Primarie Pd. Minniti balla da solo: “Sono e sarò autonomo da Renzi”. Pronto anche Martina. Tutti i candidati in campo

Primarie Pd. Minniti balla da solo: “Sono e sarò autonomo da Renzi”. Pronto anche Martina. Tutti i candidati in campo

19 Novembre 2018 0 Di Ettore Maria Colombo

Pubblico, in forma ampliata, l’articolo uscito oggi, 19 novembre 2019, sul Quotidiano Nazionale sulle primarie del Pd.

 

Pronti, via. Con Minniti in campo si apre ufficialmente la corsa alle primarie. 

 

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I possibili candidati alle primarie del Pd

I candidati alle prossime primarie del Pd sono quasi tutti noti. Manca solo, tra i “Magnifici Sette” (perché tanti sono), Maurizio Martina, che però, scioglierà la riserva, in positivo, oggi. E, ad ora, sono, appunto, ben 7 (sette). Trattasi – nell’ordine di apparizione, cioè di candidatura ufficiale, di Nicola Zingaretti (sinistra dem), Matteo Richetti (ex renziano sempre ‘atipico’ e in rotta con Renzi), Francesco Boccia (area Emiliano), Cesare Damiano (Laburisti dem), Dario Corallo (giovane outsider che proviene dalla base del Pd), Marco Minniti (appoggiato dai renziani) e Maurizio Martina, che sarà appoggiato dai Giovani Turchi, area Delrio e area Cuperlo.

Non una donna figura tra loro e, anche se dopo il primo giro (quello tra gli iscritti), ne resteranno in campo solo tre (Zingaretti, Minniti e Martina, a naso), al secondo giro, quello aperto a tutti gli elettori, la sfida sarà fratricida ma, forse, neppure quella sarà davvero risolutiva. Infatti, se nessuno dei primi tre candidati raggiungerà il 50,1% dei voti del voto popolare – che sarà fissato con ogni probabilità fissato al 3 marzo 2019 (ma sia Martina che Zingaretti vorrebbero anticipare la data almeno a metà febbraio, il problema è che, a febbraio, si vota in ben due regioni: Sardegna e Basilicata), il segretario non uscirà dalle primarie, ma dal voto ‘di secondo grado’ dei mille delegati della nuova Assemblea Nazionale quando questa si riunirà per la prima volta.

E dato che il voto dei delegati è legato a quello delle diverse correnti grazie alle quali verranno eletti, sulla base di listini bloccati con sistema proporzionale e sia pur collegati ai vari candidati, l’ipotesi che la prima Assemblea del nuovo Pd si trasformi in un drammatico parapiglia o, peggio, in una bolgia infernale, è concreto. A tal punto che l’ultimo candidato in ordine temporale, Minniti, prova, con piglio cavalleresco, a scongiurare: “voglio che qualcuno vinca alle primarie col 51%, anche se non fossi io. Eleggere un segretario in Assemblea sarebbe una sconfitta per tutti”.

In più, sempre Minniti, che ieri si è lanciato ufficialmente con una doppia intervista (la prima al gruppo editoriale Repubblica-L’Espresso – una di quelle scelte che gli altri gruppi editoriali e relativi giornalisti se la segnano a dito e che non depone certo a suo favore – e la seconda a Lucia Annunziata, nella trasmissione “In mezz’ora” andata in onda su Rai 3), ha fatto un’altra proposta molto friendly verso i suoi competitor: “Propongo a tutti i candidati di non aprire autonomi comitati elettorali ma di prenderci, ognuno di noi, una stanza al Nazareno, per poterci incontrare e salutare ogni giorno, senza polemiche. Di certo, questo lo garantisco, nessuno dei miei contendenti sarà il mio avversario, ma solo il mo concorrente”.

Inoltre, Minniti ha provato ad allontanare da se stesso due ‘ombre’ che gravano sulla sua candidatura: una è, ovviamente, quella di Matteo Renzi (Io – scandisce – sono Marco Minniti. Penso di aver dimostrato, negli anni, di avere una capacità di autonomia politica e una cosa che non si può dire è che io non abbia dimostrato di avere carattere”: traduzione, non sono il candidato di Renzi), l’altra è quella di Massimo D’Alema (“Ci lega un’antica amicizia, ma politicamente siamo e restiamo molto distanti”).

 

2. Ancora in forse la candidatura di Martina ma dovrebbe arrivare oggi. 

 

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Il segretario del Pd Maurizio Martina

Un fair play, quello di Minniti, destinato a durare poco, nei prossimi mesi. La sua candidatura è stata accolta da molte ovazioni di giubilo, anche se forse eccessive, perché arrivate solo dalla galassia dei renziani. Certo, l’appoggio delle falangi renziana è di quelli pesanti, a testuggine: 551 le firme di sindaci che tifano per Minniti, raccolte dal renzianissimo sindaco di Pesaro, Matteo Ricci, e ben 100 le firme dei parlamentari (70 deputati e 30 senatori) che il ‘solito’ Lorenzo Guerini – non a caso detto “il Forlani di Renzi” – aveva in tasca da mesi. Altre firme di peso si dovrebbero aggiungere, a partire da quelle di almeno due governatori (due su quattro: quello della Campania, Vincenzo De Luca, e quello della Calabria, Mario Oliviero; invece quello del governatore del Piemonte, Sergio Chiamparino, ancora non si è espresso e il governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, è ancora in forse ma – si dice – potrebbe abbandonare Renzi e i renziani per schierarsi con Zingaretti)-  e ieri è arrivato anche l’endorsment dell’ex ministro Carlo Calenda. Ma Minniti deve ancora dimostrare di avere un buon appeal non nella cerchia ristretta dell’apparato, ma tra quella, ben più vasta, degli elettori. A renderlo più appetibile al grande pubblico (per dire: non solo Minniti non ha profili su nessun social, ma si fa anche un vanto di non averli…) lavorerà a testa bassa la sua squadra, tutta composta da ex dalemiani (da qui la voce che D’Alema possa appoggiarlo): Nicola Latorre e Achille Passoni ne sono i coordinatori, più il campano Enzo Amendola e il toscano Andrea Manciulli.

 

Anche Martina – che, appunto, dovrebbe lanciarsi oggi – proporrà la sua come candidatura “di servizio” e un “gioco di squadra”, con l’appoggio di tre correnti: i Giovani Turchi di Orfini, l’area di Graziano Delrio e quella di Gianni Cuperlo (Sinistra dem). La sinistra interna al Pd, infatti, si è spaccata: Cuperlo andrà con Martina, Orlando con Zingaretti. Il quale Zingaretti è in campo già da molti mesi, ha una sua corrente e gode già del sostegno di molti big ex ministri nei governi Renzi: Gentiloni, che è anche un ex premier, Fassino, Franceschini, Pinotti, Orlando finanche l’ancora oggi “lady Pesc“, Federica Mogherini. Come pure correranno, come si sa, acnche Boccia, Richetti, Damiano e Corallo.

 

3. Ma cosa farà Renzi? Per ora pensa solo al sogno di un nuovo partito…

 

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L’ex premier ed ex leader del Pd Matteo Renzi

Ma cosa farà Renzi? Appoggerà davvero Minniti che ha rifiutato, con durezza, il ticket che l’ex leader gli aveva proposto, e cioè di essere affiancato dalla ‘sua’ ex cigiellina preferita Teresa Bellanova? . L’ex premier pensa solo al suo ‘nuovo partito’ o, meglio, ai suoi “Comitati civici” contro il governo gialloverde, i cui contorni aveva già delineato all’ultima Leopolda. Renzi è convinto che “bisogna lavorare sulla società civile”, compito che, per lui, “il Pd non è più in grado di fare”. La rete di ‘comitati civici’, tecnicamente in mano a Sandro Gozi e Ivan Scalfarotto, che sarebbero già “centinaia” e che, a gennaio, terranno la loro prima Assemblea nazionale, sembra la costituzione in nuce di un nuovo partito e Renzi, in questi giorni, non ha detto nulla (né smentito) chi lo ha scritto. E anche se fosse vero che il partito in nuce“ non sarà mai in competizione o ostile al Pd”, come assicurano i suoi e, soprattutto, chi ci lavora, la loro dead line è già le Europee, perché “la missione del Pdi è finita, bisogna andare oltre”.


NB: Questo articolo è stato pubblicato il 19 novembre 2018 a pagina 4 del Quotidiano Nazionale.