Abruzzo, vince il centrodestra, crolla l’M5S. Il centrosinistra è vivo, il Pd no. L’analisi del voto

Abruzzo, vince il centrodestra, crolla l’M5S. Il centrosinistra è vivo, il Pd no. L’analisi del voto

11 Febbraio 2019 0 Di Ettore Maria Colombo

Elezioni in Abruzzo: vince il centrodestra, crolla l’M5S. Il centrosinistra è vivo, il Pd no, solo il “modello Legnini”. Un’analisi

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Il logo elettorale dell’M5S

Tonfo dell’M5S, netta affermazione del centrodestra, che incassa un’altra regione (quattro in meno di un anno, dopo il Molise, il Friuli-Venezia Giulia e la provincia di Trento, oggi il centrodestra governa, quindi, in ben 9 regioni), ‘finto’ recupero del centrosinistra che resta a galla solo grazie all’ottimo risultato del candidato presidente,Legnini – secondo, dopo il vincitore, e neo-governatore, Marco Marsilio, ma con la lista del Pd ridotta ai minimi termini. Questo, in estrema sintesi, il risultato delle elezioni regionali in Abruzzo che si sono tenute ieri, 10 febbraio.

Ma vediamo, più nel dettaglio, come è andato il voto e che indicazioni offre a livello nazionale, pur tenendo presente che sempre di un’elezione regionale, appunto, si tratta.

Affluenza in netto calo, in voti assoluti

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Un’urna delle elezioni regionali

Partiamo dal dato dell’affluenza, che pure meriterebbe molte considerazioni a parte. Alle regionali di ieri ha votato il 53,1% degli aventi diritto, meno otto punti (8,4%per la precisione) rispetto a cinque anni fa (votanti al 61,55%), quindi appena un filo sopra la metà degli elettori. Segno, anche questo, di una forte disaffezione dei cittadini.

“Si conferma, cioè, – spiega Federico Fornaro (capogruppo di LeU alla Camera e soprattutto attento osservatore e studioso dei fenomeni elettorali) – la crescita di una modalità di non voto, ovvero l’astensionista intermittente che si reca ai seggi solamente per le elezioni politiche. Rispetto alle elezioni politiche dello scorso anno, infatti, ci sono stati 143.000 votanti in meno mentre in confronto alle regionali del 2014 (che si svolsero in concomitanza con le elezioni europee) il calo è stato di 102.000 votanti”.

A causa della diversa platea degli aventi diritto al voto (negli elenchi degli elettori delle regionali sono iscritti d’ufficio anche gli italiani residenti all’estero che nelle politiche, invece, sono inseriti negli elenchi delle circoscrizioni estero) l’unico confronto in percentuale corretto è, quindi, quello tra le regionali del 2019 e del 2014: il dato è, appunto, – 8,5% (dal 61,56% al 53,11%).

Analisi numerica dei voti in termini assoluti

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Il neo-governatore, Marco Marsilio

Il neo-governatore, Marco Marsilio (FdI, primo governatore di regione che il partito di Meloni può vantare), prende il 48.0% (299.949 voti) grazie a un vero exploit della Lega di Salvini (27,5%, 165.008 voti e dieci seggi in consiglio regionale), una flessione, pesante, di FI (9,0%, 54.223 voti, appena tre seggi), un’ottima affermazione di FdI (6,5%, 38.894 voti e due seggi), più altre liste minori, tra le quali spicca quella neo-centrista (Udc-Dc-Idea) che raccoglie il 2,9% (17.308 voti assoluti e 1 seggio), mentre un seggio va alla lista locale di Azione Politica (3,2%). Il centrodestra, tra l’altro, supera agevolmente il 50% dei voti in ben due provincia su quattro: L’Aquila e Teramo.

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Giovanni Legnini

Il candidato del centrosinistra, Giovanni Legnini, ottiene il secondo posto, con il 31,3% (195.394 voti assoluti), ma è un risultato quasi esclusivamente personale, dovuto alla forza della sua candidatura e ai molti candidati e liste. Infatti, il Pd crolla a un misero 11,1% (66.769 voti e solo tre seggi), mentre vanno molto bene le liste locali che appoggiavano Legnini: la lista Legnini presidente prende 33.277 voti (5,6%e un seggio), Abruzzo in comune 23.168 voti (3,9%, un seggio), Abruzzo insieme 16.055 voti (2,7%, zero seggi). Malino, invece, vanno anche le liste ‘politiche’ collegate a Legnini: LeU (2,8%,16.614 voti, zero seggi), Centro democratico (2,4%,14.198 voti, zero seggi), Centristi per l’Europa (1,3%,7.938 voti, zero seggi), Avanti Abruzzo-Idv (0,9%,0 seggi).

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Sara Marcozzi (M5S), candidata presidente alle Regionali in Abruzzo

Ma il tonfo vero lo registra l’M5S: la candidata presidente, Sara Marcozzi, si ferma al 20,2% (126.165 voti assoluti), peggio fa la lista pentastellata, inchiodata sotto il 20%(19,7%,118.287 voti, anche se in Consiglio conta 7 seggi).

Solo lo 0,5%, infine, racimola Stefano Flajani, candidato di Casa Pound (0,4% la lista). 

“I risultati finali delle regionali 2019 possono essere messi, ovviamente, ma con qualche accortezza, a confronto con le politiche 2018 e le precedenti elezioni regionali del 2014”, rileva Fornaro. Il centrodestra passa dai 202.000 voti del 2014 ai 270.000 del 2018 per arrivare ai 300.000 di domenica scorsa, con un trend di crescita costante e assai consistente. Specie se si considera che 5 anni fa la Lega non si era presentata e nello stesso giorno alle europee aveva ottenuto un magro bottino dell’1,5%.

Dal canto suo, il centrosinistra– che aveva vinto le regionali del 2014 con 320.000 voti, era già crollato alle politiche 2018 a 154.000 voti (Pd più alleati 134.000 e Leu 20.000) – con Legnini Presidente risale a 195.000 voti, in aumento di 41.000 voti.

Il Movimento 5 Stelle, invece, era stato il trionfatore delle politiche dello scorso anno con 303.000 voti. In un anno perde ben oltre la metà dei voti (126.000 nelle regionali 2019 con una perdita di 177.000 consensi) e scende anche sotto il dato assoluto del 2014, quando aveva ottenuto 148.000 voti.

“In attesa di analisi puntuali sui flussi, è già possibile ipotizzare, con questa analisi sui voti assoluti, che i 177.000 voti in uscita dal M5S siano andati in larga maggioranza verso l’astensione e in quote minori al centro-destra (Lega) e al centro-sinistra (liste civiche)”, è la prima considerazione, sempre puntuale, di Federico Fornaro.

Nella coalizione di centro-destra all’avanzata della Lega (circa 59.000 voti in più rispetto alle politiche 2018) fa da contro altare il dimezzamento dei consensi a Forza Italia (meno 56.000 circa), mentre Fratelli d’Italia, nonostante il traino del candidato Presidente, Marsilio, cresce solo di 1.000 voti.

Confermano i voti anche i centristi dell’Udc (più 500 voti), mentre sono solamente aggiuntivi, rispetto al perimetro della coalizione delle politiche, i 19.500 voti della lista “Azione Politica”. La presenza di una pluralità di liste civiche rende invece oggettivamente difficile l’analisi del comportamento elettorale all’interno del centrosinistra.

Il Pd passa dai 108.500 voti del 2018 a poco meno di 67.000 (regionali 2019), un vero salasso, e soprattutto dimezza i suoi voti rispetto ai 171.500 voti presi alle regionali 2014.

L’analisi politica del voto per ognuno dei tre schieramenti in campo

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I due vicepremier del governo Conte, Salvini e Di Maio

Politicamente, e sempre detto in estrema sintesi: Salvini raddoppia i suoi voti, Di Maio li dimezza, Legnini resuscita il centrosinistra, ‘nascondendo’ il crollo della lista del Pd. L’Abruzzo, quindi, dopo il primo anno di governo gialloverde, diventa ‘sovranista’. Un dato storico per una regione che è sempre stata un bacino di voti ‘bianchi’, feudo dei democristiani Remo Gaspari e Roberto Natali, conservatrice nello spirito e poco avvezza alle avventure. E dove, anche nella Seconda Repubblica, le elezioni si sono sempre vinte ‘al centro’, grazie al consenso dei moderati.

Il dato, a livello nazionale indica, dopo mesi di sondaggi, un clamoroso ribaltamento dei rapporti di forza rispetto alle Politiche del 4 marzo 2018. La Lega, appunto, raddoppia i suoi voti, passando dal 13,8% di un anno fa al 27,3%.

I Cinque Stelle li dimezzano, crollando dal 40% (oltre il doppio della Lega un anno fa) al 20%. Salvini mette in risalto la forza del suo partito nelle urne, ma non passa subito all’incasso: non chiede un rimpasto, né ministri, anzi: rassicura l’alleato di governo, i 5 Stelle, dicendo che non ha nulla da temere e che non cambia nulla.

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I simboli elettorali di Lega e M5S ‘in combo’

 

Ma la notizia è, appunto, la crisi dei Cinque Stelle che perdono le elezioni dopo una campagna gestita in prima persona dai loro leader nazionali, che proprio dall’Abruzzo hanno impresso una torsione ‘di lotta’ all’azione politica del Movimento su Tav, Diciotti, Macron, gilet gialli, etc. Sconfitta ancora più significativa, quella dei 5Stelle, perché arriva dopo il varo della “madre di tutte le misure” fatta apposta per il Sud, il reddito di cittadinanza. E poco importa che l’Abruzzo stia, per geografia, nel Centro Italia: sempre una regione del Sud, per debolezza dell’economia interna e alto tasso di disoccupazione, resta.

Certo, storicamente il Movimento è sempre stato più debole alle amministrative rispetto alle politiche ed ha già dimostrato di non essere ‘concorrenziale’ in Molise Friuli, dove non è stato percepito come forza di governo (locale) credibile. Ma se, proprio in Abruzzo, nel 2014, nello stesso giorno l’M5S prese il 29% alle Europee e il 21% alle regionali (sempre con Sara Marcozzi candidata), questo è il primo test che arriva con l’M5S al governo. Peraltro, non solo la Marcozzi non migliora quel risultato di 5 anni fa, ma lo peggiora. E l’M5S paga la scelta di ‘politicizzare’ il voto in Abruzzo, come se fosse un test nazionale, scelta fatta da parte di Di Maio, sceso in campo in prima persona.

“Per i Cinque Stelle – commenta Fornaro – dall’Abruzzo arrivano, dunque, brutte notizie perché anche la linea del Piave (il confronto omogeneo regionali con regionali) vede uno sfondamento  in negativo (meno 22.000 voti con un calo dell’1,2%) e non serve neppure più di tanto ricordare che nel 2014, nello stesso giorno l’M5S aveva ottenuto il 29,7% alle europee e il 21,4% alle regionali, a dimostrazione di una oggettiva difficoltà nelle consultazioni regionali a turno unico in ragione della scelta ‘isolazionista’ e acoalizionale”.

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Silvio Berlusconi e Matteo Salvini

La più grande svolta a destra nelle amministrative degli ultimi anni, con la conquista della maggioranza assoluta, è trainata, dunque, dai partiti ‘sovranisti’. La Lega vola al 27%, Giorgia Meloni, altra vincitrice della competizione al 6,5%. Assieme fanno il 33,5%, mentre FI non arriva al 10%, e rappresentano una vocazione maggioritaria che segna, di fatto, la nascita di un nuovo centrodestra. Anzi di una ‘nuova destra’ che archivia definitivamente la vecchia coalizione, guidata da FI. Quattro anni fa, la Lega in Abruzzo neanche si presentò. Alle scorse politiche l’intero centrodestra prese il 35%,con Forza Italia che, con il 15%, era comunque il primo partito. Adesso il partito di Berlusconi scende sotto il 10%. L’Abruzzo –  e probabilmente lo dirà anche la Sardegna il 24 febbraio e, forse, la Basilicata il 24 marzo – certifica che il Parlamento non è più specchio del Paese, nel senso che non fotografa più i reali rapporti di forza dell’elettorato.

Il test, per quanto locale, rappresenta, invece, potrebbe trattarsi, con questo voto, del preludio delle europee del 26 maggio, quando il leader della Lega punta a prosciugare gli ‘alleati’ del centrodestra che fu e gli ‘alleati’ del governo di oggi. La vittoria di Salvini e della Meloni è, dunque, una vittoria che ‘prescinde’ Berlusconi, anzi quasi lo archivia.

“In definitiva – spiega sempre Federico Fornaro – rispetto alle attese della vigilia, la vittoria del centrodestra è stata più ampia delle previsioni in termini percentuali, mentre la Lega conferma i sondaggi degli ultimi mesi che la vedono stabilmente come primo partito, ampiamente sopra il 30%”.

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Giovanni Legnini, ex vice presidente del Csm e candidato alle regionali in Abruzzo

Infine, per la prima volta dal 4 marzo 2018, “torna” il centrosinistra. Ma è Legnini che lo resuscita, superando il 30% dei consensi. Un risultato impensabile fino a pochi mesi fa. Ma resuscita il centrosinistra, non il Pd. Un anno fa il Pd era al 14% e il centrosinistra nel suo complesso al 17%. È la (semi) vittoria, perciò, di un nuovo modello Abruzzo che rappresenta, però, un’indicazione a livello nazionale. Quello di Legnini è un esperimento che archivia l’autosufficienza di questi anni, la vocazione minoritaria, con una coalizione, per la prima volta, non più Pd-centrica. Anzi che ‘nasconde’ il Pd, nell’ambito di una più larga alleanza di liste di ispirazione civica e di ‘amministratori’. È una indicazione che vale anche in vista del congresso del Pd. Ancora non una alternativa compiuta, ma sicuramente un segnale di vita.

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Il simbolo del Pd

“Dall’Abruzzo – è il commento di Fornaro – arriva un segnale positivo per i sostenitori di un centrosinistra inclusivo e aperto sia al civismo sia alla sinistra oltre il Pd, mentre per quest’ultimo vengono confermati i problemi legati al suo logoramento, manifestati già lo scorso anno”.

L’esperienza di governo, dunque, – conclude la sua analisi, che sottoscriviamo, Fornaro – sembra premiare la Lega e penalizzare il M5S mentre per la costruzione di un’alternativa progressista la strada appare ancora lunga, anche se qualche segnale al futuro segretario del Pd, sulla direzione di marcia da seguire, dall’Abruzzo è arrivato”.


NB: Questo articolo è stato pubblicato, in forma più ridotta, l’11 febbraio 2019, sul sito di notizie spraynews.it