Bonaccini lancia la sua Opa sul Pd e la sinistra. Intanto, le Feste dell’Unità devono ‘adattarsi’ al Covid19

Bonaccini lancia la sua Opa sul Pd e la sinistra. Intanto, le Feste dell’Unità devono ‘adattarsi’ al Covid19

27 Maggio 2020 0 Di Ettore Maria Colombo

festa unità

 

“Non escludo nulla”. Il ‘gatto’ Bonaccini si mette ‘a disposizione’

“Non escludo nulla”. Bonaccini si mette ‘a disposizione’

“Non escludo nulla”. Bonaccini si mette ‘a disposizione’

Candidato premier del centrosinistra?Non escludo nulla” dice, oggi, in un’intervista con il direttore dell’Espresso, Marco Damilano. Candidato alla segreteria del Pd? “Sono a disposizione”, diceva (pochi giorni fa) in un’intervista via Facebook, sulla tv del Psi, parlandone con Gerardo Greco. Stefano Bonaccini – solo pochi mesi fa (gennaio 2020) riconfermato a presidente dell’Emilia-Romagna in quella che, per la sinistra, proprio come per la destra di Salvini, è stata la più grande battaglia politica ‘campale’ vissuta dopo le Politiche e prima che il Paese entrasse nel tunnel del Covid19 – è in campo. O, meglio, è ‘ridisceso’ in campo, anche se, forse, il ‘campo’ non lo aveva mai davvero abbandonato. E, come un gatto mammone che conosce i suoi ‘topolini’ (i politici di Roma) inizia a muoversi per mangiarseli uno a uno. 

 

Il nuovo look, molto commentato, e ora un libro per lanciarsi

crozza

Crozza, ora imita Bonaccini

Diverse le mosse messe in atto da Bonaccini sia prima che durante che dopo il coronavirus, sia prima che durante e dopo la campagna elettorale per far parlare di sé e del suo futuro in politica.

Un nuovo look (pizzetto curati, occhiali alla moda, fisico super-tonico), che ha dato adito a ironie e imitazioni – Crozza in testa a tutti – ma anche a molta notorietà e, soprattutto, a molta empatia tra la ‘gggente’, empatia che ha travalicato di molto i confini regionali. Una ‘visione’, quella del classico ‘pragmatismo’ socialista emiliano, che si è trasformata in ‘riformismo 4.0’, con ottimi rapporti – molto ben coltivati – con le associazioni imprenditoriali e con i poteri che contano (la Chiesa, le coop, i sindacati), non solo in Emilia, ma anche in tutto il territorio nazionale.

matteo renzi nuovo libro

Nuovo libro di Matteo Renzi

E, ora, un libro – che esce, ma è di certo un caso, in contemporanea con quello di Matteo Renzi – che si chiama La destra si può battere (Piemme, casa editrice cattolica e molto impegnata) più molte interviste a raffica, rilasciate in questi giorni, a trasmissioni radio cult come Un giorno da pecora (Rai 1), a giornali a tiratura nazionale, radio e tv come se piovessero.

un giorno da pecora

Un giorno da perora

Insomma, il ‘personaggio’ Bonaccini – che si è affidato alla stessa società di consulenza e di immagine di Matteo Renzi e che fa capo al portavoce di quest’ultimo, lo spin doctor Marco Agnoletti – è stato costruito, e si è ‘auto-costruito’, dal basso, ogni giorno, come una goccia incava la roccia.

 

Il ritorno positivo di essere governatore sotto emergenza Covid19

coronavirus

Naturalmente, il governatore emiliano, che per incidens è anche presidente della conferenza Stato-Regioni, cioè dell’organismo che governa’ il rapporto tra Stato e regioni, ha beneficiato, come tutti i suoi colleghi (tranne, forse, solo il governatore della Lombardia, Attilio Fontana, finito sotto critiche concentriche assai pesanti per come ha gestito l’emergenza), della notorietà e dell’autorevolezza di poteri locali (quelli regionali, in questo caso) che, durante 3 mesi crisi del coronavirus, sostanzialmente non hanno sbagliato un colpo, a differenza del potere centrale statale, del governo.

 

Bonaccini e Zaia, una ‘corrispondenza di amorosi sensi’

Bonaccini Zaia

Bonaccini e Zaia, una ‘corrispondenza di amorosi sensi’

Ma ‘Stefano’, in particolare, giganteggia e gigioneggia, in quanto governatore che ‘non ne sbaglia una’ al pari solo del ‘doge’ del Veneto, il leghista Luca Zaia. E proprio a Zaia si rivolge, ieri, Bonaccini, come a cercare un ‘asse’, quello dei governatori – oggi – e futuri leader politici – domani – dei rispettivi schieramenti politici (Bonaccini nel Pd e Zaia nella Lega, sarebbe lo schema).

Premettendo che – excutatio non petita – nell’intervista a Damilano, “Resto con i piedi per terra. Non mi vedo come candidato premier, anzi mi chiedo ogni giorno se sono in grado di fare il governatore”, Bonaccini aggiunge che “allo stesso modo non mi precludo nulla. Ci si mette a disposizione se si ha passione politica per migliorare la cosa pubblica”. Si parlava, in questo caso, di una assai futuribile competizione alla guida del Paese, cioè a premier, tra centrodestra e centrosinistra (grillini, peraltro, non pervenuti, in questo ‘schema’ politico futuro).

 

Ma Bonaccini fa ‘asse’ con tutti i governatori del centrodestra

lockdown

Sono giorni che si parla della ‘strana coppia’ nata tra Bonaccini e Zaia, nel fronteggiare l’emergenza Covid non solo nelle due regioni, ma anche nei confronti del governo. Per dire, nella notte in cui, una settimana fa, le Regioni hanno fatto ‘cappottare’ il governo, costringendolo a cambiare in fretta e furia il decreto legge e il conseguente dpcm che ha sancito la fine del lockdown, Bonaccini e Zaia, supportati dal ‘frente amplio’ di tutti gli altri governatori (quasi tutti, peraltro, di centrodestra, ormai) hanno giocato, con un altro loro capofila, l’azzurro Giovanni Toti (Liguria), una partita decisiva e alla fine vincente, quella sulla modalità e le tempistiche delle ‘riaperture’.

L’asse Lega-Bonaccini sull’election day (battuti, in tal caso)

 

Bonaccini, già che c’è, rende merito a Zaia di “amare molto, come me, la sua terra”, racconta che “ci sentiamo tutti i giorni” e che “abbiamo entrambi i piedi per terra”. Un modo per auto-legittimarsi. Come hanno fatto entrambi sulla querelle election day: il governo aveva proposto, come data di voto per amministrative (I e II turno), regionali (sei regioni) e amministrative (oltre 1000 comuni al voto) , ll 20 settembre perché, secondo il comitato tecnico-scientifico, “a ottobre arriva la nuova ondata di viurs”, ma le Regioni si sono già opposte e continuano a farlo. Chiedevano di votare a luglio (27 luglio) e ora chiedono di votare prima (il 13 settembre), protestando per non essere stati consultati. 

L’obiettivo era ed è quello di capitalizzare i consensi accumulati nei rispettive bacini elettorali e pezzi di elettorali, e dunque, di popolazione, durante il coronavirus, fase così feroce e disperata, ma che li ha visti sugli scudi. In ogni caso, non vi è stato una soddiisfacente risposta: il governo ha tenuto dritto e, nonostante le proteste di motivazione economiche, sociali e giuridiche delle Regioni, l’election day (compreso il referendum sul taglio del numero dei parlamentari) sarà il 20 settembre.

 

Lo ‘schema’: Bonaccini alla guida del Pd e Zaia alla guida della Lega come premessa del ‘governissimo’ che dovrà scalzare Conte

Nicola Zingaretti

Nicola Zingaretti

Insomma, lo schema – cui guardano diversi dem ‘scontenti’ della gestione Zingaretti, che si è avvinghiato come l’edera al patto di governo con i 5Stelle, come pure diversi leghisti scettici verso la recente gestione Salvini della Lega, sempre più giù nei sondaggi e nel favore popolare, in questi mesi – sarebbe quello di portare Bonaccini alla guida del Pd e Zaia alla guida della Lega. Due partiti che, in questo modo, sarebbero di fatto ‘addomesticati’ da parte dei mitici ‘poteri forti’ e che diventerebbero pronti a “ubbidir tacendo” nel sostegno di un governo di unità nazionale che dovrebbe, ovviamente, scalzare Conte, isolare e depotenziare i 5Stelle, rendendoli innocui, e ‘traghettare’ l’Italia verso la fine ordinata della legislatura (2023) mettendo, alla sua guida, un premier forte cui i partiti – come successe con Ciampi nel 1993 e con Monti nel 2012 – dovrebbero dire solo ‘tanti sì’. 

mario draghi

Mario Draghi

Magari, tanto per dire nomi noti e arcinoti, alla guida del governissimo ci andrebbe uno come Mario Draghi, ex presidente della Bce e tra i pochi che, quando si tratterà di ‘sbattere i pugni sul tavolo’, e di farlo davvero, con la Ue, e cioè in autunno, sappia il fatto suo e abbia, in Parlamento, una maggioranza salda e silenziosa, oltre che compiacente. Fantapolitica? Forse, ma certo è che se, dentro il Pd, il mugugno verso l’attuale gestione del rapporto con i 5Stelle sale di giorno in giorno e di ora in ora, anche dentro la Lega si sentono scricchiolii vari alle ultime mosse del ‘Capitano’.

 

Per i dem Bonaccini “cerca solo visibilità”, per la Lega “lui sì che sarebbe il leader dem perfetto per fare un governo insieme…”

ANDREA ORLANDO MINISTRO DELLA GIUSTIZIA

Andrea Orlando

Tornando alle ragioni della ‘mossa’ di Bonaccini – la sua discesa in campo improvvisa e bruciante – per ora nel Pd nessuno esce allo scoperto. Soltanto il vicesegretario dem, Andrea Orlando dice, secco, “Bonaccini cerca solo visibilità, ma non vedo spazi per una sua scalata dentro il Pd, Per candidarsi serve un congresso e non lo vedo alle porte…”. Ma Orlando è accusato, dai suoi detrattori, di puntare alla stessa carica, quella di segretario del Pd, ove mai si aprisse una fase politica nuova e confusa in cui Zingaretti dovesse essere costretto a lasciare il timone della barca.

In ogni caso, sono in molti, nel Pd, specie tra i parlamentari di ogni ordine, grado e corrente che ieri affollavano il cortile d’onore di palazzo Montecitorio, tra una sigaretta e un sigaro, perché attendevano pazientemente il loro turno per espletare le operazione di voto sul decreto liquidità –  a sostenere che “Bonaccini sono mesi che si prepara per lanciare un’Opa ostile sul Pd e la farà, è troppo tempo che ci pensa, e ha pure il dente avvelenato contro Zingaretti, vuol fare il segretario”.

Anche dentro la Lega – dove Salvini, per ora, non è in discussione – e tra i suoi colonneli si guarda con grande interesse a cosa potrebbe avvenire nel ‘campo avverso’. “Se Bonaccini diventasse il leader del Pd – confidava, a un amico, l’ex viceministro ligure Edoardo Rixi – “il governissimo lo faremmo in un minuto. Con uno pragmatico e concreto come lui intendersi sarebbe un gioco da ragazzi. Finché c’è Zingaretti, invece, non si può fare perché i dem restano ‘prigionieri’ del M5S”.

 

“Io ho sconfitto la destra, non altri” dice Bonaccini

che, però, preferisce vantare il ‘modello emiliano’

Salvini e Bonaccini

Salvini e Bonaccini

Ecco, a proposito del rapporto tra Bonaccini e la Lega, va detto che, da un lato, l’attuale governatore l’ha davvero ‘fermata sul bagnasciuga’, in Emilia come in Romagna, alle ultime elezioni regionali, anche grazie all’apporto del movimento delle Sardine – oggi, ormai, in disarmo e in rotta definitiva – ma Bonaccini si è comportato sempre in modo “più che corretto con noi” ammettono tanti leghisti. 

E se Bonaccini, certo, ci tiene a ricordare che “io, non altri, ho sconfitto la Lega”, nel libro preferisce sempre usare il termine più generico di ‘destra’, senza picchiare, cioè, più di tanto, contro la Lega.

In effetti, i toni della campagna elettorale per le Regionali usati da Bonaccini sono sempre stati misurati e mai urlati. Più che sull’antifascismo, e l’anti-leghismo, il governatore ha saputo ‘vendere’, ai suoi concittadini, un ‘modello’ di governo regionale che ha funzionato (bene, non c’è da dire) e che ha portato a risultati eccellenti su vari fronti, non ultimo quello del sociale e della sanità. Comparto che, anche quando è stato messo davanti alla dura prova del Covid19, ha ‘retto’, con il suo sapiente mix di pubblico e di privato, molto meglio di altre regioni, sia del Nord che del Sud.

 

Un libro autocelebrativo che serve innanzitutto per ‘scalare’ il Pd

Bonaccini libro scaled

Un libro autocelebrativo che serve per ‘scalare’ il Pd

L’auto-celebrazione, e il trampolino di lancio costituito dal libro e dal tour che Bonaccini farà per presentarlo, però, fa pensare che l’obiettivo del governatore ‘pragmatico’ sia un altro, rispetto a futuribili e non oggi immaginabili scenari di competizione per la premiership del Paese, e cioè che riguardi proprio l’Opa da lanciare e lanciata sul suo partito, il Pd.

Il libro, infatti, è un vero e proprio ‘manifesto’ politico (sottotitolo rivelatore, Dall’Emilia-Romagna all’Italia. Idee per un Paese migliore), mentre ne è uscito pure un altro, di libro – un ebook, però, in questo caso, “Il virus si deve battere”, sulla gestione dell’emergenza sanitaria nella sua regione – che si pone un obiettivo preciso quanto ambizioso: ‘scalare’ il suo partito, non diventare premier.

 

Zingaretti, oggi, è saldo al comando del Pd, ma domani?

pd sede nazareno

La sede del Pd

E qui, però, si entra in tutt’altro ‘mondo’, quello dei democrat, in ‘rissa continua’ tra di loro come sono da sempre. Zingaretti, in teoria, è saldo al comando del Pd: vincitore, nel 2018, delle primarie, e in modo schiacciante, ha la maggioranza piena e salda in Direzione e in Assemblea, i due organi direttivi principali del partito, senza i quali nessun ‘cambio’ ai vertici è possibile, primarie incluse.

goffredo bettini

Goffredo Bettini

Solo la caduta del governo Conte bis, governo basato sull’assioma – ideatore e stratega ne è stato non Zingaretti, ma il suo mentore politico, Goffredo Bettini – dell’alleanza ‘organica’ tra Pd e M5S, oppure una rovinosa sconfitta elettorale alle prossime regionali e amministrative (si terranno, ma è decisione di queste ore l’ufficialità, a metà settembre, probabile il 20) potrebbe causare un ‘terremoto’ interno al mondo dem tale da indurre Zingaretti alle dimissioni o a obbligarlo a rimettere in discussione la sua leadership, naturalmente passando attraverso nuove elezioni primarie.

 

‘Bona’ e ‘Zinga’, un sodalizio antico, oggi del tutto compromesso

Bonaccini e Zingaretti

‘Bona’ e Zinga, un rapporto antico, oggi compromesso

Non va neppure dimenticato che Bonaccini e Zingaretti, cresciuti nella stessa ‘nidiata’ (la Fgci) e alla stessa ‘scuola’ (il Pci-Pds-Ds) – amici anche personali per una vita, anche se da lontano – divisi solo quando Bonaccini appoggiò, alle primarie del 2017, Renzi e Zingaretti, invece, Andrea Orlando, hanno rotto ogni rapporto durante la campagna elettorale emiliana, hanno rotto ogni rapporto umano e personale. In pratica, non si parlano direttamente da mesi, nonostanzte Bonaccini dica che “conosco Zingaretti da una vita, lo stimo e lo rispetto“…

Zinga’, già mesi prima delle elezioni regionali, cercò a lungo un candidato alternativo, in cambio di un patto con i 5Stelle, i quali erano disposti all’intesa – che venne stretta poi, peraltro con pessimi risultati, soltanto in Umbria – ma solo a patto che il Pd rinunciasse a ricandidare il governatore.

Zingaretti ci provò, nell’ardua impresa, ma Bonaccini rispose a brutto muso con un appello di 130 sindaci, neanche tutti del Pd, a favore della sua ricandidatura, girò come una trottola la regione, e riuscì a stoppare il tentativo del leader dem.

Inoltre, il segretario dem, pur dovendo alla fine accettare la ricandidatura del governatore uscente, ben poco ne supportò la campagna elettorale, sul piano politico che su quello economico, mediatico. La questione dei ‘soldi’, che per un emiliano del Pci sono tutto, il governatore non l’ha mai digerita: “Mi hanno lasciato senza un euro in cassa e non mi hanno mai dato una lira, ma trattato come un mendicante fastidioso”  è sbottato  il governatore con i suoi raccontando la scena.   Bonaccini dovette, dunque, imporsi, e correre, praticamente, da solo contro tutti, al bis come governatore nel 2019, dal Pd a Salvini, dalla ‘voglia di cambiamento’ nella sua Regione alla sinistra. 

Zingaretti Nicola

Zingaretti Nicola

Infine, la goccia che fa traboccare il vaso, è dato dal fatto che, una settimana prima delle elezioni, Zingaretti diede un’intervista a Repubblica in cui, in pratica, lo dava per già sconfitto. Bonaccini se l’è legata al dito da allora, senza dire dell’onta subita di non poter salire sul palco il giorno della festa della Vittoria, celebrata a Modena, ‘sgarbo’ che faceva il paio con il rifiuto di volere ‘quelli di Roma’ sul palco lungo tutta la campagna elettorale, durata vari mesi, per non immedesimarsi nel Pd.

Certo è che, già a gennaio, aveva detto ai suoi che voleva ‘auto-lanciarsi’. Poi è arrivata l’emergenza Covid19. Ora è tempo di tornare in campo e Bonaccini, fedele ai suoi propositi, lo ha appena fatto. Ora si vedrà chi ha più tela da tessere (e più tessere), se Bonaccini o Zingaretti, nel centrosinistra.

 

NB: Questo articolo, in forma molto ridotta, è stato pubblicato il 27 maggio 2020 sulle pagine di Quotidiano Nazionale 

 


Il termometro delle Feste dell’Unità. Ma ci saranno?

Un buon termometro, da questo punto di vista, per capire il gradimento, saranno le Feste dell’Unità che, nonostante il coronavirus, anche quest’estate si terranno, anche se col format assai ridotto.

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Il termometro delle Feste dell’Unità. Ma ci saranno?

Come facciamo a fare le Feste dell’Unità in sicurezza? E i nostri militanti, iscritti e simpatizzanti, per lo più anziani, ci verranno o le diserteranno?”. Il timore serpeggia al Nazareno. E non riguarda la tenuta della maggioranza di governo e l’impatto della manovra, ma riguarda ‘anche’ una delle forme classiche di auto-finanziamento del partito, da quando è finito quello pubblico. Insieme agli introiti del 2xmille e al contributo consistente dei gruppi parlamentari, infatti, le Feste dell’Unità sono un modo per tenere in piedi una ‘macchina’, quella del Pd, dai conti in ‘rosso’ perenne.

Quest’anno, ci mancava solo il Covid19. Le tradizionali Feste dell’Unità, in tempi di coronavirus, sono a rischio estinzione. Come il Pd cerca di ‘tenere botta’? Si parte dal raffronto con l’anno scorso, primo anno di gestione Zingaretti, quando le feste, in Italia, sono state circa 400 (incasso di 1 milione e 400 mila euro solo per quella nazionale che, nel 2019, si è tenuta a Ravenna).

Numeri e cifre, ovviamente, inimmaginabili, quest’estate. Stefano Vaccari, coriaceo responsabile Organizzazione Pd, prima elenca, fiero, i dati del tesseramento (274 mila iscritti nel 2019, e pure più 10% nel 2020 sul 2019 grazie soprattutto alle iscrizioni effettuate e registrate on-line e via web) e quelli del 2×1000 (quasi 9 milioni di euro, per il Pd, nel 2019: l’incasso più grande registrato da un forza politica italiana), poi spiega le novità: “No, le Feste tradizionali non ci saranno, ma faremo le Feste ‘di strada’, magari lunghe solo un week-end, un modo per tornare in quartieri e periferie trascurati”. Per quanto riguarda il cibo, invece, si prediligerà lo ‘street food’, mentre per i concerti non c’è nulla da fare: non si terranno. Iscritti e simpatizzanti possono scordarseli.

 

Feste dell’Unità smart e prevalenza di ‘street food’ (mah!)…

gabirele bosi

Gabriele Bosi

La Festa nazionale, quest’anno, seppure in formato ridotto e più agile, si dovrebbe tenere a Modena (ma Bologna già mugugna…) e il formato sarà simile a quello della “Repubblica delle idee” (Gruppo Rep): tanti dibattiti, alcuni assai noiosi, di taglio politico-culturale, rigido distanziamento delle persone sedute in platea come sul palco e rigidissimo rispetto di tutti i protocolli sanitari.

Provando a girare per le regioni, per capire come sono messe le varie Federazioni regionali,  ne abbiamo prese in esame tre: Emilia-Romagna, Toscana e Umbria, cioè tre regioni ‘rosse’ (o ex…).

In Toscana (dove si voterà presto, in autunno) le incertezze sono tante. Gabriele Bosi (Organizzazione Pd toscano) pensa a “feste molto piccole, semplificate, senza ristoranti né concerti, solo dibattiti, nel pieno rispetto dei protocolli sanitari. La volontà c’è, ma di certo saranno molte di meno delle cento del 2019”.

walter verini

Walter Verini

Nella piccola Umbria, dove il Pd ancora si lecca le ferite della sconfitta alle Regionali (il partito è stato azzerato, ora si tratta da fare nuove assemblee ed eleggere un nuovo segretario regionale), il commissario straordinario mandato da Roma in regione, Walter Verini, non si nasconde le difficoltà: “Abbiamo dovuto rinviare anche il congresso, causa Covid, quindi le feste saranno poche, una ventina, e ‘diffuse’ nei territori: piccole strutture, non grandi villaggi”.

 

L’orgoglio dei bolognesi: “Altro che small, noi farem le Feste vere”

Contenitore con tortellini e basilico

Tortellini, tagliatelle e gnocco fritto ci saranno

Invece, Matteo Meogrossi, coordinatore della Segreteria del Pd di Bologna – che non ci sta all’ordine di far le Feste in modo frrugale e parco, ma vorrebber poter uscire e tornare alla vita nornale – snocciola dati da grande ‘partitone’ emiliano e, insieme, la ‘butta’ in politica: “Tortellini, tagliatelle e gnocco fritto ci saranno. I concerti no, ma così risparmiamo sulle spese come per le strutture, ma confermiamo sette ristoranti su dieci e tanti dibattiti. Inoltre, stiamo riaprendo le Case del Popolo e i Centri feste che ridurremo, dai 300-400 posti abituali, della metà, ma i ‘compagni’ vogliono discutere e mangiare. Torneremo alle origini, con Feste ‘1.0’, ma le faremo”, altro che street food.

Palmiro Togliatti, al grande comizio

Palmiro Togliatti, al grande comizio

Di sicuro, a Bologna, non si ritroveranno in un milione, come avvenne nel 1951, quando per il comizione del segretario di allora, Palmiro Togliatti, affluì circa un milione di persone, una folla oceanica e strabocchevole che, ascoltare dal vivo Togliatti, riempì il quartiere della Montagnola e l’intera città (200 mila solo le coccarde rosse vendute), ma la Festa sarà la più tipica possibile.

Bonaccini, se vuole davvero ‘lanciare’ la sua candidatura, non potrà che farlo nel luogo topico del Pci-Pds-Ds-Pd. In una festa dell’Unità, appunto. Possibilmente a Modena, la sua città, dove ha mosso i primi passi in politica e dove si terrà la Festa nazionale, oppure nella città rossa di Bologna.

 

NB: l’articolo è stato pubblicato, in formato ridotto, per Quotidiano nazionale il 26 maggio 2020