Francesco. La città dove fu ucciso Marco Biagi e la città dello stesso Enrico Letta anche se per ‘interposto amico’, quel Filippo Andreatta, figlio di Beniamino, che di Letta è di fatto il politologo. E’ la città di Guccini ‘ma anche’ di Vasco Rossi. Di Lucio Dalla ‘ma anche’ dei ‘Giornalisti’. Insomma, Bologna è un simbolo.

E con i simboli non si scherza. Soprattutto in Politica. Specie se vuoi fare il segretario del Pd e vuoi comandare, devi vincere le elezioni. A Roma, certo, ma pure a Bologna. Altrimenti, meglio se vai a casa. Veltroni, mitico padre fondatore del Pd, si dimise per aver perso Cagliari, Sassari, Nuoro e Oristano – splendide cittadine, per carità, ma un po’ più periferiche e centrali nella geografia politica e culturale del Pd. “Nel centro di Bologna non si perde neanche un bambinocantava Lucio Dalla. Ci si può perdere, invece, l’anima, i voti e il futuro della propria razza, se ti chiami Partito democratico.

NB: un sunto di questo articolo è stato pubblicato il 27 marzo 2021 sul sito di notizie Tiscali.it