“Viene prima il Nome o prima la Cosa?”. Il Pd si attarda in un dibattito ozioso e inutile, sul suo (presunto) futuro

“Viene prima il Nome o prima la Cosa?”. Il Pd si attarda in un dibattito ozioso e inutile, sul suo (presunto) futuro

4 Ottobre 2022 0 Di Ettore Maria Colombo

Delenda Pd/2. “Viene prima il Nome o prima la Cosa?”. Il Pd si attarda in un dibattito ozioso e inutile, sul suo (presunto) futuro. Pensassero, i democrat, a fare l’opposizione…

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Il Pd si attarda in un dibattito ozioso e inutile, sul suo (presunto) futuro

 

Questo articolo è stato scritto in esclusiva per il blog,  la prima parte la trovi cliccando qui DELENDA PD/1  

 

“Faremo la fine del Psf!”. Il rischio c’è, ma pure nel resto del Mondo la Sinistra perde…

congresso del pd

Povero Pd, non si fa mancare proprio nulla. L’ultima giaculatoria – “rischiamo di fare la fine del Psf francese, partito di fatto estinto, ridotto al lumicino, circa il 2%, dopo una storia gloriosa e centenaria, polverizzato da Macron e dalla Storia che, oggettivamente, lo ha travolto – turba i sonni di molti dem, ma sotto forma di incubo. 

Macron

Emmanuel Macron

Non che altri partiti socialisti o di simil stampo (cioè le famose socialdemocrazie ‘svedesi’…) stiano messe molto meglio. In Svezia ha preso una sonora batosta, in Finlandia e in Danimarca sono diventati, praticamente, partiti ‘moderati’, atlantisti, liberisti in politica economica. In Gran Bretagna vegetano, e sono anni, all’opposizione, col Labour Party. In Spagna il Psoe è al governo, ma tempo un anno e perderà le elezioni politiche. In Germania governano male, tra mille gaffes, sondaggi in crollo vertiginoso e, in ogni caso, è un governo di coalizione, con Verdi liberali. Negli Usa, tempo pochi mesi e i Democratici perderanno il controllo del Congresso, tempo due anni e, probabilmente, perdono la Casa Bianca. 

se Atene piange Sparta non ride

Se Atene piange, Sparta non ride

Insomma, ‘se Atene piange, Sparta non ride’. Non si può dire che il ‘socialismo’, o “come si chiama adesso”, sia messo bene, in altri Paesi. Figurarsi se può essere messo bene il Pd in Italia. 

La sola, vera, differenza è che, negli altri Paesi, non esiste una presunta – spocchiosa, arrogante – ‘intellighentjia’ di para-sinistra che ogni volta, specie ogni volta che la Sinistra perde le elezioni (il che, peraltro, succede pure abbastanza spesso) si sente in obbligo di spiegare alla Sinistra stessa (si chiami Pci o Pds o Ds o, da qualche anno, Pd, poco importa) dove e come ha sbagliato, perché, e soprattutto cosa deve fare per il suo Futuro. Lo hanno fatto, di recenti, una serie di ‘professori’ (da Tommaso Montanari a Paolo Flores d’Arcais) che, in buona sostanza, chiedono una specie di auto-annessione del Pd ai 5Stelle di Conte purché, si capisce, questi ultimi stiano ‘a sinistra’. 

Sondaggio Pd e Ms5 in Calabria

Il che, per la dirigenza dell’attuale Pd, già bella abbacchiata e depressa di suo, è una bella rogna. Uno sport antico, e pure di derivazione maiosta, quello dello ‘sparate sul quartier generale!’. 

 

Viene prima ‘il Nome’ o ‘la Cosa’?! Ci mancava solo Achille Occhetto, detto ‘Akel’…

achille occhetto

Achille Occhetto

Prima viene ‘la Cosa’, poi il nome…”. Ci mancava Achille Occhetto. Ultimo segretario del Pci, primo segretario del Pds, responsabile di una delle sconfitte più clamorose nella storia della sinistra, quella del 1994, almeno come partito, che come coalizione non andò neppure malaccio, vista con occhi di oggi, la mitica ‘gioiosa macchina da guerra’, cioè gli allora Progressisti

Occhetto, il ‘regista’ della svolta della Bolognina – intervistato dall’agenzia AGI – si sofferma sulle analogie e le differenze fra quel passaggio, con la fine del Pci e la nascita del Pds: “La situazione di oggi è profondamente diversa”, premette. “Bisogna essere all’altezza dei problemi che ci sono. In questo contesto, il Pd sbaglierebbe se cominciasse dalla questione ‘Conte o Calenda’. Al contrario, servono scelte profonde. Il Pd deve decidere come stare con sé stesso, come stare con la parte debole della società. Bisogna affrontare tali nodi, partendo da chi si vuole rappresentare”

E per Occhetto occorre partire proprio “da chi il Pd rappresenta in prima persona, quindi il mondo del lavoro. Sia chi il lavoro ce l’ha”, aggiunge, “sia chi il lavoro non ce l’ha”. Ciò non significa, però, relegarsi ad un ruolo marginale: “Il Pd, naturalmente, deve aspirare ad essere un partito nazionale, dando una sua visione di sviluppo, diversa dalla idolatria del Pil, ma affrontata in termini di qualità dello sviluppo”. Un compito che aggredisce il tema della transizione ecologica e del suo impatto sulla tenuta economica e sociale: “In una economia di mercato bisogna salvaguardare i beni comuni, il territorio, il clima, l’ambiente”, spiega Occhetto. 

nomina sunt consequentia rerum

Per lui si tratta di un “discorso che non si risolve cambiando nome e simbolo”. E qui, Occhetto rintraccia una analogia con la svolta della Bolognina: “Anch’io dissi, prima di tutti, si parte dalla cosa e poi si passa al nome. I latini dicevano nomina sunt consequentia rerum. Il Pd deve rifondarsi, ma non può farlo pestando sempre la stessa acqua nello stesso mortaio. Oggi è al capolinea quanto dissi all’atto di nascita del Pd: una bella idea mettere a sintesi la cultura comunista, socialista, liberale e cattolica, rischia di tradursi tutto in una fusione a freddo di apparati politici”. La solita storia: il ceto politico. 

letta occhetto

Una fusione a freddo che continua a mostrare i suoi limiti, anche a guardare la rapida successione di segretari che ha caratterizzato il Pd dalla sua nascita ad oggi. “Io credo che sia sbagliato dare la colpa di quello che succede a Enrico Letta, osserva Occhetto: Il segretario è stato stritolato da chi vedeva come problema centrale ‘con Conte o con Calenda’. Una dialettica che ha reso difficile, se non impossibile, l’operazione del campo largo. Il problema vero è che il campo largo non esiste dentro il Paese” (qui, però, come dargli torto, al buon Occhetto?). 

 

L’alato dibattito sul ‘futuro’ del Pd affascina davvero qualcuno? Manca solo Nanni Moretti

Nanni Moretti

Nanni Moretti

Si sentiva la mancanza dell’intervento di ‘Akel’- veniva chiamato così, fu buggerato, mentre il Pci moriva e il Pds nasceva, dal solito D’Alema e scelse di affogare il suo dolore nel whisky – nell’alato dibattito che riguarda il futuro del Pd. Manca, in buona sostanza, Nanni Moretti (“La Cosa”, appunto, indimenticabile viaggio nelle sezioni del Pci, ma anche Palombella rossa, film cult per chiunque sia mai stato comunista o post), il quale, però, se ne tiene saggiamente lontano. 

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Palmiro Togliatti, storico segretario del Pci

O Palmiro Togliatti, buonanima (“Veniamo da molto lontano, andiamo lontano”). O il povero Antonio Gramsci (si starà rigirando nella tomba). O Enrico Berlinguer, il più grande segretario che la storia settantennale del Pci ricordi, ma anche il primo suo, ‘vero’, leader di stampo socialdemocratico (il Pci era definito un ‘ircocervo’, cioè un animale frutto di altri due: testa rivolta verso Occidente, cuore a Oriente). 

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Michele Santoro

Gli altri, invece, ci sono tutti, ma proprio tutti. Nell’alato dibattito sono intervenuti, nell’ordine, Gad Lerner, Michele Santoro, Luca Telese (manca, oggettivamente, solo Bianca Berlinguer, che almeno ha il pregio di essere la ‘figlia di’) perché i giornalisti progressisti non mancano mai e, in pratica, chiedono al Pd di ‘auto-sciogliersi’. 

Massimo Recalcati

Massimo Recalcati

Poi, ma citiamo alla rinfusa, ecco gli scrittori (Francesco Piccolo, ma anche Michele Serra, Concita De Gregorio, Roberto Saviano, etc. etc.), gli scienziati (della Politica, anche se molti che ne potevano dire parecchio, da Giorgio Galli in giù, non ci sono più pur se un po’ in disarmo: Gianfranco Pasquino, Piero Ignazi, etc.), attori (melodici e rapper), cantanti, soubrette, e – ‘mai più senza’, avrebbero sul settimanale Cuore (quello di ‘Resistenza umana’ contro Berlusconi, ma prima ancora Craxi, Gava, il Caf, Andreotti) – pure i bravi psicoanalisti (Massimo Recalcati). 

 

Tutti i dirigenti, più o meno big, del Pd si esercitano nello sport del “dove andiamo”…

Goffredo Bettini

Goffredo Bettini

Figurarsi se non parlavano quelli che, in effetti, la tessera del Pd non ce l’hanno ‘ad honorem’, come i suddetti, ma ce l’hanno proprio in tasca, e più volte rinnovata. Si spazia da Goffredo Bettini, teorico – più che dell’alleanza con i 5Stelle – della fusione finale con il Movimento di Giuseppe Conte (il quale, essendo ritornato “fortissimo punto di riferimento dei Progressisti italiani e mondiali”, Nicola Zingaretti dixit, e pure baciato dai numeri, oltre che dalla Fortuna, si sente in diritto di dire, e di ‘spiegare’ – lui, al Pd – dove deve andare…), a Piero Fassino, passando per Gianni Cuperlo e altri ‘vecchi’ – oggi, per passare per ‘grandi vecchi’ basta poco – pensatori della sinistra che ormai fu.

Giorgio Napolitano

Giorgio Napolitano

Purtroppo, essendo Giorgio Napolitano malato e molti altri riformisti doc dal pensiero raffinato (Emanuele Macaluso, Gerardo Chiaromonte, Giorgio Amendola) del Pci decisamente defunti, parlano i loro epigoni. Un po’ meno ‘alti’ e corazzati, come Peppe Provenzano (ambisce a un ruolo: quello attuale, di vicesegretario, non gli basta proprio). Come pure, essendo a loro volta defunti i big della sinistra comunista che fu (Pietro Ingrao), parlano i loro epigoni minori: Andrea Orlando, il quale, a sua volta, nutre corpose velleità. In già pratica, si sente lui il ‘campione’ della sinistra Pd ma già perse, rovinosamente, contro Renzi e, insomma, forse non è proprio il caso di ritentare. 

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Massimo D’Alema

Mancano all’appello, in effetti, il leader del Pds-Ds che fu (del Pci era un esponente ‘minore’), Massimo D’Alema (oggi altro ‘consigliori’ di Conte: vanno tutti da Conte, ne sono le ‘bimbette’ e forse è una moda irrefrenabile, stile Tik-tok) e il “mai-stato-comunista”, pur se iscritto al Pci, nonché primo segretario del Pd, Walter Veltroni (il quale, più saggiamente, si dedica al cinema). 

romano prodi

Romano Prodi

Manca, in effetti, anche Romano Prodi, che tace, ma che fondò l’Ulivo e poi l’Unione e che, del Pd, che pure benedì, all’inizio, ha sempre diffidato (sentire cosa ne pensa, in merito, il suo storico braccio destro, il prof. Arturo Parisi…). 

 

Pure da ‘sinistra’ e da ‘destra’ si parla del Pd

bertinotti

Bertinotti

Mancano pure i big della (ex) sinistra radicale, da Fausto Bertinotti (ormai veleggia bordeline Cl, la sua conversione al cristianesimo si è compiuta) a Nichi Vendola, che preferisce occuparsi dei figli (e fa bene) e si è, appunto, rintanato nel privato, ma avrebbero meno voce in capitolo. 

Nichi Vendola

Nichi Vendola

In questo caso, i loro tristi epigoni sono Bonelli e Fratoianni, i quali – dall’alto di una pattuglia, pure buona, di eletti in Parlamento – se la ridono assai dei guai di casa dem. Insomma, li snobbano, pur avendo preso il 4,5% contro un buon 19%. 

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Carlo Calenda e Matteo Renzi

Non mancano, invece, i ‘traditori’ della ‘Causa’ – nel senso di ‘reietti’, ‘nemici’, ‘invasori’, etc. – i vari Matteo Renzi, che pure fu segretario del Pd ma fu vissuto come un ‘cavallo di Troia’ del berlusconismo e della destra (il ‘renzismo’, ecco), e Carlo Calenda, che ne fu europarlamentare (però marcava visita, nel senso che non ci andava mai) ma sbatté la porta molto presto, vero ingrato. 

E, insomma, dall’alto del loro 7,8% Az-Iv e i loro due fantasmagorici leader vorrebbero insegnare, a un partito che avrà anche preso una bella batosta, ma sempre tre volte quanto loro vale (cioè il 19%), di che morte devono morire, a quale corda devono impiccarsi, chi deve essere il boia (loro). Il che, francamente, è troppo anche per i poveri militanti e dirigenti del Pd che, ecco, ancora un minimo di senso di onore e di dignità lo hanno. 

 

Quelli del ‘delenda Carthago’: l’urlo di Rosy

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Quelli del ‘delenda Carthago’: l’urlo di Rosy

Infine ci sono quelli del ‘delenda Chartago’, detti anche del “muoia Sansone con tutti i Filistei”. In questi giorni si è distinta, nel ramo, Rosy Bindi. Prendiamo qui un ritratto, molto gustoso, scritto dalla collega Candida Morvillo sul Corsera. 

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Rosy Bindi

Rosy Bindi è tornata e non si può fare a meno di accorgersene. Se ne stava autoesiliata in un borgo del Senese di duemila anime dal 2018, da quando si era ritirata dopo 23 anni di Parlamento. Quindi, è comparsa a Piazzapulita, da Corrado Formigli, e lei che il Pd ha contribuito a fondarlo, ha detto «è arrivato il momento di scioglierlo». 

Silvio Berlusconi Leader di Forza ItaliaSilvio Berlusconi Leader di Forza Italia

Silvio Berlusconi Leader di Forza Italia

Più chiara di così non poteva essere. D’altra parte, aggiunge ora al Corriere, «non le ho mai mandate a dire a nessuno e bisogna parlare chiaro». Certe sue battute fulminanti sono ancora celebri, come quando, a Silvio Berlusconi che le diceva che era più intelligente che bella, rispose “non sono una donna a sua disposizione” o come quando, alludendo alle sue convinzioni cattoliche, le chiesero se voleva farsi suora e lei rispose: «Semmai prete, perché i preti hanno più potere».

Ora, se le chiedi che cosa sbaglia il Pd, risponde: «Quando parla la destra capisco tutto e, quando parla la sinistra, fatico a capirci qualcosa persino io». Quindi, ti racconta del lavoro che non c’è, né nel Paese né nei programmi e nelle preoccupazioni del partito. E ti racconta della povertà crescente che vede vivendo in provincia e delle decine di telefonate ricevute in campagna elettorale: «Erano persone che si scusavano con me, perché votavano i 5 Stelle e, da persona che ancora pensa e scrive, non posso ignorarle».

Enrico Letta

Enrico Letta

Il congresso annunciato da Enrico Letta non l’alletta per niente: «Una conta attraverso le autocandidature non può risolvere una crisi così profonda: se non cambiano le regole del congresso, non cambierà nulla». Domenica, poi, è stato pubblicato un appello firmato da lei e venti intellettuali, da Domenico De Masi a Tomaso Montanari: chiedono al Pd una radicale discontinuità per costruire un campo progressista e chiedono al M5s di confermare la collocazione a sinistra e abiurare alla tentazione di avere il monopolio di quell’area. «Sono felice che hanno scelto dove stare», chiosa ora Rosy, «dicevano di non essere né di destra né di sinistra, invece, erano e di destra e di sinistra».

bindi

Rosy Bindi, 71 anni, 23 da deputata, ha militato nell’Azione cattolica, nella Dc, nel Ppi, nella Margherita, nel Pd

Rosy Bindi, 71 anni, 23 da deputata, ha militato nell’Azione cattolica, nella Dc, nel Ppi, nella Margherita, nel Pd. Ha avuto una stagione da ministra della Sanità, una da ministra della Famiglia, è stata (pre-quote rosa) presidente del Pd ed è uno dei grandi nomi che il Pd si era perso per strada, come per Pier Luigi Bersani, Massimo D’Alema e altri nati a cavallo del 1950 – e perciò passibili di rottamazione – nell’era geologica in cui Matteo Renzi fu segretario.

Generale De Gaulle

Vaste programme, direbbe il generale De Gaulle…

Ed è proprio Renzi il ‘cavallo di Troia’ che il Pd vuole evitare, a tutti i costi, che ritorni. Basterà? Si vedrà. Certo è che ‘vaste programme’ rispose il generale Charles De Gaulle quando un uomo, dalla folle acclamante, gli chiese di eliminare, dal governo del Paese, la Francia, i tanti ‘coglioni’… 

Pensasse, il Pd, a fare l’opposizione, in Parlamento, al governo Meloni che sta nascendo. Magari, così, qualche consenso può riacquistarlo.