Il ‘dopo’ Sardegna. Analisi dei flussi regionali e indicazioni utili per i partiti nazionali

Il ‘dopo’ Sardegna. Analisi dei flussi regionali e indicazioni utili per i partiti nazionali

26 Febbraio 2019 2 Di Ettore Maria Colombo

Quali sono le principali ‘lezioni’, utili anche per i loro riflessi sul piano nazionale, che si possono trarre dal voto delle elezioni regionali di domenica scorsa che si sono tenute in Sardegna? 

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I 7 candidati alle regionali sarde

Parecchie cose, a dispetto di chi definisce la partita elettorale come ‘solo’ un voto locale. In realtà abbiamo assistito a una battaglia che è il preludio di una nuova versione della lotta politica nazionale italiana.

La vittoria del centrodestra nasconde in realtà non pochi problemi all’orizzonte, il crollo del Movimento Cinque Stelle si sente a lunghissima distanza e si riverbera sugli assetti di governo, la sinistra continua ad essere nel limbo, nonostante le accoglienze festanti del secondo posto arriso a Massimo Zedda, come già a Giovanni Legnini in Abruzzo, candidatosi alla testa di una coalizione ampia e ‘progressista’ che ha messo insieme un po’ tutto, dal centro alla sinistra.

Analizziamo, dunque, sia i flussi elettorali che le possibili ripercussioni nazionali del voto in Sardegna, basandoci su due analisi uscite oggi e molto ben argomentate, quella dell’Istituto Cattaneo, uscita oggi sul Corriere della Sera, e quella di un ‘mago’ nell’analisi dei dati elettorali, il capogruppo di LeU alla Camera, Federico Fornaro, che ha pubblicato la sua riflessione, oggi, sull’Huffington Post.

Il collasso del Movimento Cinque Stelle e i suoi problemi di prospettiva politica

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La Home Page della Piattaforma Rousseau dell’M5S

Il dato che dà al voto in Sardegna un grande significato sul piano politico è che Il Movimento Cinque Stelle, dalle elezioni politiche del 4 marzo scorso a oggi, ha perso quasi 300 mila voti. Si tratta di un numero gigantesco che pesa tutto sulle spalle di Di Maio e del suo ‘Direttorio’ di governo.

Tutto l’impegno della coppia pentastellata Di Maio-Di Battista (appoggio ai gilet gialli e crisi diplomatica con la Francia, posizione ambigua sulla crisi in Venezuela, l’aver puntato tutte le proprie carte sul reddito di cittadinanza, l’essersi schiacciati su una posizione di sostanziale sudditanza a Salvini, dal voto on-line sul caso ‘Diciotti’ all’aversi fatto imporre, in agenda, solo temi cari alla Lega) ha prodotto, sul piano elettorale, e nel giro di un solo mese, due sconfitte politiche: una grave in Abruzzo e una devastante in Sardegna, dall’impatto politico pesantissimo.

La sconfitta sarda è doppiamente grave per i pentastellati perché la caduta dei consensi dei grillini assume valore e significato doppio: significa che il loro ‘male’ è profondo.

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Il vicepremier Luigi Di Maio (M5S)

Di Maio e soci hanno annunciato subito la loro ‘reazione’: un vertice per cambiare le regole sul doppio mandato e le alleanze sul territorio. “Il che dimostra – scrive con acume il giornalista e osservatore politico Mario Sechi sul suo sito di analisi politica List  – che hanno capito ben poco di quel che sta loro succedendo, il tema delle ‘regole’ non è esiziale, per il Movimento. Dopo il voto in Sardegna in ballo c’è, invece, lo stesso programma di governo pentastellato, la sua constituency elettorale, cioè l’abbandono di un’idea politica che non sia la piattaforma Rousseau, l’autoreferenzialità, il giustizialismo fine a se stesso, l’opaca gestione del partito, il rapporto con l’azienda di Casaleggio, una politica che non sia setta ma comunità”.

La fuga di massa degli elettori grillini (-300 mila sulle Politiche del 2018)

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Francesco Desogus, candidato dell’M5S alle elezioni regionali in Sardegna

Ma entriamo più nel dettaglio nell’analisi dei flussi elettorali

Sono circa 300 mila i voti che mancano all’appello, per i 5Stelle, cioè la stragrande maggioranza. Erano 369.196appena un anno fa — il 4 marzo, alle Politiche — gli elettori 5 Stelle nella Sardegna del 42%, dove avevano anche vinto tutti i collegi uninominali. Alle Regionali sarde, il conteggio dei voti per la lista del M5S si è fermato intorno a quota 70 mila.

Dove sono spariti gli elettori dei 5 Stelle? Buona parte, circa la metà, nel buco nero dell’astensione (a Cagliari il 65%, a Sassari il 48%). E gli altri, dove sono fuggiti? Più a destra che a sinistra, dicono i flussi elaborati dall’Istituto Cattaneo, che ha confrontato le scelte degli elettori tra il 4 marzo 2018 e il voto delle Regionali di domenica scorsa. Avrà pesato in parte il maggior dinamismo del socio di governo, in parte il radicamento territoriale degli alleati della Lega, in ogni caso a Sassari uno su quattro, tra quanti alle Politiche avevano votato M5S, stavolta ha scelto Christian Solinas: gli elettori grillini hanno preferito il candidato del centrodestra non solo a Zedda, ma anche al pentastellato Francesco Desogus (solo uno su cinque è rimasto fedele).

A Cagliari è il 10% dei votanti a passare dal Movimento al centrodestra, l’8% al centrosinistra contro il 15% al M5S. Così al Movimento, dopo appena un anno, meno di un elettore su cinque ha confermato la fiducia. Un tonfo peggiore di quello registrato in Abruzzo (dove il M5S un elettore su tre,  lo aveva mantenuto). Certo, quelle locali sono elezioni con dinamiche diverse dalle Politiche.

E’ anche vero i 5 Stelle alle Regionali non hanno mai brillato, ma dati così sconfortanti alimenteranno le perplessità di chi, anche nell’M5S, non è convinto che bastino le alleanze con qualche lista civica per ridare slancio alla mobilitazione. Perché, in Sardegna, il Movimento non solo non ha mobilitato i suoi elettori, ma — per una formazione che aveva fatto della trasversalità e della capacità di pescare nei bacini altrui la chiave di tanti successi elettorali — ha avuto una capacità di attrazione praticamente nulla: ha sottratto percentuali residuali agli avversari, al massimo un 3%.

Da ricordare anche, sempre in casa 5 Stelle, che il risultato di Francesco Desogus (80 mila voti, l’11,2%) è superiore quello della lista del Movimento (60 mila voti, il 9,7%).

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Insomma, come spiega Fornaro, che ama ragionare, correttamente, più sui numeri assoluti che sulle percentuali, “il M5S, assente alle regionali del 2014 a conferma di significative problematiche locali, crolla dai 369.000 voti del 2018, pari al 42,5%, agli 85.000 del 2019 (11,2%) con una emorragia di consensi del 77,0% (284.000 voti)”. Numeri fortemente negativi che il leader dell’M5S, Luigi Di Maio, ha preferito sostanzialmente ignorare, anche oggi nella sua conferenza stampa in cui ha annunciato le ‘novità’ dell’organizzazione/ristrutturazione del Movimento (via al limite dei due mandati per chi viene, per ora, da esperienze locali come consigliere comunale o regionale, alleanze in vista alle prossime regionali con liste locali, nascita di un nuovo ‘Direttorio’, di fatto una segreteria politica che dovrà coadiuvare il ‘Capo’ nelle scelte, etc.).

“Se due indizi (elezioni regionali in Abruzzo Sardegna) fanno una prova” – conclude la sua analisi sull’M5S Fornaro – “si deve osservare, dopo quasi un anno di esperienza di governo, un segnale fortemente negativo, che va ben al di là delle difficoltà fisiologiche già verificatesi in passato in elezioni a turno unico con preferenze”.

La Lega e l’eccesso di ‘sicurezza’ mostrato da Salvini

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Silvio Berlusconi e Matteo Salvini

La stessa Lega, pur vittoriosa (Solinas è stato scelto personalmente da Salvini è il Partito sardo d’Azione, dopo una lunga, e storica, militanza nel campo del centrosinistra, ha stretto un patto di unità d’azione con la Lega, patto che ha procurato anche l’elezione di Solinas al Senato in un collegio blindato, seggio da cui ora si dovrà dimettere), ha parecchi motivi su cui riflettere. La lista è andata bene, ma non ha certo trionfato come è accaduto, ad esempio, in Abruzzo, senza dire che i suoi voti sono rimasti gli stessi delle elezioni politiche (11,4% ora contro il 10,8% del 2018). Salvini si è buttato a peso morto nella trattativa con i pastori sul prezzo del latte ma senza chiuderla, un eccesso di confidenza tipico di chi sottovaluta lo scenario e la controparte. Inoltre, continua la sua analisi Mario Sechi, “ha mostrato i Quattro Mori sulle felpe senza aver capito granché della Sardegna (quello è un simbolo carico di storia da indossare con maggiore consapevolezza, è la bandiera di una ‘nazione’ che parla una lingua romanza e non un dialetto). La vittoria è di coalizione e non sua, l’alleanza si è polverizzata in ben 11 liste e il neo-governatore, Solinas, dovrà esibire qualche idea più robusta rispetto al cahier di lamentazioni e ferrivecchi tutti già sentiti”.

I voti e l’affermazione di un centrodestra in formazione ‘classica’

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Giorgia Meloni, Silvio Berlusconi e Matteo Salvini a una manifestazione elettorale

È il centrodestra in formazione ‘classica’ a vincere, quello costruito intorno a Lega, Forza Italia  Fratelli d’Italia. Lo stesso che aveva corso unito per il voto del 4 marzo 2018, prima di dividersi sulla strada di Palazzo Chigi, e che si è ripresentato, più o meno compatto, alle Regionali. L’elettorato del centrodestra di domenica scorsa, però, è diverso da quello del 4 marzo, nota l’Istituto Cattaneo. Forza Italia Lega hanno regalato tanto all’astensione: a Sassari hanno perso più di un elettore su due (il 58%); a Cagliari il dato è comunque forte (41% la Lega, 31% FI). Anche in Abruzzo i partiti di centrodestra avevano mostrato cedimenti verso l’astensione, ma assai minori.

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Il neogovernatore della Sardegna, Christian Solinas (centrodestra)

 

La coalizione di Solinas ha saputo, in ogni caso, pescare altrove: a Sassari, rispetto a un anno fa, ha sottratto il 23% degli elettori al Pd; a Cagliari ha tolto il 10% all’M5S.

“Il vincitore delle elezioni regionali sarde del 2019, il centrodestra guidato da Solinas – fa di conto Fornaro – ha ottenuto 365.000 voti, con un aumento di 72.000 elettori rispetto ai 293.000delle regionali del 2014 (+ 24,6%) e ai 270.000 delle Politiche 2018 (+ 35,2%). Quello che cambia è il partito guida della coalizione che, sia nel 2014 (18,5% dei voti), sia nel 2018 (14,8%), era stata Forza Italia, mentre ora la prima lista è la Lega di Salvini (assente nel 2014) con l’11,4% dei voti, mentre FI scivola all’8%”. Peculiarità sarda, nella coalizione di centrodestra, è sicuramente la presenza del Partito Sardo d’Azione che passa dal 4,7% delle regionali 2014 al 9,9% di domenica scorsa.

Quindi, la Lega, nonostante vada molto meno bene rispetto al voto in Abruzzo, accresce comunque i suoi consensi, confermando la sua definitiva trasformazione da partito regionale a partito nazionale, mentre Forza Italia continua a perdere elettori (8,4% alle Regionali contro il 14,8% delle Politiche e il 18,5% delle Regionali del 2014) a scapito di Fratelli d’Italia, in aumento costante (4% alle Politiche, 4,8% alle Regionali). Ma va anche notato che il centrodestra, in Sardegna, a differenza che in Abruzzo, dove il traino per la vittoria sono state le liste ‘nazionali’, ha avuto il colpo di reni finale grazie alle molte liste locali presenti (ben sette su undici), che hanno raccolto ben il 27,5% dei voti della coalizione (sul totale del 52,4%delle liste) a partire dal Partito sardo d’azione, il cui capo è il neo-governatore Solinas, al 9,8% oggi e che raddoppia i suoi consensi rispetto alle elezioni regionali del 2014 quando prese il 4,7%.

La sinistra gioisce e spera, ma ha ancora tanti problemi

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Massimo Zedda

Massimo Zedda, il candidato del centrosinistra e sindaco uscente di Cagliari, ha fatto il possibile, come già aveva fatto Giovanni Legnini in Abruzzo, trascinando la sua coalizione al 30% dei voti e se stesso al 32,5%, risultato più che onorevole. Zedda, proprio come Legnini, ha anche sdegnosamente rifiutato la presenza dei big del Pd, a partire da tutti e tre i candidati alle primarie, nell’isola, come aveva già fatto pure Legnini. Ha infarcito le sue liste di sindaci e amministratori locali, proprio come Legnini. Ha condotto una campagna, anche qui come Legnini, presentandosi più come un candidato ‘civico’ e del territorio che di partito.

campo progressista

Ma la zavorra della passata amministrazione, quella uscente, che era guidata da un esponente del Pd (Francesco Pigliaru) proprio come in Abruzzo (Luciano D’Alfonso), ha pesato sulla sua corsa e gli ha messo il piombo nelle ali. Inoltre, se in Abruzzo la sinistra a sinistra del Pd era già ridotta ai minimi termini ed è andata più che male (3%), in Sardegna le due ‘bandiere’ di Campo Progressista, la formazione fondata da Pisapia cui ha aderito Zedda, e quella di LeU hanno avuto risultati un po’ migliori (3,9% LeU e 3,2% Cp) pesando per un totale del 9% sull’insieme delle liste, ma in ogni caso senza rappresentare né una vera alternativa al Pd né un valido sostegno ai suoi comunque minor voti. L’illusione di una rimonta è durata lo spazio di un exit poll, poi è arrivata la realtà: il voto disgiunto – che pure c’è stato – non sarebbe comunque mai bastato a fare il miracolo.

Il Pd ‘tiene’ rispetto le Politiche, la sinistra è in ripresa, ma non basta

Primarie Pd 2019 candidati e programma politico

Primarie pd 2019

Massimo Zedda, comunque, ha dimostrato grande capacità di tenuta nel suo schieramento, spiega però l’istituto Cattaneo. A Cagliari — dove giocava più che in casa, in quanto primo cittadino in carica — sono pochissimi i delusi, quasi una quota ‘fisiologica’: ha tenuto il 93% degli elettori dem del 4 marzo. A Sassari, dove cede una quota al centrodestra (il 23%), tiene comunque il 70% dei suoi”. Si era visto già in Abruzzo e la Sardegna sembra confermare il dato: l’emorragia di voti dal Pd al M5S sembra essersi arrestata Il Pd è il partito più votato dell’isola, pur con il 13,5%, prendendo in considerazione tutte le singole liste (il secondo partito è la Lega con l’11.5% e il terzo è il Psd’az) e il risultato di Zedda è comunque superiore rispetto a quello della sua coalizione (32,9% Zedda contro il 30% le liste).

“Il centrosinistra – ricorda con puntiglio Fornaro – che aveva vinto le elezioni sarde del 2014 con 313.000 voti e che era sceso alle politiche a 154.000 voti del Pd più alleati minori, oltre ai 27.000 della lista di LeU, nel 2019 risale con Massimo Zedda a 251.000 consensi: meno 62.000 (-19,81%) in cinque anni e più 70.000 (+38,67%) rispetto alle Politiche”. Il Pd si conferma, dunque, il perno della coalizione anche se arretra dal 22,1% del 2014 al 13,4% delle regionali 2019. “Le liste a sinistra del Pd (LeU, Campo Progressista e Sardegna in comune) ottengono nel 2019 più che lusinghiero 9,5%”, nota sempre Fornaro.

Dunque, dopo la debacle delle Politiche 2018, per il centrosinistra, i segnali che arrivano dalle elezioni di questa primavera sono positivi, nonostante la doppia sconfitta con relativa perdita del governo delle due regioni, con una ripresa di capacità attrattiva, generata però più dal civismo e da una sinistra in ripresa che dai risultati del Pd.

Da dove può ripartire il Pd? Il conto sconfitte degli ultimi due anni è molto salato

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La sfida centrodestra, centrosinistra e M5S

Il Pd può, comunque, ripartire da qui, dalla Sardegna? Dipende, ovviamente, da molti fattori. Chi vincerà le primarie del 4 marzo non sarà, infatti, un dato indifferente rispetto al futuro del centrosinistra, a partire dalle elezioni europee del 26 maggio. Il Pd darà vita a un ‘listone’ largo, aperto a diverse – e, forse, poco compatibili esperienze – come quella del manifesto Siamo Europei di Calenda fino ad arrivare a ricomprendere i fuoriusciti di LeU, o almeno di una sua parte, quella che fa capo a Mdp di Speranza e Bersani? Oppure si sperimenterà una formula del tutto nuova come la rinuncia al nome e al simbolo del Pd per una lista generica di centrosinistra che arrivi fino a ricomprendere movimenti e partiti diversi dal Pd (‘+Europa’, Verdi, pezzi di LeU) ?

Il dibattito è, come si usa dire, ‘aperto’, ma non si può non ricordare il dato che proprio Matteo Salvini ha sventolato: “Nelle ultime sei elezioni regionali abbiamo vinto 6 a 0 sul Pd”. Un dato incontrovertibile. Il Pd e il centrosinistra hanno perso, dopo averle amministrate per anni, regioni ‘piccole’ come il Molise e il Friuli, regioni ‘grandi’ come la Sicilia (e, prima ancora, la Liguria), regioni del Nord Italia, come le province di Trento e di Bolzano, e regioni ‘medie’ del Sud e Centro Italia (Abruzzo Sardegna).

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Cartina dell’Italia suddivisa in Regioni

Insomma, il Pd deve riflettere a lungo sul fatto che ha perso sei elezioni regionali di fila in meno di due anni (Sicilia, Molise, Friuli, province di Trento e Bolzano, Abruzzo e Sardegna) e che, pur controllando ancora nove regioni (il Piemonte con Chiamparino, l’Emilia-Romagna con Bonaccini, l’Umbria, rivinta per un soffio con la Marini, il Lazio rivinto nel 2018 con Zingaretti, ma per poco, la Puglia con Emiliano, la Campania con De Luca, la Calabria con Oliverio, la Basilicata con Pittella) vede il centrodestra, ad oggi, controllarne altrettante nove (la Liguria con Toti, di FI, la Lombardia con Fontana, Lega, il Friuli con Fedriga, Lega, il Trentino con Fugatti, l’Alto Adige con Kompatscher, Svp, l’Abruzzo con Marsilio, FdI, il Molise con Toma, la Sicilia con Musumeci, la Sardegna con Solinas, Psd’Az) ed essere, oggettivamente, in fase ‘espansiva’ e vincente. Infine, non va dimenticato che il 24 marzo si voterà in Basilicata, il 26 maggio (insieme alle Europee) in Piemonte e, a novembre, in Calabria e Emilia-Romagna, regione su cui Salvini punta molto proprio con l’obiettivo di strapparla al centrosinistra e fare filotto al CentroNord, per non dire del 2020, quando si voterà anche in Toscana.

E va ricordato anche che ogni coalizione che ha vinto, poi, le elezioni politiche, dalla Seconda Repubblica in poi, ha sempre preparato il terreno vincendo le Regionali.

Il dato dell’affluenza, sempre da tenere bene a mente

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Il logo delle elezioni regionali del 2019 in Sardegna

Il primo, ‘vero’, dato delle elezioni regionali in Sardegna e che andrebbe sempre analizzato, cosa che invece molti osservatori dimenticano troppo spesso di fare, è quello dell’affluenza alle urne: in Sardegna è stata del 53,8% in aumento di 1,4 punti percentuali sulle regionali 2014.

“Il raffronto con i votanti delle politiche (65,5%) – nota sempre Fornaro – deve tener conto della diversa composizione del corpo elettorale per la presenza nelle liste regionali degli aventi al voto di circa 100.000 sardi residenti all’estero.

Tenendo conto di questo fattore distorsivo, il calo tra il 2018 e il 2019 è dunque assolutamente fisiologico, anche se ci stiamo abituando anno dopo anno a dimenticare che in una consultazione importante come quella per la regione si reca alle urne poco più di un elettore su due (in Abruzzo l’affluenza era stata del 53,1%) a conferma di un livello di elevato astensionismo strutturale e non più episodico”.


Riepilogo generale delle elezioni in Sardegna

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Grande affluenza per le votazioni regionali in Sardegna

RISULTATI – ELEZIONI REGIONALI SARDEGNA – RIEPILOGO (1.830 sezioni su 1.840)

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Risultati Elezioni Sardegna 2019

Christian Solinas (363.485 voti – 47,8%) – centrodestra

LISTA SEGGI PERCENTUALE
Lega Salvini – Sardegna 11,4
Partito sardo d’azione 9,9
Forza Italia 8,0
Riformatori Sardi 5,0
Fratelli d’Italia – Alleanza Nazionale 4,7
Sardegna20venti – Tunis 4,1
Pro Sardinia – Unione di Centro 3,7
Sardegna Civica 1,6
Fortza Paris 1,6
Partito Uds – Unione dei Sardi 1,1
Energie per l’Italia – Sardegna 0,5

Massimo Zedda (250.355 voti – 32,9%) – centrosinistra

LISTA SEGGI PERCENTUALE
Partito Democratico della Sardegna (Pd) 13,5
Liberi e Uguali Sardigna Zedda Presidente 3,8
Campo Progressista Sardegna 3,2
Noi, la Sardegna con Massimo Zedda 2,8
Futuro Comune con Massimo Zedda 2,6
Sardegna in Comune con Massimo Zedda 2,5
Cristiano Popolari Socialisti 1,4
Progetto Comunista per la Sardegna 0,4

Francesco Desogus (85.046 voti – 11,2%) – M5S

LISTA SEGGI PERCENTUALE
Movimento 5 Stelle 9,7

Paolo Giovanni Maninchedda (25.474 voti – 3,3%) – Partito dei Sardi

LISTA SEGGI PERCENTUALE
Partito dei sardi 3,7

Mauro Pili (17.563 voti – 2,3%) – Sardi liberi

LISTA SEGGI PERCENTUALE
Sardi Liberi 2,1

Andrea Murgia (13.831 voti – 1,8%) – Autodeterminazione

LISTA SEGGI PERCENTUALE
Autodeterminazione 1,9

Vindice Mario Lecis (4.515 voti – 0,6%)  – Sinistra sarda

LISTA SEGGI PERCENTUALE
Rifondazione – Comunisti Italiani – Sinistra Sarda 0,6

NB: Questo articolo è stato pubblicato in forma originale per questo blog il 26 febbraio 2019