Il “mercoledì da leoni” che attende un governo in pre-crisi. Le mosse di Conte, Salvini , Di Maio

Il “mercoledì da leoni” che attende un governo in pre-crisi. Le mosse di Conte, Salvini , Di Maio

21 Luglio 2019 0 Di Ettore Maria Colombo

Il mercoledì da leoni al Senato: prima parla Conte, poi Salvini

Aula del Senato

Aula del Senato

Il prossimo 24 luglio sarà un mercoledì da leoni per la politica italiana: sta per materializzarsi, infatti, una scena che potrebbe avere dell’incredibile, nell’austera aula del Senato della Repubblica. Conte che parla, dai banchi del governo, poi si siede. Salvini che, subito dopo, prende la parola, ma dai banchi della Lega, che lo ha eletto senatore, parla a sua volta e poi si siede.

Conte Di Maio e Salvini

Conte Di Maio e Salvini

Il governo e la maggioranza gialloverde potrebbero finire – o riprendere a lavorare di buona lena, ‘mai dire mai’ – con una scena davvero inedita, anche se i tre leader (Conte, Di Maio e Salvini) di scene ‘inedite’ hanno, ormai, riempito le cronache, in un anno, tanto che, prima o poi, il ‘manuale del bravo politico’ andrà riscritto da capo a piedi: tutto quello che ‘valeva’ fino a ieri non vale più oggi.

Il manuale del bravo politico

Il manuale del bravo politico

Infatti, non si è mai visto, a memoria di Repubblica, un capo del governo che parla dai banchi del governo che presiede e il suo vicepremier che parla dai banchi del suo gruppo parlamentare. Quando si è assistito, a una scena tale (nella Prima Repubblica è capitato), voleva dire che quel governo era finito esattamente quel giorno. Infatti, nella prossemica, e nel linguaggio della politica, se non ti siedi nei banchi del tuo governo, ma in quelli del tuo partito, il tuo partito ha fatto cadere il non più tuo governo. Ma, appunto, con i gialloverdi – che un giorno ‘aprono’ la crisi e, il giorno dopo, la richiudono come se nulla sia stato – meglio tenersi cauti, attendere, ascoltare e solo poi capire.

Sarà il 24 luglio il giorno in cui si saprà se il nostro Paese seguiterà a essere governato, nei prossimi mesi e anni, dall’attuale governo Conte o se si aprirà una crisi di governo dagli esiti imponderabili.  

Le tre mosse di Conte che hanno fatto infuriare Salvini

Conte e Salvini

Conte e Salvini

Infatti, come se si trattasse di un gioco dei ‘quattro cantoni’ ma giocato con il bazooka, solo pochi giorni fa Conte aveva fatto sapere che, per rispetto al Parlamento (“Quando il Parlamento chiama, ci si presenta sempre, è un dovere”, aveva detto il premier), si sarebbe palesato in Aula, e “al più presto”, per riferire della ormai ‘bombastica’ questione dei (presunti, conviene sempre sottolinearlo) finanziamenti illeciti russi alla Lega. La presidente del Senato, Maria Alberti Casellati, ha acconsento alla richiesta di Conte e ha fissato le comunicazioni del premier per il 24 luglio.

La presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, esce da palazzo Madama

La presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, esce da palazzo Madama

Il guaio è che, la notizia del premier in Aula, Salvini e la Lega – i quali, ormai, detestano e diffidano di Conte ben più di quanto non detestino e diffidino di Di Maio, il che è tutto dire – l’hanno presa malissimo, e da subito. “Cosa ne sa, Conte, della questione russa?!” si sono chiesti digrignando i denti. Nulla, in effetti, a meno che Conte non abbia ricevuto, dai servizi segreti interni ed esteri (Aise e Aisi) informazioni ‘sensibili’ che, proprio quel giorno, vuol rivelare al Paese. Ma se già solo l’intervento in aula del premier su un tema che sta mettendo a dura prova la pazienza come pure il futuro politico di Matteo Salvini ha fatto infuriare la Lega, figurarsi le altre cose uscite dalla bocca del premier.

matteo_salvini_lega_governo

Il vicepremier leghista Matteo Salvini

Prima la lettera – inviata a Repubblica, cioè il giornale che dipinge Salvini come una sorta di ‘caudillo’ “fascista e golpista” – in cui Conte, in pratica, accusava la Lega di aver fatto perdere all’Italia la chanche di un commissario Ue di peso, votando contro alla nuova presidente della Commissione, la quale, peraltro, i voti dei leghisti proprio non li voleva. Poi la difesa a spada tratta di “tutti i miei ministri” proprio nel giorno in cui Salvini chiedeva, per procedere al rimpasto di governo, le ‘teste’ di due ministri pentastellati finiti, da tempo, nel mirino del Carroccio: Toninelli (Infrastrutture), di fatto già mollato pure dai 5Stelle, e la Trenta (Difesa), che invece è rocciosamente difesa da Di Maio, da Conte, ma anche dal Quirinale, tre soggetti che la vedrebbero bene, peraltro, in Europa, al posto cui doveva andare Giorgetti. Il quale fa sapere al Corsera di stare per dimettersi dal delicato incarico di sottosegretario alla presidenza del Consiglio perché “anche se Salvini vuole restare con loro, io li mollo, sono degli incompetenti, di loro non ne posso più”.

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Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti (Lega)

Infine, il ‘non’ accordo del premier e del suo governoSalvini curiosamente silente per 24 ore intere e comunque assente per “motivi familiari” (“voglio stare a Milano con i miei figli”, ha detto il vicepremier, anche se nessuno gli ha davvero creduto) – con i governatori del Nord (tutti leghisti) a dir poco furibondi e in rivolta (contro Conte e l’M5S) sul tema più caldo, al netto del Russiangate, che la maggioranza si trova ad affrontare, quello delle Autonomie

 

La contromossa di Salvini: in aula parlo anch’io…

 

E così, ieri, ecco che viene fuori la notizia che anche il vicepremier vuole parlare, in aula del Senato, dopo aver ascoltato il discorso di Conte, ma facendolo dai banchi della Lega. Un modo per sfuggire -dicono le opposizioni – dalla richiesta di presentarsi lui, in Aula (alla Camera, dove gli è stato chiesto, per primo, di presentarsi) per difendersi sul ‘caso Savoini’, ma anche il segnale di un gong sinistro. Salvini – è facile immaginare la scena – si materializzerà in Senato con il consueto codazzo di cronisti al seguito, tirerà avanti, si siederà nei banchi della Lega e deciderà il da farsi.

Sfida all'Ok Corral

Sfida all’Ok Corral

Certo è che, quando scoccheranno le 16 e 30 di mercoledì, a palazzo Madama, si consumerà una sorta di sfida all’Ok Corrall tra sceriffo buono (Conte?) e pistolero cattivo (Salvini). Di certo, Salvini ruberà la scena al premier, ma non si sa cosa dirà: se, cioè, dirà ‘stop’ al governo e aprirà la crisi o se andrà avanti come nulla fosse.

Gianluca Savoini

Gianluca Savoini

E quando, a un certo punto, Salvini si alzerà e farà la sua auto-difesa è probabile che ruoti attorno al refrain di questi giorni: “Non abbiamo mai visto né preso né chiesto soldi per il nostro partito all’estero. Leggo quasi con curiosità i giornali. Lo andrò a ripetere in Parlamento, non ho niente da temere”.

Cremlino di Mosca

Cremlino di Mosca

E del suo ex consigliere (e amico, e sodale) Gianluca Savoini, presente a tutti gli incontri svoltisi al Cremlino, dirà che lo conosce, lo stima e, soprattutto, sottolineerà che di lui si fida. Non a caso, come ha raccontato nel corso di un suo recente comizio, “in questi giorni gli ho mandato un messaggio di vicinanza”.

 

Autonomie, la rivolta dei governatori del Nord contro Conte

Il governatore del Veneto Luca Zaia e della Lombardia Attilio Fontana

Il governatore del Veneto Luca Zaia e della Lombardia Attilio Fontana

Basterà? Si vedrà. Certo è che di carne a fuoco ce n’è tanta. I governatori del Nord (tutti leghisti, peraltro) Zaia e Fontana sono fuori dalla grazia di Dio per il compromesso al ribasso escogitato dal premier, su pressione dei 5Stelle, sulla legge delega per le Autonomie.

Dopo i durissimi commenti dell’altra sera, rilasciati a caldo, a causa del no del governo all’assunzione diretta dei docenti su base regionale, i governatori padani ieri sono tornati a sparare ad alzo zero contro la bozza di accordo stilata dal governo. “Il Paese è nelle mani di cialtroni che per un pugno di voti soffocano un volano di crescita come l’autonomia e contrabbandano il tutto come una battaglia di Nord contro Sud“, spara a zero Attilio Fontana, governatore lombardo. Non è da meno il governatore del Veneto Luca Zaia: “Non è il governo che decide il testo. Conte ora ha davanti a sé a due alternative: o ci presenta il testo vero o getta la spugna, mandando all’aria tutto. Io tifo perché ci sia un testo” ma che “si tratti di autonomia vera e non di una presa in giro”.

Ora, delle due l’una: o Salvini sta mandando avanti Zaia e Fontana per preparare il terreno all’apertura della crisi oppure Zaia e Fontana stanno ‘rompendo’ la pax interna leghista e ribellarsi a Salvini, dando battaglia dentro un partito finora ‘leninista’ e contestando l’alleanza con l’M5S. In entrambi i casi, le prospettive di vita, per il governo, sono già ridotte al lumicino. Il 25 luglio si saprà.

 

Per Salvini, la “finestra elettorale è sempre aperta”

 

Salvini ripete, a chiare lettere, da giorni che “le finestre sono sempre aperte”, lasciando intendere che può far saltare il banco in ogni momento, staccando la spina a un esecutivo che non ama più, anche se una data ‘vera’, per le elezioni anticipate non c’è ancora (a settembre, tipo il 29? A ottobre, tipo il 6? A primavera del 2020? O meglio a giugno 2020?). Il pressing dei leghisti, militanti e parlamentari, però, si fa sempre più forte e per Salvini ora è difficile tenerli a freno. La sola via d’uscita, per rimettere ‘pace’, sarebbe di ottenere anche solo un ministro in più (meglio se due) e certificare la supremazia della Lega ottenuta alle elezioni.

Danilo Toninelli

Il ministro Danilo Toninelli

Poi – perché no? – avviare un Conte bis con tanto di fiducia alle Camere. Se è quella del ‘semplice’ rimpasto, la strada che Salvini vuole percorrere, la prima vittima da sacrificare è Danilo Toninelli. Sacrificabile anche per Di Maio, ma che non vuole cedere il Mit a un leghista, bensì tenerlo all’M5S. Poi ci sarebbe il posto della Trenta, sulla cui poltrona potrebbe andare l’attuale sottosegretario, e uomo di provata fiducia, per Salvini, Raffaele Volpi, ma su di lei l’M5S fa quadrato e la Trenta gode anche dello scudo del Colle.

Il sottosegretario alla Difesa on. Raffaele Volpi

Il sottosegretario alla Difesa on. Raffaele Volpi

E se provocare la fine anticipata della legislatura, e senza neppure vedere approvato il decreto Sicurezza bis, che scade ai primi di agosto, e deve ancora passare alla Camera e, poi, al Senato, è un azzardo, è anche vero che, secondo i sondaggi, la Lega ha ancora un altissimo gradimento: 36% e anche di più, senza neanche un graffio per il Russiangate. Un motivo in più, dunque, per rompere tutto e andare a votare. Il motivo ‘in meno’, invece, è dato dal decreto Sicurezza bis, oggetto ancora di discussione all’interno della Camera dei Deputati e che andrà in aula a partire da lunedì prossimo. Salvini, come si sa, ci tiene moltissimo, a vederlo approvato, ma la sua approvazione definitiva, dovendo il decreto essere poi votato, senza cambiamenti, anche dal Senato, non arriverà prima dei primi giorni di agosto. Un motivo, questo, dunque, per frenare sulla crisi, altrimenti il decreto salta. 

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Governo Conte, rimpastino o rimpastone? Il secondo porta al Conte bis

Ma per continuare ad andare avanti la Lega ha bisogno soprattutto di portare a casa le Autonomie e non con un’intesa al ribasso. Le parole del premier Conte, come si è visto, non sono piaciute né al vicepremier né ai governatori leghisti, saliti sulle barricate e che minacciano di non firmare l’intesa. Ma da via Bellerio si chiede a gran voce un’azione del Capitano anche a contrasto del ‘protagonismo’ troppo accentuato di Conte, venuto fuori, negli ultimi mesi, in Italia come in Ue.

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Salvini Di Maio, tra il pensiero delle elezioni anticipate e quello del rimpasto

Morale: se intervenire in Aula dopo Conte rappresenta una scelta strategica che avrebbe delle conseguenze forti e potrebbe rappresentare una spaccatura difficile da sanare, tutti gli occhi sono puntati sull’incontro – l’ennesimo – ‘chiarificatore’ tra i due contraenti del contratto di governo, Salvini e Di Maio. In agenda non è stata fissata alcuna data, ma fonti di maggioranza non escludono che si possa tenere già all’inizio della prossima settimana né sarà l’unico. 

 

Se sarà crisi, il Colle ne chiederà la ‘parlamentarizzazione’

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Il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, nel suo studio al Quirinale

 

Salvini potrebbe chiedere – come già è stato ventilato nei giorni scorsi – un incontro al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Cosa andrà a dire Salvini al capo dello Stato (se per aprire la crisi o per chiuderla) è da capire, ma già alcune anticipazioni gli sono state date da Giorgetti.

Mattarella non si farà tirare certo per la giacchetta e, su eventuali scenari di ipotetiche maggioranze alternative a quella attuale, non pronuncerà una sola parola. Dovranno farlo, casomai, i gruppi parlamentari, quando andranno al Colle – ‘se’ ci andranno – per le consultazioni di rito.

legge di bilancio

legge di bilancio

Del resto, ad ogni azione del capo dello Stato corrispondono, per forza di cose, dei fatti e non è arrivata, per ora, alcuna richiesta di apertura formale della crisi. Mattarella porterà la discussione sulla legge di bilancio da affrontare subito dopo la pausa estiva e la necessità che ci sia un governo in carica in grado di scriverla entro il 31 dicembre per evitare l’esercizio provvisorio e per evitare che si apra una (nuova) procedura di infrazione contro l’Italia e riparta la speculazione dei mercati.

Ma il Colle fa anche sapere, spalleggiato dal premier Conte, pur se in via informale, che se crisi dovrà essere la strada maestra è quella parlamentare, ovvero le dimissioni del premier con rinvio alle Camere per un voto di sfiducia. Insomma, chi vuole la crisi (Salvini) se ne deve assumere la responsabilità di fronte al Paese e motivarne le ragioni.

Salvini si dovrebbe assumere la responsabilità della rottura

Salvini si dovrebbe assumere la responsabilità della rottura

Il Capo dello Stato, intenzionato a seguire la Costituzione alla lettera, chiederà cioè una ‘parlamentarizzazione’ della crisi. Salvini si dovrebbe assumere la responsabilità della rottura. Infine, tra i desiderata che il Capo dello Stato ha già fatto recapitare c’è che, se non si voterà tra fine settembre e inizio ottobre, la seguente finestra elettorale si aprirebbe non prima di giugno 2020 e non certo prima, cioè nella prossima primavera sempre del 2020.

fraccaro m5s

Fraccaro e la riforma

Questo per un motivo – come sempre è nelle considerazioni del Colle – ‘costituzionale’: dato che non vi è motivo per non credere che, a settembre, con il voto finale della Camera, verrà approvata in via definitiva la riforma Fraccaro, cioè la legge sulla riduzione dei parlamentari, ci vorranno poi parecchi mesi per farla entrare in vigore (i tre mesi per chiedere eventuale referendum e altri tre mesi per adeguare il nuovo numero dei parlamentari al Rosatellum).

 

Insomma, è impossibile che la nuova legge che prevede 400 deputati e 200 senatori rispetto ai 630 e 320 attuali divenga subito operativa per poter votare in primavera del 2020. Queste le considerazioni che si fanno al Colle. La cui traduzione è, da alcuni mesi, sempre la stessa: ‘caro Salvini, se vuoi votare, ti mando a votare adesso, altrimenti resti al governo con Di Maio per un altro anno e amen’. Ora, cioè entro il 24 luglio, tocca solo a Salvini decidersi.

 


NB: Questo articolo è stato pubblicato sul sito di notizie Tiscali.it il 21 luglio 2019