“Aiuto, mi si è ristretta la Sinistra!”. Le comunali testimoniano che, a sinistra del Pd, c’è poco, o nulla. Lo stato dell’arte

“Aiuto, mi si è ristretta la Sinistra!”. Le comunali testimoniano che, a sinistra del Pd, c’è poco, o nulla. Lo stato dell’arte

10 Ottobre 2021 1 Di Ettore Maria Colombo

“Aiuto, mi si è ristretta la Sinistra!”. Le comunali testimoniano che, a sinistra del Pd, che non a caso ora preferisce guardare, oltre che al M5s, al centro, c’è poco o nulla. Lo “stato dell’arte” delle frattaglie della sinistra radicale: quante sono (troppe) e cosa fanno…

“Aiuto, mi si è ristretta la Sinistra!"

“Aiuto, mi si è ristretta la Sinistra!”

 

Nb: una parte, ridotta, di questo articolo è stato pubblicato sul sito Tiscalinews.it il 10 ottobre 2021

 

“Se Atene piange, Sparta non ride”. Come sta messa la ‘sinistra’ a sinistra del Pd? Male, grazie, o decisamente poco bene…

Se Atene piange, Sparta non ride…

Se Atene piange, Sparta non ride…

Il centrodestra ha perso le elezioni, e va bene. Il Pd e il centrosinistra esultano, è comprensibile. Ma al netto del particolare – non di poco conto – dell’altissimo astensionismo (per capirne i motivi e le conseguenze è molto istruttivo leggere l’editoriale del direttore dell‘Espresso, Marco Damilano, “Invece di esultare per i risultati alle elezioni, la sinistra dovrebbe preoccuparsi di chi non vota più”: https://espresso.repubblica.it/editoriale/2021/10/08/news/elezioni_sinistra_astensione-321358558/ ) e del fatto che, senza di quello, il centrodestra resta la coalizione maggioritaria nel Paese (così, almeno, dicono tutti i sondaggi e sondaggisti), e anche se poi il centrodestra ha il piccolo ‘problemino’ di tradurre, all’atto delle elezioni, i ‘voti di paglia’ (quelli dei sondaggi) in ‘voti di pietra’ (quelli nelle urne), il centrosinistra ha davvero poco di cui stare allegro. E, in particolare, poco ha da cantare vittoria la sinistra alla sua sinistra, come dimostrano dati elettorali poco ‘letti’ e pure pochissimo commentati. Un po’ perché tutta l’attenzione dei commentatori e dei media si è concentrata – tra scandali, inchieste e crisi interne – sul centrodestra. E un po’ perché, a sinistra, sembra che esista ‘solo’ il Pd e, al massimo, i suoi alleati ‘minori’, peraltro poco analizzati pure loro. Figurarsi la ‘sinistra’ a sinistra del Pd. Ma ora vediamo di analizzare i dati e trarne conseguenze politiche, rimettendoli in fila per, forse, aiutare a capire ‘cosa resta’ della sinistra a sinistra dal Pd, sempre esista ancora.

 

Coraggiosa a Bologna? Mica tanto ‘coraggiosa’, almeno nei voti…

Elly Schlien

Elly Schlien

Certo, c’è chi vede il bicchiere ‘mezzo pieno’. Quelli di ‘Coraggiosa’ a Bologna, per dire. Il loro ‘leader’ è una donna, Elly Schlein. Tosta, giovane, ex europarlamentare (eletta con il Pd, poi passata con ‘Possibile’ di Civati, poi amen), oggi vicepresidente della giunta rossa di Stefano Bonaccini in Emilia-Romagna, che ha vinto le elezioni facendo argine alla Lega, anche grazie a lei e alle Sardine, professoressa di diritto pubblico, cittadinanza americana, oltre che svizzera, vive in Italia. ‘Cittadina del Mondo’, si diceva, ai tempi della Sinistra anti-globalista, ora però è diventata una dei ‘saggi’ delle Agorà messe su da Enrico Letta per ‘allargare’ il Pd naturalmente nel suo ‘territorio’, la Sinistra.

Daniela_Preziosi_giornalista

Daniela Preziosi, giornalista

Il guaio è che, alle comunali di Bologna, la lista Schlein ha preso – così li scandisce, sul Domani, Daniela Preziosi, ex notista politica del manifesto, unico giornale che ancora si professa ‘comunista’, ora al Domani, attenta osservatrice del mondo, variegato e variopinto della Sinistra (ex) radicale, come fosse un clamoroso successo – 3.521 voti di preferenze, 7,32% in percentuale. Una valanga, a Bologna”, scrive la Preziosi, che poi snocciola, a supporto della tesi, l’elezione di 12 candidati 12 nei consigli di quartiere e l’affermazione personale della neo-consigliera Emily Clancy. La quale prende più voti pure della ‘sardina’ Mattia Sartori (eletto come ‘indipendente’ nella lista Pd) e che, ora, dunque, passerà dai banchi dell’opposizione, dove sedeva prima, a quelli del ‘governo’ della città. Infatti, la lista avrà un posto nella giunta del vittorioso sindaco ‘de sinistra’ Lepore, il quale – checché ne decanti le virtù il Foglio, descrivendolo come ‘un sincero riformista’ (sic) – ha vinto le elezioni ‘epurando’ tutti i riformisti (gli ex renziani) che aveva ‘in casa’, nel Pd bolognese, chiedendo a Letta di non candidarne neppure uno e ottenendo, dal segretario, la ‘giusta mercede’.

Marta Collot

Marta Collot

Per carità, un buon risultato, ma dati simili la stessa lista li aveva presi alle comunali del 2016 (poco meno del 7%), anche se allora non era in coalizione con il Pd, che arriva al 36,5% dei voti, e soprattutto, oggi, li prende con una lista, “Coalizione civica – Coraggiosa – ecologista – solidale”, che metteva insieme molto e molti – troppi – pezzi della sinistra radicale bolognese: si va da Art. 1 a SI, da Possibile, da Elly a Errani…. Insomma, non è stato di certo un trionfo, anche se qualcosa di certo glielo ha portato via la lista di Potere al Popolo, che presentava un volto ormai noto pure in tv, quello della ‘rossa’ (pure di capelli), Marta Collot (2.49% per lei, 2,29% per la lista di Pop, in sigla).

Ora, al netto degli endorsement degli intellettuali (il cantautore-Poeta Francesco Guccini, lo Stato sociale, etc.: a Bologna gli intellettuali ‘cantano’), quelli della lista ‘Coraggiosa’ e la stessa Schlein cantano vittoria (“Abbiamo fatto cose normali e, insieme, straordinarie, tenendo insieme tutti…”), ma “unire è difficile”, ammette la Preziosi, e, come sempre, la somma non fa il totale, come diceva un genio, il Principe Antonio de Curtis, in arte meglio noto come Totò.

 

Il ‘disastro’ delle liste della sinistra nelle città: Torino, Napoli, Roma e via declinando. Le liste di sinistra sempre sotto il 5%…

Il ‘disastro’ delle liste della sinistra nelle città: Torino, Napoli, Roma. Sempre sotto il 5%...

Il ‘disastro’ delle liste della sinistra nelle città: Torino, Napoli, Roma. Sempre sotto il 5%…

Il guaio è che, nelle altre città italiane al voto, la sinistra-sinistra è andata, se possibile, anche peggio che a Bologna, anzi: molto peggio. Hanno preso, queste liste, mettendo insieme ‘tutto-tutto’, il 5,3% a Ravenna, il 2,6% a Rimini, e via giù, calando. Meno del 4% (3,9%) a Torino, come Sinistra ecologista (un eletto, tre eletti se il dem Lorusso vince), dove pure era in coalizione col Pd, anche se i pugnaci torinesi si dicono pure loro ‘soddisfatti’ del risultato (“Abbiamo eletto tanti consiglieri nei quartieri”… – e vabbé). Inoltre, appena il 3.85% a Napoli, dove convivevano SI, Art. 1, civici e pure il Psi (uno dei risultati peggiori tra le ben 13 liste che correvano a sostegno del sindaco eletto, Manfredi, anche se elegge ben due consiglieri grazie al premio), ma qui la concorrenza, tra la lista di Bassolino (8,2% per lui) e Alessandra Clemente (5,6%), che raccoglieva l’eredità di ‘Dema’, era altina.

Disastro, totale, pure a Roma

Disastro, totale, pure a Roma

Disastro, totale, per la Sinistra-sinistra, pure a Roma. Appena il 2% (e zero eletti, a meno che Gualtieri non vinca: allora saranno due) per la lista Sinistra civica ecologista, che raccoglieva Art. 1, SI, Liberare Roma (civici) e meno del 2% (1,97%) per Roma futura che univa (si fa per dire) Pop, Green Italia, Possibile, Radicali italiani e Volt (inutile perdersi nel troppo spesso astruso significato delle varie sigle…), che pure ne elegge zero (due saranno gli eletti, però, se Gualtieri vince).
Certo, qui il tema dietro cui ‘nascondersi’ è che l’ispiratore di una delle due (la seconda), l’ex assessore di Ignazio Marino, Giovanni Caudo, avrebbe tenuto ben ‘stretti’ i criteri nella selezione di candidati e programmi, che il Pd (che pure non ha brillato: 16,3%) gli ha fatto la guerra perché il suo (ex) dante causa, Marino, ha tifato di fatto per la riconferma della Raggi, che gli elettori ‘non ci conoscevano bene’ e via declinando pallide, e puerili, giustificazioni.

Amedeo Ciacchetti

Amedeo Ciacchetti

O che “la frammentazione non paga”, dice al Domani Amedeo Ciacchetti (46% per lui nel suo VII Municipio, la migliore performance di tutti i candidati). Ma se questo è vero (sotto l’1% sono rimasti, tristemente, inchiodati pure i Verdi di Europa Verde, i cattolici ‘solidali’ della comunità Sant’Egidio, sotto lo 0,3 pure il Psi, che aveva per capolista Bobo Craxi), non paga neppure l’unione, a dirla tutta.

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Massimiliano Smeriglio, vicepresidente della Regione Lazio con Nicola Zingaretti

Sempre al Domani, Massimiliano Smeriglio, braccio ‘sinistro’ di Nicola Zingaretti in Regione, e storico dominus della sinistra-sinistra romana (stava in Rifondazione, poi in SeL, poi in LeU: radicato nelle periferie, è un ‘portatore’ di voti delle medesime periferie, che controlla manu militari), riconosce che “Roma è andata al di sotto delle nostre aspettative, non c’ò dubbio, ma la sinistra si rigenera solo se interpreta le istanze dei territori vere” (e lui, di ‘territori’ romani ne capisce…).

Stefano Fassina

Stefano Fassina

Ma resta il punto: il buon Stefano Fassina, che poi ha fondato ‘Patria e Costituzione’, altro pulviscolo ‘sovranista-comunista’ della sinistra che fu, nel 2016, a Roma, sfiorò quasi il 5%, un risultato che, oggi, tre liste insieme non vedono neppure da lontano, con il binocolo. 

 

Mdp, i fuoriusciti dal Pd, e il fallimento del ‘cartello’ di LeU

Leu logo

Logo LeU

Il lettore ‘avvertito’ potrebbe dire: ma non esisteva LeU (Liberi ed Eguali), almeno in Parlamento?

Ecco, LeU – in pura astrazione metafisica – esiste ancora, anche se non presente alle comunali, ma mischiata alle varie liste di cui si è detto sopra.
Ma l’ex ‘cartello’ (che, poi, questo era) elettorale che, alle Politiche del 2018, fece un brutto tonfo, prendendo appena il 3% dei voti, tra Camera e Senato (aveva ambizioni molto maggiori: circa il 10%), esiste solo come gruppo parlamentare per una serie di ragioni ‘tecniche’ che, per evitare lungaggini, è meglio non spiegare, altrimenti, poi, al lettore viene solo un grande mal di testa. In ogni caso, esistono ancora ben 12 deputati (capogruppo il solido e preparato Federico Fornaro) e sei senatori (capogruppo la tignosa Loredana Depetris, che però milita dentro SI, e che peraltro siedono tutti nel gruppo Misto) e, volendo, ben 23 consiglieri regionali sparsi per l’Italia a tenere alte (si fa per dire) le ‘bandiere’ di un movimento che non esiste più perché LeU, da tempo, è diventata Articolo Uno.

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LeU-Articolo Uno, pur non esistendo più, di fatto,  da ben due governi, ha pure un ministro

Senza dire del fatto che LeU-Articolo Uno, pur non esistendo più, di fatto, in natura, da ben due governi, ha pure un ministro (e che ministro! L’ottimo, bravo Roberto Speranza, alla Salute) e che ha, persino, ben sei europarlamentari nel Parlamento di Bruxelles, cioè dentro la Ue (fasti gloriosi dei tempi che furono), il ‘problema’ è che LeU, di fatto, non esiste più. L’ex Mdp, poi LeU, ora Articolo Uno (segretario sempre lui, Speranza) è ‘governista’ (ieri nel Conte 2, oggi con Draghi) mentre SI sta all’opposizione e Possibile non c’è più (non in Parlamento, almeno). Questi erano i tre tronconi che diedero vita al cartello elettorale di LeU, nel 2018, e che poi – come le briciole di Pollicino – si sono separati e divisi, o del tutto dissolti.

Goffredo Bettini

Goffredo Bettini

Certo, Articolo Uno esiste eccome, anche se, ormai, alle elezioni quasi mai si presenta. E’ molto ‘filo-M5s’ (linea Conte), molto vicina a Bettini (ex ideologo di Zingaretti) e molto ‘filo-Pd’ (pro-Zingaretti prima, pro-Letta ora), partito in cui anela, da molto, troppo, tempo, di poter rientrare, e dalla porta principale, cioè con tanto di posti, magari anche di uffici, staff, segretari, stipendi.

La storia, però, qui si fa vieppiù, assai complicata.

Nichi Vendola

Nichi Vendola


Collegati al Pd, e alleati, infatti, esistevano prima – cioè nella notte dei tempi, intorno agli anni Duemila – SeL di Nichi Vendola, poi diventata Sinistra italiana, oggi guidata però da Fratoianni – che, come vedremo, sta all’opposizione di Draghi – e, dall’altra parte, un pezzo di ex Pci-Pds-Ds che rifiutò di entrare nel Pd (l’area della sinistra, ai tempi del Pds-Ds, guidata da Fabio Mussi) e che poi, fondendosi con i fuoriusciti dal Pd (i vari Bersani, Speranza, Epifani, Errani, D’Alema), diedero vita a Mdp. La quale, alle Politiche, si presentò sotto forma di cartello elettorale (LeU).
Gli scissionisti di Mdp avevano preso cappotto e cappello e se ne erano andati dal Pd già nel 2016, all’atto del referendum costituzionale, quando ‘l’invasore’ Renzi (come gli Hyksos, i terribili Ittiti, o Popoli del Mare, cioè i renziani avevano invaso, secondo loro, terre prolifiche e pacifiche, facendone strame, portando odio, dolore, guerra, pestilenza) lo conquistò – via regolari primarie, ma invece, a loro dire, con un colpo di stato, manu militari – e, poi, conquistò (per poco) anche il governo. Loro, ovviamente, a quel punto fecero una scissione, antico e storico vizio della sinistra comunista. Solo che, pure LeU, nonostante si presentasse come un accrocchio e fusione di formazioni diverse (Mdp, Sinistra italiana, Possibile di Pippo Civati, etc.) alle Politiche 2018, come si diceva, andò maluccio: 3% dei voti, tra Camera e Senato, 14 deputati e 4 senatori, poi in parte diminuiti (alla Camera) e in parte ‘lievitati’, al Senato: oggi sono 12 alla Camera e 6 al Senato, per innesto di tre ex M5s.

Certo è che, quando si ‘pesano’, gli ex addendi della sinistra radicale, tutti insieme, valgono il 5%, se va bene, ma a volte, appunto, manco si pesano, nelle urne.

 

Fratoianni, leader di Sinistra italiana, è a ricerca della “identità”…

Fratoianni è alla ricerca di una “identità”…

Fratoianni è alla ricerca di una “identità”…

Ma si diceva dell’altro pezzetto della storia di una Sinistra che ama più dividersi che unirsi, di solito. Quel Nicola Fratoianni, leader giovane e smart ma coriaceo e combattivo di Sinistra italiana che, rompendo con gli ex sodali di LeU-Articolo Uno, ha messo all’opposizione (dura) del governo Draghi, sostiene che “abbiamo dato più peso all’unità che all’identità mentre i cittadini hanno bisogno di riferimenti politici stabili e duraturi. Serve una struttura organizzata, nel campo della sinistra, con chi ci sta” mentre la Clancyguarda oltre perché – dice al Domani – solo chi lo fa ottiene buoni risultati”.

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Referendum

Ecco, il problema del ‘chi ci sta’, però, rimane. Fratoianni e SI sono in prima fila in tutte le raccolte firme dei referendum che, in questi mesi, hanno fatto ‘boom’ (eutanasia legale, cannabis, non giustizia, ora ha lanciato, da solo, pure quello per introdurre la patrimoniale, storica bestia nera della Destra), come nel rivendicare, orgoglioso, le stimmate di un antifascismo ‘militante’, contro Lega e FdI, e hanno anche provato a lanciare, da qualche mese, un nuovo ‘progetto’ e ‘soggetto’ politico.

Erasmo Palazzotto LeU

Erasmo Palazzotto (LeU)

In pratica, la (ex?) Sinistra italiana (un deputato solo rimasto, lui, Fratoianni, che Erasmo Palazzotto, bravo e tosto, se n’è andato nel Pd, e tre senatori: la ex verde Depetris, capogruppo di LeU al Senato, e due ‘acquisti’ dal M5s, Paola Nugnes e Elena Fattori, il che fa appena tre, ecco tutto) che vuole diventare soggetto di ‘sinistra ecologista e radicale’ ma che, però, nei voti e nel Paese, non decolla.

Pippo Civati

Pippo Civati

Con lui potrebbe tornare, dopo essere uscito da LeU sbattendo la porta, anche perché non eletto, Pippo Civati con la sua task force di entusiasti, Possibile, ma non i Verdi di Europa Verde che fanno capo ad Angelo Bonelli e che fanno storia a sé, come pure fa storia a sé il singolo Fassina, che – come detto – ha fondato Patria e Costituzione. Insomma, la solita dispersione di voti (e di idee).

 

I micro-partiti, para-comunisti e non: Pc di Rizzo, Pop, Prc…

I micro, comunisti e non: Pc di Rizzo, Pop, Prc

I micro, comunisti e non: Pc di Rizzo, Pop, Prc

Come pure fanno storia a sé la miriade di partiti trotzkisti che, incredibile a dirsi, ancora esistono, e a volte si presentano pure, alle elezioni, ovviamente con scarsissimi risultati, sopravanzati persino dalle liste ‘no Vax’, anti-3G, per non dire da ‘Italexit’ (partito no-vax e pure no-Euro) di Paragone.

E fa pure storia a sé il Partito comunista (Pc, in sigla: e no, non è il ‘pc’ che siete abituati a usare per scrivere…) di Marco Rizzo. Il quale – grazie anche a un ‘favor’ delle tv berlusconiane che lo invitano spesso nei loro studi – è diventato un personaggio in tv, anche perché è molto furbo: calvo, massiccio, ghigno mefistotelico, esperto nel fondar partiti (viene dal Pci stalinista, poi Prc, poi Pdci, è sempre stato a capo dell’Organizzazione e ha messo in piedi persino i suoi Giovani comunisti), Rizzo è un concentrato di ‘venerazione’ per Cuba come per la Corea del Nord e di ‘dalli addosso’ al Pd e a tutto quello che non ha il sapore di Stalin, oltre che uno che, con il suo minuscolo partitino, ha preso percentuali non risibili. Lui, a Siena, contro Letta, alle suppletive per la Camera, ha preso quasi il 6% e il suo Dario Ballanti, a Roma, sempre per le supplettive, un rotondo 6,6%, terzo, surclassando persino l’ex magistrato Palamara, anche se il suo partito non ‘vale’ più dell’1%.

Rizzo, da buon stalinista, neppure si sogna di ‘venire a patti’ con quelli che ritiene ‘soltanto’ dei ‘deviazionisti’

Rizzo, da buon stalinista, neppure si sogna di ‘venire a patti’ con quelli che ritiene ‘soltanto’ dei ‘deviazionisti’

Ma se Rizzo, da buon stalinista, neppure si sogna di ‘venire a patti’ con quelli che ritiene ‘soltanto’ dei ‘deviazionisti’ (dal glorioso solco dell’ex Pcus, ex partito bolscevico dell’Urss, ovviamente), tanto meno si sognano di ‘venire a patti’, con la Sinistra un po’ fricchettona e un po’ troppo ‘dentro’ il Sistema di LeU come di Sinistra italiana, quelli di Potere al Popolo, esperienza nata a cavallo tra centri sociali e non, cui partecipava anche il piccolo Prc, oggi guidato da Maurizio Acerbo, che poi si è ripreso la sua ‘autonomia’ e, a sua volta, se ne è andato e, oggi, se ne sta per conto suo.

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Il segretario di Rifondazione comunista, Maurizio Acerbo

Pure Pop ha avuto risultati non esaltanti, nelle varie città, tranne alcune (tra cui Bologna), comunque intorno all’1-2%, ma anche loro ora ‘godono’ di spazi televisivi. Sia perché la ‘rossa’ (di capelli e nei fatti) Marta Collot – che ne è la portavoce nazionale, dopo il duo iniziale, Viola Carofalo e Giorgio Cremaschi (ex Fiom-Cgil), insieme a Giuliano Granato (un uomo e una donna, per Pop, non sia mai che non ci sia la parità di genere, a sinistra…) – si è candidata a Bologna, buca la tv ed è pure brava. Sia perché hanno, incredibilmente, ‘acquisito’ un senatore della Repubblica, l’ex pentastellato Matteo Mantero che ora li fa ‘vivere’ a Palazzo, nonostante l’1% raggranellato alle Politiche 2018.

Matteo Mantero

Matteo Mantero

Insomma, frattaglie, ecco, pulviscoli della Storia (grande) della Sinistra, comunista e non, che fu, che proprio non ce la fa a ‘riunirsi’ e ‘unificarsi’: non è, del resto, né nel suo Dna né nelle piccole, modeste, rivalità di micro-leader e micro-partiti.

 

Non a caso, ora, Letta e il Pd guardano ‘al centro’ e non a sinistra

Non a caso, ora, Letta e Pd guardano al centro

Non a caso, ora, Letta e Pd guardano al centro

Ma se è certo è che la sinistra-sinistra non fa un (minimo) di autocritica e si crogiola nel suo brodo, non è un caso, forse, se il segretario del Pd, Letta, ha deciso – decisione, per lui, per nulla indolore, data la storica inimicizia con Matteo Renzi e i rapporti, assai altalenanti, con Carlo Calenda – di ‘virare’ al centro: oltre all’asse con i 5Stelle di Giuseppe Conte (che non solo rimane in piedi, ma vede anche l’M5s ridotto, ormai, al ruolo discreto, silenzioso e un po’ patetico, per un partito che, nel 2018, prese il 33% dei voti, di ‘junior partner’ nell’alleanza con il Pd), Letta vuole, ora, aprire il ‘cantiere’ del ‘dialogo’ con i centristi (Iv, Azione, +Europa) e parlare ‘anche’ a loro. Dopo aver, forse troppo a lungo, ‘corteggiato’ una sinistra che, come visto, ‘in natura’ non c’è né brilla di luce propria.

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L’ex premier Romano Prodi

Insomma, se nascerà mai il ‘nuovo Ulivo’, di cui pure si parla molto, da mesi, dentro il Nazareno, anche su suggestione di Romano Prodi che chiede di ‘allargarlo’ e di occuparsi dei ‘temi sociali’, oltre che dello stesso Letta, la ‘gamba’ centrista deve essere, quantomeno, robusta e in salute.

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L’ex segretario del Pd, Pier Luigi Bersani

Ma con i 5Stelle ridotti, ormai, a percentuali infinitesimali (5%-10%, se va bene) e la sinistra-sinistra che veleggia sotto il 5%, non resta che guardare, oltre a quel ‘civismo’ – di cui parlava sempre un ex segretario (e amico personale di lunga data di Letta) del Pd, Pierluigi Bersani – è diventato assai appetibile ‘annettersi’, almeno sotto forma di ‘grande coalizione’, quei ‘centrini’ che, almeno alle amministrative (alle Politiche, si sa, va in onda tutt’altro film) veleggiano, stabili, nelle varie città (grandi e piccole) tra l’8 e il 10%.

Francesco Boccia

Francesco Boccia

Insomma, alla fine dei conti e della fiera, i tanto vituperati centristi, forse pure un po’ fascisti (il responsabile Enti Locali del Pd, Francesco Boccia così ha apostrofato Calenda, prima del primo turno delle comunali a Roma, ma ora il Pd ha cambiato idea e i suoi voti li vuole eccome…), forse ‘servono’ un po’ più di una sinistra radicale meglio nota per le sue divisioni e le sue zuffe (e, ora, anche per i suoi pessimi risultati elettorali) che, al momento, appare decisamente inservibile. In fondo, diceva appunto Totò, ‘la serva serve’…

 

Una storia antica e in parte nobile, di certo da buone percentuali: il Prc e la sinistra ‘neo-comunista’ che però fece cadere Prodi

Una storia antica, e in parte, nobile: il Prc e la sinistra ‘neo-comunista’ che fece cadere Prodi

Una storia antica, e in parte, nobile: il Prc e la sinistra ‘neo-comunista’ che fece cadere Prodi

Ma, volendola prendere alla lontana, si potrebbe anche dire che, alla sinistra del Pci-Pds-Ds-Pd, sono gravitate, nel corso dei decenni, diverse formazioni politiche e assai e ben più robuste delle attuali, con migliori ragioni, oltre che speranze di ‘cambiamento’ del ‘reale’, e diverse frecce all’arco.

All’ingrosso – e senza voler far di conto di tutte le innumerevoli scissioni e contro-scissioni, croce senza delizia della Sinistra in tutte le sue antiche, storiche e ramificate espressioni – c’era, su tutti, il Prc. Una scissione ‘vera’, nel senso che nata da un rifiuto (e, forse un conato) della Storia più drammatica, quella del comunismo del Novecento, che almeno in Italia una parte degli eredi del Pci – cioè della famosa cantilena ‘Gramsci-Togliatti-Longo-Berlinguer’ (con Natta, povero frate nel convento, e Occhetto, il Traditore del Partito, mai contemplati, nella litania) non vollero o non poterono interrompere, nonostante la dissoluzione del Pcus, dell’Urss e del Pci, nel ‘triennio rosso’ 1989-1991, dando vita a una ‘rifondazione del comunismo’ che, sventolata con orgoglio, mai arrivò.

Dalla ‘mozione del No’ allo scioglimento del Pci (erano due, in realtà: Ingrao, rientrato, e Cossutta) nel 1992 nacque il Prc

Dalla ‘mozione del No’ allo scioglimento del Pci nel 1992 nacque il Prc

Dalla ‘mozione del No’ allo scioglimento del Pci (erano due, in realtà: Ingrao, rientrato, e Cossutta) nel 1992 nacque il Prc che fu prima di Cossutta e Garavini, poi di Bertinotti e Cossutta, poi del solo Bertinotti, poi di Ferrero (e che, appunto, oggi esiste ancora: lo guida Maurizio Acerbo, giovane e simpatico abruzzese, area sinistra ‘sociale’). Nel prosieguo, vennero il Pdci (di Cossutta e Diliberto), nato, per assurdo, dalla volontà di continuare a sostenere il Prodi I, cioè ‘iper-governista’, e poi finito per appoggiare la guerra Nato in Kosovo (sic) e dar luogo al governo D’Alema I e II, e molti altri. Poi, vi furono anche diverse, per quanto minuscole, formazioni trotzkiste o para-trotzkiste, questo nella parte più anti-sistema dello schieramento, dalla nessuna o scarsissima fortuna, ma ancora ‘vive’ (si fa per dire), anche se i suoi epigoni più noti furono, allora, i senatori Rossi& Turigliatto (il trotzkista gentile che ‘coltivava le rose’), che misero a serio rischio il Prodi II, il quale governo, poi. cadde. E, infine, appunto, c’è il Pc di Marco Rizzo e poco altro.

Se ne può anche irridere la memoria, o dannarla (l’ortodossia di Cossutta, i cachemire di Bertinotti, diventato ‘Bertinights’ su Dagospia, il gusto biblofilo di Diliberto, la melanconia di Sergio Garavini, primo e dimenticato segretario del Prc, o la ‘erre’ moscia e le poesie solipsistiche di Nichi Vendola), come pure sorridere dei loro gusti, pose, idee (lo ‘stalinismo’ e il ‘kabulismo’ dei cossuttiani, il ‘socialismo radicale’ dei bertinottiani, la sbandata per i ‘Movimenti’ no-global, l’altermondialismo), ma resta il punto, quello che – dato che gli elettori hanno (quasi) sempre ragione – diceva che i vari ‘partiti’ comunisti (Prc-Pdci-altri gruppi minori) valevano, grosso modo, tra l’8% e il 10% dei voti nel Paese. Senza manco l’apporto di altri gruppi ‘spuri’ (Verdi, centri sociali, movimenti, trotzkisti vari).

 

Rifondazione, nel suo piccolo, era una potenza, e ben solida…

Rifondazione, nel suo piccolo, era una potenza

Rifondazione, nel suo piccolo, era una potenza

Così tanto era alto il ‘potere’ di interdizione di Rifondazione che – leggenda vuole (la Storia, in realtà, è diversa) – fece cadere entrambi i governi Prodi, cioè gli unici due governi ‘vincenti’ del centrosinistra contrapposti al centrodestra di Silvio Berlusconi: quello dell’Ulivo, nel 1996, e quello dell’Unione, nel 2006 (ma qui la responsabilità va divisa, ameno, con Clemente Mastella e l’Udeur). Insomma, ‘tanta roba’, ecco.

bertinotti

Bertinotti

Avevano ministri (Ferrero nel II governo Prodi), presidenti della Camera (Bertinotti nel 2006-2008), vicepresidenti, questori, segretari d’aula, gruppi parlamentari folti e appunto assai decisivi in votazioni cruciali. Di quelle che i governi li fanno nascere, poi mettere in crisi, infine cadere.
Per non dire di ‘apparati’, sezioni, militanti, iscritti, persino ‘soldi’, oltre che sedi (bella e ricca di quadri d’autore, quasi tutti trafugati, quella del Prc di via del Policlinico, tra cui vari Schifano), riviste, federazioni giovanili, sindacalisti di area. Insomma, radicamento sociale e, pure, ‘pensieri’. Certo, era un ‘pensiero radicale’, ‘neo-comunista’ che voleva, addirittura, ‘rifondare il comunismo’, quello che era rimasto sepolto dopo il crollo del Muro nel 1989 e la dissoluzione dell’Urss nel 1991, oppure che lanciava slogan, sulla scorta della nascita dei movimento no-global, ‘alter-mondialisti’ quanto utopici, un po’ esagitati e socialisticheggianti, ma pur sempre ‘pensieri’, e con tanto di ‘pensatori’ (e intellettuali, e giornalisti, e pezzi interi di Rai, che non fa mai male avere, ecco…).

 

Ma, ormai, la ‘galassia’ neo-comunista non esiste più…

La ‘galassia’ neo-comunista non esiste più…

La ‘galassia’ neo-comunista non esiste più…

‘Leve’ e gangli vitati di un partito, il Prc, che nel suo piccolo, produceva, tra le varie cose, un giornale (Liberazione), molte riviste (Alternative per il socialismo, Critica marxista, etc.), seminari, convegni, atti, libri (e, su Rifondazione, diversi ne furono, poi, pure scritti, segno che cose da raccontare c’erano) e persino una politica interna di stampo ‘radicale’ (ma non troppo) e una proiezione internazionale che, pur oscillante tra ‘smanie’ guevariste (Fidel, Castro, e Cuba, il Che Guevara come il Chapas del comandante Marcos, l’Anp in Palestina, etc., fino al partito curdo, il Pkk, e al ‘caso Ocalan’) e tic neo-stalinisti (Pke greco, Pcf francese, Pc spagnolo, Pc portoghese, etc. etc. etc.) mostrava che i comunisti erano ancora dotati di ‘relazioni’ internazionali, oltre che potere e idee.

 

Cosa resta del giorno? Dei partitini post-comunisti quasi nulla

cosa resta del giorno

Cosa resta del giorno? Praticamente nulla. Il Prc, oggi guidato da Acerbo, veleggia intorno all’1% dei sondaggi (e ancor meno di voti). Potere al Popolo – formazione che si è presentata alle Politiche del 2018 raggranellando un misero 1,13% tenendo insieme un po’ tutto, dal Prc ai centri sociali. Parlamentari? Zero (tranne uno, Matteo Mantero, ma solo perché, mollati i 5S, ha deciso, in modo eccentrico, di far ‘vivere’ PaP pure dentro il Senato italiano). Consiglieri regionali? Zero. Ma soprattutto, ‘pensiero’, strutture, militanti, radicamento sociale, rapporti vitali con altri mondi, italiani e internazionali, meno di zero.

Certo, Sinistra italiana (pochi) e LeU-Articolo 1 siedono, ancora, in Parlamento, ma per quanto? E se questi – mediocri e bassi – sono i risultati, cosa aspettarsi dal ‘Sol dell’Avvenire’, ormai tramontato? Una fusione con il Pd? O con l’M5s (tra Speranza e Bersani, i più accaniti ‘tifosi’ dell’accordo innaturale Pd-M5s sono proprio loro) magari sull’onda di un ‘travaglismo’ mal digerito che vede gli epigoni di un partito iper-garantista (il Prc di Giuliano Pisapia e Russo Spena, e altri) diventare, per contrappasso, giustizialisti malati di vittimismo?

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Il logo dei Verdi

E gli altri? I Verdi – altra storia – persino loro ne sono stati espunti come pure tutte gli altri variopinti partiti (sic) citati della cosiddetta ‘galassia’ della Sinistra che (fu) radicale e che rischia di tornare, come nell’aborrito Monopoli, dove si trovava già nella metà degli anni ’70. In un ‘ritorno al Futuro’ (cioè al Passato) in cui il ribellismo si mischia al vittimismo (“Prendiamo pochi voti perché non ci invitano in tv”, frase che, detta da dei ‘marxisti’, fa ridere, o suona tragicomica), l’ansia malata del leader (di Nulla) Solitario fa a pugni con organizzazioni e partiti inesistenti (sui territori in generale, figuriamoci nelle periferie), le tanto sbandierate ‘riforme’ da ‘guai ai ricchi’ si riduce a uno – noioso, verboso, copiato pure male dai Radicali, a loro volta tutt’altra storia, dentro la sinistra – sventolio di bandiere. Dei diritti sociali? Delle sorti magnifiche e progressive del Socialismo, quello che – oggi no, ma domani sì – arriverà? Del Progresso e dell’Uguaglianza e dell’Utopia? Macché, solo di battaglie da sinistra ‘radicale’ nel senso dei Radicali italiani: eutanasia, ddl Zan, diritti delle persone Lgbt+, utero in affitto, etc. Oggi, il solo mantra della sinistra radicale è questo: lamentarsi, restare nella più passiva delle inazioni e additare, come Nemico, sempre gli stessi ruoli: il Grande Capitale, le Multinazionali, i vaccini…

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Un risultato, a dir poco, tragico, devastante, inane da portare per qualsiasi ‘leader’ dotato di senno. Ecco, perché non solo i partiti ‘comunisti’ (o ‘neo’ o ‘post’, chi più ne ha ne metta, ecco…), ma pure tutte le frastagliate frange della sinistra radicale, non riescono a mettersi d’accordo su niente (comprese le partite di calcio da seguire in tv), figurarsi a unirsi, federarsi, fondare un partito che, poi, sarebbe né punto né meno l’ennesimo ‘partitino’ di una Sinistra che ormai nome non ha.
Un risultato tragico, patetico e pure inglorioso, di tale sinistra – poco abituati ad accontentarsi, che ancora si sentono Napoleone e si presuppone che, anche stavolta, faranno buon viso a cattivo gioco – che quasi quasi fa venir voglia di fondarlo, l’ennesimo partitino ex comunista in Italia. In fondo, si tratterebbe di una riunione di ‘famiglia’ ma di quelle di paese: una ventina di persone, non di più, tutti parenti, ma che, tra loro, si detestano. Ed è, dice Francesco Guccini, “la morte un po’ peggiore”.