E sali sulla nave, e scendi dalla nave. Il Pd si divide sulla Libia e non ha più una linea in politica estera

E sali sulla nave, e scendi dalla nave. Il Pd si divide sulla Libia e non ha più una linea in politica estera

4 Luglio 2019 0 Di Ettore Maria Colombo

E sali sulla nave, e scendi dalla nave. La dura vita del dem…

E sali sulla nave, e scendi dalla nave

E sali sulla nave, e scendi dalla nave

E sali sulla nave, e scendi dalla nave. E dormi all’addiaccio e ti prendi gli insulti. E solidarizzi con Carola Rackete, nuova eroina della sinistra, ma in Parlamento vorresti votare per la linea Minniti – la quale ritiene i porti libici “porti sicuri” – contro la “linea Carola” (e, anche, “linea Gino Strada” o “linea Roberto Saviano”) e “linea di tutte le Ong” che, di accettare i divieti di Salvini, non ne vogliono proprio sapere. Anche perché – a differenza di Minniti (e di Salvini) – le Ong e la sinistra italiana giudicano la Libia un “non Stato” e i suoi campi di detenzione dei migranti che lì transitano per venire da noi “lager”. La vita del parlamentare di sinistra, specie se di fede democrat, è durissima, in questi giorni. Un inferno. Si fa presto a proclamare principi universali e di buon senso, come fa il segretario del Pd, Nicola Zingaretti (“un governo democratico dovrebbe tenere insieme i principi di umanità, sicurezza e legalità”).

carola rachete

La ‘pirata’ Carola, arrestata e poi rilasciata

Il problema è riuscire, insieme, nello stesso take d’agenzia, a esprimere ‘vicinanza’ sia alla nuova eroina della Sinistra-Sinistra, la ‘pirata’ Carola, arrestata e poi rilasciata, che alla motovedetta della Guardia di Finanza speronata da Carola come se i finanzieri italiani fossero ‘pirati’ che vogliono abbordare la nave.

 

Libia, il Pd decide di non decidere. Risultato? Un pastrocchio

Il caso migranti

Il caso migranti

Il ‘caso Libia’ (votare o non votare le mozioni del governo? Ed è meglio farlo per parti separate? E i porti libici sono, o meno, porti sicuri?) e il ‘caso migranti’ (accoglierli tutti o solo una parte, i migranti in fuga da guerre e carestie?) mettono a dura prova la tenuta, fisica e mentale, dei dem.

Enrico Borghi

Enrico Borghi

Il Pd non solo – tanto per cambiare – “si divide” (un evergreen), ma sui fondamentali di ogni partito che si rispetti – la politica estera, appunto – non sa proprio che pesci pigliare e, neppure, ‘come’ pigliarli. Enrico Borghi, tenace e coriaceo deputato dem che, ai gialloverdi, fa vedere i sorci (gialli o verdi che siano) quasi tutti i giorni, allarga le braccia sconsolato e dice: “Nel Pci ti insegnavano che una linea sulla politica estera la ‘devi’ avere, sempre e in ogni caso. Altrimenti non sei un partito, ma – come diceva Ciriaco De Mita proprio del Pd – uno stato mentale, anime confuse prive di idee”.

 

Il Pd ritrova ‘la quadra’ solo evitando di darsi una ‘linea’…

Minniti-Zingaretti

La linea Minniti-Zingaretti

In effetti, la discussione, andata in scena ieri e l’altro ieri, nel gruppo dem alla Camera per evitare l’inevitabile, e cioè che la divisione interna al Pd si materializzi plastica e palmare, è defatigante.

Le posizioni, erano, all’inizio, inconciliate e inconciliabili: da un lato la ‘linea Minniti-Zingaretti’ (dura), dall’altro la ‘linea Orfini-renziani’ (morbida) sul caso Libia. Un caso e il segno che il Pd può cambiare segretario, ma non perde il suo peggior difetto: dividersi in ogni occasione possibile.

Matteo Orfini

Matteo Orfini

Stavolta, la pensosa e confusa ‘discussione’ interna aveva come ‘centro’, appunto, la missione militare italiana in Libia e il voto – che si è tenuto ieri, alla Camera, ma che si replicherà anche la settimana prossima in quel del Senato – che ogni sei mesi il Parlamento deve onorare se vuole rifinanziare e prorogare le missioni militari all’estero.

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Il capogruppo alla Camera del Pd, Graziano Delrio

Dopo due intere giornate, quella di ieri e di oggi, passate a discutere – citazione colta farina sempre del sacco dell’onorevole Borghi – “del sesso degli angeli come facevano, al concilio di Costantinopoli, i padri cristiani mentre la città era assediata dai Turchi che poi la travolsero”, se, come e fino a che punto sostenere le missioni militari italiane compresa – ecco il punto dolente – quella in Libia, il gruppo parlamentare dem ha dato mandato al capogruppo, Graziano Delrio, di ‘inventarsi’ una soluzione (cioè di mediare tra le differenti posizioni) e di portare, sempre al gruppo, prima che la spaccatura tra i dem si materializzi in modo catastrofico nell’aula della Camera, una linea comune. Il guaio è che, essendo impossibile trovarla, la ‘linea’, la soluzione del Pd è minimale quanto incomprensibile: astensione ‘dal voto’, e non ‘nel voto’, sulla mozione che riguarda il sostegno dell’Italia alla Libia e voto favorevole al rifinanziamento delle missioni militari all’estero.

 

Tocca a Fassino contorcersi per sostenere l’insostenibile

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Daniela Preziosi, giornalista del quotidiano ‘il manifesto’

“Alla fine – racconta Daniela Preziosi sul quotidiano il manifesto di oggi – alla Camera il Pd non partecipa al voto sulla missione libica numero 4, quella che prevede gli accordi di «supporto» alla Guardia costiera libica. La decisione arriva di mattino, ma ci vuole tempo per riscrivere in modalità «unitaria» la risoluzione, quella che Lorenzo Guerini chiama «un positivo punto di convergenza».

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L’ex segretario dei Ds Piero Fassino

Poi in aula serve tutta la disinvoltura di Piero Fassino per annunciare una linea diversa da quella che lui stesso ha sostenuto meno di 24 ore prima nella sala Berlinguer, di fronte ai colleghi del gruppo. Oggetto del contendere, la collaborazione dell’Italia con le corvette libiche, a loro volta dono del nostro paese e frutto di un accordo che risale al governo Gentiloni e al ministro Minniti.

Il generale Haftar

Il generale Haftar

Il Pd cambia linea, dunque, ma deve procedere con alcune contorsioni per non smentire l’operato dei due, oggi peraltro ’grandi elettori’ di Zingaretti. «Nel momento in cui rinnoviamo il consenso alle missioni», spiega dunque Fassino, «non possiamo non rilevare l’assenza di un’iniziativa politica italiana all’altezza della drammaticità della crisi libica, che conosce un aggravamento con l’offensiva militare del generale Haftar» (è di poco prima la notizia del bombardamento del campo di detenzione per immigrati a Tripoli). Il Pd chiede corridoi umanitari e lo svuotamento dei campi e non partecipa al voto sull’assistenza tecnica alla Guardia Costiera libica «la cui attività nell’attuale contesto bellico appare equivoco e opaco».

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Il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti (Pd)

Più tardi Zingaretti per la prima volta interverrà sull’argomento apprezzando il voto dei suoi deputati, ma con una riflessione che suona più preoccupata per gli equilibri interni del Pd che per la crisi di Tripoli: «Il Pd è unito nel sostenere le scelte del governo Gentiloni», assicura, e se «il quadro è cambiato è colpa dell’attuale governo».
Chi a suo tempo non era d’accordo con le scelte del Pd oggi apprezza, con sfumature diverse, il cambio di marcia. Così fanno Laura Boldrini, Nicola Fratoianni e Federico Fornaro di Leu. Che non sia un vero strappo con il passato lo sa anche Matteo Orfini, il primo a chiedere un ripensamento al suo partito; oggi Orfini porta a casa «un riconoscimento del fatto che non si può continuare a sostenere semplicemente quanto abbiamo sostenuto in passato». Non è poco.

riccardo magi

Riccardo Magi

Ma oggi che in Libia c’è la guerra civile a quel passato bisogna tornare. Il giudizio di Riccardo Magi (+Europa) è duro: «Ormai è innegabile che la linea politica perseguita dal 2017 dall’Italia non ha favorito alcuna stabilizzazione in Libia né l’avvio di alcuna transizione. Cosa deve ancora avvenire affinché il Parlamento sospenda quegli accordi?», si chiede in Aula Magi. «Non siamo velleitari noi – continua – che non abbiamo mai creduto che quegli accordi fossero la strategia giusta, è velleitario, a non volere pensare male, chi ha sostenuto che le fragili e via via più inconsistenti istituzioni libiche, potessero affrontare una grave crisi umanitaria senza la violazione sistematica dei diritti umani a cui stiamo assistendo». Quanto alle vituperate (da Salvini) navi di salvataggio, «l’unica collusione certificata non è quella tra le Ong e i trafficanti di esseri umani, ma tra questi e parti consistenti della Guardia Costiera libica». E anche questa non è una novità delle ultime ore.

 

Renzi appoggia Orfini per mettersi di traverso a Zinga

Matteo Renzi

Matteo Renzi

Ecco, dunque, che fare politica nel Pd formato 2019 “è un inferno” allarga le braccia, sconsolato, un deputato dem. I principi del diritto e della legalità internazionale si intersecano e si confondono con quelli della politique politicienne. Per dire, Matteo Renzi, che – quando era al governo – ha sposato, come anche Gentiloni, la linea Minniti (dura), cioè del suo all’epoca ministro dell’Interno, sulla Libia, al fine di contenere il più possibile i flussi migratori, ora fomenta il ‘fuoco amico’ dei Giovani Turchi di Matteo Orfini contro Minniti stesso. Perché? Perché Minniti, oggi, dentro il Pd appoggia Zingaretti, il quale ne ha sposato la linea (dura, ma gentile, essendo, Zingaretti, Zingaretti…).

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La nave Sea Watch 3

Delrio, che con Minniti litigava un giorno sì e l’altro pure, da ministro dei Trasporti, contro il ministro dell’Interno, proprio sul tema dei migranti, sale e dorme sulla “Sea Watch 3” in compagnia del ‘rebelde’ Nicola Fratoianni – che con la sua Sinistra italiana finanzia un’altra nave Ong, “Mediterranea” – ma in Parlamento, quando si tratta di votare le mozioni che rifinanziano le missioni italiani in Libia, Delrio ci prova e ci riprova a far ‘sposare’ al suo gruppo la linea Minniti.

Dario Franceschini

Dario Franceschini

A costo di perdere per strada diversi voti di parlamentari dem ‘ribelli’ che minacciano di votare con LeU e Mdp, anche se – dopo una lunga e faticosa mediazione, opera dell’eterno Dario Franceschini – la soluzione, alla fine, è appunto quella di non votare affatto, cioè di astenersi ‘nel’ voto (e non ‘dal’ voto) cosicché nessuno, all’esterno, possa capirci un beato nulla.

 

Franceschini media e il Pd, alla fine, neppure vota…

Haftar, la Libia e il Pd

Haftar, la Libia e il Pd

Tra i ‘renitenti alla leva’ – sul caso e sul caos Libia – c’è, appunto, Matteo Orfini, che era dalemiano, poi è stato renziano, ma oggi è solo orfiniano, e che, con tutti i suoi, vuole votare contro la risoluzione del Pd sulla Libia perché sposa la linea Minniti, anche se contro Minniti, pure questo va detto, Orfini si è sempre scagliato.

E così, prima martedì pomeriggio e, poi, di nuovo, mercoledì mattina, la doppia riunione del gruppo dem alla Camera diventa un contorcimento di budella, un esercizio di stile, uno sfogatoio di frustrazioni e di risentimenti. Nell’assenza del segretario dem, Nicola Zingaretti, impegnato nel suo tour delle fabbriche italiane, ma anche in quella del presidente del partito, Paolo Gentiloni, e pure dell’ex ministro dell’Interno, Marco Minniti, bisogna decidere quale ‘linea’ tenere sulle mozioni che rifinanziano le missioni militari all’estero.

Enzo Amendola, nuovo responsabile Esteri

Enzo Amendola, nuovo responsabile Esteri

Il povero Enzo Amendola, nuovo responsabile Esteri della Segreteria, ci deve mettere del bello e del buono per trovare un filo rosso comune e per impedire che i giornali titolino “Migranti, il Pd si spacca”. Ma non ci riesce. Si replica la prossima settimana anche al Senato, dove le mozioni di rifinanziamento della missione italiana in Libia devono ancora arrivare e dove i ‘soliti’ renziani (più gli orfiniani, ca va sans dire), pure lì, vogliono votare contro.

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Il leader della Lega, Matteo Salvini

Un guazzabuglio. Un deputato dem, area Zingaretti, sbotta: “E’ stato un grave errore salire su quella nave. La gente, purtroppo, odia i profughi e Salvini cresce nei consensi”. E così, tra un equilibrismo e l’altro, il compromesso faticosamente raggiunto tra le varie anime del partito scongiura la plateale frattura in Aula. Il capogruppo del Pd, Graziano Delrio, al termine della riunione dei deputati, riesce a salvaguardare l’unità (fittizia) dei parlamentari dem facendo approvare all’unanimità un documento in cui si annuncia la decisione di non partecipare al voto, quando le aule della Camera e del Senato passeranno ad esaminare l’accordo di collaborazione tra guardia costiera italiana e libica, siglato a suo tempo dall’ex-ministro dell’Interno Marco Minniti.

 

Orfini attacca, Quartapelle rintuzza, Delrio cerca la sintesi

Lia Quartapelle

Lia Quartapelle

Un risultato non scontato, date le premesse con cui ieri si era aperta la riunione, aggiornata su proposta di Dario Franceschini, una volta preso atto degli insanabili contrasti interni e del fatto che, sulla linea Minniti-Zingaretti, il gruppo dem rischiava di squagliarsi: da qui la mediazione finale.

A sollevare il problema era stato, appunto, Matteo Orfini: non era disposto a votare la risoluzione di rifinanziamento delle missioni internazionali che prevedeva, tra l’altro, il rinnovo dell’accordo di sostegno alla guardia costiera libica per la sorveglianza delle coste con le motovedette italiane.

Un accordo che Orfini aveva definito “intollerabile”, dato il quadro di fatto bellico del paese nordafricano e la politica di chiusura dei porti messa in campo dal nuovo governo gialloverde.

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L’aula vuota di palazzo Montecitorio

La posizione di Orfini, oltre che dei deputati a lui più vicini, aveva fatto breccia in altre componenti del gruppo, renziani in testa. L’assemblea aveva dato quindi mandato a Delrio di trovare una mediazione capace di evitare una palese spaccatura in Aula e si è concretizzata nella proposta – accettata – di non partecipare al voto, quando l’Aula dovrà dire la sua sull’accordo di collaborazione tra la nostra guardia costiera e quella libica. Ciò è stato possibile grazie alla richiesta, già avanzata da più di un gruppo, di procedere alla votazione della risoluzione di maggioranza per parti separate, e cioè votando separatamente ogni missione da rinnovare contenuta nel dispositivo (circa 30).

Va detto che l’approvazione della risoluzione di maggioranza fa decadere le altre risoluzioni, tra cui quella del Pd, prima firmataria Lia Quartapelle, che conteneva il rinnovo del sostegno alle motovedette libiche. “Le missioni in Libia – osserva la Quartapelle – sono fondamentali, ma operano in un contesto ad alto rischio. Ad oggi il governo italiano non sta facendo nulla per stabilizzare e aiutare la pace. La strada è chiara: gli accordi tra Italia e Libia firmati da Gentiloni nel 2017. Siccome il governo ha nei fatti stracciato quegli accordi – continua – ci asterremo sulla missione della Guardia costiera libica perché non abbiamo avuto abbastanza rassicurazioni. Continueremo invece il nostro sostegno per le missioni Onu, Ue e l’ospedale di Misurata”.

L'Ospedale da campo italiano, di Misurata

L’Ospedale da campo italiano, di Misurata

Invece, in merito alla mediazione faticosamente trovata, Delrio spiega che “non partecipiamo al voto perchè non ci sono le condizioni. Tutte le iniziative, da ‘Mare sicuro’ a ‘Sophia’, alla stabilizzazione, al controllo nei campi di raccolta, soprattutto all’attività della guardia costiera libica sono state sostanzialmente abbandonate. Non c’è più vigilanza, non c’è più controllo, e quindi l’approccio integrato che si era scelto di fare con gli accordi prima sottoscritti non è più rispettato. Noi votiamo tutte le missioni, ma il governo dovrebbe fare un salto di qualità e chiedere maggiori garanzie, fare più azioni attive”. Soddisfatto anche Orfini, che sui social posta la parte finale del documento approvato in assemblea, ma in cauda venenum dice: sconfessata la linea Minniti.

 

Ma Orfini insiste: “Questo è solo l’inizio” (della guerra dem)

Matteo Orfini

E, infatti, come spiega all’Huffington Post in un’intervista, per Matteo Orfini “questo è solo l’inizio”. La mediazione raggiunta nel Pd sulla questione libica non sconfessa la precedente linea Gentiloni-Minniti, come chiedeva lui, ma rappresenta comunque “una evoluzione nella posizione nella direzione che avevo auspicato” grazie alla non partecipazione al voto sul supporto alle motovedette libiche. Per questo, si dice comunque “molto soddisfatto”. Del resto, lui e altri 6 (sei) deputati sono riusciti a bloccare la ‘gioiosa macchina da guerra’ di Zingaretti, a ingolfarla e a impedire, di fatto, che passasse una linea che non è né quella Minniti né quella Orfini ma un pastrocchio indigesto.

Minniti

Minniti

Orfini la spiega così: “La sensibilità su questi temi era molto più larga del numero dei firmatari della nostra risoluzione. L’evoluzione della situazione in Libia e il dramma umanitario che si è prodotto interrogava sempre più le coscienze di molti nel Pd, tanto che appena si è aperta la discussione c’è stata una valanga trasversale di prese di posizione. La richiesta di una correzione era corale”.

 

E dunque? Una nuova ‘resa dei conti’ si avvicina, nel Pd

Bandiera della Libia

Bandiera della Libia

Ma se Orfini finge di sostenere, da buon ex dalemiano, che “abbiamo reso più forte il Pd, quindi anche il suo segretario. Non ho vinto io, ha vinto il Pd, e Zingaretti”, la verità è che, dentro il Pd, si prepara una nuova resa dei conti. L’attuale minoranza – nella fattispecie l’area di Matteo Orfini, i Giovani Turchi, ma anche molti renziani, specie l’ala dei pasdaran della mozione Giachetti-Ascanicolgono ogni occasione dare fastidio al ‘manovratore’ di turno, il quale, in questo caso, si chiama, Zingaretti. Il cambio di passo sulla Libia lascia comunque strascichi interni forti che Zingaretti si troverà, suo malgrado, a dover gestire perché oggi si discute di Libia, ma domani di linea politica. E, in ogni caso, direbbe Borghi, il Pd, sulla Libia come sulla politica estera, “una linea non ce l’ha”.

 


 

NB: Questo articolo è stato pubblicato il 4 luglio 2019 sul sito di notizie Tiscali.it