“A maggio vedremo!” Una nuova tornata di elezioni regionali ‘decisive’, schieramenti e candidati in campo

“A maggio vedremo!” Una nuova tornata di elezioni regionali ‘decisive’, schieramenti e candidati in campo

4 Febbraio 2020 0 Di Ettore Maria Colombo

Le regionali di maggio sono la nuova tornata elettorale clou. Pd e M5S alla ricerca dell’intesa, centrodestra ai ferri corti 

 

governo conte completo

Il Governo Conte Bis al completo

 

Le elezioni regionali sono diventate talmente importanti, (ma, lo sono sempre state), che nella tornata del 26 gennaio, quando si è votato in Emilia-Romagna e Calabria, sembrava che emiliani e calabri votassero non solo per il governo delle loro regioni, ma per mantenere o meno il governo Conte in carica e la legislatura in sella. Ora si attende una nuova tornata di elezioni regionali, quella di metà maggio (la data che circola con più insistenza, ma che non trova, per ora, conferma, è quella del 24 maggio, in abbinamento con il primo turno delle amministrative), che potrebbe, in modo speculare e similare, ‘mettere a rischio’ la tenuta di maggioranza e governo, oltre che la legislatura. Per una volta, però, concentriamoci sul dato elettorale (le prossime regionali) e sulle sfide in campo nelle sei regioni (su otto: Emilia e Calabria hanno già votato) in cui si vota, anche perché conseguenze politiche immediate potrebbero arrivare, con il voto alle Regionali, sullo stato di salute dei principali partiti e sugli schieramenti politici attuali e futuri.

 

Si vota il 24 maggio. Arriva un altro test dal valore ‘nazionale’

elezioni scheda

Scheda elettorale

 

Innanzitutto, va detto che, appunto, su otto regioni chiamate alle urne nel 2020, in due si è già votato: l’Emilia-Romagna (dove Bonaccini, governatore uscente, è stato riconfermato) è rimasta, saldamente, nelle mani del centrosinistra mentre la Calabria è passata dal centrosinistra (giunta Oliviero) al centrodestra (neo-governatore Jole Santelli). Invece, in Veneto, Liguria, Marche, Toscana, Campania, Puglia, si deve ancora votare e, molto probabilmente, si voterà anche in Valle d’Aosta, dove la giunta è caduta da poco a causa di uno scandalo che ha coinvolto il governatore uscente.

Fino al 31 dicembre 2019, il rapporto tra i poli era di 11 regioni governate dal centrodestra (Piemonte, Lombardia, Veneto, Provincia Autonoma di Trento, Friuli Venezia-Giulia, Umbria, Abruzzo, Basilicata, Molise, Sardegna, Sicilia) e sette in mano al centrosinistra (Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Campania, Lazio, Puglia, Calabria) mentre Valle d’Aosta (UV) e Provincia Autonoma di Bolzano (SVP) vedono giunte espressione di minoranze linguistiche autonome, anche se la provincia di Bolzano vede un accordo politico tra Svp e Lega e in Val d’Aosta il presidente governava con l’appoggio del centrosinistra. Infine, come si sa, il M5S non ha mai governato nessuna regione e, finora, ha sempre presentato candidati autonomi, tranne in Umbria dove era in alleanza col Pd.

Dal 26 gennaio 2020 in poi, il rapporto tra centrodestra e centrosinistra è rimasto pressoché identico se non per la Calabria, che è passata di colore, dal centrosinistra al centrodestra, quindi è diventato di 12 a 6 per il centrodestra contro il centrosinistra.

 

Centrodestra versus centrosinistra: il saldo ora è 12 contro 6

 

Ma delle otto regioni (nove se, come probabile, voterà anche la Valle d’Aosta) che andranno al voto a maggio, ben quattro sono governate dal centrosinistra (Marche, Toscana, Campania, Puglia) contro le due del centrodestra (Liguria e Veneto). Insomma, il centrosinistra ‘si gioca’ molto di più, dato che si tratta di regioni ‘cuore’ del potere post Pci-Pds-Ds-Pd (Toscana e Marche), come lo erano Emilia e Umbria, o delle ultime due regioni del Sud in mano al centrosinistra (Campania e Puglia) mentre il centrodestra si gioca di meno perché la riconferma in Liguria e Veneto è data per scontata e ogni regione in più che strappa sarà ritenuta un successo. 

 

italia regioni

Le regioni italiane

 

Inoltre, le regioni in mano al centrodestra sono salite, nel corso del 2019, in modo vertiginoso. Con l’Umbria (vincente Donatella Tesei, Lega) sono diventate 12, ma avevano già fatto registrare il sorpasso sul centrosinistra con la vittoria di Vito Bardi (FI) in Basilicata a marzo 2019. E così il centrodestra governa oggi in 12 regioni: la Lombardia, con Attilio Fontana (Lega); il Friuli Venezia Giulia, in mano a Massimiliano Fedriga (Lega); il Piemonte che ha visto Alberto Cirio (FI) sconfiggere Sergio Chiamparino; la Liguria in mano a Giovanni Toti (ex FI, ora ‘Cambiamo’); il Veneto tenuto saldamente da Luca Zaia (Lega); la Basilicata, andata appunto a Vito Bardi (FI); la Sicilia, dove governa Nello Musumeci (Sicilia bellissima, lista autonoma); la Sardegna, conquistata da Cristian Solinas (Psd’Az, partito regionale); l’Abruzzo guidato da Marco Marsilio (Fd’I); il Molise guidato da Donato Toma (FI) e appunto, l’Umbria dove governa Donatella Tesei (Lega); la Calabria da poco guidata da Jole Santelli (FI). A queste va sommata la Provincia di Trento guidata da Maurizio Fugatti (Lega) mentre la Provincia di Bolzano di Arno Kompatscher (Svp) è governata da un partito autonomista ma sostenuto dall’attuale centrodestra. Al centrosinistra ne restano sei: la Toscana, governata da Enrico Rossi (Mdp), le Marche con Luca Ceriscioli (Pd), la Puglia, guidata da Michele Emiliano (Pd), il Lazio, dove è governatore è il segretario del Pd, Nicola Zingaretti (unica regione ad aver votato il giorno delle Politiche del 2018), la Campania, dove il governatore è Vincenzo De Luca (Pd), l’Emilia-Romagna con Stefano Bonaccini (Pd). In più, andava considerata di centrosinistra, ma ancora per poco, la Valle d’Aosta con il presidente Renzo Testolin (Uv).

 

Molto probabilmente si voterà anche in Valle d’Aosta

 

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Si voterà anche in Valle d’Aosta

 

Anche la Valle D’Aosta sarà molto probabilmente chiamata al voto nel 2020 e, ove lo fosse, l’elezione si terrà in abbinata con le altre sei elezioni regionali. Da notare che lo statuto speciale valdostano prevede che il Presidente della Regione sia eletto dal Consiglio regionale e non direttamente dai cittadini, per cui in ogni legislatura si possono succedere più Presidenti. Le ultime elezioni che hanno interessato la Regione si sono tenute il 20 maggio 2018 e hanno visto trionfare l’Union Valdôtaine come primo partito, ma in meno di due anni la Valle d’Aosta ha visto diversi ribaltoni interni, con cambi alla Presidenza della Regione: prima la leghista Nicoletta Spelgatti, poi l’autonomista Antonio Fosson (Uv), dimessosi in seguito all’inchiesta “Egomnia” sulle infiltrazioni mafiose nella politica locale, cui è subentrato Renzo Testolin (Uv), appoggiato dal centrosinistra. Questi ultimi fatti potrebbero portare i valdostani a elezioni anticipate, reclamate da alcuni partiti quali la Lega, il Mouv’ e l’Union Valdôtaine.

 

Non si vota solo per le regionali: comunali e referendum

referendum

Referendum

 

Ma il 2020 sarà un anno elettoralmente intenso anche per molte città italiane: nel 2020 (primo turno, molto probabilmente il 24 maggio, secondo turno il 7 giugno) si terranno infatti le elezioni amministrative in 1.082 comuni, di cui 102 sopra i 15 mila abitanti. In particolare, saranno da tenere d’occhio tre capoluoghi di regione (Aosta, Trento e Venezia) e 14 capoluoghi di provincia (Chieti, MateraCrotone, Reggio Calabria, Lecco, Mantova, Fermo, Macerata, Andria, Trani, NuoroEnna, Agrigento e Arezzo. Nello specifico, il centrodestra governa ad Andria, Arezzo, Chieti, Matera e Venezia, mentre sindaci di centrosinistra sono in carica ad Agrigento, Aosta, Lecco, Macerata,Mantova, Reggio Calabria, Trani e Trento. I primi cittadini di CrotoneEnna, Fermo e Nuoro sono invece espressione di liste civiche.

Ma non finisce qui: si terrà, il 29 marzo, il referendum confermativo sulla riforma che riduce il numero dei parlamentari, dal momento che al Senato sono state raccolte le 64 firme (arrivate, in realtà, a 71) necessarie per richiederne l’indizione.

rosatellum

Il Rosatellum

Tra febbraio e marzo, infine, andranno al voto due collegi uninominali del Senato e uno della Camera, per le elezioni suppletive che sono previste dall’attuale legge elettorale, il Rosatellum, quando un eletto in un collegio uninominale muore o decade: il 23 febbraio si voterà per sostituire un deputato pentastellato, Franco Ortolano, deceduto in un collegio uninominale di Napoli (Campania 7), con il centrosinistra che schiera il giornalista Sandro Ruotolo, il centrodestra Salvatore Guangi e l’M5S Luigi Napolitano, ex compagno di scuola di Di Maio; il I marzo per sostituire Paolo Gentiloni, diventato commissario Ue, nel collegio uninominale di Roma 1 (il centrosinistra ha candidato il ministro Roberto Gualtieri, il centrodestra gli oppone l’esponente di FdI Maurizio Leo, l’M5S l’attivista Rossella Rendina); il 7 marzo per sostituire la ex senatrice Donatella Tesei, diventata governatrice dell’Umbria, nel collegio uninominale Umbria 2 (Terni), dove ancora non sono noti i candidati tranne quello M5S, Roberto Alcidi.

 

Regionali, per l’M5S si tratta di una lotta per la sopravvivenza

 

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M5S

 

Va detto subito che le attese e le ambizioni dei diversi partiti e schieramenti sono ben diversi tra di loro. Naturalmente, per l’M5S – che, formalmente, ha già scelto i suoi candidati governatori in solitario già in tre regioni su sei al voto (mancano i candidati governatori di Marche, Veneto e Campania) – si tratta di una pura lotta per la sopravvivenza. La decisione di correre da soli, come già avvenuto in Emilia e in Calabria, almeno in teoria, è stata presa a tal punto che, contestualmente, sulla piattaforma Rousseau si sta votando per scegliere anche i candidati ai diversi consigli regionali. I tre candidati – considerati peraltro tutti e tre dei ‘dimaiani’ di ferro – che hanno già gareggiato nelle ‘Regionarie’ sono Alice Salvatori (Liguria), Irene Galletti (Toscana), Antonella Laricchia (Puglia). Invece, per ora, non si è votato, su Rousseau, in Marche, Veneto, Campania.

Ma proprio in quest’ultima regione si è tenuta, domenica scorsa, a Napoli, un’assemblea degli eletti e degli attivisti del Movimento che ha deciso, con uno schiacciante 90% di una platea composta da attivisti, portavoce dei Meetup locali ed eletti del Movimento, la corsa in solitaria contro il centrodestra e contro il centrosinistra che, in Campania, ha il volto del governatore De Luca, bestia nera dei grillini locali.

 

Anche in Campania passa la scelta della corsa solitaria M5S

 

campania

Regione Campania

 

Probabilmente, la candidata governatore sarà la capogruppo in consiglio regionale Valeria Ciarambino, che già corse in solitaria cinque anni fa, e che è su posizioni dimaiane. Una decisione presa nonostante molti degli eletti campani in Parlamento fossero per cercare il dialogo con il Pd (sempre che venisse tolta di mezzo l’idea di ricandidare De Luca), nella speranza di convergere sul nome del ministro Costa, espresso come ‘indipendente’ dall’M5S e ben visto dal Pd. Ma neppure il presidente della Camera, Roberto Fico, intervenuto in assemblea per sostenere la causa dell’intesa con il Pd (“Dopo 5 anni devi capire che o fai opposizione a vita o ti devi alleare. Ormai siamo nelle istituzioni”) e, a furor di popolo, è passata la linea isolazionista con la Ciarambino che avverte: “Il voto sulla piattaforma Rousseau per la Campania deve riguardare solo i campani” (in Umbria, per decidere l’alleanza con il centrosinistra, votarono gli attivisti in tutt’Italia e non solo gli umbri).

Come si sa, il Movimento è spaccato tra l’ala ‘governista’ e ‘progressista’ che vuole stabilire un’alleanza con il Pd (Fico, Taverna, Lombardi, Patuanelli, D’Inca, Spadafora i principali rappresentanti) e un’ala, quella legata a Di Maio, che vuole invece continuare con la scelta ‘isolazionista’: nessuna alleanza con il Pd, candidati autonomi o, al massimo, nessun candidato se non si è abbastanza forti.

 

Trattative avanzate con il Pd in Veneto, Liguria, Marche

 

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Trattative avanzate con il Pd in Veneto, Liguria, Marche

 

Non è dato sapere, ad oggi, quale delle due ali vincerà, dentro il Movimento (gli Stati generali sono stati rinviati a dopo il referendum costituzionale del 29 marzo e solo dopo si terrà la votazione su Rousseau per il nuovo capo politico) ma abboccamenti e trattative con il Pd e il centrosinistra sono in stato ‘avanzato’ in Veneto (per mano del ministro D’Incà), ma anche in Marche e Liguria mentre in Campania, come abbiamo visto, è ormai passata la linea ‘isolazionista’.

E se in Veneto l’alleanza sarebbe a ‘costo zero’ perché la sconfitta del centrosinistra è sicura, in Liguria e nelle Marche la scelta del M5S a favore del Pd o su un candidato comune potrebbe fare la differenza. In Puglia il governatore uscente del Pd fa la corte ai grillini, anche perché Renzi e Calenda gli piazzeranno un nome contro e, con un centrodestra forte di suo, rischia di perdere, ma per ora le trattative sono ferme.

In Liguria, l’M5S potrebbe rinunciare alla candidata già ufficializzata (che, però, fa già sapere che non ci sta a fare un passo indietro), la Salvatori, se il Pd dovesse convergere sul nome che gira da giorni, quello del giornalista Ferruccio Sansa, figlio dell’ex magistrato ligure Adriano Sansa, giornalista del Fatto di Marco Travaglio e buon amico di Beppe Grillo, ma qui è il Pd che deve decidere se rinunciare a dar le carte.

Infine, nelle Marche, come scendono le quotazioni del governatore dem uscente, Luca Ceriscioli (Pd) così salgono quelle dell’ex Rettore dell’Università politecnica delle Marche, Sauro Longhi, tipico esponente civico, che piace molto ai 5 Stelle, ma anche a diversi esponenti Dem, ed è caldeggiato pure da pezzi di centrosinistra come Articolo 1. Nessuna, o scarsissime, possibilità, invece, che l’M5S rinunci alla corsa solitaria in Toscana con la Galletti. Insomma, l’M5S potrebbe, all’improvviso, ritrovarsi con un candidato ‘suo’ o di area (Sansa in Liguria) e ottenere un candidato civico in comproprietà con il Pd nelle Marche (Longhi), ma anche con buone promesse di assessorati chiave in Puglia, dove Emiliano più volte, nel suo mandato, aveva aperto a consiglieri regionali pentastellati (ottenendo solo rifiuti), oltre che un’alleanza ‘di bandiera’ in Veneto. Per un Movimento che, oggi, è quotato tra l’8% e il 15%, sarebbe, sostanzialmente, un risultato e un bottino notevole.

 

Il Pd prova a resistere in una regione del Sud (Campania o Puglia) e vuole mantenere a sé Toscana e Marche

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La bandiera del Pd

 

Naturalmente, a pagare le spese, in un bilancio di candidature in comproprietà sarebbe, però, il Pd. In Veneto, dove pure la sconfitta, contro Luca Zaia, governatore uscente della Lega e ‘doge’ della sua regione, è sicura, si parla del vicesindaco di Padova, Arturo Lorenzoni, che potrebbe stringere alleanze con l’M5S, ma è una regione già persa in partenza.

In Puglia, la riconferma di Emiliano – che ha vinto primarie dove correva, in pratica, solo lui – è a rischio. Renzi, Calenda e la Bonino gli schiereranno un candidato di disturbo (si parla dell’attuale senatore pugliese, e tarantino, Dario Stefano, renziano doc) o, addirittura, una candidata molto forte, l’attuale ministra Teresa Bellanova. Qui il centrodestra – che si presenti con il volto moderato dell’ex governatore Raffaele Fitto o con un altro nome proveniente dalla società civile (Salvini sta pensando a Toti di Mattina, imprenditore salentino pur di strappare la Puglia anche a Fratelli d’Italia e per riuscire a governare una regione del Sud che ancora oggi gli manca) – è storicamente competitivo, in terra pugliese, anche se il crollo del voto moderato di Forza Italia non fa ben sperare.

Anche in Campania il Pd ha molto da perdere. Se rinuncia a De Luca, l’attuale governatore – fumantino com’è – rischia di candidarsi da solo con una lista personale e far perdere la regione al centrosinistra. Se il Pd resta fermo su De Luca, salta ogni possibilità di accordo con i 5Stelle, come sembra. Sempre che il centrosinistra vinca, però, il che non è detto. Infatti, sia che il centrodestra candidi l’ex governatore Stefano Caldoro (nome imposto da Berlusconi) sia che si apra la strada a un candidato di FdI come Edmondo Cirielli (in base al compromesso che vede la Meloni dover accettare la Campania come ‘compensazione’ per aver dovuto cedere la Puglia, ma sembra che molto difficilmente lei sia intenzionata a farlo), sia che si punti su un candidato gradito a Mara Carfagna, cui Salvini è tornato a guardare non più con sospetto ma come sponda per parlare ai moderati, il centrodestra ha ancora buone carte da giocare.

In Liguria, dove oggettivamente il Pd non ha candidati forti (si è parlato della ministra uscente, Roberta Pinotti, del vice-segretario, Andrea Orlando, e della segretaria della Cisl, Annamaria Furlan, ma le candidature già tutte tramontate), convergere sul giornalista Sansa, legato a doppio filo con Grillo, potrebbe invece non essere più di tanto un dramma, dato che nel Pd ligure si pensa che il governatore uscente, Toti, e il centrodestra, rivincerà senza patemi la corsa.

 

In Toscana intanto è già partita la guerra tra Pd e Italia Viva

ITALIA VIVA

Il simbolo di Italia Viva

 

Invece, per il Pd, tenere la Toscana e le Marche è cruciale. In Toscana, dove pare che la candidata del centrodestra non sarà più la sindaca di Cecina, la leghista Ceccardi, ritenuta una fotocopia sbiadita della Borgonzoni (e della Tesei), ma l’attuale sindaco di Grosseto, Antonio Vivarelli Colonna (in ogni caso un nome espresso dalla Lega e gradito a Salvini), la candidatura del presidente del Consiglio regionale uscente, Eugenio Giani, detto anche ‘mister preferenze’ (conosce tutti i comuni e quasi tutte le famiglie toscane), è ritenuta forte e credibile, che i 5Stelle convergano o meno, anche perché l’intera sinistra a sinistra del Pd lo appoggerà. Un voto, peraltro, assai particolare, quello toscano, sia perché è l’unica regione a prevedere il ballottaggio nel caso nessuno dei due primi candidati raggiunga il 40% dei voti, sia perché sarà la regione in cui Italia Viva, il partito di Renzi, deve superare con successo la prova elettorale. Renzi punta a incassare almeno il 10% dei voti, in regione, cioè a stare sulla doppia cifra (e mira allo stesso obiettivo con la scelta di un candidato autonomo dai poli in Puglia), ma gli ex renziani rimasti nel Pd (l’area di Base riformista) gli stanno facendo terra bruciata intorno, pronti a infarcire la lista del Pd di loro uomini per dimostrare che ancora contano, nel partito, e che la scissione di Renzi è stata minima, sui territori. Inoltre, gli ex renziani come pure Zingaretti vogliono che il candidato governatore, Giani, presenti una sua lista autonoma, sulla scorta di quanto ha fatto Bonaccini in Emilia, sempre per togliere voti a Iv. Renzi, che invece non vuole una lista autonoma di Giani, e che pensa di poterlo convincere, visto che era un suo uomo, sa di giocarsi molto in Toscana, al punto che fa ventilare l’ipotesi di presentarsi anche lui nella lista regionale di Iv.

 

Le Marche e il ‘laboratorio’ Pesaro. Il sindaco Ricci apre la strada all’intesa tra Pd e M5S mettendo in giunta una grillina

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Alleanze locali future tra Pd e M5S

 

Ma anche le Marche sono ritenute, dopo la sconfitta umbra, una regione ‘strategica’ per il Pd e, non a caso, le incertezze e i dubbi nella scelta tra il governatore uscente, Ceriscioli, la sindaca di Ancona, Valeria Mancinelli, sempre del Pd, e il nome della società civile da poco messo in circolazione, il rettore Longhi, stanno mettendo a dura prova la coalizione e i nervi dei dem locali. Ma l’accordo con i 5Stelle è vicino. Il sindaco di Pesaro, Matteo Ricci, ha dato una delega di governo, anche importante, per la sua amministrazione, alla grillina Francesca Frenquellucci, che gli si oppose, inutilmente, quando fu riconfermato sindaco, nel 2019. La Frenquellucci è stata ‘deferita’ ai probiviri da Crimi, in quanto la sua partecipazione alla giunta Ricci viola lo statuto dell’M5S che non prevede presenze in giunte altrui, ma lei non demorde e ricorda che “a Roma Pd e M5S governano insieme, nessuno si scandalizza o fa espulsioni”.

 

Ma anche il centrodestra litiga sui candidati alle Regionali

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Ma anche il centrodestra litiga sui candidati alle Regionali

 

L’accordo Pd-M5S, nelle Marche è, in ogni caso, assai vicino e forse beneficerà delle altrettante incertezze e dubbi di un centrodestra spaccato e ondivago come non mai davanti alle Regionali.

La candidatura dell’esponente di Fratelli d’Italia, Francesco Acquaroli, nelle Marche, che sembrava già decisa nella ripartizione interna agli alleati (Marche e Puglia a FdI, Campania a FI, Toscana e Veneto alla Lega) è tornata in alto mare proprio perché Salvini ‘vuole’ una regione del Sud in cui correre e sta mettendo tutti gli equilibri pregressi in discussione. Solo un vertice dei tre leader del centrodestra definirà, a giorni, il quadro, ma la Meloni già minaccia (“pacta sunt servanda”…).

L’accordo iniziale, siglato dai tre leader del centrodestra Salvini, Meloni e Berlusconi prevedeva tale ripartizione: Puglia e Marche a candidati di Fratelli d’Italia, Campania a Fi, Veneto e Toscana alla Lega più la riconferma di Toti, ormai uscito da FI. Ma dopo la sconfitta in Emilia, Salvini ha deciso di rimettere in discussione tutto: “in Veneto non c’è partita, vinciamo anche da soli, e prendere la Toscana – spiega un colonnello leghista – è diventata un’impresa impossibile. A noi, così, in pratica non viene dato nulla”.

cartina puglia

Regione Puglia

 

Nel mirino di Salvini c’è, appunto, la Puglia, dove la Meloni ha già annunciato la candidatura di Raffaele Fitto, che fa storcere il naso ai leghisti locali e pure agli azzurri, anche perché non vuole lasciare l’intero Sud agli alleati. La proposta di Salvini sta in uno ‘scambio’: la candidatura di un leghista, o di un civico vicino alla Lega, in Puglia in cambio di un esponente di FdI in Campania, che sarebbe Edmondo Cirielli, lasciando le Marche a FI, dove pure non ci stanno.

A casa della Meloni non ci sentono: “Noi siamo gli unici a crescere nei sondaggi, ma governiamo una sola regione. Non possiamo essere sottorappresentati”. E anche da FI dicono che “a noi interessa solo la Campania, non faremo passi indietro”. Berlusconi, subito dopo la vittoria in Calabria, ha ribadito che “Caldoro è il nostro candidato”, FI è ancora il primo partito in regione e, togliere Caldoro, vorrebbe dire far indicare il candidato alla ‘nemica’ interna degli azzurri berluscones, Mara Carfagna, ras della regione che potrebbe candidarsi lei o offrire un nome.

D’altra parte, se il centrodestra non si presenta unito non ha alcuna possibilità di vincere in molte regioni, tranne che in Veneto. La situazione, a oggi, è di stallo ma certo è che se, nel centrodestra, per Salvini, vincere una regione del Sud è diventato quasi più decisivo che strappare una regione rossa ai dem, nel centrosinistra, e per il Pd, tenere almeno le due regioni rosa-rosse (Marche e Toscana) e almeno una su due (Campania o Puglia) di un Sud da cui, ormai, si è ritirato o ha subito solo sconfitte è un obiettivo forse ambizioso ma altrettanto vitale e cruciale. Infine, se i 5Stelle non scegliessero, in nessuna regione, da che parte stare dimostreranno la loro definitiva irrilevanza.

 


 

NB: l’articolo è stato pubblicato, in altra forma, sul sito di notizie Tiscali.it il 2 febbraio 2020