“E allora il Pd?!”. Zingaretti propone nuovo simbolo e nuove alleanze. I dem ‘tentati’ da un governo con i 5Stelle

“E allora il Pd?!”. Zingaretti propone nuovo simbolo e nuove alleanze. I dem ‘tentati’ da un governo con i 5Stelle

11 Gennaio 2019 0 Di Ettore Maria Colombo

Pubblico un articolo sul Pd, dalla proposta di Zingaretti di un nuovo, possibile, nuovo nome e simbolo al partito fino alla nascita di un’inedito asse Pd-M5S che, dalle manovre in Parlamento sui quorum del referendum, possa farsi governo. 

Zingaretti propone nuovo simbolo e nuove alleanze per il Pd. I dem ‘tentati’ da un asse con i 5Stelle che può diventare governo.

 

Dietro la proposta ‘aperturista’ (il simbolo del Pd “non è un dogma”, lista “unitaria e aperta” alle elezioni europee) del principale candidato alle primarie del Pd, Nicola Zingaretti, oggi ancora – ma per quanto ancora? – governatore del Lazio, c’è molto di più di quanto non appaia. Infatti, il tema – che fino a ieri appariva peregrino, anzi veniva nettamente smentito da quasi tutti i principali candidati alle primarie dem – di un rapporto ‘sfidante’ con i 5Stelle, fino alla possibilità di farci, se non una vera e propria alleanza, un ‘governo di salvezza nazionale’ insieme, una volta che, presto o tardi, l’attuale maggioranza gialloverde entrerà in crisi, sta tornando di pressante attualità e fa sempre più proseliti, tra i maggiorenti del Nazareno. Come dimostra anche lo ‘scambio di cortesie’ tra Pd e M5S a livello parlamentare su un tema assai caro ai grillini, quello della democrazia diretta. Ma meglio andare per ordine e mettere in fila i fatti.

Nicola Zingaretti ed il fratello Luca

Nicola Zingaretti ed il fratello Luca, attore

 

Dopo un discreto silenzio e dopo, anche, una sostanziale coltre di nebbia sulla sfida interna in vista delle primarie dem – tema di cui, ormai, la grande stampa neppure si occupa più – Zingaretti, oggi, è tornato a battere un colpo con un’intervista rilasciata al quotidiano romano Il Messaggero. Due, appunto, le novità offerte dal candidato ad oggi più forte, in vista delle primarie del 4 marzo. La prima riguarda il nome (e, di conseguenza, il simbolo) del Pd che, dice ‘Zinga’, “non è un dogma” e, quindi, non è neppure detto che comparirà, alle prossime elezioni europee del 26 maggio, quando i dem si presenteranno, invece, con una lista “unitaria e aperta” di forze che si richiamano ai valori dell’europeismo. La ‘P’ verde e la ‘D’ bianca corrono il rischio di scomparire dalla scheda, all’apparenza, dunque, e senza grande rammarico da parte di chi il 4 marzo potrebbe essere alla guida del partito. Il governatore del Lazio e candidato alla segreteria del partito dice chiaramente che, per le Europee, “dovremo costruire una nuova piattaforma per cambiare l’Europa”. Per Zingaretti, “serve una lista forteunitaria e aperta: dobbiamo aprirci e allargarci, aggregare forze culturalieconomiche e sociali perché c’è un’Europa da rifondare”. Il ruolo del Pd dovrebbe quindi essere quello di farsi “promotore” di una lista ampia “con il protagonismo degli intellettuali del mondo della ricerca e della scuola, del mondo del lavoro, dei giovani e dell’associazionismo”.

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Il segretario del Pd Maurizio Martina

Una proposta su cui, da tempo, è d’accordo anche lo stesso Maurizio Martina, il principale competitor di Zingaretti alle primarie, il quale – in un’intervista di un paio di settimane fa data a Quotidiano Nazionale – già aveva proposto una soluzione di questo tipo su entrambe le direttrici (nome e simbolo nuovi, lista unitaria e aperta). “Sì a una lista aperta che si rivolga ai tanti democratici e riformisti alle Europee” risponde Maurizio Martina, intervistato dall’agenzia Agi. Poi aggiunge: “Per le europee, che coincideranno tra l’altro anche con il voto in tanti comuni dobbiamo promuovere una lista aperta che si rivolga ai tanti democratici e riformisti che vogliono battersi per la nuova Europa. Per me non si tratta di rinunciare al simbolo del Pd ma di concorrere a una proposta più larga. So che Carlo Calenda insieme a tanti altri sta lavorando a un Manifesto di progetto e guardo con molto interesse a questo sforzo. Aspettiamo di conoscerne i contenuti ma è di certo una prospettiva interessante”.

paolo_gentiloni

L’ex premier Paolo Gentiloni

 

Prima, però, per Martina, il Pd deve riorganizzarsi: “Le nostre regole interne devono cambiare” e “deve essere superato il doppio ruolo segretario-candidato premier”. “Intanto dico che – sostiene Martina – serve un segretario che faccia solo il segretario e non abbia altri incarichi perché questo lavoro deve essere fatto sette giorni su sette. Poi il Pd deve cambiare, a cominciare dal dare più peso con i referendum interni sulle scelte più importanti agli iscritti. Poi bisogna fare un grande lavoro sui territori per coinvolgere nuove energie e valorizzarle, a partire dalla presenza di giovani e donne nelle nostre liste”. Progetti e idee non tanto dissimili da quelli di Zingaretti, il quale, non certo a caso, ha già proposto (e, di fatto, ha già ottenuto il suo silenzio-assenso) che l’ex premier, Paolo Gentiloni, assuma la carica di presidente del ‘nuovo’ e rinnovato Pd proprio con il fine di scindere, una volta per tutte, segretario e candidato premier.

Matteo Richetti

Matteo Richetti

Anche Matteo Richetti, che oggi appoggia Martina, ‘apre’, pur se moderatamente, all’idea di Zingaretti: “Per me il Pd è un patrimonio di cui andare orgogliosi, ma come con l’Ulivo nel dare forma alla coalizione ci fu una gradualità anche rispetto alla presenza dei partiti, credo si possa immaginare un simbolo nuovo che contenga le forze politiche che lo compongono, ma non solo”, spiega Richetti, precisando che il nuovo simbolo “va di pari passo con il progetto: se il progetto è nuovo e ampio sarebbe improbabile pensare a non modificare e innovare la forma oltre che la sostanza”.

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L’ex ministro allo Sviluppo economico Carlo Calenda

L’idea (ri)lanciata da Zingaretti “non dispiace” all’ex ministro Carlo Calenda il quale lesto annuncia di essere “pronto” di candidarsi alle Europee, sogno che coltiva da tempo e qualsiasi segretario dovesse vincere le primarie: “Rispondo di sì, ma al momento non voglio dire di più. La questione se insieme al nome della lista, rimangano o meno i simboli dei partiti che la comporranno non mi appassiona. Importante è che sia una lista unitaria di forze europeiste”.

Francesco boccia

Francesco Boccia

E anche se il terzo candidato oggi più accreditato nei sondaggi interni, Francesco Boccia, forte di un buon 16%, dice di “tenere molto” al nome e al simbolo del Pd, ove arrivasse davvero terzo potrebbe essere proprio lui, Boccia, l’ago della bilancia utile a far pendere la maggioranza interna congressuale verso Zingaretti: infatti, ove nessuno dei tre principali sfidanti raccogliesse, nelle primarie aperte del 4 marzo, il 50% dei voti, sarebbe dentro l’Assemblea nazionale che si aprirebbero, a quel punto, i giochi per eleggere il nuovo segretario. E, guarda caso, Boccia – sul punto del dialogo con i 5Stelle – la pensa proprio come Zingaretti, e come tutti i suoi, per non di dire di Mdp di Speranza e Bersani o D’Alema che, ri-guarda caso, vogliono che l’intero centrosinistra assuma un atteggiamento ‘sfidante’ verso l’M5S. Fino, appunto, a farci un governo insieme? Ci pensano, ormai da tempo, a tale prospettiva, sia da fuori il Pd (Mdp e altri) che dentro. I vari Franceschini, Orlando, lo stesso Gentiloni, e pure Cuperlo che la ‘sfida’ del governo insieme la teorizza in pubblico.

 

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Il Transatlantico di Montecitorio

 

Perché dietro, appunto, c’è molto altro. Il Pd si rende conto che gli scricchiolii presenti nella maggioranza gialloverde sono destinati ad aumentare e la tensione tra i vicepremier, Salvini e Di Maio, è sul punto di esplodere. Ma non potendo, ovviamente, il Pd  giocare di sponda con la Lega – anche se proprio domani, sabato, Pd e Lega saranno fianco a fianco nella manifestazione ‘Si Tav’ organizzata a Torino – non resta, per rientrare dalla porta principale nel Grande Gioco della Politica, e del Potere, che tentare di creare un asse con i 5Stelle. Due i segnali più importanti lanciati dal Pd in questi giorni.

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Tunnel della TAV

 

Il primo arriva a livello di strategia parlamentare. Il Pd ha furbescamente – ma c’è anche chi dice ‘sciaguratamente’ – proposto un emendamento, a prima firma Stefano Ceccanti, che ha portato ‘da zero’ al 25% la soglia di accesso affinché un referendum propositivo – uno dei vari e più pregiati pezzi del ‘pacchetto Fraccaro’ di riforme costituzionali – possa essere valido. Una scelta di dubbia ragionevolezza, e forse sciagurata, che i pentastellati hanno subito accolto, votando sì, anche se per ora solo in commissione Affari costituzionali, alla norma avanzata da Ceccanti.

E così, al di là delle perplessità dei tanti costituzionalisti e giuristi – di cui, fino a ieri, il Pd si faceva alfiere e paladino – che ritengono ‘una follia giuridica’ permettere di avere dei quorum così bassi per referendum che potrebbero minare il tessuto stesso della Costituzione, oltre che di un corretto rapporto tra popolo e Parlamento, resta il punto politico.

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Il costituzionalista e deputato del Pd Stefano Ceccanti

 

Il Pd ha deliberatamente giocato di sponda con l’M5S, traendolo d’impaccio anche dall’ostilità manifesta della Lega a far incardinare ‘per davvero’, in Parlamento, il ‘pacchetto Fraccaro’. Il secondo punto è tutto politico. Il Pd vuole ‘aprire’ ai 5Stelle nella prospettiva di un governo ‘insieme’. Si dice che persino Renzi, pur se in posizione sempre più defilata, rispetto al Pd, e con la testa ormai rivolta altrove (se a fondare un nuovo partito o solo a ‘godersi lo spettacolo’ da fuori ancora non si capisce bene) non vedrebbe più di cattivo occhio un governo che potrebbe nascere sull’asse M5S-Pd oltre che, ovviamente, sulle macerie dell’asse Lega-M5S. Presumibilmente dopo le elezioni europee quando le tensioni, dentro la maggioranza di governo, potrebbero esplodere in via definitiva. E dato che Mattarella farebbe di tutto pur di evitare di portare il Paese a elezioni anticipate, la ‘strada maestra’ di Salvini, ma non certo quella di Di Maio, un nuovo governo potrebbe nascere solo con due, ben diverse tra loro, maggioranze politiche: una di centrodestra, ma che dovrebbe essere supportata da un numero di transfughi pentastellati altissimo (circa 50 alla Camera e almeno 20 al Senato), numero ad oggi impensabile che Lega e FI possano trovare, o sull’asse M5S-Pd.

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L’ex leader del Pd, Matteo Renzi

 

E proprio questa potrebbe essere l’impervia via, e l’ardua scommessa, su cui il gruppo dirigente democrat – chiunque vinca il congresso, ma di certo e a maggior ragione se fosse Zingaretti – si appresterebbe ad acconciarsi, pur di rientrare in gioco. Naturalmente, a una maggioranza del genere, basterebbe che venissero a mancare solo una manciata di senatori dem (lo zoccolo duro dei renziani, per dire) per farla morire sul nascere, ma – in uno scenario forse fantapolitico, forse no – lo stesso Renzi potrebbe dare il suo placet. Magari per poter dire, a breve distanza e/o subito dopo che tale governo implodesse, il più classico degli ‘ve lo avevo detto, io’, o anche solo per prendere la palla al balzo e provocare la scissione nel Pd al grido di ‘noi con i 5Stelle? Mai!’. In ogni caso, solo alle europee il quadro sarà chiaro.


 

NB: Questo articolo è stato pubblicato sul sito di notizie spraynews.it