Torna la Casta! Indennità ai parlamentari e finanziamento ai partiti. Scontro Pd-M5S. Le ‘bugie’ di entrambi

Torna la Casta! Indennità ai parlamentari e finanziamento ai partiti. Scontro Pd-M5S. Le ‘bugie’ di entrambi

7 Maggio 2019 0 Di Ettore Maria Colombo

 Mentre la crisi di governo incombe sulle sorti della maggioranza gialloverde, si torna a parlare di un argomento che sembrava finito nel dimenticatoio, la Casta. A far discutere sono due proposte del Pd o, meglio, del suo tesoriere, Luigi Zanda, una sola delle quali ritirate: alzare le indennità dei parlamentari, equiparandoli a quelli europei, e ripristinare il finanziamento pubblico ai partiti.

 

giallo verde

Maggioranza giallo-verde

 

Zanda ritira solo una delle sue due proposte ‘pro-Casta’

 

indennità parlamentari

La proposta sulle indennità dei parlamentari

 

La proposta sulle indennità dei parlamentari (gli “stipendi dei politici”, per capirci) avanzata dal tesoriere del Pd, Luigi Zanda, è stata ritirata, ieri, dal medesimo Zanda, via intervista al Corsera, condita dall’annuncio di querela per diffamazione a Luigi Di Maio che lo ha ritratto come ‘l’alfiere della Casta. Ovviamente, da parte dei 5 Stelle – che si erano prodotti in casa un manifesto elettorale fake del Pd sullo stesso tema – si esulta (“Pentitevi!”) e si inveisce (“Vergognatevi!”). Zanda, però, è recidivo: ritira la sua proposta più discussa (la pdl in cui proponeva di parametrare gli stipendi dei parlamentari italiani a quelli europei, più alti dei primi), ma non l’altra, a sua volta improponibile in tempi di crisi, e cioè il ripristino del finanziamento pubblico dei partiti.

 

Zingaretti difende Zanda: il Pd ama ‘punirsi da solo’…

 

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Il segretario del Pd, Nicola Zingaretti

 

Ma il segretario dem, Nicola Zingaretti, riesce a fare peggio anche dello stesso Zanda: prima – un mese fa e fino a ieri – ne aveva sconfessato la proposta, dicendo che era “sua personale e non impegnava il partito”, ora, invece, mentre Zanda ne ha ritirato almeno una su due, lo difende a spada tratta: “Zanda ha ritirato la sua proposta per tutelare il Pd ma le accuse dei 5Stelle sono una bufala perché nella proposta di Zanda non era previsto nessun aumento dello stipendio (non è vero, come vedremo, ndr)”. Poi Zingaretti aggiunge che le indennità dei nostri parlamentari sono troppo basse, specie per chi lavora bene, così succede che fanno politica solo i ricchi”. “Oggi sono i sindaci e i consiglieri comunali a guadagnare poco”, spiega il segretario dem e, sul punto, ha ragione lui.

Apriti cielo. I 5Stelle ci sguazzano. Anche perché il Pd si comporta il famoso eroe del commediografo latino Terenzio, un Heautontimorumenos, “l’uomo che si punisce da solo”. Del resto, cercare di rinverdire i fasti della ‘Casta’– che dal 2013 in poi hanno fatto le fortune dell’M5S – è impresa che può riuscire solo a pochi, disperati, eroi.

 

Chi è Luigi Zanda? Doppio cognome e lunga carriera

 

Efisio Zanda Loy

Efisio Zanda Loy

 

Come Luigi Zanda,appunto. A chi pensa di affidare le casse esangui del partito il leader uscito vincitore dalle primarie? A lui, non esattamente “il nuovo che avanza”. Classe 1942, figlio dell’ex capo della Polizia, ai tempi della Dc, Efisio Zanda Loy (sì, il cognome è doppio), sardo e allievo prediletto dell’ex presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, che se lo prese con sé come portaborse e assistente tuttofare, Zanda Loy si auto-traghettò dalla Prima alla Seconda Repubblica come grand commiso civil servant buono per tutte le occasioni. Capo dell’agenzia per il Giubileo del 2000, membro del Cda della Rai, senatore della Margherita prima e poi del Pd per oltre 15 anni, nella legislatura precedente a questa Zanda è diventato anche il capogruppo del Pd. Mal gliene incorse a Renzi, di cui Zanda fu fiero e testardo avversario interno al punto da boicottargli quasi tutte le leggi. Il ‘Rieccolo’ sardo si affaccia nell’era Zingaretti proprio perché ritenuto un acerrimo nemico del suo predecessore e viene messo nel nevralgico posto di tesoriere del Pd. E Zanda ama l’ancien regime.

 

Le pdl choc di Zanda: più soldi agli onorevoli come ai partiti

 

E quali sono, appunto, le prime due proposte di legge del buon Zanda, regolarmente depositate in Parlamento? Alzare le indennità dei parlamentari italiani (già pingui di loro) per portarle al livello di quelli europei e ripristinare il finanziamento pubblico ai partiti politici.

 

più soldi agli onorevoli come ai partiti

Più soldi agli onorevoli come ai partiti

 

Zanda i finanziamenti pubblici ai partitili vorrebbe riportare in auge, anche se non più –bontà sua – come fondi illimitati, come ai tempi dei rimborsi elettorali, ma solo fino a un tetto di 90 milioni da dividersi tra tutti i partiti e da spalmarsi in cinque anni di legislatura (18 milioni di euro l’anno), compresa l’estensione al pagamento degli affitti degli immobili sparsi nel territorio nazionale: 18 milioni annui vuol dire 3/4 milioni di ‘dote’ a partito, o meglio a gruppo parlamentare, a prescindere dai voti. Briciole rispetto al passato, ma ossigeno per un partito come il Pd, coi conti in rosso.

Quella di Zanda, ovviamente, è una mission impossible: i 5Stelle non ne vogliono sapere (anzi: attaccano Zanda e il Pd ad alzo zero), la Lega con tutti gli scandali che la inseguono proprio per finanziamento illecito (i famosi 49 milioni) non si può certo permettere di avanzare proposte simili, persino Forza Italia non dice un ‘ah’ a favore del Pd. Ma il nuovo tesoriere dem non ha intenzione di demordere: i fondi ai partiti, secondo lui, sono una “questione di democrazia” per mettere tutti alla pari ed evitare che “qualcuno prevalga sugli altri grazie ai soldi dei privati”.

Le disgrazie, però, non vengono mai da sole e così Zanda si fa venire un’altra idea brillante: le indennità dei parlamentari sono troppo basse, urge aumentarle. E qui, per i 5Stelle, è davvero come sparare sulla Croce Rossa: un tiro ‘pulito’ che affonda Zanda (e il Pd) in una palude di imbarazzi.

La proposta di legge depositata da Zanda (e, appunto, ritirata solo oggi) data al 27 febbraio 2019, casella postale del Senato. S’intitola “iniziativa per adeguare il trattamento economico dei membri del Parlamento a quello dei parlamentari europei”. In pratica, il testo prevede più soldi per deputati e senatori che arriverebbero così a guadagnare tra i 16mila e i 19mila euro al mese.

Oggi, per legge, i compensi dei parlamentari sono agganciati a quelli dei magistrati con funzioni di presidente di Sezione della Corte di cassazione e a loro equiparati come previsto e dalla legge 1261 del 1965. I nuovi stipendi verrebbero invece equiparati all’indennità parlamentare mensile lorda dei membri del Parlamento europeo”. Di Maio esulta: “Bella la sinistra ‘falce e cachemire’, ne sentivamo la mancanza”. Zanda si difende come può, segue – infuocato – dibattito.  

 

Lo stipendio dei parlamentari europei e di quelli italiani

 

parlamento europeo

Una seduta al Parlamento Europeo

 

Ma quanto guadagnano gli eurodeputati di Bruxelles? Hanno un compenso “leggermente inferiore” a quello di senatori e deputati italiano come dice Zanda? Come spiegato nel Regolamento del Parlamento Ue, il compenso mensile è 8 mila euro lordi (ovvero 6250 netti) cui vanno aggiunti 304 euro al giorno di diaria e 4mila 299 euro per le spese generali. Nel complesso, calcolando i vari vantaggi e benefit, un parlamentare europeo guadagna tra i 16 mila e i 19 mila euro al mese. Molto di più dei 14mila euro circa che percepiscono oggi deputati e senatori calcolando sempre indennità, diaria e rimborso per le spese di mandato.

Ma le modifiche proposte da Zanda non si fermano qui. La sua proposta di legge, assai complessa, prevede, infatti, nel nuovo articolo 1, al comma b, della sua pdl, “un’indennità transitoria a carattere temporaneo determinata nella misura dell’identica indennità corrisposta ai membri del Parlamento europeo” e, al comma c, “un trattamento differito di natura assicurativa, il cui diritto matura a condizione che sia scaduto il mandato parlamentare e che il beneficiario abbia compiuto il sessantatreesimo anno di età”. “Insomma, vengono chiamati, con altro nome, il Tfr e i vitalizi, cui si aggiunge anche una pensione di invalidità, per non farsi mancare nulla”, attacca il M5s con un post.

 

Il finanziamento pubblico ai partiti ‘versione Zanda’

Zanda

La crisi di risorse che toglie il sonno a Zanda

 

La crisi di risorse che toglie il sonno a Zanda è di certo figlia della riforma Letta grazie a cui, dal 2014 al 2017, i finanziamenti sono stati progressivamente aboliti. I partiti, da allora in poi, hanno così potuto finanziarsi soltanto attraverso il 2 per mille volontario dei cittadini o per via di donazioni private fino a 100 mila euro, consentite fino a quella cifra, in forma anonima, ma solo fino a prima dell’intervento del dl Spazzacorrotti.  Da qui l’idea di Zanda annunciata in un’intervista a Repubblica.

 L’articolo 6 del ddl, assegnato alla commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama il 17 ottobre scorso, stabilisce che “ai partiti e ai movimenti politici è corrisposto un contributo pubblico finalizzato alla parziale copertura delle spese sostenute per il perseguimento degli obiettivi statutari”. Il ddl prevede l’istituzione, al ministero dell’Economia, di un “Fondo per il finanziamento dell’attività politica dei partiti con dotazione pari a 90 milioni di euro”. Accederebbero al riparto (“in 5 annualità”) “i partiti e i movimenti politici con almeno un candidato eletto sotto il proprio simbolo” in Parlamento (Camera o Senato), al Parlamento europeo, nei consigli regionali o delle province autonome di Trento e Bolzano. La norma fissa i criteri di ripartizione: il 10% del Fondo (9 milioni) da suddividere “in parti uguali” a tutti; il restante 90% (81 milioni) “in ragione della rispettiva quota di rappresentanti eletti”.

 

Breve storia del finanziamento pubblico: un ‘fiume’ di soldi

 

fiume di soldi

Fiume di soldi

 

Istituiti nel 1974 con la cosiddetta ‘legge Piccoli’ (dal nome dell’allora segretario della Dc Flaminio Piccoli) e abrogati da un referendum promosso dai Radicali nel 1993 (90,3% di sì), i finanziamenti statali ai partiti sono un classico della politica come pure della polemica politica. Gli italiani li detestano, i partiti, ovviamente, meno. Cancellati dal voto popolare, rispuntarono presto con un nome diverso: non più finanziamento pubblico ai partiti, ma contributo per le spese elettorali.

Ma il tentativo, nel 1997, di introdurre la contribuzione volontaria per destinare il 4 per mille dell’Irpef ai partiti (per un totale massimo, allora in lire, equivalente a 56.8 milioni di euro), si rivelò un fiasco totale. Così, nel 1999, le “Nuove norme in materia di rimborso delle spese elettorali”, reintrodussero un vero e proprio finanziamento pubblico, sganciando il computo dei rimborsi spettanti dalle spese effettivamente sostenute dai partiti per le campagne elettorali. Nel 2002, con l’avvento dell’euro, i rimborsi elettorali vennero ulteriormente gonfiati, trasformando il Fondo in annuale e abbassando dal 4 all’1% il quorum richiesto per accedere ai fondi pubblici.

A conti fatti, la torta, in caso di legislatura completa, lievitò, anzi raddoppiò, passando da 193,7 milioni a 468,8 milioni di euro. In sostanza, dalle vecchie 4.000 lire “a voto” si passò a un euro tondo incassato per ogni singolo anno e non per l’intera legislatura.

I radicali provarono altre due volte ad abrogare il finanziamento pubblico e il governo guidato da Mario Monti mise un argine, nel 2012, alla spesa dei partiti, ma alla fine fu il governo di Enrico Letta ad abolirli: dal 2014 al 2017 i rimborsi elettorali si sono prosciugato fino allo zero e ai partiti, oggi, è rimasta, come modalità per finanziarsi, solo il 2xmille volontario dei cittadini (al Pd la raccolta va anche bene: quasi 500 mila euro nel 2017) e le donazioni private (il cui tetto era stato fissato a 100 mila euro per i contributi in forma anonima).

 

Quanto hanno guadagnato i maggiori partiti dai soldi pubblici

 

soldi pubblivci ai partiti

Quanto hanno guadagnato i maggiori partiti dai soldi pubblici

Se prendiamo i tre partiti oggi rappresentati in Parlamento, sopravvissuti alla Prima e alla Seconda repubblica, il saldo è impressionante: dal 1988 al 2013, Lega, Forza Italia (poi Pdl e di nuovo FI) e Pd (già Pds e Ds), hanno incassato finanziamenti pubblici per quasi 1,6 miliardi di euro. Eccoli nel dettaglio. Cominciamo dal partito più “anziano” tra tutti: la Lega.

 

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Roberto Maroni e Umberto Bossi

 

Transitando dalla prima alla seconda Repubblica, il Carroccio guidato prima da Umberto Bossi, poi da Roberto Maroni e infine da Matteo Salvini ha ricevuto dallo Stato, tra il 1988 e il 2013, la bellezza di 179 milioni 961mila euro. Una cifra dinanzi alla quale anche i 49 milioni che la Lega deve restituire sembrano spiccioli.

 

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Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia

Ma è ben poca cosa di fronte al piatto ricco servito a Forza Italia: 800 milioni di euro raccolti a partire dal 1994 da FI di Silvio Berlusconi che, dal 2008, ha cambiato nome in Popolo della Libertà, e poi è ritornato a chiamarsi FI. Per la precisione, un finanziamento monstre di 784 milioni 182mila 330 euro. In media, 107mila euro ogni giorno trascorso nei 20 anni che vanno dal ‘94 al 2013.

Infine, il Pd. Nato nel 2008 dalla fusione dei Ds (già Pds) con la Margherita (che dal 2001 al 2008 ha maturato 77,5 milioni di rimborsi elettorali), Rinnovamento italiano e i Democratici, nelle sue varie declinazioni, dal 1991 al 2013, la principale formazione della Sinistra italiana, nata dalla transizione dal Pds (1991-1998) ai Ds (1998-2008), fino al Pd (nel 2008), ha incamerato finanziamenti pubblici per 630 milioni 730mila 246 euro. Per la precisione, 214 milioni di euro tra il 1991 e il 2008 nella staffetta tra Partito democratico di sinistra (Pds) e Democratici di sinistra (Ds) e altri 416,8 milioni, tra il 2008 e il 2013, sotto le insegne dell’ultima e attuale declinazione del Partito democratico.

 

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Enrico Letta

 

Ricapitolando dal 1988 al 2013, anno in cui l’ex premier Enrico Letta decretò la fine dei finanziamenti pubblici (azzerati dal 2017), i tre partiti (o i loro eredi) superstiti della Prima Repubblica, ancora presenti oggi in Parlamento, hanno incassato complessivamente un miliardo 594 milioni di euro.

 

Il bilancio del Pd? Sprofondo rosso…

 

Sprofondo rosso del Pd

Sprofondo rosso del Pd

 

Le casse del Pd sono diventate esangui proprio a partire dalla fine del finanziamento pubblico. Nel 2013 le entrate della gestione del Pd ammontavano a 37,6 milioni di euro, di cui 24,7 milioni da rimborsi elettorali. Una cifra che già risentiva degli effetti del taglio del governo Monti, ma la tendenza si è acuita con il decreto legge 149 del 2013 del governo Letta che ha abolito i rimborsi elettorali del tutto a partire dal 2017: al loro posto c’è, appunto, il 2×1000.

E così, le entrate del Pd si sono più che dimezzate: nel 2017 (ultimo bilancio disponibile) il Pd ha rendicontato entrate per 17,7 milioni di euro, il 53% in meno rispetto al 2013 (erano 27,3 le entrate nel 2014, 22,2 nel 2015, 20 nel 2017). Comprensibile che Zanda provi a mettere rimedio allo ‘sprofondo’ rosso, senza dire dell’affitto del Nazareno e dei 170 dipendenti in cassa integrazione.

 

I 5Stelle dicono di non prendere soldi pubblici? E’ falso

 

Luigi Di Maio

Luigi Di Maio, vicepremier e ministro dello Sviluppo economico

 

Ma nelle parole di Di Maio, che attacca il Pd al grido di “vergogna!”, non ci sono tracce di un importante fonte di finanziamento ai partiti di cui anche il Movimento, del tutto legittimamente, è destinatario. Si tratta dei contributi ai gruppi parlamentari di Camera e Senato. Di fatto, è l’ultimo e consistente elemento superstite del sostegno pubblico alla politica. Circa 52 milioni l’anno (260 milioni nel corso della scorsa legislatura). Da questa fonte l’M5S ha incassato 32 milioni di euro.Numeri assai più significativi, per esempio, del 2xmilleche, nel 2016, ha dato ai partiti 15,3 milioni di euro, di cui neanche uno è andato a M5S che, in quanto movimento, non ne ha diritto.

Nel 2016 (XVII legislatura, la scorsa) la Camera ha trasferito ai gruppi 31,79 milioni di euro, ripartiti in base alla loro consistenza numerica. Quasi la metà (14,43 milioni) sono andati al Pd con i suoi 218 parlamentari ma il M5S ha potuti incassare 3,78 milioni in forza dei suoi 88 deputati, la cifra più alta dopo quella dei Dem. Forza Italia, invece, si è vista attribuirsi 2,56 milioni di euro, cifra in calo rispetto ai 3,29 milioni del 2015 quando i deputati azzurri erano assai più numerosi.

Al Senato il contributo complessivo ai gruppi è stato, invece, nella scorsa legislatura, di circa 21 milioni di euro l’anno, spartizione che rispecchia la grandezza dei gruppi con il Pd sempre in testa (6,446 milioni di euro), seguito da Forza Italia (2,5 milioni) e con il Movimento 5 Stelle al quarto posto con 2,396 milioni, mentre dietro c’è il gruppo misto che ha incassato 2,32 milioni. 

 

M5S_logo

Il logo elettorale dell’M5S

 

Insomma, anche i 5Stelle non disdegnano i finanziamenti pubblici statali. L’altra settimana il comitato elettorale del M5S ha inviato una lettera a tutti gli eletti chiedendo un contributo economico per finanziare la campagna per le Europee. I parlamentari, si sono subito risentiti: il ‘salasso’ economico verso il partito è già alto. Inoltre, nella lettera si scrive che l’M5S “non riceve finanziamenti pubblici”, ma come scrive e documenta il sito OpenPolis l’affermazione è “falsa”.

 

Per almeno tre motivi, spiega sempre, molto bene, il sito e l’associazione di monitoraggio parlamentare. 

 

tre motivi

Tre motivi 

 

Primo. Tutti i gruppi politici presenti, come il M5s, in Parlamento, ricevono un finanziamento pubblico per portare avanti le proprie attività. Si tratta dei rimborsi ai gruppi parlamentari (53 milioni annui versati dalle due Camere a tutti i gruppi).  Soldi che, tutti gli effetti, sono ‘finanziamento pubblico’. Nell’attuale legislatura, essendo il gruppo più nutrito, sarà quello che riceverà più soldi (almeno 60 milioni circa, su cinque anni).

Secondo Se si volesse limitare il concetto di “finanziamento pubblico” ai rimborsi elettorali, sostenere che il M5s non li riceve può anche essere vero, ma come lo è per tutti i partiti: i rimborsi elettorali sono stati aboliti nel 2013. L’unica differenza tra il M5s e gli altri partiti è che non riceve il 2×1000, nuovo sistema di finanziamento indiretto, in quanto è un ‘movimento’ e non un partito.

Terzo. Chiedere agli eletti parte del loro stipendio, pagato dallo Stato, sotto forma di donazione, è una forma indiretta di finanziamento pubblico. Gli eletti M5S versano già una quota della loro indennità,  300 euro mensili, per il funzionamento della piattaforma Rousseau, operazione che porta nella casse di un’associazione privata, la Casaleggio associati, 6 milioni di euro (5,9 milioni di euro per 5 anni di legislatura). Per completezza va ricordato che il M5S porta avanti da anni una campagna per la ‘restituzione’ degli stipendi dei suoi parlamentari. Sono arrivati, negli anni scorsi, 25 milioni di euro destinati a un fondo di microcredito.

Insomma, al solito, l’M5S predica bene e razzola male…

 


 

NB: Articolo è stato pubblicato, in forma più succinta, sul sito di notizie Tiscali.it il 6 maggio 2019