Pd, “Dieci piccoli indiani” corrono per diventare segretario, ma solo Zingaretti ha buone chanches

Pd, “Dieci piccoli indiani” corrono per diventare segretario, ma solo Zingaretti ha buone chanches

3 Settembre 2018 1 Di Ettore Maria Colombo

Pubblico qui due articoli sulla questione della (futura) leadership del Pd, tra le candidature annunciate (Zingaretti), oltre che appoggiate da molti big dem, e mezze smentite (Bentivogli e altri). Segnalo anche che oggi, 4 settembre, Matteo Renzi è intervenuto, in parte, sul dibattito in corso nel suo partito, intervistato da Barbara Palombelli nella sua trasmissione, “Stasera Italia”, in onda questa sera sulla nuova Retequattro e di cui riporto qui alcune dichiarazioni, ma in questo caso senza commento o analisi ulteriori. 


“Il fuoco amico ha fatto perdere il Pd due volte. Non mi candiderò alle primarie”. Matteo Renzi a Stasera Italia:

“Il fuoco amico ha fatto fallire per due volte il progetto del Pd. Io non parteciperò alle primarie. le ho vinte due volte e per due volte sono stato bersaglio del fuoco amico. Chi vincerà le primarie deve essere sostenuto da tutto il Pd”. Lo ha detto Matteo Renzi a Stasera Italia su Rete 4. “Vedremo chi si candiderà alle primarie, non credo ci sarà un solo candidato. Vedremo quali saranno i candidati, non è detto che il mio voto vada a Zingaretti“. “Sono orgoglioso e felice per i miei figli che hanno un Presidente della Repubblica come Sergio Mattarella. Abbiamo governato per mille giorni facendo tante cose. Qualcuna venuta bene qualcuna venuta meno bene”, ha aggiunto Renzi.

“Le alleanze? Come si fa a fare un governo con chi mette in discussione l’obbligo dei vaccini? Spero che il Pd alla Camera abbia la forza di fare ostruzionismo. Una alleanza con i 5 stelle non era stata scelta da nessuno degli elettori del Pd”, ha aggiunto Renzi. “La mia concezione della democrazia è diversa da quella della Casaleggio e di Rousseau“, ha proseguito l’ex segretario Pd.

 

  1. Dieci piccoli indiani si candidano a guidare il Pd del futuro. Quello attuale mostra finalmente segni di vita.

 

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Matteo Renzi e Matteo Orfini alla Direzione del Pd

Ettore Maria Colombo – ROMA – 2 settembre 2018

“Dieci piccoli indiani”. Tanti, più o meno, se ne contano, di candidati alla guida del Pd del futuro, quello cioè che andrà in campo dal 2019 in poi, visto che, almeno per tutto il 2018, continuerà a dirigerlo Maurizio Martina, l’ex ministro all’Agricoltura, che – dopo una fase di ‘reggenza’ seguita alle dimissioni di Matteo Renzi a causa della sconfitta alle elezioni politiche, è stato eletto segretario con pieni poteri dall’ultima Assemblea Nazionale a luglio. I dieci ‘piccoli indiani’ sono, seppur citati in ordine sparso, Matteo Richetti (renziano atipico) e Deborah Serracchiani (renziana critica), che hanno manifestato da mesi l’intenzione di candidarsi, mentre Roberto Giachetti (ex renziano, oggi vicino a Gentiloni, ma uno che pensa con la sua testa, errori compresi) è la new entry: gira le Feste dell’Unità, riscuote consensi, molti lo spingono a candidarsi, lui recalcitra). Ecco: Richetti, Serracchiani e Giachetti sono tre candidati ‘diversamente renziani’. Poi c’è l’outsider cislino, segretario della Fim-Cisl, Marco Bentivogli, che “ci sta pensando” (ma lui, interpellato, smentisce), e fa quattro. Il quinto è Francesco Boccia (ex lettiano storico) per l’area Emiliano, ma non è detto che sia lui il nome dell’area, Il sesto corrisponde al nome di Gianni Cuperlo, che guida la piccola area di Sinistra dem, che si candiderebbe per conto di… se stesso, ma anche il leader dell’altra minoranza di sinistra interna (Dems), Andrea Orlando, ci sta facendo un pensierino. Il nono è un’altra sindacalista, ma questa volta ex Cgil. Teresa Bellanova, renziana ma autonoma e molto tosta. Il deciso – al netto, ovviamente, della possibilità che si ricandidi, appunto, anche il segretario-reggente attuale, Maurizio Martina, che ha una sua area a sua volta (si chiama Sinistra è Cambiamento), è, naturalmente, il governatore del Lazio Nicola Zingaretti.

 

Il quale Zingaretti passa da una Festa di partito a una del Fatto, da un convegno di area (tipo quello di Franceschini ieri a Cortona) a una convention, quella che terrà a Roma il 6 e 7 ottobre, si chiamerà “Piazza Grande” e che servirà ad auto-candidarsi, nel senso di ufficialmente, alla guida del Pd che verrà. Sono questi tutti, o quasi (ma ne arriveranno altri, almeno un altro paio, forse), i candidati alla guida del Pd di domani. E Renzi? Matteo Renzi prepara, se non proprio una scissione, quantomeno una nuova svolta. L’ex segretario lancerà l’ennesima (è la nona) Leopolda il 19-21 ottobre a Firenze: già il titolo, ‘La prova del nove’, suona minaccioso, specie se alla guida del Pd arrivasse – Dio non voglia, ad occhi renziani – un ‘sinistro’ ex diessino come Zingaretti. Insomma, Renzi aspetta, sornione, incerto tra la voglia di revanchein mezzo alla sua gente e la voglia di fare altro. Di Pd parlerà il 6 settembre, in pubblico, alla Festa dell’Unità, ma poi ha finito per farlo anche in tv, intervistato da Barbara Palombelli, nel suo nuovo programma su Rete4, ‘Stasera Italia’, il lunedì precedente, 3 settembre.

 

Certo è che il Pd, attualmente guidato dal segretario ‘ponte’ Maurizio Martina, che gira ossessivamente tutte le periferie (molto sfottuto, sui social, per questo), da Torbellamonaca (Roma) allo Zen (Palermo) fino a Bagnoli (Napoli) sembra finalmente tornato a godere di una qualche salute. Prova ne è che in un solo mese, quello di agosto, fa, bene, ben tre cose. Organizza la sua consueta festa nazionale dell’Unità a Ravenna e l’affluenza è “alta e partecipata”, assicurano gli organizzatori. Poi il Pd indice, per il 29 settembre, una manifestazione di piazza contro il governo gialloverde, a piazza del Popolo. Un’idea, la manifestazione di piazza, che, per ritrovarne traccia, bisogna risalire a quando Veltroni, prima di dimettersi, portò al Circo Massimo nel 2008 due milioni di persone contro il III governo Berlusconi, anche se – va detto – anche Bersani portò migliaia di persone in piazza San Giovanni, sempre contro il governo Berlusconi, nel 2011 e nel 2012. Infine, appunto, il Pd si prepara ad andare a un congresso straordinario anticipato (l’ultimo, quello del 2017, vide il trionfo di Renzi con il 69% dei voti). Il congresso si terrà nel 2019, quasi sicuramente prima delle elezioni europee (maggio), a gennaio-febbraio e verrà celebrato, ovvio, con le primarie, anche se nei consueti due tempi (prima il ‘giro’ tra gli iscritti, non vincolante, poi l’elezione dei primi classificati tra tutti i cittadini o, quantomeno, simpatizzanti dem). Infine, però, c’è la ‘frizzante’ discussione di fine estate che ricorda leit-motiv antichi quanto frusti: il Pd deve cambiare nome? E con chi si deve alleare? E dove deve guardare, a destra o a sinistra? Per l’ex ministro Carlo Calenda, neo iscritto dem ma molto irrequieto e, a volte, ombroso, il Pd deve diventare un ‘Fronte democratico’ che guardi a destra e al centro, non a sinistra. Per i sostenitori del ‘partito alla Macron’ (Sandro Gozi e altri) molto meglio chiamarlo ‘Movimento Democratico Europeo’. Per Zingaretti – o, meglio, per i suoi implacabili avversari – il Pd deve tornare a essere un… PdS (Partito della Sinistra). Zingaretti stesso, del resto, tuona contro “il capitalismo”, vuol ricongiungersi con Leu e aprire al dialogo con i 5Stelle. I renziani guardano, invece, ad aree civiche, non meglio identificate, a movimenti centristi, oggi di fatto morti, e a un idea di partito più leggero. Certo è che, dopo il flop delle Politiche (18,7%), il risultato peggiore nella storia della sinistra a partire dal 1948 (calcolando il Pd come centrosinistra, dato che il risultato peggiore, in realtà, lo ottenne il Pdl nel 1992 che prese solo il 16,4% dei voti), quando il Fronte Popolare (Psi più Pci) prese allora il 30%, il Pd sembra essere tornato un partito ‘vivo’, non solo ‘vivace’. Il problema, tanto per cambiare, è il tema della leadership. I ‘Dieci piccoli indiani’ sono pronti, ma basteranno al Pd?

 

NB: Questo articolo è stato pubblicato il 2 settembre 2018 sulle pagine del Quotidiano Nazionale. 

 

assemblea nazionale pd orchestra stonata

 

2. Zingaretti ha deciso di candidarsi alla guida del Pd, Franceschini e Martina lo appoggiano. Cosa farà Renzi?

 

Ettore Maria Colombo – ROMA – 3 settembre 2018

 

Da ieri è chiaro a tutti, dentro e fuori il Pd, che il candidato da battere, al congresso straordinario che si terrà nel 2019 (probabilmente prima delle elezioni europee di maggio), si chiama Nicola Zingaretti e fa il governatore del Lazio. Ieri ‘Zinga’, come lo chiamano i suoi, e cioè il fratello di sangue ‘politico’ (ma meno noto) del ‘commissario Montalbano‘, alias Nicola Zingaretti, era a Cortona, dove si è riunita la – rediviva – Area dem, e cioè la corrente dell’ex ministro Dario Franceschini, per “posare il suo spadone” e “ricevere l’investitura” come spiegano, con discreta ironia, i suoi colonnelli. “Il congresso del Pd – dice Zingaretti – ha senso se diventa un grande processo popolare per riscrivere un’agenda per il futuro del Paese, non per decidere nomi o leader, l’ultimo dei problemi. Faccio un appello a tutti gli italiani: iscrivetevi al Pd”. Al di là di appelli che lasciano il tempo che trovano, la cosa curiosa è che i renziani, tranne quelli più assatanati, invece di attaccare Zingaretti (“Lui lavora per tenere unito il partito” dicono) se la prendono con Franceschini che invece “cerca lo scontro”. Ne hanno, in realtà, ben donde. Franceschini – dopo essere passato, senza soluzione di continuità da Veltroni a Bersani e poi a Renzi, come una sorta di Tarzan della politica che salta, con metodo scientifico, da una maggioranza all’altra – ha deciso che è ora di appoggiare ‘Zinga’. Ieri, peraltro, l’ex ministro – penalizzato nella formazione delle liste da Renzi – si è tolto vari sassolini dalle scarpe, chiudendo Cortona: “Dobbiamo entrare nelle contraddizioni di Lega e M5S, avremmo dovuto fare di più per evitare questa alleanza populista, invece abbiamo buttato il M5S in mano a Salvini. Di fronte a quanto accade – conclude Franceschini con chiara stoccata a Renzi, che non nomina mai, ma a cui rimprovera tutto, a partire dall’idea di un partito “tutto azione e zero pensiero, legato solo al destino di un uomo” – non si può mangiare pop-corn, i pop-corn sono finiti”.

 

Zingaretti, peraltro, sostiene le stesse tesi, anche se con più furbizia: nega di volersi alleare con i 5Stelle (“Io li ho sconfitti due volte”, ricorda, “in Lazio”), ma di voler ‘solo’ prenderne i voti, dice di voler “allargare il perimetro delle alleanze” (traduzione: riconnettersi ai cugini di Leu) e di voler promuovere “alleanze larghe, anche alle Europee, che servono come il pane”, senza cioè liquidare Macron&co. Ovviamente, Zingaretti vuole “tagliare netto” con il passato, invoca “meno autoreferenzialità, più collegialità” (altra stoccata a Renzi), ma assicura di non voler cambiare nome al Pd. Nettare per le orecchie della sinistra interna e amaro fiele per quelle renziane. Il guaio dell’area ancora guidata da Matteo Renzi – forte nei gruppi parlamentari, sempre più debole nel partito – è che non ha un nome forte da contrapporre a Zingaretti. Delrio non vuole sapere, il segretario della Fim-Cisl, Marco Bentivogli, smentisce “anche solo di starci pensando”, un’altra sindacalista, ex-Cgil, Teresa Bellanova, è ritenuta “brava, ma poco nota”, dicono i renziani, e Roberto Giachetti è giudicato “troppo indipendente” dai medesimi.

 

E dunque? Renzi potrebbe accarezzare, per paradosso, l’idea della fondazione di un altro, nuovo, partito, ‘centrista’, ‘blariano’, ‘macroniano’ che, a quel punto, potrebbe persino “agevolmente”, dice un big renziano, allearsi “con un Pd che torna, legittimamente, a essere il Pds-Ds che fu”. Al netto del fatto che sarà, appunto, Zingaretti a vincere il congresso. Anche l’attuale segretario, Maurizio Martina, sembra infatti pronto ad appoggiarlo e pure mezzo (ex) governo, Gentiloni in testa.

 

NB: Questo articolo è stato pubblicato il 3 settembre 2018 sulle pagine di Quotidiano Nazionale.