Pacchetto Pd 15. “Effetto Renzi” in negativo. Primarie del Pd oscurate e a rischio flop

Pacchetto Pd 15. “Effetto Renzi” in negativo. Primarie del Pd oscurate e a rischio flop

20 Febbraio 2019 0 Di Ettore Maria Colombo

“Effetto Renzi”, ma in negativo, sulle primarie del Pd.Tutti parlano dell’ex leader e nessuno della sfida del 3 marzo

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Matteo Renzi e il padre Tiziano

“Ci mancava solo l’arresto dei genitori di Renzi e la sua reazione ‘berlusconiana’. Non è vero che questa vicenda non avrà conseguenze sulle primarie. Rischiamo il flop. Se vota meno di un milione di persone è un disastro, anche a prescindere da chi vinca. Probabilmente sarà Zingaretti, ma rischia di essere un segretario dimezzato in partenza”.

Lo sbotto di accidia del big dem di lungo corso e – come si capisce dalle sue parole – per nulla vicino a Matteo Renzi, dà il climax pesante che sta vivendo il Pd in queste ore.Il rischio di primarie flop, infatti, è sempre più vicino e reale.

L’arresto dei genitori di Renzi e la polemica sulla giustizia

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Il senatore Michele Giarrusso (M5S)

Ormai da tre giorni, sui media come sui social, non si parla d’altro che dei genitori di Matteo Renzi, finiti agli arresti, seppur domiciliari, della reazione furibonda dell’ex leader, che – come dice – non intende “mollare di un centimetro” e delle polemiche tra giustizia e politica che investono il Pd.

Un partito che, su una certa ‘vicinanza’ ai giudici e al loro operato, ha fondato la sua costituency, dall’epoca di Mani Pulite, quando si chiamava Pds, in poi, a tal punto da aver cavalcato, durante il ventennio berlusconiano, un ‘giustizialismo’ di fatto, con tanto di collegamento – per quanto contraddittorio – con la stagione dei ‘girotondi’.

Oggi, invece, il Pd si riscopre, più o meno convintamente, ‘garantista’, ma forse è troppo tardi. Non a caso, ai senatori dem che protestavano contro il voto dei 5Stelle per ‘salvare Salvini’, il senatore pentastellato Mario Giarrusso ha fatto il gesto – subito condannato persino dai suoi – delle ‘manette’. Lo stesso gesto che un deputato M5S aveva rivolto ai banchi dei dem durante i lavori d’Aula, provocandone l’ira funesta e l’uscita in massa dai loro scranni di Montecitorio, con tanto di scontro col presidente della Camera, Roberto Fico.

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Il presidente della camera Roberto Fico

Il guaio, al di là delle polemiche e del rapporto tra il Pd e la giustizia – con Maurizio Martina che dice “Bisogna ribadire la fiducia e la stima nella giustizia, come ha anche fatto Renzi con le sue parole, ma la dinamica e la tempistica” dei domiciliari e dell’arresto dei genitori dell’ex premier rendono “comprensibile che si apra un dibattito” e la piccata, e durissima, presa di posizione dell’Anm (“Inammissibile parlare di giustizia ad orologeria e di arresti con finalità politiche, bisogna evitare i dannosi tuffi nel passato”, cioè nella stagione del berlusconismo – è che il dibattito è tornato a focalizzarsi intorno la figura di Renzi.

Il disorientamento, tra i dem, regna sovrano, con l’eccezione dei turborenziani

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Luciano Nobili, deputato del Pd

 

Il disorientamento, dunque, tra i dem, rispetto alle possibili ripercussioni sulle primarie, è trasversale alle tre mozioni, anche se i pasdaran del renzismo, quasi tutti sostenitori della mozione che ha candidato Roberto Giachetti, sono gli unici che vanno all’attacco, cercando di sfruttare l’onda emotiva che sta trascinando nel fango la famiglia Renzi sia per reale convinzione sia per sfruttarla per guadagnare voti.

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Paola De Micheli

“È troppo presto per capire se potranno esserci contraccolpi” resta cauta Paola De Micheli, coordinatrice della mozione Zingaretti. I fan del governatore del Lazio sanno quanto possa essere rischioso fissare un’asticella, che poi magari non si riesce a superare. Per questo, non fanno previsioni né forniscono numeri, se non quelli dei sondaggi in loro possesso, che vedrebbero Zingaretti più vicino al 60 che al 50%.

Ma qualsiasi sondaggio sulle primarie lascia il tempo che trova: prima di tutto bisognerebbe capire quale sarà la base elettorale. E la vicenda che ha colpito Renzi potrebbe favorire l’orgoglio dei renziani, riversando voti, più che su Martina, che rischia anzi di venirne schiacciato, su Giachetti, che rappresenta l’animus dei turborenziani.

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L’esponente del Pd Roberto Giachetti

“Il contraccolpo è tutto positivo – ostenta fiducia Luciano Nobili, coordinatore della mozione Giachetti– come dimostra il grande affetto e la solidarietà che sono giunti a Renzi da più parti. Venerdì a Torino (prossima tappa del tour di presentazione del libro dell’ex premier, ndr) si capirà la reazione a quanto è successo e noi saremo tutti in prima fila”. Poi Nobili lancia la stoccata agli avversari, Zingaretti in primis: “Chi ha pensato che questo congresso potesse essere l’occasione per chiudere definitivamente la pagina Renzi, si renderà conto di quanto fosse illusorio”.

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Il segretario del Pd Maurizio Martina (foto Ansa)

 

Solo nella mozione Martina si cerca di far quadrare il cerchio: difendere Renzi e, insieme, allontanare la sua ombra dal congresso del Pd, dicendo che le due cose “non ci azzeccano nulla” come sostiene Antonello Giacomelli: “Io non capisco cosa c’entra il Pd con l’arresto dei genitori dell’ex segretario? Non vengono neanche contestati episodi amministrativi che hanno a che fare con la politica”.

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Antonello Giacomelli

Ma la verità è che l’imbarazzo, tra gli ex renziani che oggi appoggiano Martina, è molto alto e la loro posizione non riesce a essere né di appoggio perinde ac cadaver a Renzi e neppure di presa di distanza o freddezza come per gli altri.

Alle primarie, stavolta, il rischio flop è un rischio reale

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Militanti del Pd in fila per votare ai gazebo per le primarie

 

La prima conseguenza è che, delle primarie del 3 marzo – che, per giunta, capita pure sotto Carnevale, data ed effetto non previsto quando al Nazareno si fissò la data – non parla praticamente più nessuno. Sembra quasi che non esistano.

Secondo gli ultimi – e informali – sondaggi disponibili, in particolare un sondaggio condotto dalla società Ipsos, Zingaretti si attesterebbe intorno al 51-55% (quindi oltre la soglia psicologica e numerica del 51%), Martina al 37%-40 e Giachetti all’8-9%, ma il dato preoccupante riguarda il numero di elettori del Pd disponibili ad andare a votare: un milione di persone, forse anche qualcosa di meno.

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L’ex premier ed ex leader del Pd Matteo Renzi

Numeri imbarazzanti, se si considera che, l’ultima volta, quando Renzi vinse le primarie contro Andrea Orlando e Michele Emiliano in modo pressoché scontato, furono 1800 mila.

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Il logo delle primarie del Pd

 

I problemi, però, non riguardano ‘solo’ la partecipazione. Manca il numero dei gazebo che saranno allestiti nelle varie regioni e si rischia che siano molto meno dell’ultima volta. Più gazebo vuol dire una partecipazione più ampia, quindi Zingaretti, ad esempio, preme perché ce ne siano tanti.

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Nicola Zingaretti, governatore del Lazio (foto La Presse)

Gli uomini di Zingaretti accusano, in buona sostanza, gli avversari di voler ostacolare l’affluenza, in modo da “dimezzare” la sua – ad oggi molto probabile – vittoria. Dall’altra parte, si vedono difficoltà organizzative che, soprattutto in regioni come Puglia, Calabria e Sicilia, rendono complicato mantenere uno standard di seggi pari a quello del passato.

I numeri delle federazioni regionali arriveranno a Roma solo in questi giorni e sarà compito della Commissione congressuale confrontarli con quelli delle scorse primarie e intervenire dove si riscontrassero anomalie, sia in eccesso che, più facilmente, in difetto.

Il problema delle liste e il metodo di elezione dei delegati

 

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Zingaretti e Giachetti

Poi c’è il problema delle liste. Saranno una a testa per Zingaretti e Giachetti e una/due per Martina perché, in alcune regioni, i renziani ne produrranno alcune ad hoc, pur se senza alcuna ‘voglia’ di contarsi sul piano nazionale.

Ma il sistema di attribuzione dei seggi avviene secondo un metodo complicato: in realtà, si eleggono i delegati all’Assemblea nazionale (mille componenti) secondo un sistema proporzionale (con il recupero dei resti più alti) che favorisce le liste più grandi a scapito delle più piccole.

Conta, in buona sostanza, non la percentuale assoluta ottenuta dai singoli candidati, ma la maggioranza assoluta in seno all’Assemblea nazionale (501 seggi su mille). I collegi sono grandi, pari a quelli pluri-provinciali in vigore nel sistema proporzionale della Prima Repubblica, e le liste sono bloccate, cioè hanno un numero fisso di candidati all’interno di un riquadro che indica il candidato sostenuto.

Anche le regioni ‘pesano’ in modo diverso perché, per essere eletti, si fa una media ponderata dei voti ottenuti dai vari delegati che mixa la popolazione residente nel singolo collegio con i voti presi dal Pd alle ultime elezioni politiche (quelle, cioè, del 2018). Quindi, le regioni più popolose del Centro-Nord peseranno di più rispetto quelle del Sud, che sono parimenti abitate ma dove il Pd ha preso meno voti.

Scarsa anche la campagna pubblicitaria. Le casse del partito sono esangui

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Il simbolo del Pd

Il Pd, peraltro, non ha organizzato una ‘tradizionale’ campagna pubblicitaria, come è sempre stato fatto finora, perché sono poche decine di migliaia gli euro da investire e verranno destinati alla campagna on-line e a qualche spot.

Le casse del partito, infine, sono esangui. Nel 2017, il bilancio del Pd, l’ultimo disponibile e il primo privo di rimborsi elettorali, si è chiuso con un attivo di 555 mila euro dopo il tracollo del 2016 che aveva fatto precipitare i conti a un passivo di quasi 9 milioni e mezzo di euro a causa dell’infausta campagna referendaria del 4 dicembre.

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Il tesoriere, Francesco Bonifazi

Il tesoriere, Francesco Bonifazi, renziano doc, ha imposto l’austerity, mettendo tutti i dipendenti del Nazareno in cassa integrazione (in buona parte a zero ore, scade a fine luglio) e il confronto tra il Pd, in quanto datore di lavoro, e i sindacati, in quanto rappresentanti dei dipendenti, rischia di farsi drammatico: si parla di scendere da 170 a 45 posti.

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La tessera del Pd

 

I problemi di liquidità del Pd resterebbero, anche così, comunque gravi anche perché il dimezzamento degli eletti alle Politiche del 2018 ha comportato la drastica riduzione pure dei contributi di Camera e Senato ai gruppi.

Gli eletti sono comunque tenuti a versare 1500 euro mensili al partito, ma ne mancano parecchi, all’appello, e Bonifazi ha iniziato una serie di verifiche e di solleciti ai ‘morosi’ con tanto di polemiche sui loro nomi fatti trapelare sui giornali.

In ogni caso, l’ammanco complessivo è di 460 mila euro. Tengono, fortunatamente, per i dem, i contributi ricevuti con il 2xmille nelle dichiarazioni dei redditi: nel 2017 quasi mezzo milione di italiani ha indicato la sua scelta per il Pd che ha portato a casa (ma incasserà solo a luglio) ben 7 milioni di euro.

Il tetto di spesa per ogni candidato è stato fissato a 200 mila euro dalla commissione congressuale, ma solo Zingaretti – che ha organizzato tre giornate di mobilitazione dei suoi sostenitori in tutta Italia il 15-16-17 febbraio – pensa di riuscire a spenderlo tutto, gli altri difficilmente ci riusciranno.

Anche sui media il congresso dem è come scomparso

 

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Zingaretti, Martina e Giachetti, i tre candidati alle primarie del Pd

 

Infine, anche sui media del congresso del Pd si parla poco. Tranne Repubblica e qualche sito, come quello che leggete, i grandi giornali e le tv hanno ‘cancellato’ le primarie dalle loro pagine e dai loro palinsesti. Martina Giachetti spingono per organizzare quanti più confronti televisivi possibile e molti talk show si sono detti pronti a ospitarli, ma Zingaretti – la ‘lepre’ da inseguire – recalcitra, davanti ai confronti a tre e non vuole farli un po’ perché sono gli altri che devono ‘inseguirlo’ un po’ perché li teme.

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Lucia Annunziata

Finora se n’è tenuto solo uno, negli studi di In mezz’ora di Lucia Annunziata, su Rai 3, ma i candidati si sono presentati uno dopo l’altro e non tutti e tre insieme. Difficile che, da qui al 3 marzo, si riuscirà ad avere un ‘vero’ confronto tra i tre. Morale: le primarie del Pd sono finite nel dimenticatoio. Anche questo un effetto degli arresti dei genitori di Renzi.


NB: Questo articolo è stato pubblicato il 20 febbraio 2019 sul sito di notizie spraynews.it in formato più ridotto.