Lega & M5S, problemi a casa propria. Di Maio contro ‘Dibba’. Salvini vola negli Usa come De Gasperi?

Lega & M5S, problemi a casa propria. Di Maio contro ‘Dibba’. Salvini vola negli Usa come De Gasperi?

23 Giugno 2019 0 Di Ettore Maria Colombo

Pubblico qui due articoli, usciti su Tiscali.it, ma in giorni diversi. Il primo, quello sull’M5S e lo scontro tra Di Maio e Di Battista, è di oggi. Il secondo, Salvini negli Usa, lunedì 17 giugno

Di Battista e Di Maio alla guerra l’un contro l’altro armati. Dentro i 5Stelle è guerra tra ‘ministeriali’ e ‘movimentisti’

 

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Alessandro Di Battista, ex deputato dell’M5S e big del Movimento

 

‘Dibba’ attacca ‘Gigino’, Di Maio manda al diavolo ‘Dibba’. L’ennesima guerra interna ai 5Stelle scoppia fragorosa. A rischio, stavolta, c’è la stessa leadership del Movimento, a rischio frattura e/o rottura interna. Altro che i ‘distinguo’ dell’ala ortodossa e movimentista che fa capo al presidente della Camera, Roberto Fico, che un giorno dice, un giorno non dice, l’altro giorno un po’ tace e un po’ fa capire. ‘Dibba’ è uno sanguigno, si sa, non le manda certo a dire, solo che ora s’è stufato pure ‘Giggino’ che reagisce offeso, con tanto di parolacce, contumelie e battutacce off records

 

La frase, o meglio l’audio, in cui Di Maio ‘s’incazza’…

 

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Luigi Di Maio ha perso tutto…

 

Davanti agli attivisti che affollavano l’assemblea territoriale del Movimento 5 Stelle a Terni, il vicepremier e leader del Movimento, Luigi Di Maio si sfoga così: “Noi siamo andati al governo per fare le cose e finché ci si consentirà, in queste condizioni, di farle, io continuerò. Perché se invece il tema è fare il ragionamento politico… è per questo che io mi sono incazzato in questi giorni quando ho sentito questa frase “burocrati chiusi nei ministeri” (frase detta da Di Battista in un’intervista, ndr.) Ma io lavoro un terzo, ragazzi, lavoro un quinto. In campagna elettorale ho fatto 10 mila chilometri in un mese, fino al mese prima abbiamo lavorato a Roma nei ministeri a tambur battente”.

Le registrazioni audio delle parole di Di Maio vengono pubblicate dal sito Fanpage.it – un sito che non è la prima volta che dà dispiaceri a Di Maio e ai 5Stelle – e il riferimento è a quanto Alessandro Di Battista, prima nel suo ultimo libro, “Politicamente scorretto”, poi in varie interviste, ha detto. 

 

Già che c’è Di Maio se la prende pure con Salvini…

 

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Arsenico e vecchi pizzini, Di Maio contro Salvini sulla questione morale

 

In un altro passaggio dell’audio pubblicato da Fanpage.it si sente Di Maio dire così: “Mi dicevano, ma com’è che quello (Salvini, ndr.) sta in ogni Comune e tu non ci sei mai? Poi abbiamo scoperto che usava gli aerei di Stato. Ma se qualcuno pensa che dobbiamo cominciare a fare i voti con quella roba là, noi l’abbiamo ucciso il Movimento”. Il Pd non sta nella pelle per la gioia di vedere gli alleati di governo che si sbranano e annuncia immediata interrogazione parlamentare: “Il vicepremier Di Maio sostiene che l’altro vicepremier Salvini abbia utilizzato voli di Stato per il suo lungo tour elettorale degli scorsi mesi in Italia. Viste le parole così nette di Di Maio, il governo ed il presidente Conte hanno il dovere di riferire alle Camere e di fare chiarezza su ogni singolo utilizzo dei voli di Stato da parte del ministro Salvini e degli altri membri dell’esecutivo”. Altro che Air Force One di Renzi (mai neppure decollato), qua rischia di finire con l’M5S che ‘interroga’ Salvini peggio del Pd…

 

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Luigi Di Maio, vicepremier del governo Conte e capo politico dell’M5S

 

Fonti del Movimento, ovviamente, minimizzano e spiegano come non si trattasse di nessun audio rubato: la riunione era chiusa ufficialmente alla stampa, ma accessibile a tutti, sottolineano, ricordando anche le diverse dirette Facebook fatte dai militanti durante l’intervento di Di Maio. Traduzione delle medesime fonti: “ Gigi ha voluto mandare dei messaggi, una carezza gentile, visto che loro ci riempie sempre di m….”. ‘Loro’ sarebbero, appunto, Di Battista e Salvini: un nemico interno e un nemico esterno del partito dei ‘ministeriali’ pentastellati. Quelli che, per capirsi, a casa non ci vogliono più andare: troppo comode le poltrone, troppo belli i benefit governativi e parlamentari, troppo alti gli stipendi e i relativi stili di vita acquisiti, in fondo, da neppure un anno.

 

Dibba e il suo libro-manifesto “Politicamente scorretto”

 

Politicamente scorretto - Alessandro Di Battista

Politicamente scorretto

 

Del resto, nel libro “Politicamente scorretto”, uscito il 17 giugno, per Feltrinelli (sic), Di Battista scrive: “Non abbiamo perso le elezioni perché i media hanno raccontato falsità alla pubblica opinione. Le abbiamo perse perché noi e solo noi abbiamo creduto a quelle menzogne e per tentare di confutarle ci siamo via via trasformati in burocrati rinchiusi diciotto ore al giorno nei ministeri mentre Salvini al suo non ci stava quasi mai”.

 

Alessandro Di Battista

Alessandro Di Battista

 

La sua dotta analisi, Di Battista la continua così: “Le strategie lasciamole ai politicanti, se entriamo nel loro campo ci fanno a pezzi. In fondo, per decenni, non hanno fatto altro che fare strategie per guadagnare poltrone e privilegi. Quando li abbiamo costretti a entrare nel nostro di campo, quello delle proposte di buon senso, quello della sobrietà, della passione politica, quello dell’attivismo, della politica come missione, li abbiamo fatti a pezzi noi”. Parole lontane anni luce non solo dall’alleanza con la Lega, che ‘Dibba’ vuole polverizzare, per correre – come Salvini, più di Salvini – alle urne anticipate e gridare il suo ‘no pasaran’ (alla Lega, non al Pd), ma ora anche da Di Maio

 

L’asse tra Di Battista e Casaleggio junior, vestali dell’M5S

 

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Davide Casaleggio, presidente dell’Associazione Rousseau

 

Di Battista, peraltro, oggi sarà intervistato da Casaleggio jr (l’asse tra i due, il leader ‘descamisado’, ‘guevarista’ e ‘andino’ e il figlio del fondatore è antico, forte, radicato) sul palco catanese di “Rousseau City Lab” a Piazza Nettuno, con Giulia Grillo, ministro della Salute, e molti altri attivisti stellati della prima ora come Max Bugani, uno dei pochi che del Movimento ha le chiavi. Manca solo l’altro Grillo, Beppe, ma ne ha scritto sul Fatto quotidiano e per come lo scrive è come ci fosse.

Casaleggio jr la mette sul solito refrain del comunichiamo male (“Nove riforme su undici al governo sono state fatte dal M5S, raccontiamolo”, spiega il fondatore di Rousseau), ma soprattutto apre alla proposta di Dibba sulla deroga al doppio mandato in caso di crisi di governo: “Ne stiamo parlando, noi continuiamo a verificare se le nostre regole sono attuali” dice cogitabondo.

 

Casaleggio jr e Di Battista

Casaleggio jr e Di Battista

 

Ma a tarda sera, sul palco, ecco andare in scena l’inedita intervista di Casaleggio a Di Battista. All’evento “Rousseau Lab” sono presenti tutti i pentastellati siciliani, inclusi il ministro Giulia Grillo che, con Danilo Toninelli, è attivissima, con l’obiettivo non dichiarato di evitare di esser vittima del rimpasto. Nel frattempo, il gruppo parlamentare ribolle non risparmiando critiche né a Di Maio e neppure a Di Battista: “Ma perché è venuto a sporcarsi le mani?” è il concetto ribadito da più di un deputato in questi giorni. Invece, secondo l’inner circle dimaiano le critiche al capo dipendono soprattutto dall’annunciato rimpasto dei sottosegretari che, assicurano, nel medio periodo ci sarà. Anche perché farlo, il rimpasto, è sintomo di buona salute, per il governo (qualsiasi governo), non farlo è sintomo di pre-crisi di governo. 

 

M5S, ‘Ministeriali’ e ‘poltronisti’ contro ‘movimentisti’ e ‘puri’

 

Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo

Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo

 

Insomma, ‘ministeriali’ e ‘poltronisti’ contro ‘puri e duri’, ‘movimentisti’ e ‘radicali’ è la nuova faglia di rottura, dentro il Movimento? Forse, è possibile. Anche se proprio Dibba ha messo, nei giorni scorsi, le mani avanti dicendo che, appunto, la ‘regola aurea’ dell’M5S, il divieto di poter esercitare più di due mandati (Casaleggio senior e anche Beppe Grillo ci tenevano molto che venisse fatta rispettare, Casaleggio jr pure, in teoria), se il Paese precipitasse a elezioni anticipate, va fatta saltare. Perché va bene tutto, ma indicare in Di Maio non solo anche il capro espiatorio, ma anche la testa da far subito rotolare (in caso di interruzione repentina della legislatura, a Statuto M5S vigente, Di Maio non si potrebbe neppure ricandidare a deputato, avendo fatto due legislature, quindi figurarsi il candidato premier) vuol dire che Dibba è debole, non sicuro di potercela fare.

 

Il sorriso del Che Guevara

Il sorriso del Che Guevara

 

Ma il pensiero recondito è anche quello più raffinato, nella testa del ‘Che Guevara’ a 5Stelle: gli facciamo il ‘regalino’, di farlo ricandidare, a Di Maio, ma come un’elemosina, chiaramente lo delegittimiamo, avrà solo posti in seconda e terza fila, poi – quando ci sarà da fare il ‘gioco grosso’, quello delle nuove consultazioni nel nuovo Parlamento – c’è già pronto proprio lui, il ‘Dibba’.

 

Il test delle Europee ha rotto gli equilibri interni ai 5Stelle

 

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La crisi è strutturale, per i 5 Stelle

Il guaio è, appunto, l’asse inedito che emerge, dalle ceneri delle Europee, nell’universo pentastellato: quello tra Davide Casaleggio e Alessandro Di Battista. L’uomo  he ha le chiavi della piattaforma Rousseau e il frontman delle piazze oggi saliranno, insieme, sul palco di Catania. Entrambi, per motivi diversi hanno passato gli ultimi mesi lontano dalle luce dei riflettori. Entrambi, in modalità diversissime, tornano in campo nel momento più difficile del M5S, ma innescando la reazione, gelida e piccata, del ‘capo politico’ – o presunto tale – Luigi Di Maio. Il vicepremier ha iniziato proprio ieri un lungo, e non certo facile, tour di assemblee regionali. Obiettivo: ricostruire una base dilaniata dall’alleanza con la Lega e dalla lontananza dal territorio dei big pentastellati.

E, agli attivisti umbri, Di Maio non ha risparmiato la sua irritazione nei confronti delle critiche di Di Battista, come abbiamo visto. Insomma, l’M5S è ormai una pentola in piena, caotica, ebollizione.

 

Di Maio rischia di fare la fine dell’Asino di Buridano…

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Logo del M5S

 

Ma Di Maio dovrebbe preoccuparsi, più che della sua – eterna – rivalità con Dibba, che mira a togliergli il posto, di Salvini, che mira, invece, a togliergli il resto del sonno. Perché le voci che arrivano dalla Lega sono sempre più tumultuose e mugghianti. Di Maio rischia di finire come l’asino di Buridano che, non sapendo scegliere tra due secchi d’acqua, si asseta e muore, gettato via come una calza vecchia dal suo stesso Movimento, come da Salvini, teorico ‘alleato’ di governo. Fossimo nella fidanzata, Virginia Saba, opteremmo per il prolungamento delle vacanze nella splendida Sardegna: il ‘Capo’ ha bisogno di ritrovare forza e lucidità perché, di qui a breve, potrebbero servire.  

 

NB: Questo articolo è stato pubblicato il 23 giugno 2019 sul sito di notizie Tiscali.it

 


Salvini dagli Usa e attacca la Ue e la Cina, soft solo sulla Russia. Poi, tuona sulla flat tax mentre Di Maio nega il rimpasto…

 

Salvini come De Gasperi? L’M5S come il Pci nel 1947?

 

Matteo Salvini, come Alcide De Gasperi, vola negli Usa per rompere con Di Maio e i 5Stelle? Possibile, ma non è detto che accada. Perché questo paragone storico? Vediamo di capirlo.

Un precedente storico: 1947, De Gasperi vola negli Usa 

 

Il premier italiano che firmò il trattato di pace di Parigi, Alcide de Gasperi (Dc)

Il premier italiano che firmò il trattato di pace di Parigi, Alcide de Gasperi (Dc)

 

Quando Alcide De Gasperi, nel gennaio del lontano 1947, volò a Washington, per incontrare l’allora presidente Usa, Henry Truman (democratico, già vicepresidente di Franklin Delano Roosevelt, ma fieramente anticomunista) e il Dipartimento di Stato americano, era già scoppiata la ‘Guerra Fredda’, in Europa. Come disse, infatti, nel 1946, l’ex primo ministro britannico Winston Churchill, “una cortina di ferro è calata da Stettino a Trieste”, quella dell’Urss di Stalin e dei paesi socialisti suoi ‘satelliti’. L’amministrazione americana, dopo la strategia detta dello ‘appeasement’ di Roosevelt, avevano inaugurato la strategia del ‘containment’ dell’espansionismo sovietico (contenere i russi per evitare che si ‘mangino’ l’Europa occidentale), strategia che, poi, con il presidente repubblicano Dwigit Eisenhawer, divenne, invece, quella del “roller and black” (traduzione, non letterale, “ricacciamoli indietro!”). Il teorico della strategia del ‘containment’ era un diplomatico Usa, George Kennan, oscuro ma geniale. 

 

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Il vecchio simbolo della Dc rinnovato

 

Eppure, in Italia, la Dc era al governo con il Psi e, soprattutto, il Pci in quello che veniva chiamato il ‘governo tripartito’. Era, per la precisione, già il III governo De Gasperi (che sarebbe arrivato fino a sette), e – dopo l’autoesclusione di alcune forze minori, che pure avevano partecipato ai governi di Cnl o di ‘unità nazionale’ – erano rimasti, a palazzo Chigi, con i democristiani, solo socialisti e comunisti, partiti guidati da Pietro Nenni e Palmiro Togliatti (allori segretari di Psi, che in realtà si chiamava Psiup, e Pci) in testa a tutti, più il piccolo Pri. De Gasperi andò negli Usa da solo e quel viaggio fu di una importanza storica. Infatti, in cambio dell’avvio del sostegno del ‘Piano Marshall’ (un piano di aiuti economici a tutti i Paesi europei che erano usciti dalla Seconda guerra mondiale, ma che vivevano ‘oltre Cortina’, cioè fuori dall’influenza dell’Unione Sovietica che si propagava agli stati satelliti dell’Europa dell’Est), De Gasperi dovette ‘cedere’ – ma ne era, di fatto, già convinto in cuor suo – alle pressioni dell’amministrazione Usa e ‘sbarcare’ le sinistre dal governo del Paese. Appena De Gasperi tornò in Italia, l’operazione prese corpo e, nel giro di due mesi, cioè entro giugno del 1947, nacque un nuovo governo politico, il IV governo De Gasperi  che vedeva la presenza di quattro partiti (Dc, Pli, Pri, Psli, che poi prese il nome di Psdi), tutti di stampo fieramente ‘atlantista’, cioè fedeli al Patto atlantico (la Nato di oggi) e di idee anticomuniste.

 

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Palmiro Togliatti, storico segretario del Pci

 

Un governo, il IV De Gasperi, che ‘traghettò’ il nostro Paese dall’Assemblea costituente (1946-1947) all’entrata in vigore della Costituzione (I gennaio 1948) e che rimase in piedi fino a quando la Dc, e lo stesso De Gasperi, vinsero le elezioni politiche del 18 aprile 1948, sconfiggendo il ‘Fronte popolare‘ in cui si erano uniti Pci, Psi e indipendenti di sinistra, in modo travolgente. Elezioni, quelle del 1948, che segnarono profondamente la storia d’Italia, ma che trovarono le loro radici proprio nel viaggio di De Gasperi negli Usa. Molto protestarono, allora, le sinistre, dicendo che De Gasperi si era ‘fatto dettare la linea’ dagli americani (vero) e che, addirittura, era ‘al soldo degli Usa’ (falso), ma poco potettero e, per cinquant’anni (almeno il Pci, invece il Psi entrò al governo negli anni Sessanta) rimasero all’opposizione. 

 

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Giuseppe Saragat, quarto presidente della Repubblica (1964-1971)

 

Per completare l’operazione, i socialdemocratici di Giuseppe Saragat, poi diventato presidente della Repubblica, ruppero con i socialisti di Nenni – allora legati al Pci da un ferro ‘patto di unità d’azione’ che venne sciolto solo nel 1956 – misero in atto la “scissione di palazzo Barberini”, nel febbraio del 1947. In pratica, nacque il Psli (poi Psdi), separato dal Psi, e le conseguenze di quella scissione si sentirono anche sull’unità sindacale confederale. Infatti, in breve volgere di tempo la ‘Libera Cgil’ (poi Cisl) e poi la Uil si separarono dalla Cgil di Giuseppe Di Vittorio, legata – allora – a doppio filo al Pci come al Psi.

Insomma, per farla breve, un fatto che appariva innocuo – il viaggio di De Gasperi negli Usa, fatto “con il cappello in mano”, dicevano le sinistre – ebbe conseguenze politiche incalcolabili, sulla scena politica. Infatti, da allora in poi, appunto, e fino ai governi detti di “solidarietà nazionale” (1976-1979) il Pci fu tenuto fuori dalla porta sia del governo che della politica italiana in base al famoso ‘fattore K’, cioè a causa dei suoi legami con Mosca, il Pcus e l’Urss. 

Salvini, in visita negli Usa, fa a ‘braccio di ferro’ con la Ue

 

Governo Conte, resta l'agenda Salvini

Governo Conte, resta l’agenda Salvini

 

Tornando alla stringe attualità, iIeri, come si sa, Matteo Salvini è volato a Washington per due giorni (è già tornato e già imperversa tra un convegno e un comizio, gli italiani possono riposare sereni). Dopo aver lungamente rinviato una visita che avrebbe dovuto compiere già due volte, nei mesi passati, il vicepremier leghista ha incontrato il vicepresidente americano Mike Pence e il segretario di Stato Mike Pompeo e, pur senza riuscire a incontrare il presidente americano, Donald Trump, ha detto ciò che l’amministrazione Usa voleva sentirsi dire. Salvini, infatti, si è messo a giocare a “braccio di ferro” con l’Europa, sulla manovra economica, forse più del solito, ma anche con la Cina.

 

Mike Pompeo

Mike Pompeo

 

Il leader della Lega ha sfidato la Ue, tessendo le lodi della politica economica e fiscale dell’amministrazione Trump, che “può essere un esempio e un modello per l’Italia”.“L’Italia è il più grande Paese europeo con cui gli Stati Uniti possono e vogliono dialogare – spiega Salvini – sono qui per aprire un canale che può essere enorme e di grandissimo interesse per entrambi”.

 

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Il Presidente degli Usa, Donald Trump

 

Il vicepremier dice di aver rassicurato i suoi interlocutori a Washington sulla tenuta del governo, allontanando ogni possibile preoccupazione legata all’incertezza politica italiana, ma non è un mistero che gli Usa si fidano – i repubblicani storicamente, i democrat Usa molto meno, ma oggi sono relegati all’opposizione – di personalità come Berlusconi e di soggetti politici come il centrodestra mentre Di Maio e l’M5S sono, per loro, da un lato un oggetto misterioso e, dall’altro, un ‘problema’ di non poco conto, date le posizioni assunte dai loro vertici – e, anche, dal premier Conte – su questioni geostrategiche fondamentali, per gli Usa, come la crisi in Venezuela, il Golfo Persico dove soffiano ‘venti di guerra’ con l’Iran, e lo status di Israele, che l’amministrazione Trump difende a spada tratta mentre i pentastellati nicchiano, più sensibili alle ragioni dei ‘popoli oppressi’, dai palestinesi ai siriani agli egiziani. Per non dire della situazione in Libia, giudicata ‘esplosiva’ e, su cui, al netto di Salvini, che chiude i porti alle ong, il governo Conte ha combinato nulla o solo guai.

 

Vladimir Putin

Vladimir Putin

 

E se è vero che anche Salvini, a causa dei suoi arcinoti rapporti con la Russia di Putin, è stato visto con sospetto, per anni, in seno all’amministrazione Usa, oggi è lui – e solo lui – che offre ‘garanzie’, ai trumpisti d’America – soprattutto rispetto alla guerra commerciale con la Cina ormai in atto -mentre i 5Stelle e Di Maio – ma anche il premier Conte – alla Cina hanno aperto le porte firmando il memorandum sulla ‘Via della Seta’, o ‘Roald Belt’, che però Salvini non è stato in grado di stoppare. 

 

Gli Usa non si fidano per nulla di Di Maio, ma di Salvini sì

 

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Il terzo Presidente della Repubblica Segni (1962-1964) riceve il presidente Usa Kennedy

 

“Condivido le preoccupazioni dell’amministrazione americana sia nei confronti della Cina che nei confronti dell’Iran” ci tiene a dire, subito, il vicepremier leghista. Poi aggiunge: “La posizione dell’Italia con l’Iran è già cambiata. Nessuno si può permettere di dire di voler cancellare uno stato dalla faccia dalla terra, come Israele, e avare relazioni normali”. Quanto alla Cina, “il business non è tutto. Porta benefici a medio termine che poi possono diventare una gabbia. La penso come Trump sulla sicurezza, e sui dati degli italiani (vedi alla voce: Huawei, compagnia e gigante made in China, ndr.) e la loro sicurezza non si transige”.

 

Salvini e Putin

Salvini e Putin

 

Ma è il caso Russia’ il punto debole della neo-geopolitica salvianiana. Dati i suoi stretti rapporti con Putin, Salvini prova a mediare: “Sarebbe un errore strategico sia commerciale sia geopolitico allontanare la Russia dall’Occidente per lasciarla nelle braccia dei cinesi. Bisogna fare di tutto per riportarli al tavolo e io preferisco ragionare che tornare all’asse Mosca-Pechino”. In questo caso, un colpo al cerchio (gli Usa) e un colpo alla botte (la Russia, dove Salvini è considerato “un amico”).

 

F35

F35

 

Salvini, ovviamente, parla anche degli F35, gli aerei militari il cui acquisto la ministra alla Difesa, Elisabetta Trenta, ha bruscamente stoppato: “Credo che gli accordi sottoscritti non si possono rimangiare. Investire in ricerca coinvolgendo forza lavoro italiana è assolutamente utile”, spiega.

Ma Di Maio e Conte hanno deciso: nessun rimpasto in vista

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Il presidente del consiglio, Giuseppe Conte, stringe le mani del suo vicepemier, Luigi Di Maio

 

Dall’Italia, peraltro, ‘non’ arrivano buone notizie, per la Lega, che – pur senza dirlo – chiede da settimane un rimpasto di governo per riequilibrare le sorti dell’esecutivo a suo favore, dopo i risultati delle elezioni europee, e fare largo a suoi uomini, quelli più in vista, a partire dal responsabile del dicastero degli Affari europei (casella mancante a partire dalle dimissioni di Paolo Savona), oltre che per sostituire pedine a 5Stelle che, per la Lega, si sono comportate non male, ma malissimo (Toninelli, Grillo, Trenta, Costa, etc.).

 

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L’economista ‘no Euro’ e ministro agli Affari europei Paolo Savona

 

Di Maio e Conte, però, rispondono picche. Nessun rimpasto in vista: durante l’incontro che si è tenuto ieri mattina tra il vicepremier e capo politico M5S Di Maio e i ministri pentastellati l’argomento, assicurano fonti del M5S, non sarebbe stato neppure trattato. “Per noi il rimpasto è un tema che non c’è”, tagliano corto i 5 Stelle, che sottolineano anche gli “ottimi” rapporti con il premier Conte e la rinnovata sintonia di cui ha parlato anche il presidente del Consiglio in Francia.Con Conte i rapporti sono ottimi e c’è massima collaborazione” sostengono le fonti del M5S.

 

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Grillo e Di Maio, i futuri rimpasti nel Governo Conte

 

Sempre per le stesse fonti, l’incontro è servito a dimostrare “la compattezza del gruppo (cioè di Di Maio e dei suoi minsitri, ndr.) sulle priorità dell’M5s, che sono tre: l’abbassamento delle tasse, il salario minimo e il conflitto di interesse”. Guarda caso, tranne il primo punto, tutte materie su cui Salvini storce la bocca da sempre e che fanno masticare amaro ogni colonnello leghista che si rispetti. Senza dire del fatto che anche quando l’M5S parla di “abbassamento delle tasse” ‘non’ intende la flat tax ma tutt’altro modo e sistema – assai più complesso – per affrontare tale problema.

 

Ma è proprio rilanciando sulla Flat tax che Salvini si tradisce

Matteo Salvini in Usa

Matteo Salvini in Usa

 

Già prima del volo negli Usa, Salvini aveva parlato di manovra economica, insistendo sulla flat tax: “Le risorse per la flat tax ci devono essere. Non è una scelta: al massimo si possono rimodulare i tempi”. Ed è sul tema economico che le parole del vicepremier si fanno via via più dure: “L’Unione Europea ha ammazzato un popolo e spalancato le porte alla Cina. L’Italia non è la Grecia e Bruxelles se ne farà una ragione. Il mio governo in Europa non si accontenta più delle briciole”.

 

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Un simbolo della Flat Tax

 

Ed ecco che il ‘punto’ della situazione da ‘geopolitico’ si fa, immediatamente, ‘italiano’, anzi ‘italianissimo’. Salvini vuole andare ‘alla guerra’ con la Ue, alla faccia di tutti gli sforzi di Conte – e del titolare del Mef, Giovanni Tria – di mediare, sopire e troncare, fino al punto di aprire la porta a una manovra economica correttiva per evitare che la Ue apra una procedura d’infrazione contro l’Italia. Il che, peraltro, potrebbe avvenire anche molto a breve, e cioè durante il vertice dei Capi di Stato e di governo della Ue che si terrà il 20-21 giugno a Bruxelles.

 

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Il Governo Conte gioca a braccio di ferro con la UE (Foto Roberto Monaldo/LaPresse)

 

Delle due, dunque, l’una: o Salvini è un politico ‘fanfarone’ che le spara grosse solo per raccattare consensi in giro oppure è un politico accorto e lungimirante e sta mettendo tutte le pedine sulla scacchiera per arrivare allo showdown finale con Di Maio e i 5Stelle, oltre che, ovvio, con Conte, fino al punto di arrivare alla crisi di governo e, subito dopo, portare il Paese a elezioni politiche anticipate. Tertium, cioè, non datur. A meno che, a Conte come a Tria e, soprattutto, a Di Maio, non resti davvero che chinare il capo e fare, da oggi in poi, tutto quello che dice e che vuole fare Salvini. Il quale non ha certo la statura politica, morale e intellettuale di un De Gasperi, ma potrebbe essere tentato di ricalcarne le mosse. ‘Sbarcando’ dal governo non “i comunisti”, ma i pentastellati.

 


 

NB: Questo articolo è stato scritto e pubblicato per il sito di notizie Tiscali.it il 18 giugno 2019