Dizionario della crisi di governo 2019/2. Il Colle e le formule politiche dei governi possibili

Dizionario della crisi di governo 2019/2. Il Colle e le formule politiche dei governi possibili

21 Agosto 2019 2 Di Ettore Maria Colombo

Con l’apertura della crisi prima politica e poi parlamentare del governo Conte (maggioranza gialloverde, Lega-M5S, in carica dal I giugno 2019) si apre una fase, come sempre, molto delicata della politica italiana. I media (giornali, radio, tv, siti Internet, blog) seguono – come meglio possono – l’evolversi della situazione, ma spesso utilizzando termini che per politici e giornalisti sono ovvi come una chiave inglese per un idraulico mentre, per chi nella vita si occupa d’altro o semplicemente non è appassionato della materia, sono spesso oscure e di fatto inintelligibili.

Ecco dunque un piccolo manuale per seguire, passo passo, la crisi. Dopo la prima puntata dedicata alle consultazioni al Colle, la seconda dedicata alle formule politiche di governo possibili.

 

Conte si è dimesso, la crisi è stata ‘parlamentarizzata’

Salvini Conte discussione

Salvini molto espressivo si rivolge a Conte, dopo le dimissioni

 

Le cose, paradossalmente, sono andate “come dovevano andare”, come cantava il gruppo dei Csi-Cccp. All’improvviso, dopo il voto sulle mozioni sulla Tav, quando il vicepremier e ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ha aperto – politicamente, anche se non formalmente – la crisi di governo, il 7 agosto scorso, il 13 agosto scorso  l’aula del Senato è andato al voto e allo scontro, dopo un dibattito infuocato, sul calendario della riconvocazione delle Camere per ascoltare le comunicazioni che il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, aveva annunciato, dopo aver visto Salvini, di voler rendere nelle due Camere.

 

elisabetta casellati

La presidente Casellati

 

Al Senato, sul calendario, si è votato in Aula, perché non è stata trovata unanimità tra i capigruppo (la decisione di rimettersi all’Aula è stata presa dal presidente Casellati) mentre alla Camera si è deciso, in modo unanime, in sede di conferenza dei capigruppo, sotto la regia del presidente Fico.

 

Roberto_Fico_Camera_Codice_Rosso

Il presidente della Camera dei Deputati, Roberto Fico

 

Le comunicazioni del premier Conte si sono tenute solo nell’aula del Senato (ieri pomeriggio, 20 agosto) mentre quelle che doveva rendere nell’aula della Camera (oggi, 21 agosto) sono state date per acquisite in quanto già rese al Senato. Da notare che Conte si è presentato, per prima cosa, al Senato, dove aveva ottenuto la prima fiducia, in base alla cosiddetta “regola della culla” (nella Camera dove ti rechi, la prima volta, per la fiducia, ti presenti per la eventuale sfiducia).

 

calendario delle consultazioni che condurrà il Presidente Mattarella

Il calendario delle consultazioni che condurrà il Presidente Mattarella

 

In ogni caso, Conte, ieri sera, 20 agosto, è salito al Colle per dimettersi, dimissioni accettate dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il quale da un lato gli ha chiesto di restare in carica, secondo la formula di rito, per il “disbrigo degli affari correnti” e, dall’altro, ha reso noto il calendario ufficiale delle consultazioni al Colle, che si terranno tra oggi, 21 agosto, e domani, 22 agosto. E’ il ‘primo giro’ delle consultazioni e non è affatto detto che ne segua un secondo.

Qui il link all’articolo sulla prima puntata del Dizionario della crisi 2019 dedicato, appunto, alle consultazioni: Dizionario della crisi di governo 2019/1-Si apre il rito delle consultazioni al Colle

 

Facce di Salvini

Le espressioni di Salvini durante il discorso di Giuseppe Conte

 

Conte si è dimesso, dopo 445 giorni (quasi 15 mesi) di governo, senza subire un voto delle Camere (cioè un voto di sfiducia o fiducia in base a risoluzioni parlamentari) che lo avrebbe probabilmente visto sfiduciato per ‘preservarsi’ in vista di possibili incarichi futuri (un Conte bis? Si vedrà).

 

salvini conte saluto

I saluti di Conte e Salvini, prima del discorso in Aula

 

Nel contempo, la Lega non ha ritirato i suoi ministri dal governo, quindi – Salvini al Viminale in testa – questi restano al loro posto fino alla nascita di un nuovo governo. La crisi, in ogni caso, è stata ‘parlamentarizzata’, cioè riportata al suo alveo naturale, il rapporto tra governo e Parlamento.

 

Consultazioni, tempi strettissimi: nuovo governo o voto?

conte mattarella

Il Capo dello Stato e l’ormai ex premier Conte

 

Con le consultazioni (rimandiamo qui, appunto, per raccontarle meglio, alla apposita prima puntata, voce ‘Consultazioni‘ del “Dizionario della crisi di governo 2019”) il Capo dello Stato dovrà decidere se esiste la possibilità di vedere nascere, in Parlamento, una nuova maggioranza oppure se, verificata l’assenza di una nuova maggioranza, non gli resterà altra strada che sciogliere le Camere e indire i comizi elettorali. Il Capo dello Stato avrebbe potuto, se la crisi fosse stata aperta prima (diciamo a fine luglio), sciogliere subito le Camere, cioè entro fine agosto, per consentire di fissare la data del voto entro la fine di ottobre, in una domenica compresa tra il 13, il 20 o il 27 ottobre. Date che, però, ormai sono tutte saltate causa i tempi ‘tecnici’. Servono, infatti, tra i 45 e i 70 giorni, come dice la legge, per indire i comizi elettorali, giorni che però normalmente vengono stabiliti in almeno 60 giorni che se ne vanno per le procedure – introdotte nel 2011 con la legge Tremaglia – del voto all’estero. Le date cerchiata in rosso restano quelle del 27 ottobre o quella del 3 novembre.

 

In discussione la Legge Tremaglia

L’ex ministro Mirko Tremaglia: noto per il diritto di voto agli italiani all’estero

 

Ma anche in caso di scioglimento delle Camere e nuove elezioni ‘a breve’, i tempi per la formazione di un nuovo governo, che dovrà mettere subito mano alla manovra economica (manovra che, di fatto, il governo dimissionario in carica per il “disbrigo degli affari correnti” non potrebbe fare, come pure non potrebbe farla un governo elettorale o tecnico che, sfiduciato dalle Camere, porti il Paese a breve al voto), il calendario confligge con i desiderata delle diverse forze politiche.

comizio elettorale

Comizio Elettorale

 

Infatti, se tutti i tempi venissero rispettati (comizi elettorali, elezioni, 20 giorni prima di formare le nuove Camere, elezione dei nuovi gruppi parlamentari e, di conseguenza, dei nuovi presidenti di Camera e Senato: circa 20-25 giorni dalla data del voto) il nuovo governo (dopo, ovviamente, nuove consultazioni, giuramento e formazione del governo, voto di fiducia e suo insediamento) potrebbe essere in carica non prima di fine novembre o inizio dicembre. A quel punto resterebbe solo un mese per presentare la legge di Bilancio ed evitare l’esercizio provvisorio dei conti dello Stato.

 

Documento programmatico di Bilancio

Documento programmatico di Bilancio

 

In questo caso, però, il voto e la formazione del nuovo esecutivo si accavallerebbero alla cosiddetta sessione di bilancio. Il 27 settembre il governo deve presentare la Nota di aggiornamento del Def, entro il 15 ottobre il Documento di bilancio deve essere spedito alla Commissione Ue e il 20 ottobre la Legge di bilancio deve essere presentata alle Camere, le quali devono approvarla prima del 31 dicembre, pena l’esercizio provvisorio dei conti pubblici dello Stato. Le scadenze, vista la situazione, potrebbero essere derogate, ma spetterebbe al Governo uscente o a un governo tecnico-elettorale formato per l’occasione, in piena campagna elettorale, la preparazione ‘sostanziale’ della manovra.

 

Le possibili mosse del Colle si riducono, di fatto, solo a due

 

bivio strade

Le strade che ha davanti a sé Mattarella, una volta espletato il rito delle consultazioni, solo solo due

 

Come è evidente dai diversi retroscena pubblicati oggi su molti quotidiani e scritti da diversi quirinalisti di vaglia (Breda sul Corsera, Magri sulla Stampa, Gentili sul Messaggero), le strade che ha davanti a sé Mattarella, una volta espletato il rito delle consultazioni, solo solo due.

La prima è un governo ‘tecnico-elettorale’ (vedi alla voce sotto) che porti il Paese, entro pochi mesi (il 3 o il 10 novembre?), al voto e che, pur avendo giurato ed essendosi insediato, non ottenga la fiducia delle Camere, sostanzialmente per scelta. Si tratterebbe, cioè, di un governo che, politicamente, nasce ‘morto’ perché il suo obiettivo non sarebbe ottenere la fiducia delle Camere, come dovrebbe fare ogni governo, ma ‘non’ ottenerla e di limitarsi ad assicurare il regolare svolgimento delle operazioni elettorali.

 

Salvini sbuffa

Salvini in una eloquente espressione

 

La motivazione ‘politica’ per la nascita di un governo dalle prospettive così limitate è presto detta: le opposizioni, ma anche l’M5S, non vogliono che Salvini, attuale titolare del Viminale, gestisca le complesse e delicate operazioni di voto (deposito di simboli e liste elettorali, loro validazione, presentazione delle candidature, svolgimento dei comizi elettorali, pubblicità elettorali, gestione della par condicio per gli spazi radiotelevisivi, etc) e, dunque, chiederanno che il Colle si adoperi in tal senso. Evitare che succeda quello che è, invece, normale prassi costituzionale, e cioè che sia l’ultimo governo in carica, quello Conte, oggi preposto al “disbrigo degli affari correnti”, a gestire i prossimi mesi che, in teoria, ci separano dal voto.

 

Carlo_Cottarelli

L’economista Carlo Cottarelli

 

Il Capo dello Stato, non insensibile a questo tema, può incaricare una figura istituzionale (il presidente del Senato, Casellati, o della Camera, Fico) oppure una personalità terza (il ‘solito’ Carlo Cottarelli, o il ministro del Tesoro uscente, Tria, o un giudice della Consulta, come Giovanni Maria Flick o Marta Cartabia) a dare ‘vita’ a un governo che, appunto, nascerebbe, di fatto, già ‘morto’.

 

 

Pd e M5S

Pd e M5S

 

La seconda ipotesi al vaglio del Colle è la nascita di un governo politico che scaturisca dai contatti, in corso da giorni, tra esponenti e leader di partiti fino a ieri avversari (Pd e M5S) e che diventi il perno di una nuova maggioranza politica dentro le Camere. L’asse politico fondante, dunque, sarebbe quello di un’alleanza ‘giallorossa’, dopo quella ‘gialloverde’ che ha sostenuto il governo Conte, tra Pd e M5S, ma con l’aggiunta di altri gruppi parlamentari (LeU, centristi, +Europa, pezzi del gruppo Misto, Autonomie) che darebbero, al governo, colori e confini più ampi dell’asse Pd-M5S.

 

 

contratto alla tedesca

Contratto alla tedesca

 

Ovviamente, tale governo potrebbe nascere solo dopo aver trovato un accordo politico di massima su un programma comune (il famoso ‘contratto alla tedesca’, riedizione riveduta e corretta del ‘contratto di governo’ stipulato un anno fa, sempre in tempo di crisi di governo, tra Lega e M5S) e sul nome di un presidente del Consiglio (Fico? Cantone? Draghi? Si vedrà. La sola ipotesi esclusa sembra essere, a oggi, un Conte bis per l’indisponibilità del Pd), condiviso dalle forze politiche elencate in precedenza. Tale governo si presenterebbe davanti alle Camere per ottenere la fiducia e portare avanti la legislatura, augurabilmente fino al suo ‘naturale’ scioglimento (maggio 2023) o, forse, prima, ove mai dovessero venire meno, all’improvviso, dopo, le ragioni dello stare insieme.

 

tertium non datur

Tertium non datur (tradotto: «Una terza cosa non è data») è una locuzione che sta a significare che una terza soluzione (una terza via, o possibilità) non esiste

 

Tertium non datur, negli intendimenti di Sergio Mattarella. Infatti, nei ragionamenti del Colle vengono escluse formule di governo che pure sono state usate più volte dai presidenti della Repubblica, in passato, per uscire da serie e profonde situazioni di ‘stallo’ istituzionale o di crisi economica, sociale e politica e che, nel bene e nel male, hanno fatto tanto parlare di sé 

 

Governi tecnici o istituzionali sono solo formule del passato

Amato e Ciampi

Governo tecnico fu Amato-Ciampi

 

Dunque, niente governi ‘tecnici’. Lo furono quelli Amato, del 1991-1992, per superar la crisi economica, e quello Ciampi del 1992-1993 per affrontare la crisi politica di Mani Pulite. Entrambi nominati dall’allora Capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro, nel primo caso (Amato) vedevano la presenza di ministri ‘politici’ (il vecchio pentapartito) sotto una guida tecnica, nel secondo caso sia una guida tecnica (Ciampi) che ministri tecnici cui i partiti fornivano solo appoggio esterno.

 

Berlusconi e Dini

Governo ‘tecnico’ fu anche il governo Dini, dopo la caduta di Berlusconi

 

Governo ‘tecnico’ fu anche il governo Dini (1995-1996), sempre nominato da Scalfaro, per superare la crisi politica seguita al I governo Berlusconi e alla sua caduta, ma che vedeva l’appoggio di quasi tutti i partiti rappresentati in Parlamento, ad eccezione della Lega, di An e del Prc, e che portò a compimento una importante riforma delle pensioni.

 

Monti Letta

Governi di ‘larghe intese’ furono, invece, governi Monti (2012-2013) e Letta (2013-2014)

 

Governi di ‘larghe intese’ furono, invece, i governi Monti (2012-2013) e Letta (2013-2014) che vedevano sia l’intero centrosinistra che l’intero (o quasi, con l’eccezione della Lega) centrodestra sostenere tipi di governi simili e insieme diversi. Nel primo caso si trattava di un governo guidato sempre da un tecnico (Monti) che seguiva alla tempesta valutaria e finanziaria che si era scatenata sull’Italia nel biennio 2011-2012 e che aveva portato alla caduta del IV governo Berlusconi. 

Nel secondo caso (Enrico Letta), alla situazione di stallo istituzionale che si era creato dopo le elezioni del 2013, elezioni che avevano visto l’impossibilità di formare un governo ‘politico’ all’interno delle allora nuove Camere, si ovviò con un cosiddetto governo delle ‘larghe intese’.

In entrambi i casi, si trattò di governi appoggiati sia dal centrodestra (senza la Lega) che dal centrosinistra (tranne il Prc-SeL) e di governi che, impropriamente, vennero definiti ‘del Presidente’ intendendo l’allora capo dello Stato, che si pure adoperò molto per farli nascere, Giorgio Napolitano.

 

Ex presidente napolitano

L’ex Presidente Giorgio Napolitano

 

Formule, però, tutte quelle usate in passato (governo ‘istituzionale’, ‘del Presidente’, delle ‘larghe intese’, ‘governissimo’) che poco hanno a che fare con la situazione attuale, come vedremo in un prossimo speciale dedicato alle formule e alla storia dei principali governi dell’Italia repubblicana.

Mattarella, infatti, presidente non ‘notaio’, ma ‘arbitro’, è tutto tranne che un presidente ‘demiurgo’ che, cioè, i governi li fa nascere a dispetto della volontà dei vari partiti. Piuttosto, se non verificherà le condizioni per formare un governo politico, scioglierà le Camere e manderà il Paese al voto.  

 


DIZIONARIO DELLA CRISI DI GOVERNO

(NB: L’ordine di questo ‘Dizionario’ non è alfabetico)

 

dizionario della crisi

Dizionario della crisi

 

SALIRE AL QUIRINALE (o al Colle):

CFR. IL DIZIONARIO DELLA CRISI N.1/ IL RITO DELLE CONSULTAZIONI.

CONSULTAZIONI: CFR. IL DIZIONARIO DELLA CRISI N.1/ IL RITO DELLE CONSULTAZIONI.

STUDIO ALLA VETRATA: CFR. IL DIZIONARIO DELLA CRISI N.1/ IL RITO DELLE CONSULTAZIONI.

MANDATO ESPLORATIVO: il Presidente della Repubblica, se nelle consultazioni non è emerso il nome di un possibile presidente del Consiglio condiviso da parte della maggioranza dei gruppi parlamentari, può dare a una personalità terza (di solito una personalità istituzionale come uno dei due presidenti delle Camere) l’incarico di verificare se esiste una maggioranza che sostenga un governo non troppo caratterizzato politicamente e quindi divisivo. Il mandato esplorativo, se ha esito positivo, può diventare un incarico pieno per formare il governo, altrimenti l’incaricato torna al Quirinale, riferisce e dismette il suo ruolo, rinunciando all’incarico esplorativo.

PREINCARICO: il Presidente della Repubblica può decidere (come fece Napolitano con Bersani nel 2013) di affidare un incarico non pieno – ma, appunto, un ‘pre-incarico’ – alla personalità politica che, almeno sulla carta, ha le maggiori possibilità di trovare una maggioranza parlamentare, pur non avendo ancora i numeri necessari, ma con l’impegno di verificare se tali condizioni esistano. Se trova il presidente del Consiglio ‘pre-incaricato’ trova i voti che gli servono per formare na maggioranza, il presidente della Repubblica può decidere di trasformare il preincarico in incarico pieno, altrimenti il presidente pre-incaricato deve tornare al Quirinale, dove il Presidente cercherà un’altra personalità a cui affidare il tentativo di dar vita a un nuovo governo. Da notare che, nel 2013, il pre-incarico a Bersani venne, da Napolitano, ‘congelato’ e mai formalmente ‘scongelato’.

INCARICO PIENO: il presidente della Repubblica dà, al presidente del Consiglio incaricato, un incarico ‘pieno’ per la formazione del governo. Il premier incaricato svolge le sue consultazioni, torna al Quirinale, scioglie la ‘riserva’ e chiede al Capo dello Stato di formare un nuovo governo. Il nuovo governo giura, si insedia e, subito dopo, si presenta davanti alle Camere per ottenere il loro ‘voto di fiducia’. Se lo ottiene governa, altrimenti si dimette, ma – in attesa che nasca un nuovo governo o che le Camere vengano sciolte – il Capo dello Stato prega il premier dimissionario di restare in carica per il “disbrigo per gli affari correnti”. Quando il nuovo governo che succede a quello dimissionario entra in carica il governo precedente cessa di esistere e ‘va a casa’.

GOVERNO POLITICO: è un governo che ha una maggioranza politica coesa, di solito uscita dal voto delle elezioni politiche, in base ad accordi sul programma e, in linea di massima, sul nome del presidente del Consiglio. L’incarico per formare un governo, in questo caso, è pieno.

GOVERNO ISTITUZIONALE: è un governo che, riscontrata l’impossibilità di dare vita a un governo politico, viene guidato da una figura istituzionale (di solito uno dei due presidenti delle Camere) e che assume, sempre di solito, forma e formula transitoria. Non è ‘a tempo’, perché nessun governo può esserlo, ma prima o poi passa la mano, durante la legislatura, al governo politico.

GOVERNO DEL PRESIDENTE: è un governo il cui il presidente del Consiglio è scelto dal presidente della Repubblica in quanto figura di spicco e prestigiosa, anche se non politico, anche il programma di governo è fortemente suggerito dal Capo dello Stato. Casi di ‘governi del Presidente’ sono rari e presi in situazioni estreme perché si pongono, nei fatti, ai limiti della fedeltà alla Costituzione e dei poteri del Presidente della Repubblica: di norma, i governi sono parlamentari.

GOVERNO TECNICO: è un governo guidato, quasi sempre, da una personalità tecnica, di solito proveniente dal mondo economico e che non è stato eletto alle elezioni, chiamato dal Capo dello Stato a guidare il Paese in una fase di fibrillazione delle istituzioni a causa o durante una crisi economica o sociale o sia economica che istituzionale.

GOVERNO DI SCOPO: è un governo che può esser guidato da un politico, un tecnico o una carica istituzionale, ma che ha un programma chiaro e delimitato a pochissimi punti. Solitamente si tratta di uno o due punti, non di più, di programma, che vanno dall’approvazione della legge di bilancio a una riforma istituzionale o una legge elettorale.

GOVERNO ELETTORALE: sottocategoria del governo di scopo è il governo elettorale. Nasce solo per portare il Paese al voto e cessa di esistere quando entra in carica il governo nato dalle urne che il governo ha ‘accompagnato’. Viene anche detto ‘governo di minoranza’ perché, come è successo in alcuni casi della storia repubblicana, si tratta di un governo che non ha ottenuto la fiducia delle Camere, pur avendo formalmente giurato nelle mani del Capo dello Stato ed essendosi, quindi, insediato, con i relativi poteri. Il suo unico scopo è, appunto, di portare il Paese alle urne.

GOVERNO DI TRANSIZIONE: vedi alla voce ‘GOVERNO ELETTORALE’ O ‘DI MINORANZA’.

DISBRIGO DEGLI AFFARI CORRENTI: Il Capo dello Stato prega sempre, per antica e consolidata prassi, il governo battuto nelle Camere, e quindi dimissionario, di restare in carica. La formula di rito è quella del “disbrigo degli affari correnti”: vuol dire che il governo resta in carica, ma solo per l’ordinaria amministrazione o per approvare provvedimenti urgenti e indifferibili come decreti legge (es: terremoto, missioni all’estero, etc.) o per dichiarare, in caso estremo, lo stato di guerra. E’ questo il governo che, anche se battuto dalle Camere, resta in carica finché non si nasce un nuovo governo e, in ogni caso, che accompagna il Paese alle urne, prima e dopo eventuali elezioni.

CRISI DI GOVERNO: quando, per diversi motivi, il governo non ha più la fiducia della sua maggioranza parlamentate o il presidente del Consiglio si dimette per sua decisione, comincia un iter gestito dal presidente della Repubblica che porta o a un nuovo governo o a elezioni.

DIMISSIONI REVOCABILI: si verificano quando il presidente del Consiglio, salito al Quirinale, comunica al presidente della Repubblica che non intende proseguire nel suo incarico. Il Capo dello Stato può chiedere al premier (presidente del Consiglio) di provare a formare un nuovo governo (e gli affida il reincarico) oppure accetta le sue dimissioni che diventano irrevocabili.

DIMISSIONI IRREVOCABILI: si verificano quando il presidente del Consiglio non accetta il reincarico e lascia definitivamente palazzo Chigi. Il presidente della Repubblica può dare l’incarico a un altro esponente, dopo aver svolto le sue consultazioni, o può decidere di sciogliere le Camere.

FIDUCIA AL GOVERNO: viene data quando un nuovo governo si presenta alle Camere: dopo un discorso del presidente del Consiglio che espone il suo programma, deputati e senatori votano la fiducia. Se il governo la ottiene governa, altrimenti cade e si apre una crisi di governo.

VOTO DI SFIDUCIA. Il contrario del voto di fiducia è, appunto, il cosiddetto ‘voto di sfiducia’: si realizza quando un esecutivo si presenta in Parlamento e viene battuto, cioè ‘va sotto’, il quorum richiesto per quella votazione su un provvedimento o sul complesso del suo operato.

Il paradosso è che, nella storia repubblicana, sono stati pochi (due: il Prodi I e il Prodi II, nella Seconda Repubblica) i governi battuti in Parlamento con regolare voto di sfiducia, mentre normalmente, specie nella Prima Repubblica, i governi si dimettevano non in presenza di un voto di sfiducia da parte delle Camere ma per motivi politici, cioè in base a crisi extraparlamentari. Ma anche nei due casi citati (il Prodi I e il Prodi II) non era richiesta la maggioranza assoluta dei componenti dell’Assemblea: bastava che i no superassero i sì nel voto. Per la sfiducia basta la maggioranza relativa dei componenti dell’Assemblea mentre la maggioranza assoluta è il quorum del plenum, la metà più uno dei suoi componenti (161 su 321 al Senato e 316 su 630 alla Camera).

La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione. Generalmente, però, come si diceva prima, le crisi di governo non vengono causate da una mancata fiducia quanto dalla rottura degli accordi tra partiti costituenti la maggioranza e il Governo. Va quindi sottolineato che tutte le crisi di governo, in 64 governi repubblicani, sono state sempre e solo extraparlamentari. Infatti, solo entrambi gli esecutivi a guida Prodi di centrosinistra furono battuti, il primo nel 1996 e il secondo nel 2008, da un voto di sfiducia da parte delle Camere e, di conseguenza, si dimisero dal loro incarico. La prima volta (governo Prodi I, 1996-1998) per responsabilità del Prc di Fausto Bertinotti e la seconda volta (governo Prodi II, 2006-2008) per responsabilità dell’Udeur di Mastella. 
PASSAGGIO PARLAMENTARE: è l’occasione in cui il governo si presenta alle Camere, solitamente con un discorso del presidente del Consiglio, e chiede ai parlamentari di dare un voto (si, no o astensione) al suo discorso e quindi al governo medesimo. Può anche concludersi senza un voto se il presidente del Consiglio, sentiti gli interventi dei capigruppo in Aula, decide di evitare che i parlamentari si esprimano e trae le sue conclusioni. Di solito dopo tale passaggio sale di nuovo al Colle per riferire al Capo dello Stato le sue intenzioni.

PARLAMENTARIZZAZIONE DELLA CRISI: il presidente del Consiglio si presenta davanti al Parlamento e chiede nuovamente la fiducia. Se la fiducia al governo non viene rinnovata, il premier sale al Quirinale per rimettere il mandato nelle mani del presidente della Repubblica. In passato, le crisi di governo sono state spesso gestite tutte in consultazioni più o meno formali e non sono passate dal voto delle Camere. Due sole volte il presidente del Consiglio (in entrambi i casi era Romano Prodi) ha chiesto di seguire alla lettera la Costituzione per decretare la crisi di governo con un voto di sfiducia della Camera o del Senato. 

RIMPASTO: si verifica quando un governo ottiene di nuovo la fiducia dalle Camere, dopo aver però cambiato qualche ministro del partito che apre la crisi o questi viene sostituito con uno o più partiti altri che decidono di appoggiarlo. Si parla in questo caso di ‘governo bis’ (ad esempio di Conte bis).

REINCARICO: per ottenere un rimpasto il presidente della Repubblica deve dare di nuovo l’incarico di formare il governo allo stesso presidente del Consiglio che si è appena dimesso. E così, dunque, gli affida il cosiddetto reincarico.

RIMANDARE ALLE CAMERE: in questo caso, il presidente della Repubblica chiede al presidente del Consiglio di verificare se ha ancora la maggioranza e lo manda alle Camere per verificare se gode della loro fiducia.

‘VERIFICA’ DELLA MAGGIORANZA: nel passaggio alle Camere si ha una verifica della tenuta della maggioranza. Di solito serve il voto dell’Aula, ma in teoria può anche bastare il pronunciamento dei loro capigruppo.

SCIOGLIMENTO DELLE CAMERE: il passaggio dalla crisi allo scioglimento delle Camere può avvenire in un tempo lungo (se le consultazioni portano via molto tempo, come è successo nella crisi di governo del 2018:tre mesi), medio (poche settimane, come accade di solito) o breve. Se il capo dello Stato, terminate le consultazioni, constata che non esiste una maggioranza alternativa e che non vi siano quindi le possibilità per la nascita di un diverso esecutivo, non può far altro che firmare lo scioglimento delle Camere.

ELEZIONI POLITICHE: Le elezioni politiche si tengono, per Costituzione, ogni cinque anni e a ogni fine legislatura, il cui termine naturale è, appunto, di cinque anni, oppure in via anticipata, se lo scioglimento delle Camere viene anticipato. Nel primo decennio della Repubblica (1958-1958) il Senato, per Costituzione, restava in carica, in teoria, sei anni, ma a ogni elezione naturale della Camera (1948, 1953 e 1958) si provvedeva sempre allo scioglimento ‘tecnico’ del Senato per fare in modo che le due Camere votassero sempre nella stessa data. Questo avvenne fino a quando non intervenne una riforma costituzionale che, nel 1963, parificò la durata delle due Camere a 5 anni.

ELEZIONI ANTICIPATE: se dopo una crisi di governo nessuno dei diversi tentativi per formare un nuovo governo ha successo, il Capo dello Stato scioglie la legislatura in via anticipata e si va ad elezioni politiche prima che termini il tempo naturale della legislatura che è previsto in 5 anni. 

DATA DELLE ELEZIONI: L’iter che porta a nuove elezioni parte da un punto fermo: il tempo minimo che deve intercorrere necessariamente dal giorno della crisi di governo o, meglio, dallo scioglimento delle Camere, fino al giorno delle urne è di 45 giorni mentre il tempo massimo è di 70 giorni) Un tempo dettato sia dalla Costituzione che dalla legge per l’indizione dei comizi elettorali. In realtà, però, occorrono almeno 60 giorni dallo scioglimento delle Camere al giorno del voto per consentire l’adempimento delle procedure necessarie per il voto degli italiani all’estero. Norma che potrebbe, anche se finora non è mai successo, essere modificata per ‘accelerare’ i tempi.

RIUNIONE CDM PER FISSARE LA DATA DELLE ELEZIONI: Il Consiglio dei ministri si riunisce per approvare lo schema del decreto del Presidente della Repubblica con il quale viene fissata la data delle elezioni, sia che si tratti di elezioni a scadenza naturale che in caso di voto anticipato.  

FINESTRE ELETTORALI: stando a quanto prevedono le disposizioni in materia e basandosi sui giorni minimi che devono intercorrere dallo scioglimento delle Camere (e quindi dalla crisi di governo) alle urne, ovvero 60, le possibili finestre elettorali per votare dopo l’estate sono solo tre (27 ottobre, 3 novembre, 10 novembre).

Infatti, per votare la seconda (13) o la terza (20) domenica di ottobre le Camere avrebbero dovute essere sciolte a ridosso di Ferragosto, o entro il 20-22 agosto, il che non avrebbe in ogni caso consentito di presentare la manovra economica alla Commissione Ue entro i termini stabiliti.

ELEZIONI IL 27 OTTOBRE: per votare l’ultima domenica di ottobre è necessario che le Camere siano sciolte non più tardi del 27-28 agosto. Quindi, dato che le consultazioni andranno avanti nei giorni del 21-22 agosto e che è possibile che richiedano un nuovo ‘giro’ nella settimana seguente, questa data è di fatto già improponibile.

 ELEZIONI IL 3 NOVEMBRE: per votare la prima domenica di novembre le Camere dovrebbero essere sciolte non oltre il 2-3 settembre, senza consentire di presentare la manovra economica alla Commissione Ue entro i termini.

ELEZIONI IL 10 NOVEMBRE: per votare la seconda domenica di novembre le Camere dovrebbero essere sciolte non oltre il 9-10 settembre, senza consentire di presentare la manovra economica alla Commissione Ue entro i termini.

Le scadenze proseguono con lo stesso schema anche per le settimane successive, ma è ovvio che più ci si inoltra nel mese di settembre, e quindi in pieno autunno, con una eventuale crisi di governo e più diventa plausibile che le elezioni, qualora si dovesse tornare al voto anticipato, si svolgano nei primi mesi del 2020, se non in primavera.

TIMING DELLA MANOVRA ECONOMICA. La tempistica di eventuali elezioni in autunno dovrebbe tener conto anche delle scadenze legate alla sessione di Bilancio. A settembre, alla ripresa dell’attività parlamentare e governativa dopo la pausa estiva ad attendere il governo  – governo, in questo caso, dimissionario – ci sarà la Nota di aggiornamento al Def, che va presentata alle Camere entro il 27 settembre. Il Documento programmatico di Bilancio, ovvero l’ossatura della manovra, va invece inviato alla Commissione Ue entro il 15 ottobre mentre la Legge di Bilancio vera e propria deve essere presentata alle Camere entro il 20 ottobre. Scadenze che, sulla carta, presuppongono l’esistenza di un governo in carica e con la forza, politica di varare la manovra e ‘contrattarla’ con la Ue. E’ sempre possibile, tuttavia, chiedere all’Europa una ‘dilazione’ dei tempi del Documento programmatico di Bilancio, dilazione giustificata proprio dalla crisi di governo o da elezioni appena celebrate, visto che la manovra deve essere approvata, da parte delle Camere, entro il 31 dicembre.

Ovviamente, la possibilità presuppone che, dalle urne, esca una maggioranza ben definita che, in poche settimane, porti alla nascita del nuovo esecutivo scaturito dalle nuove Camere. Altrimenti, conseguenza ovvia, servirebbe un lasso di tempo più lungo per consentire le normali trattative tra forze politiche così da arrivare alla nascita di un esecutivo. E’ stato il caso proprio del governo a guida Conte: dal giorno delle elezioni al giuramento sono trascorsi tre mesi. La scadenza, tuttavia, che resta tassativa è quella del 31 dicembre, data entro cui il Parlamento italiano deve approvare la legge di Bilancio per evitare il forse inevitabile esercizio provvisorio dei conti pubblici dello Stato.

 


 

NB: Questo articolo è stato scritto in forma originale per questo blog il 21 agosto 2019