Il ‘meteorite’ Salvini atterra sul pianeta Giorgia, e fa danni

Il ‘meteorite’ Salvini atterra sul pianeta Giorgia, e fa danni

29 Settembre 2022 1 Di Ettore Maria Colombo

Il ‘meteorite’ Salvini atterra sul pianeta Giorgia, e fa danni. Il Capitano, in difficoltà evidente nel suo partito, pretende il Viminale e arriva a minacciare: o io o l’appoggio esterno. La guerra Meloni-Resto del Mondo è iniziata… Intanto, ovviamente, impazza il ‘toto-ministri’

totoministri

Nb: l’articolo è stato pubblicato il 29 ottobre 2022 sulle pagine del Quotidiano Nazionale ma qui viene pubblicato in forma molto più ampia

 

Incontro Meloni-Salvini in territorio ‘neutro’

Incontro Meloni-Salvini in territorio ‘neutro’

Incontro Meloni-Salvini in territorio ‘neutro’

L’incontro tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini si svolge in territorio neutro, che poi tanto ‘neutro’ non è. Siamo alla Camera dei Deputati, e va bene, ma l’ufficio è quello della Meloni e di FdI, al primo piano di palazzo Montecitorio. Del resto, l’ospite – nel senso di ospitante – è lei, la presidente del Consiglio in pectore. L’ospite – nel senso di ospitato – è lui, il leader della Lega. E sarà anche (e ancora? Ma chissà per quanto) il ‘Capitano’, ma lei sta per diventare generale, anzi: comandante in capo dell’esercito alleato, nel senso di ‘alleati’ del centrodestra ‘di governo’. L’incontro, formalmente, è andato “benissimo”, recitano le note (ufficiali), in realtà va malissimo.

 

Salvini punta i piedi: vuole il Viminale per sé

Viminale salone

Salvini punta i piedi: vuole il Viminale per sé

Salvini punta i piedi e non sente ragioni: vuole il Viminale per sé (prima opzione) o per un uomo di sua stretta fiducia (seconda opzione). Lei resiste. Salvini, in caso di mancato accoglimento della richiesta (Interni), ‘minaccia’ l’appoggio esterno. Che è come dire ‘guerra Fine di Mondo’.

I promessi sposi 362

Il Conte Zio nei Promessi Sposi

I toni non sembrano distesi, anzi. Questo si dice, e questo viene riportato da più fonti interne, anche se poi, fuori, è tutto un “sopire e troncare, troncare, sopire”, come diceva il Conte Zio nei Promessi Sposi di manzoniana memoria: “il clima è stato di grande unità e collaborazione” dicono entrambe le fonti dei due partiti, in stereofonia.

Meloni e Salvini hanno fatto il punto della situazione e delle priorità e urgenze all’ordine del giorno del governo e del Parlamento” proseguono le note dei due partiti, che escono all’unisono, neppure a metà pomeriggio in tono assai sospetto.

 

Il ‘Capitano’ è furibondo già a mattina presto

riccardo molinari

Riccardo Molinari

Salvini, del resto, ha iniziato (male, malissimo) la giornata. “Ci vuole qualcuno che torni a difendere e proteggere confini, leggi, forze dell’ordine e sicurezza in Italia. Qualche idea ce l’abbiamo”, scrive su Twitter. Il suo capogruppo uscente alla Camera, Riccardo Molinari, va, mattina presto, negli studi di Agorà (Rai 3), per dire, in sostanza, che “la Lega deve avere tutto quello che chiede”. Il suo omologo al Senato, Massimiliano Romeo, pensa e dice le stesse cose. I due, peraltro, ora dovranno fare un sanguinoso ‘passo indietro’: gli equilibri, nella Lega, dopo la batosta elettorale, sono assai cambiato. Largo, più che ‘ai giovani’, ai ‘nordisti’: i nuovi capigruppo saranno indicati dai governatori del Nord (Zaia, Fedriga, etc.) e dalla ‘corrente’/non corrente di un ministro ormai ‘uscente’, Giancarlo Giorgetti, mica da Salvini.

Giancarlo Giorgetti

Giancarlo Giorgetti

In ogni caso, in merito alle (troppe) richieste alla Meloni, al Nord si dice così, ma a Roma si dice “volere le cucuzze e pure tutto il cucuzzaro”.

Roberto Calderoli

Roberto Calderoli

Traduzione: il Viminale, per Salvini medesimo, un ministero (a scelta) per Roberto Calderoli – che, in alternativa, ‘pretende’ la presidenza del Senato, altrimenti minaccia “sfracelli” (ma nella Lega) – e molti altri ministeri ai suoi fedelissimi: Centinaio all’Agricoltura, Garavaglia al Turismo, Rixi alle Infrastrutture, Stefani (donna di Zaia) alle Disabilità. Tranne quest’ultima, appunto, sono tutti uomini di Salvini, e pure fidatissimi. Il che, oggettivamente, è troppo, per la Meloni, che non la prende bene.

 

L’ossessione di Salvini è ormai parossistica, ma il suo partito, ormai, è in pieno subbuglio

Nicola Molteni

Nicola Molteni

Il guaio è che, con la premier in pectore, Salvini va reclamare sempre e solo un posto, il Viminale. Per lui, ormai, è diventata un’ossessione. Non per sé, ma “per la Lega”: fa anche un nome, oltre al suo, quello di Nicola Molteni, già sottosegretario agli Interni, un suo fedelissimo, varesino doc. Il risultato delle urne e gli attacchi di dirigenti storici, come Castelli e Maroni, hanno già messo in difficoltà il segretario. Giorgetti è lì, fermo, che attende che passi il cadavere del suo ‘nemico’. Calderoli, se non avrà quello che chiede, minaccia Salvini di passare “all’opposizione”, cioè coi governatori del Nord che, come sia, gli vogliono ‘fare le scarpe’ e, presto o tardi, gliele faranno pure, per la gioia della Meloni medesima, la quale, però, avrebbe chiesto ai ‘governatori’ tempi medi, se non lunghi: cuocetevelo a fuoco lento, con calma, dopo la nascita del governo, altrimenti mi create più problemi di quelli che ho. “Alza la voce, ma non chiedere solo per te” è, del resto, è la ‘sveglia’ presa dal Capitano in Consiglio federale. Un ‘aut-aut’ cui non si può dire di no: il ‘trono’ di Salvini vacilla e parecchio.

g meloni

Giorgia Meloni

Parole, in ogni caso, quelle di Salvini, che fanno da traino all’assemblea convocata a Roma con i suoi quasi 100 nuovi parlamentari. In realtà, è solo un nuovo round del confronto interno, inevitabile per il segretario leghista dopo i tormenti e le batoste elettorali. Quindi, ribadisce: “Al lavoro uniti, questo ci chiede la gente, senza polemiche ma con idee chiare in testa” (‘ciaone’).

Fabrizio Boron - Lega

Fabrizio Boron – Lega

Salvini ha convocato per domani pomeriggio i parlamentari per compattare il partito e rilanciare i cavalli di battaglia, dall’autonomia a quota 41. Ieri al Consiglio federale la decisione emersa è stata quella di spingere affinché al leader venga affidato un ministero di peso. Il consigliere regionale veneto leghista Boron lo ha candidato al dicastero delle riforme e degli affari regionali. “Mi chiedo chi meglio del nostro segretario federale potrebbe ricoprire il ruolo di ministro”, ha scritto in una nota. Il tema dell’autonomia verrà portato avanti ma non è questo il ruolo che nella Lega si ipotizza per Salvini. Il ‘piano B’ sarebbe quello di un esponente del partito di via Bellerio. Nel centrodestra circola anche un’altra ipotesi: quella di Piantedosi al ministero dell’Interno, con un viceministro alla Lega.

 

Salvini arriva a minacciare l’appoggio esterno

minacciare

Salvini arriva a minacciare l’appoggio esterno

Lui, dunque, si difende attaccando. Con Meloni ci parla eccome, di ministeri, altro che chiacchiere del tipo “abbiamo parlato di bollette”. Resta sul tavolo l’ipotesi di due vicepremier, Tajani e Salvini, un modo come un altro per ‘cinturare’ la Meloni, per metterla ‘sotto tutela’, e Giorgia prova ad allontanare da sé l’amaro calice, ma il segretario leghista ha una priorità: il Viminale. “Si parte da qui per coinvolgere la Lega al governo”, è il ragionamento che Salvini fa alla Meloni, “altrimenti, vediamo…”. La frase è lasciata lì, sospesa, a mezz’arai, ma si traduce con “appoggio esterno”, cioè Lega che non entra al governo con i suoi ministri, ma fa nascere, per una questione di ‘responsabilità’, il governo dentro le Camere. Giorgia strabuzza gli occhi, quasi non ci crede. I problemi non le mancano.

 

Salvini, non contento, chiede altri ministeri. Giorgia si dice “ottimista”, ma non lo è affatto

Palazzo di Giustizia scaled

Palazzo di Giustizia

In più, Salvini chiede anche un altro ministero di peso. Quello della Giustizia, dove la candidata è Giulia Bongiorno. O gli Esteri. Oppure il Mise. Insomma, Salvini presenta richieste “importanti”, alla Meloni, “oltre quelle che le percentuali prese nelle urne giustificherebbero”, sospirano fonti parlamentari del centrodestra e di tutti i partiti.

antonio tajani

Antonio Tajani

Alzare l’asticella è un modo per trattare meglio? Forse, ma “se si mette di traverso così rischia di inceppare tutto”, osserva un azzurro in transito. Non che, dentro FI, non siano altrettanto ‘esosi’. Antonio Tajani vuole la Farnesina o la presidenza della Camera o il ruolo di vicepremier. Ma se già un vicepremier unico (Salvini) sarebbe un modo per ‘cinturarla’, due (Salvini più Tajani) sono davvero troppo. Sarebbe una specie di ‘commissariamento’ della Meloni, nei fatti.

Giorgia meloni 1

Giorgia, dopo l’incontro, torna in via della Scrofa

Giorgia, dopo l’incontro, torna in via della Scrofa (di mattina non va alla sede del partito, forse per evitare la ressa dei cronisti all’uscita, nei vicoli stretti del centro, un budello asfittico) e si chiude, per fare il famoso ‘punto’ quotidiano, con i suoi più stretti collaboratori. Intercettata dalle tv, ma fedele alla consegna del “silenzio” – consegna che ha imposto all’intera FdI, i cui colonnelli declinano, all’improvviso, ogni intervista e ogni comparsata tv – si limita a dirsi “ottimista” perché “mi ha portato fin qui”. Ma, dopo l’incontro con Salvini, ottimista non è.

 

La Meloni ostenta ottimismo, ma scarseggia… La smentita, dura, ai retroscena dei giornali

La Meloni ostenta ottimismo

La Meloni ostenta ottimismo

Insomma, la verità vera è che il primo ‘vero’ incontro, dopo la vittoria, tra Meloni e Salvini, due leader che si detestano, e pure da anni, nonostante siano formalmente ‘alleati’ (la prima ha soffiato la vittoria e la premiership all’altro, il secondo è ormai un leader transeunte, in bilico perenne, presto potrebbe essere detronizzato), un faccia a faccia durato un’ora, non è andato bene.

E ahi voglia, gli spin doctor della Meloni a dire che, “durante la giornata la presidente di FdI, Giorgia Meloni, ha fatto un punto con i suoi collaboratori. Particolare attenzione è stata riservata ai dossier del caro energia e approvvigionamento energetico anche alla luce dei recenti sviluppi in ambito internazionale”.

meloni draghi ministri governo

“Patto Meloni-Draghi” inesistente

Ma a parte il capitolo alleati, alla probabile prossima premier preoccupa la gestione dei conti e la legge di bilancio che spera di poter chiudere tenendo alta la sintonia con il governo uscente. Così, dopo Palazzo Chigi, anche FdI smentisce categoricamente il “patto Meloni-Draghi”: in altre parole, dicono all’unisono, il presidente del Consiglio non ha preso alcun impegno né stretto alleanze per farsi ‘garante’ del suo successore.

O dire, sempre nella stessa nota, che “non si è parlato né oggi e né in questi giorni di nomi, incarichi, attribuzioni di deleghe né separazioni di ministeri e sono prive di fondamento retroscena di stampa su presunti veti, come le notizie già smentite da Chigi su un ‘patto’ MeloniDraghi”.

Su questo, assai furibonda, già in mattinata, Giorgia Meloni aveva fatto un post su Facebook: “Trovo abbastanza surreale che certa stampa inventi di sana pianta miei virgolettati, pubblicando ricostruzioni del tutto arbitrarie. Si mettano l’anima in pace: il centrodestra unito ha vinto le elezioni ed è pronto a governare. Basta mistificazioni”. I giornali, per lei, croce e delizia.

Meloni giornali

Meloni I giornali, per lei, croce e delizia

Che, poi, sarebbe il ‘retroscena’ di Repubblica di ieri. Uno di quei giornali che la Meloni (“M come Mussolini” è stato il leit-motiv del gruppo Stampa-Pubblica, cioè i giornali di casa Elkann, per l’intera campagna elettorale: Giorgia non ha gradito, né poco né punto, e ne ha ben donde…) ha messo nel mirino, proprio come tutta ‘La 7’ di Urbano Cairo (segnatamente ‘Piazza Pulita’ di Corrado Formigli), più ovviamente, il Fatto, e pure il Domani, il petit journal di Carlo De Benedetti e rispetto ai quali ha detto, né più né meno, così: “da loro non si va, con loro non si parla. Punto”. In effetti, come darle torto? La dipingono, a lei, come una specie di Mussolini in gonnella e i suoi come ‘topi di fogna’ fascisti. Per non dire di Dagospia di Roberto D’Agostino che ha ‘riscoperto’ (ma l’aveva mai avuta?) una venatura ‘de sinistra’ e ‘anti-fascista’ e che, simpaticamente, la chiama “la Ducetta” (sic). Insomma, non andarci è il minimo sindacale che viene richiesto a chi vuole davvero essere di FdI.

 

Se la Lega ‘pretende’, anche FI accampa veti. Anche le pretese degli azzurri sono fameliche

Pretese fameliche

Pretese fameliche

Tornando all’incontro tra Salvini e Meloni (un’ora in tutto, meno del colloquio con Antonio Tajani del giorno prima, toni civili, ma freddi), il risiko di nomi e ministeri è complicatissimo. Entrambi sanno che è solo il primo round. Da qui il silenzio scelto, o imposto, sull’argomento.

E anche il disco rotto (“Basta mistificazioni sulla stampa – si precisa da FdI, smentendo i presunti veti nei confronti di Salvini, che reclama il Viminale) resta il punto. Salvini chiede, chiede, pretende. La Meloni cerca una via d’uscita e un’alternativa che salvi, al solito, capra e cavoli.

La Meloni cerca una via d'uscita

La Meloni cerca una via d’uscita

In realtà le difficoltà di rapporti ed equilibri fra alleati non mancano. Quindi anche con il partito di Berlusconi. Il colloquio con Tajani (che in giornata, quella di ieri, ha riferito al Cavaliere), quello di martedì, non sembra sia filato liscio, proprio per le richieste di ruoli e rappresentanza che FI avanza e che rivendica, al pari della Lega. Una conferma viene da Licia Ronzulli, fedelissima del Cav: “Gli incontri degli ultimi giorni si sono basati su dei macro temi e si è ribadita la pari dignità tra FI e Lega”, osserva. 

Licia Ronzulli

Licia Ronzulli

Ronzulli annuncia un vertice a tre nei prossimi giorni, assicurando che “in quella occasione certamente si andrà più in profondità e si farà qualche passo in più”. Anche dentro FI, ormai, sono diventati esosi, furibondi, delle vere Erinni. La Ronzulli medesima vuole, per sé, la Salute, o in subordine l’Istruzione. La Bernini – altra protegé, a dispetto dei santi – di Berlusconi vuole l’Istruzione o un ministero di almeno pari grado. Tajani, come detto, ha posto l’aut aut: o gli Esteri o la presidenza della Camera. La quale ora il Pd reclama a sua volta quota opposizione. Più altri ministeri non meglio o ancora individuati.

AnnaMaria Bernini

AnnaMaria Bernini

Le pretese di FI riguardano un ministero, a scelta, tra quelli più ‘pesanti’ (Economia, Interni o Esteri, per Antonio Tajani), e uno, a scelta, tra Salute (Ronzulli) e Istruzione (Bernini). Insomma, gli alleati si sono fatti esosi, puntano i piedi, avanzano pretese ‘impossibili’. Eccessive.

Mattarella

Il Presidente Mattarella

Insomma, gli alleati si sono fatti famelici, esosi, dalle pretese esorbitanti. La Meloni non ne può più e li manderebbe tutti, e sonoramente, a f., ma non può. “La ragazza della Garbatella non c’è più, è stata cancellata dalla vittoria elettorale. Ora c’è una premier in pectore, Mattarella l’attende, i modi e i toni non possono che essere ‘urbani’.

 

I numeri, in Parlamento, però, parlano chiaro

numeri in parlamento

I numeri, in Parlamento, però, parlano chiaro

Del resto se i pesi sono diversi, le misure – nel senso di percentuali prese alle ultime elezioni – sono diverse (FDI sugli scudi, Lega e FI ridotti a percentuali ridicole, Noi Moderati sotto l’1%), c’è un piccolo particolare, che tanto ‘piccolo’ non è, di cui bisogna pure tenere conto, per FdI.

Il centrodestra ha, è vero, un’ampia e solida maggioranza, in entrambe le Camere, ma i seggi arrisi alla Lega, e pure a FI, sono tanti: senza i 27 senatori e 66 deputati leghisti, o dei 18 senatori e 46 deputati azzurri, il governo Meloni non avrebbe la maggioranza per poter governare. Pregi, e difetti, del sistema elettorale e di una divisione dei collegi uninominali fatta quando la vittoria della Meloni non era affatto così scontata. Ergo, tocca fare, per Meloni, di necessità virtù.

far di conto

Giusto per fare di conto, che non guasta mai, al Senato, il centrodestra conta su 112 seggi, solo 11 sulla maggioranza assoluta, al netto degli ‘a vita’: 66 sono quelli di FdI, 27 quelli della Lega, 18 i forzisti e uno in quota centristi. Il Pd ha 38 eletti a Palazzo Madama, il M5s 28; 4 Verdi-SI, 9 Az/Iv. Uno è il senatore eletto all’estero per il Maie. Questi i seggi già assegnati, che denotano una maggioranza stabile ma non blindatissima, in favore di un governo di centrodestra, appunto.

Solo alla Camera la situazione è assai più granitica: il centrodestra ha 237 eletti: 116 di FdI, 66 i leghisti, 46 gli azzurri e 7 i centristi. Il Pd ha 72 deputati, il M5s 52, Az/Iv 21, i Verdi-SI 12, la Svp 1, come pure il Maie. Il centrodestra ha, dunque, un’ampia maggioranza sia alla Camera (fissata a 201 seggi) che al Senato (101 seggi), ma qui la distanza con l’opposizione è minore). Il risultato elettorale di Fratelli d’Italia (7.133.377 voti, pari al 26,03 per cento delle preferenze), permetterà a Giorgia Meloni di guidare, con serenità, la coalizione, politicamente (la Lega è crollata al 9%, FI si è fermata all’8), ma il numero di deputati e senatori del Carroccio e del partito di Berlusconi è più alto di quello che avrebbe consentito loro il risultato elettorale, grazie alle molte vittorie nei collegi uninominali.

 

Il ‘toto-ministri’, lo sport preferito dei giornali

panetta fabio

Al MEF un numero uno come Fabio Panetta

Ecco perché, appunto, il toto-ministri è così faticoso, complicato, ricco di insidie e di ricatti.

E’ normale, d’altra parte, che in queste ore impazzi il totoministri, inutile stupirsene. Per esempio: è vero che come successore di Daniele Franco potrebbe arrivare Fabio Panetta? “Certamente il Ministro delle Finanze potrebbe avere un profilo tecnico di altissimo livello. Dopo, che sia Panetta non sta a me dirlo, sta alla coalizione e a Giorgia Meloni l’indicazione”, dice il deputato Andrea Delmastro, l’uomo che in Fdi si è occupato di giustizia nella legislatura. Sono sempre i retroscena, intanto, a suggerire l’ipotesi di un doppio vicepremier che possa affiancare Meloni. In questo senso si parla proprio di Salvini e di Tajani, in rappresentanza degli altri due partiti della coalizione che ha vinto le elezioni. Al momento, si tratta solo di rumors.

Andrea Delmastro

Andrea Delmastro delle Vedove

Come non è confermata anche l’ipotesi che vedrebbe Meloni intenzionata a cedere una delle presidenze dei due rami del Parlamento all’opposizione, cioè al Pd: una consuetudine durante la Prima Repubblica, ma rotta da Forza Italia all’inizio della Seconda. Ed è proprio il partito di Silvio Berlusconi che avrebbe posto il veto su quest’ipotesi, rivendicando per Anna Maria Bernini la presidenza del Senato. Ma venendo ai vari ministeri, chi andrà dove? Figure tecniche di alto profilo agli Esteri, all’Interno, all’Economia. Un politico, di FdI o FI, alla Difesa. Nel lavorio della Meloni per la nascita del suo governo di centrodestra, sembrano consolidarsi alcune certezze. Almeno, nei suoi desideri. Salvini fuori dagli incarichi di peso, nonostante le proteste della Lega? Vedi sopra…. Al massimo – ma l’idea avanzata da Forza Italia presenta molte contro-indicazioni vicepremier con Tajani, un ruolo solo politico, senza deleghe o con deleghe leggere, ma potrebbe poi bastare?

 

Ma vediamo chi sale e chi scende, nel borsino degli incarichi

Ma vediamo chi sale e chi scende nel borsino degli incarichi

La presidenza delle Camere

Differenza tra Camera e Senato

Meloni vorrebbe dare la guida di un ramo del Parlamento all’opposizione: la Camera al Pd, l’ipotesi più probabile, visto il risultato elettorale dei Dem. Ma gli alleati non sembrano d’accordo. Ecco perché l’idea più probabile è che sia il centrodestra a eleggere entrambi i presidenti. In un equilibrio di genere, Anna Maria Bernini di FI potrebbe andare alla guida del Senato, Giancarlo Giorgetti della Lega alla Camera. Ma al Senato aspirano anche Ignazio La Russa (che ci tiene) di FdI e Roberto Calderoli della Lega. E allo scranno più alto di Montecitorio Antonio Tajani di Forza Italia e Fabio Rampelli, sempre di FdI.

 

Esteri, Difesa

ministero esteri cooperazione internazionale

Sono i quattro ministeri chiave, sotto il faro del Quirinale. Agli Esteri sono in salita le quotazioni di Elisabetta Belloni, attuale capo dei Servizi, già candidata di Lega e M5S al Quirinale. In partita anche l’ambasciatore Stefano Pontecorvo, in discesa le chance di Tajani.

 

Economia

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All’Economia le resistenze di Fabio Panetta (Bce), che il prossimo anno potrebbe andare a guidare Bankitalia, fanno salire le chance di Domenico Siniscalco, ex ministro dei governi Berlusconi, ma anche Siniscalco sembra, ad oggi, voler respingere la proposta di Meloni.

 

Interno e Difesa

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All’Interno, escluso Salvini, è partita a due tra Giuseppe Pecoraro, ex prefetto di Roma eletto in FdI, e Matteo Piantedosi, capo di gabinetto del leader leghista quando sedeva al Viminale. Il primo ad oggi è più quotato del secondo. Alla Difesa dovrebbe andare un politico: in pole ci sono Adolfo Urso di FdI e Tajani. Profili compatibili con l’incarico hanno anche Guido Crosetto di FdI, che però aspirerebbe alla guida del Mise, e Ignazio La Russa, già in passato ministro della Difesa con Berlusconi.

Agli Affari europei potrebbe andare il meloniano Raffaele Fitto, a meno che la leader di FdI non preferisca lasciarlo a Strasburgo da eurodeputato, a tessere i rapporti con gli alleati. A quel punto l’incarico potrebbe andare a Bernini di FI.

 

Infrastrutture e Lavoro

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Alle infrastrutture la Lega vorrebbe Edoardo Rixi, che potrebbe spuntarla sull’azzurro Alessandro Cattaneo. Allo Sviluppo economico potrebbe restare Giorgetti, anche se Salvini preferirebbe indicare per il governo nomi di più provata vede salviniana. Per il Lavoro spunta il nome dell’accademico Luca Ricolfi, quotato anche per quello dell’Istruzione.

 

Politiche agricole, Scuola e Sanità

Immagine mipaaf

Politiche agricole, Scuola e Sanità

La Lega ha messo gli occhi fin dalla campagna elettorale sulle Politiche agricole: l’ex ministro Gianmarco Centinaio è il candidato che Salvini considera naturale. All’Istruzione potrebbe andare Licia Ronzulli di Forza Italia. Alla Sanità potrebbe traslocare dalla Regione Lombardia Letizia Moratti, per ‘sminare’ la ricandidatura alla presidenza della Regione del leghista Attilio Fontana. In alternativa, Ronzulli alla Sanità.

 

Riforme, Rapporti col Parlamento, Pnrr, Palazzo Chigi

PNRR europa

Meloni vuole a Palazzo Chigi, nel ruolo cruciale di sottosegretario alla presidenza del Consiglio, un fedelissimo: Giandomenico Fazzolari o il liberal (e ‘libero’) Guido Crosetto, che però sarebbe l’uomo perfetto al Mise, dati i suoi rapporti con imprenditori e industriali, ma anche con i sindacati e le varie categorie.

Anche i Rapporti col Parlamento (magari con delega all’attuazione del programma) potrebbero andare a FdI, con Francesco Lollobrigida o il responsabile organizzazione del partito, Giovanni Donzelli. Alle Riforme, a sventolare il vessillo del presidenzialismo, andrebbe Marcello Pera. Potrebbe essere istituito un ministero al Pnrr, per garantirne l’attuazione, anche se la Destra vuole modificare il Pnrr firmato da Draghi.