“Whataver takes!”. La fiducia sarà gigante, ma già è iniziata la slavina dentro il governo Draghi

“Whataver takes!”. La fiducia sarà gigante, ma già è iniziata la slavina dentro il governo Draghi

15 Febbraio 2021 0 Di Ettore Maria Colombo

Sommario

Una fiducia ‘gigante’ e un altro record per Draghi: sarà il governo più ‘votato’ della storia repubblicana. Mercoledì si vota la fiducia alle Camere. Ma iniziano i primi guai: s’infiamma la partita del ‘sottogoverno’.

“Messaggi di auguri da tutte le parti del Mondo”… I primi passi del governo.

Il Duce non spegne mai la luce“. La retorica sui ministri del governo Draghi impazza… Ieri, il giorno di San Valentino, tutti i titolari dei dicasteri, vecchi e nuovi, già lavoravano…

mario-draghi

 

APPENDICE. Draghi e i ministri tecnici ‘zero social’. Ma anche i politici Stefani e Giorgetti sono ‘fuori’ da Facebook e Twitter

de gregori titanic

“E riceveva messaggi d’auguri/In quasi tutte le lingue del mondo/Comunicava tra Vienna e Chicago/In poco meno di un secondo” sembra essere il mood del Titanic-Draghi

“E riceveva messaggi d’auguri/In quasi tutte le lingue del mondo/Comunicava tra Vienna e Chicago/In poco meno di un secondo” sembra essere il mood del Titanic-Draghi secondo la nota canzone di Francesco De Gregori nell’album omonimo, cioè appunto proprio ‘Titanic’ (1982).

“Arrivano auguri da tutte le parti del Mondo”… Il governo Draghi muove i suoi primi passi

biden draghi

Dall’America, il presidente Joe Biden si congratula con Draghi tramite Twitter.

Non vedo l’ora di lavorare a stretto contatto con lei per approfondire la nostra forte relazione bilaterale, cooperare durante la sua leadership del G20 e affrontare le sfide globali, dal Covid al climate change“. Dall’America, il presidente Joe Biden si congratula con Draghi tramite Twitter. È la prima reazione della Casa Bianca al nuovo governo italiano, con cui ora la nuova amministrazione Biden intende avviare nuovi contatti, anche in vista del G20, di cui l’Italia ha la presidenza di turno.

E così, dopo il giuramento, ecco i primi impegni. Il governo Draghi è pronto a mettersi all’opera e in attesa di incassare la fiducia al Senato e alla Camera, i ministri iniziano a muovere i primi passi.

A dare il via alla tabella di marcia è stato il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, che oggi ha incontrato le parti sociali e, come ha già annunciato ieri, le rivedrà martedì 16 febbraio. Sul tavolo molti i temi delicati, tra cui il blocco dei licenziamenti, la cui scadenza è prevista per il 31 marzo, e la questione del reddito di cittadinanza. Oggi, invece, il ministro dell’Economia, Daniele Franco, volerà a Bruxelles dove si terrà la prima riunione dell’Eurogruppo. Infine, sempre per oggi è previsto il passaggio di consegne tra il Pd Giuseppe Provenzano e la ministra per il Sud, Mara Carfagna (FI).

Detto degli impegni istituzionali, va però anche detto delle polemiche in cui è già finito il governo. 

Mercoledì il governo Draghi è atteso al voto di fiducia al Senato. Giovedì, invece, sarà il giorno del voto di fiducia alla Camera.

Whataver takes 1

Da ricordare e da spiegare come e quando il governo Draghi si appresta a prendere la fiducia. Mercoledì mattina 17 febbraio il presidente del Consiglio, Mario Draghi, alle 10 entrerà nell’Aula del Senato per il suo discorso e, dopo il dibattito, ci sarà la votazione sulla fiducia. Alla Camera, invece, si voterà il giorno seguente, giovedì 18, ma l’orario è ancora in via di definizione, mentre il discorso di Draghi non verrà ‘riletto’ dal premier in Aula, ma solamente ‘depositato’ in modo formale e scritto.

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L’unica leader dell’opposizione, Giorgia Meloni

Dal centrodestra la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, conferma il no al sostegno al nuovo esecutivo, ma anche nella maggioranza si aprono le prime crepe. Ieri, infatti, si è consumata l’ennesima frattura all’interno del Movimento 5 Stelle e durante l’assemblea dei senatori e poi dei deputati in 40 (tra cui in primis la senatrice Barbara Lezzi) hanno espresso la loro contrarietà alla decisione di Grillo di appoggiare Draghi e hanno annunciato che voteranno no alla fiducia.

Ma in ogni caso il doppio appuntamento – al Senato, e poi, poco dopo, in tandem, alla Camera – sarà non solo il giorno della ‘fiducia’ per il Draghi I, ma un appuntamento che sta per diventare ‘storico’. Dal punto di vista politico e istituzionale lo è già, ma sta per esserlo anche rispetto ai ‘numeri’.

L’appuntamento con la Storia: i precedenti dei numeri dei governi di unità nazionale come di solidarietà nazionale

storia italia

L’appuntamento con la Storia

Certo, è vero che nella storia d’Italia, vi sono stati vari casi di governi votati da larghe maggioranze. I governi De Gasperi II, III e IV, del 1945-1947, appoggiati dalle sinistre social-comuniste, dai partiti laici di centro e dalla Dc, detti ‘governi di CNL’ o ‘governi di unità nazionale”, coprivano l’intero arco ‘costituzionale’, sulla base, però, di una doppia pregiudiziale (antifascista e antimonarchica).

governi di solidarietà nazionale del 1976-1979, si reggevano, invece, sul voto di astensione, e non sui ‘sì’, dell’intero arco costituzionale (dalla Dc al Pci, passando per il Psi, il Psdi, il Pri e altre formazioni minori, arco costituzionale che escludeva il Msi a destra e la sinistra extraparlamentare).

I governi tecnici o tecnico-istituzionali guidati da Ciampi (1992-1993), Dini (1995-1996) e Monti (2012-2014) si sono basati, invece, su maggioranze larghe e molto ampie, senza alcuna pregiudiziale o convento ad excludendum come quella valsa, nel secondo dopoguerra, per il PCI.

Con Ciampi si andava dal vecchio pentapartito fino al Pds, Rete e i Verdi; con Dini da Forza Italia al Pds, passando per il PPI e altri; con Monti vedendo insieme Pdl-Udc-Pd più altri minori). Ma, in tutti questi casi, i voti delle varie maggioranze citate, per un motivo o per l’altro (astensioni, defezioni, etc.), non superavano i 400 voti di media alla Camera e i 250 voti di media al Senato. Con Draghi, invece, lo scenario è inedito e sta per rappresentare un unicum nella storia repubblicana.

Verso una ‘maggioranza schiacciante’. Il record sulla fiducia al governo Draghi

GOVERNO DRAGHI

Il governo di Mario Draghi, infatti, sta per diventare il più votato alle Camere della storia repubblicana. Se il premier otterrà, come è largamente previsto, il sostegno di Pd, Forza Italia, Iv, Leu e diversi gruppi minori, oltre che di M5S e Lega, potrà godere di una maggioranza amplissima: oltre 260 sì al Senato, che potrebbero diventare anche di più, fino a 290 voti, contando i senatori a vita e considerando che, tra i 30 ‘incerti’ e possibili scissionisti del M5S, una parte voterà sì.

La dirigenza dei 5Stelle sta lavorando per ridurre l’area del dissenso a una decina di deputati e a massimo 20 senatori. Ma ieri sera, a intorbidare le acque, è arrivato anche l’appello di Davide Casaleggio a favore dell’astensione. Inoltre, la fiducia al governo Draghi sicuramente non verrà votata da FdI che però conta solo 33 deputati e 19 senatori. Questa posizione verrà proposta da Giorgia Meloni oggi agli organi del partito che dovrebbero farla propria. Anche dentro LeU uno o due deputati e uno o due senatori diranno il loro ‘no’ alla fiducia al governo Draghi, ma non più di due/tre. 

Ieri mattina si è tenuta l’assemblea di Sinistra Italiana e il segretario nazionale, Nicola Fratoianni, ha fatto sapere di aver proposto “di non accordare la fiducia a questo governo” perchè “ci aspettavamo di meglio di un ‘governo dei migliori’ con così tanta destra, con la sinistra stretta ai margini seppur rappresentata da persone che stimiamo”.

Verso una ‘mega-scissione’ dentro i 5Stelle e una ‘mini-scissione’ dentro LeU…

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Morale, al Senato, almeno sulla carta il governo potrebbe arrivare a 296/298 voti, su 321, anche se molto dipenderà da quanto sarà grande la ‘scissione’ dei ‘duri e puri’ (ala Di Battista) dentro il M5s: se, cioè, arriverà a dieci, venta o trenta anche più senatori. Nulla quaestio, invece, per la sparuta pattuglia di SI, la componente di Nicola Fratoianni che si scinderà da LeU, votando no alla fiducia: alla Camera c’è il solo Fratoianni (ex esponente del Prc), che non sarà seguito dall’altro on. Di LeU, Erasmo Palazzotto, presidente della commissione d’inchiesta sull’omicidio Regeni. Al Senato, SI aveva solo la capogruppo – di LeU e del Misto –  Loredana De Petris, tosta e battagliera: lei però voterà sì, insieme a tutti gli esponenti di LeU e che militano in Mdp-Articolo Uno, il movimento il cui segretario è, da anni, il ministro Speranza (ma i padri putativi Bersani e D’Alema), mentre voteranno no due senatrici iscritte, oggi, a Leu (Paola Nugnes ed Elena Fattori) che però vengono dal M5s.

Anche alla Camera, il governo Draghi avrà numeri record. Sicuri almeno 568 voti alla Camera su 629 (qui gli incerti M5S sono 25/30) Draghi, almeno sulla carta, può arrivare a 583/593 voti, anche se va valutata meglio, come al Senato, l’entità della scissione che si produrrà dentro il Movimento.

Un altro record già colto, quello delle consultazioni più lunghe della storia

Letta e Renzi

Letta e Renzi

Oltre a diventare il più votato, il governo Draghi potrebbe essere ricordato anche per il numero di incontri avvenuti durante le consultazioni. Sono stati 42, questi incontri, di cui 14 con le parti sociali e altrettanti con le delegazioni dei partiti, andate alla Camera però in due turni. Ai partiti il tempo dedicato è ammontato a complessivi 540 minuti, mentre con sindacati, associazioni ed enti locali Draghi ha trascorso 315 minuti. Negli ultimi governi, lo spettro di rappresentanze invitate è stato minore e in certi casi anche molto inferiore il tempo a disposizione prima di sciogliere la riserva.

Con il governo di Enrico Letta, che ricevette l’incarico da Giorgio Napolitano il 24 aprile 2013, le consultazioni durarono per esempio un giorno soltanto. Letta, alle delegazioni dei partiti, dedicò solo 270 minuti. Con Matteo Renzi i giorni di consultazioni furono due, il 18 e il 19 febbraio 2016. Ricevuto l’incarico da Napolitano, tre giorni dopo le dimissioni di Letta, Renzi ascoltò i partiti per 570 minuti, sciogliendo poi la riserva il 21 febbraio.

Il precedente del governo più votato è quello del governo Monti (2012-2014)

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L’ex primo ministro italiano Mario Monti (Photo credit should read FILIPPO MONTEFORTE/AFP/Getty Images)

Da ricordare che l’ultimo governo ‘tecnico’ della storia repubblica, quello guidato da Mario Monti, ottenne la fiducia al Senato con 281 voti favorevoli, mentre alla Camera ebbe 556 voti favorevoli. In passato, il governo più votato finora è sempre quello di Mario Monti, altro tecnico arrivato a Palazzo Chigi nel 2011 dopo la crisi  che portò lo spread a 500 punti (ora siamo sotto i 100…).

I precedenti vicini, i governi Conte I e Conte II, e quelli lontani (Renzi e Gentiloni)

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L’ex premier Paolo Gentiloni

Con Paolo Gentiloni, succeduto a Renzi dopo l’esito del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, i tempi furono stretti. Il premier, incaricato da Sergio Mattarella il giorno 11 dicembre, svolse le consultazioni il 12 e la sera stessa giurò nelle mani del capo dello Stato. Disertati da Lega e M5S, gli incontri di Gentiloni durarono 240 minuti.

Nel caso del I governo guidato da Giuseppe Conte, la lista dei ministri è stata invece presentata il medesimo giorno dell’incarico conferito da Mattarella, ovvero il 31 maggio 2018. Le consultazioni si erano svolte in precedenza, il 24 maggio, nell’iniziale tentativo di formare un esecutivo M5S-Lega, poi fallito per la presenza di Paolo Savona (critico sull’euro): 360 i minuti complessivi. Sarà maggiore il tempo dedicato alle consultazioni del governo Conte II, incardinato su due partiti, Pd e M5S, dopo la crisi del precedente. L’incarico viene assegnato il 29 agosto 2019, la riserva viene sciolta il 4 giugno. Gli incontri con le delegazioni, svolte il 29 e 30 agosto, durarono 510 minuti.

Ma intanto s’infiamma la ‘partita’ su sottosegretari e viceministri

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Laura Castelli (M5S)

Ma se fino ad ora siamo rimasti nel campo della Statistica, poi – va ricordato – c’è la Politica, quella nuda e cruda. Naturalmente è al premier che toccherà individuare il non facile punto di equilibrio, sulla squadra dei sottosegretari, ma gli ‘appetiti’ dei partiti sono famelici e crescono sempre di più.

La partita, secondo fonti qualificate di governo, sarà chiusa entro la settimana, al massimo per venerdì, dopo la fiducia. Le caselle da riempire sono diverse e, come per quelle di governo, non tutte sarebbero destinate a esponenti politici. Per il sottosegretario all’Editoria, ad esempio, Draghi starebbe pensando ad una figura tecnica, esperta del settore. Mentre la delega ai Servizi segreti, sulla quale Renzi ha disegnato il suo piano di defenestrazione di Conte, potrebbe tornare nelle mani del premier. I partiti, intanto, scalpitano.

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Antonio Misiani

Il loro obiettivo è portare alcuni big come vice dei ministri tecnici, puntando soprattutto su profili che già sono stati al governo, elemento che gradirebbe lo stesso Draghi. Ecco allora che Laura Castelli e Antonio Misiani potrebbero essere riconfermati al Mef. Vito Crimi, secondo alcune fonti di governo, potrebbe finire alla Giustizia guidata da Marta Cartabia, dicastero nelle mire anche di FI e Iv. Ma il M5S guarda anche al Mit e al ministero della Transizione Ecologica dove punta molte delle sue carte. Al primo, l’M5s chiede la riconferma Giancarlo Cancelleri, forte anche della protesta della Sicilia, assente nell’esecutivo. Al secondo potrebbe finire un big ‘governista’ come Stefano Buffagni.

La Lega guarda al Viminale, magari riportando all’Interno un salviniano doc come Nicola Molteni mentre nel Pd tiene banco il caso delle ‘quote rosa’. Sembrano quindi andare verso la riconferma tutte le sottosegretarie dem del Conte II, magari anche con qualche new entry. E poi, infine, il dossier Recovery, che Draghi svilupperà in strettissimo coordinamento con la Ue e con Bruxelles.

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Enzo Amendola (Pd)

Al momento, di una cabina di regia vera e propria non c’è traccia ma una struttura per il monitoraggio dovrebbe essere varata. Invece, il Comitato interministeriale per gli Affari Ue- che con Conte era presieduta da Enzo Amendola – sarà guidato dal neoministro Cingolani.

Il Recovery sarà uno dei pilastri del discorso di Draghi mercoledì alle Camere, assieme al piano vaccini alla didattica in tempi di Covid. Ma guardiamo ora le principali ‘caselle’ del sottogoverno, cercando di capire a quali partiti e con quali nomi vi andrebbero nelle deleghe più delicate e ambite. 

Le mire di Salvini sul Viminale e l’assedio alla Lamorgese

Luciana Lamorgese

Luciana Lamorgese

Confermata Luciana Lamorgese è iniziata la corsa a conquistare un posto di sottosegretario. E Matteo Salvini, che è stato titolare del Viminale ai tempi del Conte 1, mira a mettervi un “guardiano” che monitori la questione migranti e le politiche di sicurezza. In via Bellerio girano infatti i nomi di Nicola Molteni e Stefano Candiani. Due profili che godono della stima e della fiducia di Salvini e che già conoscono il ministero, essendo stati sottosegretari nel primo esecutivo dell’avvocato del popolo. Non è allora un caso se il leader della Lega continui a invocare un “cambio di passo perché non è possibile che lo scorso anno sono triplicati gli sbarchi”. Fonti istituzionali confermano che alla fine potrebbe spuntarla Candiani perché ha un approccio “meno divisivo” del giovane e aggressivo Molteni e perché ha lasciato un buon ricordo ai Vigili del fuoco. 

In casa Pd, in pole position resta il viceministro uscente, Matteo Mauri che nel corso del Conte 2 ha detenuto la delega alla pubblica sicurezza e potrebbe essere confermato nel segno della continuità. Eppure, dalle parti del Nazareno girano anche i nomi di Emanuele Fiano, Carmelo Miceli, responsabile sicurezza del Pd, e di Monica Cirinnà, che è la responsabile diritti del partito. 

Per il M5S due i nomi in lizza: Vito Crimi e Carlo Sibilia. Ma fra i due appare scontato che dovrebbe spuntare il reggente del Movimento. Di certo la titolare del Viminale terrà per sé la delega sui migranti, tema scottante che potrebbe scatenare polemiche all’interno del nuovo governo sempre a causa delle dure posizioni, sul tema, di Salvini.

E’ la Madia il nome di ‘donna’ democrat per l’Economia

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Marianna Madia

E’ il ministero per la gestione e l’attuazione del Recovery Plan e, per di più, è guidato da un uomo di fiducia di Mario Draghi, l’ex Ragioniere dello Stato Daniele Franco. Ecco perché in queste ore la politica non sa bene come comportarsi. Ancora non è chiaro se in quel ministero i sottosegretari saranno tecnici. Una decisione che i partiti potrebbero concertare con il neoministro Franco.

Fatto sta che i partiti vogliono esserci. I Cinque Stelle, ad esempio, intendono nuovamente puntare su Laura Castelli. Se fosse così la pasionaria grillina sarebbe confermata per la terza volta di fila nel ministero di via XX Settembre. La Castelli è stata, infatti, sottosegretario con Giovanni Tria e viceministro con Roberto Gualtieri. Una vera salamandra.

Quanto al Pd, l’uscente viceministro Antonio Misiani (area Zingaretti) ha buone chances di essere nuovamente indicato dal suo partito come viceministro. Ma se il Nazareno decidesse di indicare una donna, date le polemiche interne scoppiate sul tema, potrebbe essere promossa Marianna Madia, già ministro per la Pa nei governi di Matteo Renzi e Paolo Gentiloni ed esperta di questioni economiche. 

La Lega desidera avere un suo uomo al Mef. Nel segno della svolta moderata europeista c’è una certezza: esclusi dalla corsa per un posto di sottosegretario Alberto Bagnai, capo dipartimento economico di Via Bellerio, e Claudio Borghi, entrambi considerati “euroscettici”. Tra i papabili ci sono, invece, Massimo Bitonci, già sottosegretario di Giovanni Tria, Claudio Durigon, ex viceministro al Lavoro ed ex leader Ugl, Alberto Gusmeroli, vice-presidente della Commissione Finanze di Montecitorio, ed Erika Rivolta, vicepresidente della Commissione Bilancio del Senato. 

Alla Giustizia Forza Italia punta le sue carte su Sisto

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Francesco Paolo Sisto

Ai tempi del Conte-2 il ministero della Giustizia è stato appannaggio dei Cinque Stelle, che detenevano il ministro e un sottosegretario. Con l’era Draghi e la nomina dell’ex presidente della Consulta, Marta Cartabia, alla guida di via Arenula tutto cambierà nell’organigramma interno. Di certo, il partito di Silvio Berlusconi vuole essere della partita e punta tutte le carte per un posto di sottosegretario. L’obiettivo è di riformulare la legge sulla prescrizione perché “il processo deve avere una ragionevole durata” osservano dentro Forza Italia. In pole position c’è Francesco Paolo Sisto, avvocato penalista e oggi parlamentare azzurro. In corsa anche Giacomo Caliendo, già sottosegretario nel quarto governo Berlusconi.

Un posto di sottosegretario dovrebbe spettare a Italia viva. E il nome forte dei renziani è quello di Gennaro Migliore, che è stato già sottosegretario, nel ministero di via Arenula, nel biennio 2016-2018, con i governi Renzi e Gentiloni, sotto l’allora ministro Orlando, oggi titolare del Welfare. Ma nel caso in cui Renzi volesse puntare su una donna, la favorita potrebbe essere Lucia Annibali, membro della commissione Giustizia di Montecitorio. E poi c’è il Pd. In pole position c’è certamente l’uscente sottosegretario Andrea Giorgis, assai stimato e vicino ad Andrea Orlando, ma la protesta delle donne democrat starebbe facendo risalire le quotazioni della senatrice Valeria Valente

Di certo i Cinque Stelle mirano ad avere un sottosegretario. Resta forte e ben quotato quello uscente, Vittorio Ferraresi, ma nelle ultime è risalito il profilo di Francesca Businarolo, ex presidente della commissione Giustizia di Montecitorio.

Alla Salute Sileri si gioca la riconferma in quota 5Stelle

Matteo Salvini

Matteo Salvini

La Salute è l’altro ministero su cui Matteo Salvini invoca un cambio di passo. Non a caso proprio ieri ha messo in chiaro: “Chiedo solo a chi deve deciderà, quindi a Speranza, di pianificare, non puoi dire sì il 3 febbraio e dire no il 14 febbraio per il 15. Organizzazione, pianificazione, questo chiediamo. Non si può fare apri-chiudi, gli imprenditori non sono burattini”. Insomma, se fosse stato per il leader della Lega, non avrebbe confermato Roberto Speranza. Quest’ultimo è stato preso di mira dal Capitano leghista sulle mascherine, sui vaccini, sulle aperture e sulle chiusure delle regioni. E in queste ore impazza anche la polemica sulle piste da sci. Salvini vorrebbe mettere un guardiano al ministro, espressione della sinistra di LeU, e circondarlo. La Lega vuole indicare il fedelissimo Gian Marco Centinaio, già ministro dell’Agricoltura del governo Conte Uno. Oppure, l’altro nome di via Bellerio è Luca Coletto, sottosegretario alla Salute dell’esecutivo Conte-1. 

Pierpaolo Sileri

Pierpaolo Sileri

Capitolo Cinque Stelle. Anche se i vertici continuano a ripetere che “è ancora tutto da decidere”, la rosa di nomi per la Salute sembra stringersi a una corsa a due. Oltre a Pierpaolo Sileri, viceministro di Speranza nel Conte due, onnipresente sui giornali e sulle tv, che sembra il favorito, nelle ultime ore starebbero salendo le quotazioni della senatrice Maria Domenica Castellone, membro della commissione Igiene e Sanità di Palazzo Madama. Per continuare il lavoro svolto nel corso della pandemia il Pd ripunta su Sandra Zampa che gode della stima dei vertici. Un’altra soluzione potrebbe essere il ritorno al ministero della Salute di Beatrice Lorenzin, come vice di Speranza, dopo essere stata titolare proprio di quel ministero, nei governi Renzi e Gentiloni. A proposito di ‘quote rosa’… Le quali, almeno nel Pd, ci ‘devono’ essere e stare per forza, in ruoli direttivi e di prestigio, brave o sciocche, antipatiche o simpatiche che siano. Un partito alla mercé del politcally correct.

NB: questo articolo è stato scritto per il sito di notizie Tiscali.it e pubblicato il 15 febbraio 2021


Il Duce non spegne mai la luce”. La retorica sui ministri del governo Draghi impazza… Ieri, il giorno di San Valentino, tutti i titolari dei dicasteri, vecchi e nuovi, “erano già tutti al lavoro”…

Mussolini a Villa Feltrinelli

“Il Duce non spegne mai la luce”. La retorica sui ministri del governo Draghi impazza…

Come hanno passato la loro prima domenica, i ministri del 67 esimo governo dell’Italia Repubblicana? Al lavoro, ca va sans dire, da casa, collegati via Zoom/Skype o nei vecchi/nuovi uffici. La notizia sa tanto di  filastrocca ‘A casa del Duce non si spegne mai la luce’, insomma il rischio è quello dell’apologia e della retorica, ormai sparse a piene mani, nell’era Draghi.

Ma tant’è. In effetti, ieri, giorno di San Valentino, e dunque di para-festa degli ‘innamorati’, i neo-ministri erano già tutti al lavoro, e tutti come muli. Qui si parla, ovviamente, di quelli, tra ministri, ‘raggiungibili’ in qualche modo perché molti di loro ancora non hanno né uno staff né un portavoce. Insomma, il governo Draghi, ad oggi, è un governo ‘muto’: persino i suoi ministri, vecchi e nuovi, lo sanno e arrivano all’affronto, horibile dictu, di lamentarsene in privato, anche se nessuno, ovviamente, lo ammetterebbe mai, neppure sotto tortura.

Infatti, sotto il governo di ‘Burian-Draghi’ (Il ciclone Draghi-Burian è arrivato: porta il mood gelido del nuovo governo. L’addio ‘caldo’ di Conte e la ‘questione femminile’ al governosi lavora e non si parla, questo è chiaro. Un freddo gelido è calato sul Paese e pure sul governo.

Del resto, la frase, calata come una mannaia, di Draghi alla prima riunione del cdm di sabato scorso, davanti a ministri che neppure sapevano come si entrava, a palazzo Chigi, e che la sala della ‘tavola rotonda’ di re Artù – così viene chiamata la sala del Consiglio dei Ministri – non è a ferro di cavallo, ma perfettamente circolare – non l’avevano mai vista, è stata: “Non abbiamo nulla da dire, quindi non comunichiamo nulla. Quando avremo qualcosa da dire, lo comunicheremo, evidentemente”.

Draghi dixit ai suoi ministri: “Per ora, non abbiamo nulla da dire. Quando avremo qualcosa da dire, lo diremo…”

Cuore de amicis

I ministri, vecchi e nuovi, si sono guardati come se un severo maestro, uscito paro paro dal libro Cuore di De Amicis, gli avesse dato la prima bacchettata, e già al ‘primo giorno di scuola’, cioè del primo cdm. I ‘vecchi’ ministri – quelli già presenti, abili e arruolati – deglutiscono. I ‘nuovi’, invece, le ‘matricole’, sono felici. Entusiasti di dover, almeno per ora, comunicare assai poco o quasi nulla.

I vari Daniele Franco, Roberto Cingolani (il cui dicastero, peraltro, ancora ‘non’ esiste), Patrizio Bianchi, Marta Cartabia, devono ancora prendere le ‘misure’ con luoghi e uffici che non hanno mai visto in vita loro (tranne il Mef per Franco, ovviamente) e ci metteranno settimane a mettere in piedi ed istruire i loro staff.

Non che Draghi sia molto più ‘avanti’. Lo segue una fedelissima, e storica, segretaria, Maria Grazia Ciorra, discreta e gentile, e una portavoce ‘ponte’, in attesa che ne arrivi un altro, ma a sua volta storica, per Draghi (lo segue dalla Bce), Paola Ansuini, efficiente, puntuale, rigorosa. Insomma, il premier ha scarsa voglia di ‘comunicare’, almeno fin quando non arriveranno i benedetti risultati.

Figurarsi se l’ex governatore della Bce e della Banca Italia, istituzioni serie e seriose, severissime, ha voglia – e tempo – di twittare o fare post. Del resto, dal premier meno ‘social’ della recente storia politica italiana (da quando esistono i social, lo sono tutti), non c’è da aspettarsi molto di diverso. I cronisti, disperati, non sanno ‘dove’ si trova, ogni giorno che passa, Draghi: venerdì, per dire, non era né a Montecitorio e neppure nel suo ufficio a BankItalia, ma in una foresteria di Carabinieri. “Oggi dov’era? E’ tornato a Città di Castello? Ma poi ritorna a Roma, vero? Ma quando? E da dove passa?” le domande angosciate e angosciose di tv, agenzie, giornali.

Figurarsi se sanno dove sono, di domenica, i neo-ministri. Almeno quelli nuovi, ecco, sono ancora ‘un mistero dentro un enigma’ come Churchill definiva l’Urss di Stalin. Urge, dunque, cercare di salvare la ‘pellaccia’ rivolgendosi a quelli ‘vecchi’. Ministri di lungo corso e di vecchio conio, quasi del tutto fuoricorso. Un po’ come le care, vecchie, lire, ora che ci sono gli euro, i ‘vecchi’ ministri. 

Cosa fanno, di domenica, i ministri ‘veterani’ del Draghi Uno…

andrea orlando

Andrea Orlando

Andrea Orlando ha convocato le parti sociali al ministero, quello del Welfare (ex Lavoro), che si trova in via Veneto, una volta la via della ‘dolce vita’ e oggi triste e deserta. Lui e il suo staff sono due giorni che fanno ‘tardi’ al ministero. “Cena saltata, chiacchiere e castagnole offerte dallo staff del ministero” racconta chi, accanto a Orlando, ci vive. Il neo-ministro dovrà abituarsi a nuovi ‘spazi’ ben diversi da quelli di via Arenula, dove aveva rispolverato e restaurato la famosa scrivania che, nel dopoguerra, fu di Togliatti.

Roberto Speranza

Roberto Speranza

Roberto Speranza – sospirano i suoi – “non si riposa mai. Lavorava durante la crisi e ha lavorato anche tutto venerdì, quando nessuno di noi sapeva se sarebbe rimasto ministro. Anzi, proprio venerdì ha ‘colorato’ di nuovo le Regioni e firmato la nuova ordinanza mentre Draghi saliva al Colle”.

Il ministro della Salute, sotto pandemia, non si ferma mai, come è scontato, ma gli ‘Speranza boys’ temono che ‘Roberto’ si stanchi troppo “perché lavora sempre, anche di domenica”. Ieri, per dire, ecco spuntare l’ordinanza per la chiusura degli impianti sciistici, con relativa coda di polemiche al fulmicotone tra la Lega e la sinistra chei hanno entrambe dimenticato di stare nello stesso governo. Polemiche anche ‘intra-governative’ dato che i due ministri leghisti, Giorgetti (Sviluppo economico) e Garavaglia (Turismo) emettono una nota alle agenzie con cui chiedono “immediata priorità agli indennizzi per la montagna: il danno subito dall’ordinanza del ministro Speranza va indennizzato”. Speranza, che è un mansueto, abbozza, poi getta un occhio anche ai contorcimenti del gruppo di LeU sulla fiducia (Fratoianni e altri due voteranno no, il grosso del gruppo sì) e un’altra giornata scivola via sul Lungotevere, dove c’è il ministero della Salute (brutto come pochi, questo va detto).

Il ministro ai Beni culturali, Dario Franceschini, invece, ha – come al solito – tutte le fortune del mondo: la sede del suo dicastero, che si trova in via del Collegio Romano, a Campo Marzio, antico cuore della Romanità repubblicana, è uno splendore dal punto di vista architettonico e artistico. Ovviamente, Franceschini ha passato la domenica al lavoro per definire i tempi e le modalità del nuovo ministero, che da ‘Beni culturali’ diventerà ‘della Cultura’, riorganizzare uffici e competenze.

Il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, altra conferma dal Conte bis al Draghi Uno (e altro pungiball, insieme a Speranza, del leader leghisti Salvini ormai da tre giorni…), ovviamente, sta dove deve stare, al Viminale, a vigilare sulle strade e sulla più o meno libera circolazione degli italiani. Invece, il ministro alla Difesa, Lorenzo Guerini, un’altra conferma del Conte bis, ha passato la sua giornata a casa, a Lodi, “rientro oggi, ma praticamente sempre al telefono” – racconta a QN – con un suo collega nuovo, ma non del tutto, Enrico Giovannini (fu ministro già con Enrico Letta), il quale con Draghi è titolare delle Infrastrutture e dei Trasporti per “organizzare, in sintonia tra Trasporti e sanità militare, i test antigienici per gli autotrasportatori che, passando il Brennero, devono andare in Austria e in Germania”. Guerini che, il giorno in cui cadeva il governo Conte, si trovava a Kabul, in Afghanistan, in visita al contingente militare italiano. Una ‘continuità’, va detto, ‘rassicurante’.

Bianchi patrizio

Patrizio Bianchi

Tra i ministri, nuovi, intanto, il titolare dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, si fa intervistare prima da Quotidiano Nazionale e poi dal Gr1 Rai (dimostrando un minimo di senso per la notizia, oltre che per la comunicazione…)annuncia: “Le scuole dell’obbligo sono già in presenza, per i più grandi dobbiamo vedere come sta andando la pandemia, bisogna evitare una terza ondata e bisogna essere molto cauti, ma tutti stiamo lavorando perché la scuola possa tornare in presenza quanto prima“. Riaprire le aule, quindi, è uno dei primi impegni del nuovo esecutivo, dice Bianchi. E poi; “I nostri ragazzi – aggiunge il ministro Bianchi – avranno lacune solo se noi non saremo in grado, tutti assieme, di riporre la scuola al centro dello sviluppo italiano, su questo il presidente Draghi è stato molto chiaro, la scuola è strumento fondamentale per lo sviluppo, quindi il problema non è recuperare qualcosa qua e là, ma rimetterla al centro“.

Infine, sull‘ipotesi di Draghi di prolungare il calendario scolastico con lezioni fino al termine di giugno, Bianchi avverte: “È presto per parlare dell’ipotesi di recupero per i ragazzi a giugno, ci siamo insediati ieri e ci stiamo lavorando su, fin da subito. Devo sentire tutte le voci della scuola come ho sempre fatto. Anche sulle modalità dell’esame di maturità 2021 – conclude – stiamo lavorando, ho già riunito i miei collaboratori e posto tutti questi temi all’ordine del giorno“.

Un buon viatico, non c’è che dire, che dovrebbe far amare Bianchi dai ragazzi come dai genitori delle scuole di ogni ordine e grado, a differenza di Lucia Azzollina, da tutti gli italiani – genitori e figli – detestata, se non proprio odiata.

Ma per arrivare al record di un vecchio ministro dell’Istruzione, il cattolico e democratico (viene dalla Dc-PPI-DL), ex medico, Beppe Fioroni, ancora oggi il più amato, tra le famiglie italiane, ancora ne deve fare, Bianchi, di strada…

 

NB. Questo articolo è stato pubblicato sulle pagine del Quotidiano Nazionale il 15 febbraio 2021


APPENDICE. Draghi e i ministri tecnici ‘zero social’. Ma anche i politici Stefani e Giorgetti sono ‘fuori’ da Facebook e Twitter

 

Senza profili web risultano i neo-ministri Cartabia, Lamorgese, Franco, Bianchi, Messa, Giovannini, Cingolani e Garofoli. Il premier Draghi, privo di qualsiasi social, è quasi un unicum a livello internazionale

(dal Corriere.it del 14/02/21)

social

Addio all’era dei premier che ‘vivevano’ sui social…

Sobrietà e poche parole per spiegare che cosa succede e che cosa s’intende fare è il tratto con cui si muove e si muoverà il premier Mario Draghi, insieme al non utilizzo dei social. Ma non è soltanto lui nel nuovo governo a stare fuori dall’agone mediatico costituito dalle piattaforme di comunicazione online. A differenza dei ministri politici, utilizzatori dei social tranne Giancarlo Giorgetti ed Erika Stefani, i ministri tecnici risultano in gran parte privi di profili su Facebook e Twitter. Marta Cartabia, Luciana Lamorgese, Daniele Franco, Patrizio Bianchi, Cristina Messa, Enrico Giovannini, Roberto Cingolani e Roberto Garofoli non compaiono né su Twitter né su Facebook.

Unico a far eccezione è il ministro dell’Innovazione Tecnologica, Vittorio Colao, che ha una presenza sporadica sulle piattaforme: su Twitter con post in inglese su temi di sua competenza e su Facebook con foto prevalentemente in bici, la sua passione. Lo scenario, appunto, cambia spostandosi sul lato politico della compagine governativa, dove quasi tutti gli esponenti sono presenti sulle piattaforme, di persona o attraverso lo staff.

Inutile dire che i Cinque Stelle fanno della comunicazione sui social uno dei loro cavalli di battaglia: così Luigi Di Maio: oltre 700 mila follower su Twitter dove, anche in virtù del suo ruolo nel Movimento, alterna informazioni istituzionali a prese di posizione sulle vicende politiche. Lo stesso fanno Federico D’Incà, molto presente su Twitter, e Fabiana Dadone che su Facebook posta anche immagini della sua vita pubblica e in qualche caso privata. Anche la Lega ha costruito parte della sua forza con le campagne social. Non sarà semplice per Draghi trasmettere il suo stile no social.