Sindacati e imprenditori uniti in piazza contro il governo Conte. Un’analisi

Sindacati e imprenditori uniti in piazza contro il governo Conte. Un’analisi

10 Febbraio 2019 0 Di Ettore Maria Colombo

Sindacati in piazza, e anche uniti, non è una novità. Ma stavolta lo fanno con gli imprenditori contro il governo

 

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Maurizio Landini, ex segretario della Fiom-Cgil

 

“Il governo cambi marcia” e “ascolti questa piazza, se ha ancora un briciolo di intelligenza”. “Incontrano i gilet gialli e non trovano il tempo per vedere noi” (Landini). “Il governo esca dalla realtà virtuale” (Furlan). “Questo è il governo del cambiamento, sì, ma in peggio!” (Barbagallo).Leit motiv: “Serve una scossa sui temi del lavoro”. Oggetto del contendere: manovra economica (“sbagliata”), reddito di cittadinanza (“un errore”) e quota cento (“un azzardo”).

 

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Carmelo Barbagallo

 

Ecco alcuni degli slogan da comizio sentiti, ieri, in piazza San Giovanni, durante il corteo e il comizio dei sindacati. I sindacati (ri) discendono in marcia contro il governo. La notizia, si potrebbe anche dire, è una ‘non’ notizia perché, in Italia, da quando mondo è mondo, e a prescindere dalla numerazione delle ‘Repubbliche’, il gioco delle parti è questo: i governi si susseguono e i sindacati scendono in piazza contro di essi e contro le loro politiche economiche.

Un po’ di storia. Cgil e sindacati contro i governi del passato

 

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Luciano Lama, storico leader della Cgil

 

Succedeva nella Prima Repubblica. La Cgil, ma anche la Cisl e la Uil, almeno dalla fine degli anni ’60, scendevano sistematicamente in piazza contro i governi della Dc. Vi fu, all’epoca, una sola – e storica – eccezione: la scelta dei sindacati confederali di Lama, Carniti e Benvenuto di appoggiare la ‘politica di austerità’ peraltro voluta dall’allora segretario del Pci, Enrico Berlinguer, per supportare i governi di solidarietà nazionale, frutti a loro volta dell’incontro tra Pci e Dc nel ‘compromesso storico’.

Succedeva nella Seconda Repubblica: i sindacati in piazza contro i vari governi Berlusconi erano la regola, ma succedeva, a volte, anche contro i governi di centro-sinistra. In quel frangente, soprattutto la Cgil superò sé stessa, dimostrandosi un osso molto duro da affrontare. Nel 1994, il 12 novembre, Cgil-Cisl-Uil portano in piazza, riempendo l’enorme circo Massimo, un milione ‘vero’ di persone, chiamate a protestare contro l’allora riforma delle pensioni.

 

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Sergio Cofferati, ex leader della Cgil

 

Ne seguì, di fatto, la caduta del primo governo Berlusconi, anche se questi si mise da parte, in realtà, per il consueto ‘gioco di palazzo’ che portò al governo Lamberto Dini, il quale, poi, la riforma della pensioni (detta, appunto, ‘riforma Dini’) la fece e per i lavoratori furono altri dolori. Un’altra occasione, più recente e più nota, in cui i sindacati (in realtà, in quel caso, la ‘sola’ Cgil perché Cisl Uil appoggiavano, di fatto, il secondo governo Berlusconi) fecero tremare i vetri di palazzo Chigi accadde nel 2001. La Casa delle Libertà aveva vinto da poco le elezioni, quando l’allora leader della Cgil, Sergio Cofferati (lo stesso del ’94) decise di riempire, di nuovo, il Circo Massimo, stavolta con ben tre milioni di persone, sempre contro un governo Berlusconi.

 

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Il fondatore e leader di FI, Silvio Berlusconi

 

In quel caso, peraltro, l’iniziativa di Cofferati – formalmente mirata contro il tentativo di abolire l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori – ruppe anche uno storico rapporto, quello della cd. ‘cinghia di trasmissione’ tra il partito storico della sinistra (gli allora Ds, eredi del Pds, erede a sua volta del Pci) e il sindacato ‘rosso’. Infatti, si trattò, di fatto, di un tentativo di Opa ostile del sindacato sul partito che avrebbe dovuto portare Cofferati a guidare i Ds, ma che non riuscì. Fu anche, quella, la stagione dei ‘girotondi’, nati come forma di protesta al berlusconismo, e dei ‘movimenti’ (nati sull’onda della lotta alla globalizzazione che vedevano nei G8 il loro obiettivo), stagione cui la Cgil fornì un appoggio politico e operativo molto importante, anche se poi infruttuoso.

 

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Susanna Camusso, segretaria uscente della Cgil

 

Certo è che Cofferati riuscì a riempire le piazze sia contro Berlusconi che, in parte, contro lo stesso centrosinistra, mentre molto meno fortunati furono i tentativi della Cgil, ormai guidata, dopo la stagione incolore di Guglielmo Epifani, dalla prima donna nella sua storia, Susanna Camusso, di mettersi di traverso al ‘vero’ smantellamento dell’art. 18, quello operato dal governo Renzi con il suo Jobs Acts e, persino, contro la politica dei redditi (i famosi 80 euro).

Sempre contro Renzi, o meglio contro il suo tentativo di riforma costituzionale, la Cgil si schierò nel referendum confermativo del ddl Boschi tenuto il 4 dicembre 2015. In quel caso, il contributo della Cgil al ‘Fronte del No’ aiutò la caduta di Renzi e sancì una distanza, se non una vera e propria spaccatura, tra il sindacato di Corso Italia e il Pd.

 

Il ‘cambio di passo’ del sindacato verso il governo

 

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I due vicepremier del governo Conte, Di Maio e Salvini

 

‘Ci sta’, dunque, che i sindacati scendano in campo contro l’attuale governo e la sua maggioranza gialloverde ora che siamo entrati nella Terza Repubblica, anche se, all’inizio – forse a causa di un voto, da parte degli iscritti al sindacato, che ha visto premiare molto i 5Stelle e, in parte, la Lega– il sindacato, Cgil compresa, ha avuto un atteggiamento ‘timido’ e ‘titubante’, verso il governo, per poi pentirsene, aprendo ai primi provvedimenti come il ‘decreto Dignità’. Certo, al sindacato interessa soprattutto il ‘riconoscimento’ di parte sociale che siede in tutti i tavoli che contano. E questo riconoscimento, da parte del governo, non è giunto: il ‘tavolo verde’ di palazzo Chigi è desolatamente vuoto.

Certo è che, per i sindacati confederali – fuori dei quali c’è l’Ugl, storicamente vicino all’Msi-An e ora di fatto annessa alla Lega e i sindacati extra-confederali e di base, politicamente vicini all’estrema sinistra – scendere in piazza contro il governo gialloverde non è stata una scelta facile e compiuta a cuor leggero, specie per Cisl e Uil, tendenzialmente ‘collaborative’ e ‘filo-governative’, ma anche per una Cgil oggi guidata da Maurizio Landini, accusato, quando era capo della Fiom, di ‘flirtare’ con M5S.

 

Piazza San Giovanni Roma

Piazza San Giovanni Roma

 

Stavolta, però, le cose sono andate in modo diverso. Innanzitutto, la manifestazione organizzata in piazza San Giovanni era stata convocata, inizialmente, a piazza del Popolo, molto più piccola, poi si è capito che la risposta della gente – e non solo dei militanti – sarebbe stata buona ed è stata spostata in piazza San Giovanni, ben più grande, ma l’operazione riuscita. In piazza, erano almeno in 100 mila, se non in 200 mila, come hanno esultato. E Landini si è pure potuto permettere lo sberleffo: “Ci sono troppi che danno i numeri in questo Paese e a loro dico contateci voi”.

 

La prima uscita di Landini e la ritrovata unità confederale

 

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Vincenzo Colla e Maurizio Landini

 

E’ stata, peraltro, quella di ieri, la ‘prima’ uscita pubblica del nuovo segretario della Cgil, il ‘rosso’ e barricadero Maurizio Landini, ex leader delle ‘tute blu’ della Fiom. Una ‘prima’ riuscita, ma anche questo era prevedibile: Landini sa ‘tenere’ la piazza, sa fare i comizi, sa urlare (anche troppo) e, insomma, sa farsi ascoltare. Neppure la ritrovata unità interconfederale, dopo mesi, se non anni (l’ultima manifestazione unitaria di Cgil-Cisl-Uil, confluita sempre in piazza San Giovanni, risale al 2013), di dissapori e scontri, specie tra la Cgil da un lato e la Cisl dall’altro, è una notizia.

I sindacati confederali hanno perso ‘peso’ specifico e potere, oltre che iscritti, compensati solo dai pensionati. La Cgil si è estenuata, per un anno, in un lacerante congresso, la Cisl ha perso smalto e capacità di relazione con il sociale, la Uil è un sindacato ormai ‘di risulta’, che perde iscritti e peso politico in modo inesorabile, non aiutata da un segretario che sarà anche simpatico, ma è debolissimo. Insomma, l’unione fa la (decrescente) forza, è il motto.

 

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Sergio Marchionne

 

Ma si era capito sin dall’elezione di Landini – arrivato alla segreteria della Cgil al recente congresso di Bari meno di un mese fa, dopo un lungo ‘braccio di ferro’ con il leader dei riformisti interni, Vincenzo Colla, che all’ultima ora si è ritirato dalla corsa per acconciarsi a fare il vicesegretario – che il ritorno a un discreto tasso di unità confederale sarebbe stata una strada battuta subito dal leader della Cgil. Landini – dopo anni in cui ha autoescluso la Fiom dalla firma di molti contratti, nella categoria dei metalmeccanici, specie quelli per il settore automobilistico, dove era entrato in pieno e durissimo scontro con l’ex ad della Fiat, Sergio Marchionne – come neo-segretario di ‘tutta’ la Cgil ha fatto la scelta più giusta e più furba. Imboccare la strada dell’unità sindacale in modo pieno per restituire slancio e peso specifico alla sua organizzazione e al mondo sindacale.

A tal punto che si parla, ormai, e paradossalmente proprio con Landini segretario della Cgil, di un processo, quello della mitica strada verso il ‘sindacato unico’ confederale, che potrebbe, dopo anni di screzi e sgambetti, oggi finalmente avviarsi.

 

Ma la vera novità è l’inedito ‘patto’ tra sindacati e imprenditori

 

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Un tunnel della TAV

 

La vera novità della piazza di sabato, però, è un’altra. Per la prima volta, gli imprenditori sono scesi in piazza ‘con’ i sindacati. Certo, si è trattato ‘solo’ degli industriali emiliani (e, in particolare, romagnoli) che vogliono che continuino le trivellazioni nel mare Adriatico (il governo le ha stoppate): vedono sfumare, altrimenti, migliaia di commesse, oltre che migliaia di posti di lavoro. In ogni caso, vedere lo striscione di Confindustria Emilia-Romagna mischiarsi a quelli dei lavoratori faceva effetto. Anche gli industriali del Nord-Ovest sono scesi in piazza, a Torino, aiutati dai sindacati, per chiedere a gran voce che la Tav Torino-Lione si faccia. E l’insoddisfazione e dello sconcerto che regna tra i piccoli e medi imprenditori del Nord-Est per le mosse del governo – a tal punto da chiedere al loro referente politico, la Lega di Salvini, di mollare i 5Stelle e aprire, di fatto, una crisi di governo – è, ormai, un segreto di Pulcinella. Persino loro, i ‘padroncini’, solidarizzano più coi loro operai che con ‘quelli di Roma’.

 

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Il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia

 

Di tutte queste insoddisfazioni, paure e critiche del mondo imprenditoriale italiano si fa portavoce, con sempre più autorevolezza, il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia: ha iniziato la sua presidenza tra mille inciampi, ma ha poi acquistato, via via, sempre più ruolo e protagonismo, dando vita a una nuova e feconda, per le relazioni industriali, stagione di ‘dialogo’ con il sindacato.

 

E l’opposizione? Il Pd c’è, ovviamente, ma confuso tra la folla…

 

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Maurizio Martina e Nicola Zingaretti, candidati alla segreteria del Pd

 

Certo è, in ogni caso, che era dai tempi della ‘politica dell’austerità’ degli anni 70 e, anche, dal ‘patto sui salari e la produttività’ del 1992-’93 (ma si era in un’altra fase altrettanto drammatica del Paese, tra svalutazione della lira, crisi economica e crisi politica), che organizzazioni datoriali e sindacali non sentivano così vicini i loro destini, e i loro problemi, a tal punto da scendere in piazza insieme. Il governo Conte è riuscito, così, nella storica e mirabile impresa di ritrovarsi tutte le parti sociali contro: imprese (grandi e piccole), sindacati (confederali e non), lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi, statali e precari, persino associazioni e organizzazioni cattoliche come l’Mcl, le Acli e altre. Poi, certo, è scesa in piazza anche l’opposizione, quella del Pd, ovviamente, e quella della sinistra a sinistra del Pd (LeU).

 

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L’ex premier e leader del Pds-Ds Massimo D’Alema

 

In piazza, e durante il corteo, si sono fatti vedere due su tre candidati alla segreteria del Pd (Zingaretti e Martina, mentre Giachetti ha preferito un viaggio ad Auschwitz…, forse per non compromettere il suo tasso di renzismo), ma anche l’intero stato maggiore di quel che resta di Mdp-Leu e personaggi storici della sinistra che, con i sindacati, non sono mai andati d’accordo (Massimo D’Alema) o che proprio dal mondo sindacale vengono (Sergio Cofferati), per non dire di chi, come Carlo Calenda, con i sindacati c’entra poco, ma non ha perso occasione per farsi vedere.

Però, l’opposizione è rimasta in un angolo, timida e ansiosa, quasi come non volesse disturbare. Un po’ per rispetto all’iniziativa sindacale, un po’ per paura di ricevere fischi. La piazza, ieri e oggi, la riempiono i sindacati a Roma e gli imprenditori a Torino e, forse, insieme, la prossima volta, chissà dove. Contro un governo che non li ascolta e fa scelte sbagliate. E’ la prima volta che accade, potrebbe non essere l’ultima. La ‘guerra’ al governo gialloverde è cominciata.

 


 

NB: Questo articolo è stato pubblicato il 9 febbraio 2019 sul sito di notizie spraynews.it