Cade l’Umbria, scricchiola il governo. L’alleanza tra Pd e M5S non funziona, il centrodestra dilaga

Cade l’Umbria, scricchiola il governo. L’alleanza tra Pd e M5S non funziona, il centrodestra dilaga

28 Ottobre 2019 0 Di Ettore Maria Colombo

L’alleanza giallorossa sul piano locale non regge neppure alla prima prova e già va in pezzi.

A pezzi

Alleanza a pezzi

 

Di Maio la disconosce (“Il Pd ci fa male come la Lega”) e anche Zingaretti inizia a nutrire forti dubbi (“O si cambia o elezioni”). Ripercussioni sul governo che si producono a poche ore di distanza dal voto mettendolo, più che in fibrillazione, in stato di pre-crisi. Centrodestra che dilaga, con l’asse Lega-FdI quasi autosufficiente che sfiora il 50%. Fortino rosso espugnato.

 

Capitola l’Umbria. I dati della debacle del patto tra Pd e M5S

umbria risultati finali

Capitola l’Umbria. I dati della debacle del patto tra Pd e M5S

 

Peggio di così non poteva andare, per il governo giallorosso e per i suoi principali partner. I principali dati del voto, del resto, parlano da soli: il centrodestra vince raggiungendo il 60% dei voti e solo Lega (37%) con Fratelli d’Italia (10%) è quasi autosufficiente per vincere da solo; solo la Lega (37%) prende più di Pd e M5S sommati;  M5S polverizzato, ridotto a percentuali ben sotto il 10%; Pd che ‘tiene’ ma che paga pegno alla scissione di Renzi.  

Se poi si incrociano i dati tra partiti e coalizioni, il quadro che ne esce è ancora più impietoso. Alle Europee del 26 maggio 2019 il centrodestra, tutto insieme, era al 51%, con il centrosinistra e i Cinque Stelle che, se sommati, raggiungevano il 45%: il distacco era di sei punti percentuali e dava l’idea di una gara aperta, di un primato tra le due coalizioni contendibile, di un esito finale non scontato. Ora, alle Regionali, la forbice, è schizzata a 20 punti: un divario che, tra centrodestra e centrosinistra, per dire, non c’è mai stato. Trasportati sul piano nazionale, questi dati vorrebbero dire che la pratica ‘governo del Paese’ neppure si apre, che la partita neppure si gioca: vince il centrodestra e basta, anche se dall’altra parte sommi ‘il resto del Mondo’ (oltre a Pd e M5S, cioè LeU, Verdi, altre sigle della sinistra, liste civiche, etc., peraltro ormai ridotte tutte al lumicino).

Sempre alle europee la somma di Pd (25%) e M5s (14%) era al 39%, oggi vale circa dieci punti in meno (Pd al 21,3%, M5s al 7,6%). Insomma, i voti di Pd e M5S non si sommano, i due elettorati non si amalgamano, restano lontani e diffidenti. Il Pd più o meno tiene, considerata anche la recente scissione subita da parte di Italia Viva e il fatto che, alle Europee, comprendeva anche la lista Calenda e gli eletti di LeU.

movimento5stelle

M5S

 

Il Movimento 5 Stelle conferma un declino inesorabile, una crisi strutturale che sembra andare ben oltre la singola elezione. Alle politiche, proprio in Umbria, solo nel 2018 era al 27.5%, alle europee già aveva perso la metà dei voti (il 14%), oggi, dopo appena cinque mesi, ne perde un’altra metà (7,4%) e tracolla sotto la soglia psicologica del 10%. In un anno e mezzo (e con in mezzo il cambio di governo) l’M5S ha perso tre quarti dei propri voti. Una vera debacle.

 

Di Maio archivia l’alleanza col Pd, ma finisce sotto processo 

Di Maio archivia l'alleanza col Pd, ma finisce sotto processo 

Di Maio archivia l’alleanza col Pd, ma finisce sotto processo

 

Al terremoto elettorale (la sconfitta di un candidato civico scelto e imposto da Di Maio e la sconfitta disastrosa della lista) segue un terremoto politico che rischia di portarsi con sé anche il governo. Infatti, Di Maio vuole scrollarsi di dosso l’alleanza con il Pd, almeno a livello locale e anche se rassicura (“l’alleanza di governo va avanti”) c’è chi dice sogni, addirittura, un ‘riavvicinamento’ con Salvini. Obiettivo comune: scalzare Conte da palazzo Chigi.

umbria elezioni conte di maio zingaretti speranza

(S-D) Il ministro della salute Roberto Speranza, il segretario del Pd Nicola Zingaretti, il candidato civico alle elezioni regionali Vincenzo Bianconi, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio e il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, all’Auditorium San Domenico, Narni, 25 ottobre 2019.
ANSA/FEDERICA LIBEROTTI

 

Il primo commento era già arrivato nella notte, con un post sul Blog delle Stelle, dichiaratamente ispirato da Di Maio. Il tono era apodittico, liquidatorio: “Il patto civico per l’Umbria lo abbiamo sempre considerato un laboratorio, ma l’esperimento non ha funzionato. Il Movimento nella sua storia non aveva mai provato una strada simile. E questa esperienza testimonia che potremo davvero rappresentare la terza via solo guardando oltre i due poli contrapposti”. E così quella ‘terza via’ che, solo giovedì scorso, il giorno della ‘foto di Narni’, indicava l’alleanza con il Pd (dopo la scelta delle origini, quella di andare da soli contro tutte le alleanze e poi l’alleanza con la Lega) ora si risolve nel suo contrario, nella corsa solitaria. A ora di pranzo Di Maio, in un’intervista a Sky tg 24, è ancora più esplicito: “Per la prima volta nella storia abbiamo deciso di fare un’alleanza, un patto civico, col Pd. Non ha funzionato, in Umbria siamo a uno dei risultati più bassi, questo esperimento non è più praticabile. Il M5s va meglio quando corre da solo”. Sul piano nazionale, invece, “il governo va migliorato e innovato per durare altri tre anni”, ribadisce Di Maio, ma ci crede assai poco.

Matteo Salvini

Matteo Salvini

Del resto, persino Di Maio, da sempre refrattario a un alleanza con il Pd, sia nazionale che locale, sa che, senza un’alleanza organica e stabile con il Pd, il centrodestra guidato da Salvini, a gennaio 2020, vincerà sicuramente le elezioni regionali in Calabria e potrebbe riuscire nel colpaccio di strappare al Pd l’Emilia-Romagna. L’M5S, dichiarando sostanziale bancarotta politica, potrebbe persino decidere di non presentarsi per togliersi dall’impaccio e dall’imbarazzo di non poter sostenere il ‘rosso’ Bonaccini. A quel punto, Salvini reclamerebbe le elezioni anticipate per giugno, in abbinata con un’altra tornata di elezioni regionali (si vota in 7 importanti regioni). Per l’M5S, che tornerebbe nel suo ‘splendido isolamento’, sarebbe la disfatta finale.

Di MAio

Di Maio

Il Movimento è una pentola in ebollizione. I malumori contro Di Maio sono sempre maggiori, alla Camera non si riesce ad eleggere un nuovo capogruppo da un mese, decine di parlamentari firmano documenti contro lo ‘strapotere’ di ‘Luigino’, chiedono più democrazia interna e raccolgono firme su proposte di legge non concordate come quella di far pagare l’Imu alla Chiesa. L’ex ministro Barbara Lezzi attacca a testa bassa e promuove la convocazione di un’assemblea dell’M5S, ma “di tutto il Movimento, non solo degli eletti”, come pure fa il consigliere regionale Davide Barillari. Ignazio Corrao invoca il ritorno di Di Battista e Michele Giarrusso ci va giù pesantissimo contro tutta la delegazione ministeriale: “Ogni volta che un attivista vede uno Spadafora, un Buffagni o una Castelli, viene colto da conati di vomito e fugge via disgustato. Dobbiamo dire basta a questi frutti avvelenati ed a chi li ha coltivati, sostenuti e difesi”. Pochi a difesa di Di Maio, tra cui il viceministro Cancelleri.

 

Conte chiede altro tempo, Renzi spara ad alzo zero

tensioni conte renzi

Tensione Conte Renzi

 

Il premier, ovviamente, prova a ridimensionare la sconfitta perché sente forti gli scricchiolii nella maggioranza di governo: invita l’esecutivo a “proseguire con coraggio, determinazione e visione strategica, senza fermarsi a valutare il punto ma la linea”. Si dice non pentito della gita a Narni a pochi giorni dal voto (“C’era da dare una mano: ritornando indietro non lo rifarei una volta, ma mille volte”), riconosce che il voto in Umbria “è un test da non trascurare affatto” e che “l’esperimento non è andato bene, ma si può migliorare”, ma anche che “noi siamo qui a governare con coraggio e determinazione, il nostro è un progetto riformatore per il Paese. Un test regionale non può incidere così tanto”. Naturalmente, “serve più spirito di squadra”. Quello che, a occhio, verso i suoi partner di governo, manca a Matteo Renzi.

Renzi da Bruno Vespa

Matteo Renzi da Vespa

Il senatore toscano, premesso che trova “inspiegabile l’odio nei miei confronti” e che “dire sempre che è colpa mia non è un’idea geniale”, non rinuncia a spargere il sale su ferite ancora sanguinanti. “La sconfitta umbra – racconta a Bruno Vespa nel suo ultimo libro – era scritta ed è figlia di un accordo sbagliato nei tempi e nei modi. Non a caso, Italia Viva è stata fuori dalla partita. In Umbria è stato un errore allearsi in fretta e furia, senza un’idea condivisa, tra Cinque Stelle e Pd. E non ho capito la ‘genialata’ di fare una foto di gruppo all’ultimo minuto portando il premier in campagna elettorale”. Infine, il vaticinio di guerra: “Fare uno scontro tra l’alleanza organica Pd-5 Stelle e l’alleanza sovranista è stato un errore in Umbria e se replicato ovunque in futuro apre a Italia viva un’autentica prateria”. Insomma, prosegue la politica renziana del cannoneggiamento della coalizione da dentro, gioco che ha stancato sia Conte che l’M5S che il Pd. 

 

Zingaretti e Bettini se la prendono con gli attacchi di Renzi: “o si cambia registro o meglio le elezioni”

zingaretti bettini

Zingaretti e Bettini

 

Nel Pd le cose vanno un pochino meglio, ma non di molto. La fuoriuscita degli ‘italovivi’ ha acceso la conflittualità esterna con battibecchi continui e ossessivi tra Pd e Iv, ma ha spento la conflittualità interna: non vi sono più grossi distinguo rispetto alla linea del leader, anche se i mugugni crescono sotterranei. Zingaretti riconsidera la sua strategia. Il bicchiere mezzo pieno è il 22,3% ottenuto dalla lista dem contro il 25% delle Europee (flessione, dunque, contenuta) e anche i voti assoluti arrisi a Bianconi (166.179) che perde ma con 9 mila voti in più della Marini che però aveva vinto. Per il segretario il Pd resta “l’unico credibile pilastro per un’alternativa alle destre”, ma poi inizia la frenata: l’alleanza sui territori con i 5Stelle va valutata “caso per caso” mentre, solo cinque giorni fa, era considerata “strutturale”: l’esperimento umbro era già l’incubatore di un “nuovo centrosinistra”.

Italia viva

Italia Viva

Ovvio l’appello all’unità nella coalizione di governo (“Non si può lavorare per la distruzione dell’altro” e qui ce l’ha con il partito di Renzi), ma poi arriva l’avvertimento: “L’alleanza ha senso – scandisce le parole Zingaretti – solo se rilancia in fretta una visione del futuro e un profilo riformista e di  nze”. Traduzione, meglio andare al voto anticipato. E, non a caso, il mentore di Zingaretti, l’ex senatore Goffredo Bettini, lancia identico warning agli alleati, dall’M5S a Italia Viva: “O si cambia registro o saranno inevitabili le elezioni”. La motivazione e l’accusa è contro le continue lite al governo: “Lo spettacolo di questi mesi ha confermato che gli egoismi di partito prevalgono sempre sugli interessi generali. Ed è ben triste – sottolinea amaro e sconfortato Bettini – che il primo commento di Renzi alla sconfitta in Umbria sia stato che esso spiana una autostrada a Italia Viva. Riflettiamo bene, perché le condizioni per correggere ci sono, ma la pazienza del più grande partito della sinistra non è infinita”. Il messaggio recapitato a Renzi (ma anche ai 5Stelle) è chiaro: se tirate troppo la corda si spezza e, davanti agli elettori, la responsabilità sarà vostra, noi la parte di chi canta la messa e porta la croce ci siamo stancati di farla.

Maurizio Martina

Maurizio Martina

Ma anche nel Pd cova la polemica interna. Per Maurizio Martina la “logica anti-Salvini” non basta, occorre un “salto di qualità” mentre per il viceministro all’Istruzione Anna Ascani “è il caso di mettere da parte l’idea dell’alleanza strutturale nelle regioni coi 5Stelle. Ci fa solo perdere voti”.

Il centrodestra esulta: “Il Paese reale è con noi, siete abusivi”

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Salvini esulta con la Tesei

Infine, dei vincitori, del centrodestra, c’è da dire poco perché giocava e gioca a carte scoperte. La Tesei era una candidata ‘debole’ ed è stata oscurata da Salvini, che in Umbria ha piazzato le tende per mesi, ma che ‘politicizzando’ il voto ha fatto vincere lui, la Lega, la sua coalizione e anche la Tesei. I tre leader del centrodestra, ovviamente, esultano. Salvini parla di “impresa storica” e di “governo abusivo”, la Meloni esulta (“Espugnata la roccaforte della sinistra, ora liberiamo l’Italia!”), Berlusconi è soddisfatto (“La nostra alleanza è il futuro del Paese”).

salvini berlusconi meloni

Impresa storica

Ma FI ha ben poco da gioire: ha preso il 5% contro il 10% della Meloni, che è diventata la vera seconda gamba del centrodestra e la vera contraltare di Salvini in un continuo gioco al dispetto e al farsi vedere sui media e sui social tra i due che alimentano una continua rivalità interna indice, però, della buona salute di un partito, FdI, che ha voti e classe dirigente, come li aveva e non li ha più FI. Salvini, degli azzurri, volendo potrebbe anche fare a meno, alle prossime elezioni, questo è il punto.

 

Voto politico e locale insieme. Regionali specchio del Paese

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La Marini e la Sanitopoli Umbra

Un voto politico, dunque, quello umbro, ma anche un voto locale. L’Umbria, va detto, ormai da anni non è più una regione rossa. Dopo una vittoria alle regioni di misura nel 2014 con quella Marini che quest’anno è caduta e si è fatta travolgere per colpa dello scoppio di Sanitopoli (e per colpe sue), il centrosinistra in questi anni ha perso tutte le principali città, da Perugia a Terni, da Orvieto a Foligno, ed è all’opposizione nel 65% dei comuni. Lo scandalo sulla sanità, peraltro denunciato proprio dai Cinque stelle, è stato il colpo di grazia. Ma a volte le nuove linee di tendenza politica “nazionale” sono in grado di invertire quelle “locali”, se sono convincenti.

contendenti umbria

Le due fazioni contendenti umbri

Il problema è che sessanta giorni di governo vissuti senza passione né identità, l’improvvisata e goffa ‘foto di Narni’ di Conte con Speranza, Zingaretti e Di Maio dopo settimane di battibecchi, polemiche e minacce sulla manovra economica, hanno sepolto anche il tentativo di rilanciare un “modello umbro”, quello civico dopo quello rosso, ormai logoro. La coalizione di centrodestra – vissuta nei Palazzi come un collante al punto da opporgli una coalizione e un governo – è vissuta come una possibilità di cambiamento nel Paese ‘reale’. E’ il famoso “proviamo anche questi”, dopo 50 anni di governo locale ‘rosso’, più che surf dell’onda sovranista, ma certo è che ha ragione Salvini: nel Paese è il governo che è ‘opposizione’, privo di qualsiasi maggioranza di voti. Il tirare a campare ‘sennò arriva Salvini’ non può funzionare. Il Conte II va avanti, ma il suo orizzonte è sempre più limitato, asfittico, angusto.

CONTE BIS 1 1

Governo conte bis

Molti osservatori – ma anche alcuni big dei due partiti – dubitano che scavalli il 2020, anche se ufficialmente i suoi protagonisti, da Conte a Renzi, garantiscono che l’orizzonte del governo è il 2023. A fine gennaio 2020 si vota in Calabria e in Emilia-Romagna. E se per l’M5S l’Umbria è stato un bagno di sangue forse definitivo e da cui non ci si rialza, perdere la ‘regione rossa’ per eccellenza lo sarebbe di certo per il Pd. A quel punto, il governo salterebbe e le elezioni anticipate arriverebbero. Mai un governo nazionale è stato così succube di elezioni regionali.

 


 

NB: Questo articolo è stato pubblicato sul sito di Tiscali notizie il 28 ottobre 2019