Pacchetto Pd 7. I candidati in corsa (sei), le truppe di ognuno, le regole delle primarie dem

Pacchetto Pd 7. I candidati in corsa (sei), le truppe di ognuno, le regole delle primarie dem

16 Dicembre 2018 0 Di Ettore Maria Colombo

Questo articolo, una radiografia dei nastri di partenza della corsa per le primarie del Pd, è stato pubblicato il 15 dicembre 2018 per @quotidiano.net, versione on-line del Quotidiano Nazionale (Giorno – Nazione – Resto del Carlino). 

 

Pronti, via! I sei candidati in corsa alle primarie del Pd

Giachetti, Martina, Boccia, Zingaretti, Corallo, Saladino. Alla fine, dopo tanto discutere, rimproverarsi e dannarsi, sono sei i candidati del Pd che affronteranno la corsa verso le prossime primarie per eleggere il nuovo segretario dem, primarie che si terranno il 3 marzo del 2019. L’ordine di presentazione sulla scheda elettorale dei sei candidati è stato sorteggiato dalla commissione di Garanzia, presieduta dall’onorevole Gianni Dal Moro e vidimato giovedì scorso. Non si tratta, ovviamente, di un ordine di importanza, e neppure di un ordine alfabetico, ma solo di un ordine di sorteggio.

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L’ex ministro dell’Interno, Marco Minniti

Già solo nei nomi, però, sono contenute diverse ‘notizie’. Ma partiamo prima dai grandi, o piccoli, esclusi. Non c’è – come si sapeva ormai da giorni – il nome di Marco Minniti. L’ex ministro dell’Interno, che doveva essere ‘il campione’ del renzismo, si è tirato indietro in dirittura di arrivo perché ha ritenuto troppo ‘debole’ l’appoggio alla sua candidatura delle truppe renziane e, soprattutto, dello stesso Renzi. Non c’è neanche Matteo Richetti, renziano atipico, che si è fatto da parte per giocarsi la partita congressuale non più da solo, ma in ticket con Maurizio Martina. Non c’è, infine, l’ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano, capofila di una piccola corrente, quella dei ‘Laburisti dem’, che si è ritirato preferendo appoggiare la corsa di Nicola Zingaretti, conscio anche del fatto che la sua candidatura non decollava.

Ci sono, invece, del tutto imprevisti – e molto improvvisati –ben tre outsider. Due ‘giocano’ da soli e sono dei veri outsider o meglio, due ‘carneadi’: il giovane ricercatore, laureato in Filosofia, Dario Corallo, romano e figlio di Paolo Corallo, storico giornalista politico dell’Ansa, e Maria Saladino, volto sconosciuto sia al grande pubblico che a quello dem, unica donna in corsa e nota solo per i suoi (tanti) selfie con tutti i dirigenti del Pd che le capitavano a tiro. Entrambi sono però riusciti nell’impresa di presentare un numero di firme che, per essere entrambi due sconosciuti, non era insignificante: 1.500 da raccogliere tra gli iscritti al partito e che andavano raccolte in almeno 5 regioni tenendo come base le circoscrizioni elettorali che si usano alle Europee. Al Nazareno, nessuno credeva che ce l’avrebbero fatta.

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L’esponente del Pd Roberto Giachetti

Invece, in calcio d’angolo, e con l’escamotage di molte firme raccolte in fretta e furia, e in meno di una notte, via email – firme solo in un secondo momento vidimate dalla Commissione di garanzia – è riuscito a presentarsi ai nastri di partenza anche il dem romano, ed ex militante radicale, Roberto Giachetti. Renzianissimo, Giachetti non ha condiviso la scelta di gran parte degli (ex) renziani di appoggiare la corsa di Martina e si presenta non da solo, ma in ticket, cioè in coppia, con la deputata umbra Anna Ascani, altra renziana doc. In realtà, il giovane Dario Corallo ha sollevato una polemica non piccola, rispetto alla candidatura di Giachetti, sostenendo che le firme raccolte fossero ‘solo’ 1480, cioè troppo poche per essere accolte (-20 rispetto alle necessarie, appunto), ma la Commissione di Garanzia ha ritenuto di dover accogliere la candidatura di Giachetti per ‘garantire’ la più ampia partecipazione di tutti i candidati alle primarie.

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Il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti

Infine, ecco i tre candidati sui quali non c’erano dubbi che avrebbero agevolmente superato l’ostacolo delle firme: il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, appoggiato dalla sinistra interna, l’area che fa capo ad Andrea Orlando, ma anche da personalità ‘centriste’ come quelle di Paolo Gentiloni e Luigi Zanda, e inoltre dall’area di Dario Franceschini; l’ex segretario uscente, Maurizio Martina, sostenuto da aree molto diverse tra loro (i Giovani turchi di Matteo Orfini, due ex renziani del calibro di Graziano Delrio e Matteo Richetti, e – dopo la rinuncia di Minniti a correre – di gran parte del renzismo militante (parlamentari, ben 85 su 100, sindaci, dirigenti e quadri di federazione), truppe che hanno abbandonato al suo destino l’ex leader); infine, il battitore libero Francesco Boccia, un tempo lettiano, ora molto vicino al governatore della Puglia, Michele Emiliano, e che proprio oggi ha lanciato ufficialmente la sua corsa a Roma.

Chi appoggia chi. Le truppe in soccorso dei vari candidati

Partiamo dai più piccoli. Dei due ‘carneadi’ Corallo e Saladino è facile immaginare che prenderanno numeri e percentuali irrisorie e che già solo dopo il voto tra gli iscritti (vedi dopo, paragrafo successivo) verranno esclusi dalla competizione che prevede un minimo del 5% dei voti per accedere alla seconda fase, quella delle primarie aperte. Infatti, non hanno, nessuno dei due, né Corallo né la Saladino, truppe a loro sostegno.

 

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Il candidato alle primarie del Pd Francesco Boccia

Di Boccia, che era vicino a Enrico Letta, ma che da anni è diventato il braccio destro di Michele Emiliano a Roma, si dice che possa raccogliere voti, oltre che in Puglia, in qualche città, soprattutto del Sud, tra i giovani e in quella parte (piccola) del partito che vuole, a tutti i costi, un accordo di governo con l’M5s. Del ticket dei ‘sopravvissuti’ del renzismo che ormai ‘fu’, Giachetti e Ascani, si può dire che possono raccogliere solo in piccola parte l’eredità dell’ex segretario Renzi, che la loro battaglia sarà molto difficile e assai minoritaria (solo tre parlamentari su 100, tra i renziani, stanno con loro) e che potrebbero soffiare, di poco, la terza posizione a Boccia solo se riusciranno a sfondare durante la corsa elettorale.

 

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Il segretario del Pd Maurizio Martina

La candidatura di Martina si può dire che è molto cresciuta, nel corso dei mesi, acquistando sempre più consistenza: partiva dai suoi consensi, alti soprattutto in Lombardia, cui si sono aggiunti quelli di Delrio come di Richetti in Emilia e di Orfini nel Lazio, in Sicilia e in Piemonte. infine, fatto di non poco conto, è arrivata a esprimersi per Martina il grosso delle truppe che, un tempo, si dicevano renziane. Luca Lotti e Lorenzo Guerini, un tempo proconsoli di Renzi, hanno spostato armi e bagagli di ben 85 parlamentari (sui 100 complessivi, tra gli ex renziani) su Martina, facendo prendere sempre più quota alla corsa dell’ex segretario, l’ultimo in ordine temporale in dieci anni di storia del partito democrat. Lo sfidante da battere, però, resta sempre Zingaretti: fortissimo nel Lazio, discretamente forte nel Mezzogiorno, debole al Centro e al Nord, può contare su una campagna già rodata e lanciata da mesi (di fatto partita prima dell’estate) e su truppe che vanno dalla sinistra del partito (Orlando) alla destra (Zanda) passando per l’appoggio di Area dem, la corrente di Dario Franceschini, e del Pd ‘gentiloniano’, cioè dei seguaci dell’ex premier Paolo Gentiloni. Non a caso, in tutti i sondaggi, è Zingaretti a stare sempre in testa ed è lui, dunque, lo sfidante dem da battere.

Le regole astruse di una gara che sarà breve, ma difficile

 

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Il logo del Partito democratico

La commissione Garanzia tornerà a riunirsi mercoledì 19 e,  in quella sede, “sarà integrata dai rappresentanti dei candidati a segretario nazionale”. Insomma, ogni candidato avrà il suo rappresentante e potrà controllare che le operazioni congressuali si svolgano in modo regolare e sereno, ma sono previste schermaglie e problemi. Infatti, il tesseramento – e dunque la possibilità di votare al ‘primo giro’, quello tra gli iscritti – è stato già fermato, dunque non sarà possibile fare tessere dell’ultima ora, ma una finestra è ancora rimasta aperta, quella del tesseramento on line, tema su cui soprattutto Boccia ha molto insistito, forte di una candidatura che punta molto proprio su web e social. Inoltre, dati i noti casi di ‘inquinamento’ del voto che hanno funestato le primarie del Pd in passato (specie nelle regioni del Sud), bisognerà seguire con particolare attenzione le operazioni di voto, sia tra gli iscritti sia alle primarie ‘aperte’.

Infatti, il congresso del Pd è, per Statuto, una sorta di razzo a tre stadi. Il primo stadio sono le primarie tra gli iscritti: votano solo i tesserati al partito e, contestualmente, vengono eletti anche i segretari regionali che devono esplicitare il collegamento a uno dei sei candidati in corsa. Il voto ‘solo’ tra gli iscritti si terrà il 7 febbraio del 2019. Poco prima, il 3 febbraio 2019, si sarà svolta una ‘Convenzione Nazionale’ in cui i candidati presentano se stessi e i loro programmi, una sorta di ‘passerella’ per i candidati e per farsi conoscere. Infine, il 3 marzo del 2019 ecco, finalmente, il gran giorno delle primarie aperte a tutti: iscritti, elettori e semplici simpatizzanti del Pd e del centrosinistra che potranno votare versando un piccolo obolo (5 euro) e firmando una ‘Carta d’Intenti’ del Pd, il cui vincolo è però sempre stato dubbio.

 

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Matteo Renzi parla a un’assemblea del Pd

Ma non è finita perché, per conoscere ufficialmente il nome del vincitore, bisognerà attendere la convocazione dell’Assemblea nazionale, massimo organo statutario del Pd e il solo che può proclamare effettivamente il segretario (si tratta, quindi, di un’elezione non ‘diretta’, ma ‘indiretta’) anche perché c’è una piccola gabola, o pecca, nello Statuto. Se nessuno dei contendenti (ma alla seconda fase passano solo i primi tre meglio piazzati nel voto tra gli iscritti, purché abbiano ottenuto il 5% dei voti su base nazionale) avrà ottenuto, nelle primarie aperte, il 50,1% dei voti, diventerà determinante il voto dentro l’Assemblea. Ed è lì che potrebbe accadere di tutto. Infatti, con due candidati di quasi eguale peso (Zingaretti e Martina, si presume) i voti dei delegati del terzo meglio piazzato (Giachetti o Boccia) potrebbero riversarsi su uno dei due e farlo eleggere, anche se non si trattasse del candidato arrivato primo alle primarie. Infatti, in Assemblea (mille i componenti eletti), votano i delegati delle singole mozioni che vengono sì eletti sulla base di liste collegate ai candidati alle primarie aperte, ma che possono, legittimamente, cambiare idea e mozione e riversare i loro voti su un altro candidato all’atto del voto. Insomma, il solito ginepraio, le primarie del Pd


NB: Questo articolo è stato pubblicato il 15 dicembre 2018 sul sito http://www.quotidiano.net