“Giusé, fa caldo…”. Iniziano due settimane decisive: il governo Conte cade o resta in sella

“Giusé, fa caldo…”. Iniziano due settimane decisive: il governo Conte cade o resta in sella

1 Luglio 2019 0 Di Ettore Maria Colombo

Fa caldo, è estate. Governo Conte o governo ‘balneare’?

Governo Conte o Governo Balneare?

Governo Conte o Governo Balneare?

Se è vero, come dice, sorridendo – ogni tanto sì e ogni tanto no – il premier Giuseppe Conte, sulla scorta del grande poeta ermetico Giuseppe Ungaretti – che “si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”, il problema di questa – complicata, complicatissima – fase politica è che non solo è estate (il che è normale, siamo a luglio…), ma che fa caldo, molto caldo, troppo caldo, anche per essere estate piena. Ecco che, dunque, mentre il mese di luglio si apre anche in via ufficiale e gli italiani iniziano a sciamare verso il mare, le prossime due settimane saranno decisive per capire ‘se’ il governo Conte scavallerà l’estate e arriverà sano, vivo e vegeto in autunno o se, come ai tempi della Prima Repubblica, nascerà un “governo balneare”, appunto (di solito erano monocolori diccì retti da esponenti della Dc di secondo piano, scialbi e incolori), che traghetterà il Paese a nuove elezioni politiche anticipate (da tenere, in quel caso, non oltre la fine di settembre, diciamo entro il 29, peraltro giorno del compleanno di Berlusconi come di Bersani).

Giuseppe_Conte

Governo Conte, rimpastino o rimpastone? Il secondo porta al Conte bis

O, invece, se il governo Conte, una volta entrato in crisi o addirittura battuto da un voto parlamentare resterà in carica per sbrigare “l’ordinaria amministrazione” (quelli che, in gergo tecnico, si chiamano “disbrigo degli affari correnti”), fino a settembre e alla nascita delle nuove Camere e di un nuovo governo. O se, invece, l’attuale maggioranza Lega-M5S litigherà sì, come sempre, parecchio, ma andrà avanti come se nulla fosse, approvando la Legge di Stabilità 2020.

 

Una data da fissare sul calendario: il 20 luglio 2019

20 luglio

20 Luglio

Una cosa è certa, come sa e si ripete, angosciato, ogni parlamentare di ogni partito (anche quelli dell’opposizione, nel Pd come in Forza Italia, sanno bene che rischiano tanto perché, se si torna a votare, nessuno posto è mai garantito): “O Salvini prende il coraggio a due mani e rompe, subito, con un pretesto o con un altro oppure, se arriva il 20 luglio, basta, i giochi sono finiti, rien va plus”.

Mattarella

Il presidente della Repubblica Mattarella Sergio

Le cose, in effetti, stanno così. Mattarella, il quale – ovviamente – non prova, dentro di sé, nessuna particolare ‘gioia’ a interrompere in modo così prematuro, cioè dopo neppure un anno, sia la legislatura che il governo, potrebbe concedere, alla Lega, elezioni politiche anticipate, senza voler tentare di formare governi tecnici o istituzionali o del Presidente o simili, solo se la crisi di governo matura entro e non oltre il 20 luglio. Dopo, infatti, a causa del ‘tempo che ci vuole’ tra scioglimento delle Camere, indizione dei comizi elettorali, presentazione e deposito delle liste elettorali e data del voto (tra i 45 e i 70 giorni il termine fissato dalla legge), non sarebbe più possibile.

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Si va verso Elezioni politiche anticipate?

Elezioni in autunno, specie se inoltrato, sarebbero impossibili da sostenere, per il nostro Paese, che verrebbe attaccato dalle Borse e dalla speculazione finanziaria, lo spread impazzirebbe e la Ue ci metterebbe un ‘cordone sanitario’, stile “malato d’Europa”, intorno. Quindi, o Salvini prende il coraggio a piene mani adesso oppure se riparla, per andare a votare, non prima del 2020.

Ma prima di vedere quali sono le Forche caudine – e cioè i principali e diversi step politici e parlamentari che renderanno davvero ‘calde’ le prime due settimane di luglio e che stanno per determinare la sopravvivenza, pur se ammaccata, al governo Conte o la sua fine – spostiamoci, per un attimo, nel “Corridoio dei Passi Perduti”, il Transatlantico della Camera, dove l’argomento, stile sfogliare di una margherita per l’innamorato, tiene banco in ogni conversazione.

 

I dubbi e le domande che assillano il deputato peones…

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La Camera dei Deputati, vista dell’Aula vuota

Nel Transatlantico della Camera dei Deputati come in quello del Senato, a partire da domani, si tornerà a praticare lo ‘sport’ nazionale di ogni parlamentare, sport che, ormai, va avanti da mesi. Infatti, davanti ai continui stop and go  degli alleati gialloverdi che reggono la maggioranza del governo Conte, i deputati vivono male – allarmati e spaventati – gli strappi quotidiani di Salvini e, a dirla tutta, pure quelli di Di Maio. Con Conte, povero, in mezzo, novello asino di Buridano che, non sapendo a quale dei due pozzi vicini abbeverarsi, rischia di morire di sete, ogni parlamentare s’interroga: il governo – e, di conseguenza, il mio stipendio, con relativi benefit – dura o non dura?

Ma se, nel Transatlantico di Montecitorio, nessuno dei colonnelli – e, tantomeno, dei vari peones – riesce a dare risposte ai propri e altri, angosciosi, dubbi, l’iter delle leggi e le tappe politiche che attendono alla ‘prova del noveil governo e la maggioranza parlamentare gialloverde si sanno già. Sono tre gli step e, da queste tre, non si può proprio scappare.

La ‘prova del nove’. Primo step, la flat tax sarà in manovra?

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La prova del 9

Oggi, lunedì I luglio, un vertice di governo e un cdm dovranno stabilire ‘quanti’ soldi l’Italia intende mettere, sul piatto, per evitare la procedura d’infrazione che la commissione Ue minaccia di comminare al nostro Paese per aver sforato il rapporto tra deficit e Pil e anche quello sul debito.

Al di là del ‘fare di conto’ del ministro alle Finanze, Giovanni Tria, che è riuscito a racimolare la discreta somma di otto miliardi, le posizioni, dentro il governo, sono sensibilmente diverse.

Tria

Il ministro alle Finanze, Giovanni Tria

Infatti, mentre Conte (e, ovviamente, Tria) vogliono subito incassare, da parte della Ue, il ‘non’ avvio della procedura – una spada di Damocle che pende sull’Italia ormai da mesi – e hanno buone ragioni per ritenere che ciò possa accadere, Salvini è pronto a ‘sfidare’ l’Europa anche su questo punto. Il motivo è semplice: se la Ue ci ‘grazia’, subito chiederà impegni e promesse certificate, nero su bianco, anche in vista della prossima manovra economica, quella d’autunno.

Il che vuol dire, in buona sostanza, che la Legge di Stabilità per il 2020 non potrebbe essere ‘espansiva’ ma se non ‘recessiva’, quantomeno assai ‘prudente’. La flat tax – che costa, nelle cifre più prudenziali, 10-15 miliardi, andrebbe così a farsi benedire e così pure le promesse di Salvini.

Giancarlo_Giorgetti_Lega

Giancarlo Giorgetti (Lega), sottosegretario alla Presidenza del Consiglio

Il leader leghista, però, da questo orecchio non ci sente e, come ha messo nero su bianco Giancarlo Giorgetti – il quale si è anche chiamato fuori dal ‘toto-nomi’ per il posto che spetta all’Italia nella prossima commissione Ue e non perché sa che al nostro Paese spetterà un portafoglio minore ma perché non scommette un euro uno sulla sopravvivenza del governo e non vede l’ora, anzi, che cada per sempre – “o ci dicono subito che la flat tax si fa oppure si va al voto”.

E così, mentre Di Maio si tiene, su questo punto, prudente e abbottonato, nel cdm di lunedì delle due l’una: o passa la ‘linea Conte’ (“Oggi facciamo pace con la Ue ed evitiamo la procedura d’infrazione, promettendo rigore pure in futuro”) o passa la ‘linea Salvini’ (“La flat tax si fa, a qualsiasi costo, e ‘chi se ne frega dell’Europa’, muoia Sansone coi Filistei”, etc.). Tertium non datur. 

Il premier Giuseppe Conte

Il premier Giuseppe Conte

Solo oggi si saprà come finirà, il gioco ‘a braccio di ferro’ dentro governo e maggioranza, ma ahi voglia Conte a ripetere, come ha fatto da Osaka, “mica scriviamo la manovra economica entro il 30 giugno” (cioè, ieri). Infatti, il governo già è in ritardo per presentare il Def (il termine ufficiale era, appunto, il 30 giugno) ed è dentro quella ‘cornice’ che, entro il 30 settembre, viene scritta la Nota di variazione al Def che, poi, passa alle Camere per un voto di fiducia a maggioranza assoluta, in quanto c’è di mezzo lo scostamento rispetto al pareggio di Bilancio, che dal 2015 è stato inserito in Costituzione, ed è su quella architrave che si costruisce ogni legge di Stabilità. Morale, già ora – ha ragione Salvini… – va stabilito se la ‘benedetta’ (o ‘maledetta’) flat tax,in manovra, ci sarà o meno.

 

Secondo step, il taglio del numero dei parlamentari si farà?

autonomie regionali

Prossimo vertice sullo spinoso tema delle Autonomie regionali

Mentre il governo sarà impegnato in tali alambicchi (e, mercoledì prossimo, il 3 luglio, è previsto un altro vertice sullo spinoso tema delle Autonomie regionali: la Lega le vuole subito, M5S ‘con calma’), al Senato bisogna votare la riforma Fraccaro in via definitiva. Si tratta del taglio del numero dei parlamentari (da 630 a 400 i deputati e da 320 a 200 i senatori), un taglio ‘lineare’ che, nella sua prima, doppia, lettura, tra Camera e Senato, è passato senza colpo ferire, con anche i voti di FI e FdI, mentre il Pd e LeU hanno votato contro. Solo che trattasi, appunto, di riforma costituzionale, il che vuol dire che, nella seconda – e definitiva – lettura, dopo che le Camere si sono ‘riposate’, per ‘riflettere’ (così vuole la Costituzione), e per ben tre mesi, al secondo giro (dal 9 luglio al Senato, ai primi di settembre alla Camera) serve il plenum del quorum, come si usa dire, cioè la maggioranza assoluta dei voti. Alla Camera, Lega e M5S stanno abbondantemente sopra il quorum del plenum (316 voti su 630), ma al Senato (161 su 320 il quorum) la maggioranza ha perso, via via, vari pezzi.

Casini Monti

Casini e Monti

Ben quattro ormai ex senatori grillini sono già da tempo confluiti nel gruppo Misto, altri due sono in odore di eresia e molto ‘attenzionati’ da parte del Movimento, che minaccia (ma non commina) sanzioni perché espellerli vorrebbe dire ‘tagliarsi le p…e’ e, insomma – com’è, come non è – tutti sono già sul chi va là. Naturalmente, i leghisti assicurano che loro non intendono fare scherzi, ben sapendo quanto Di Maio e tutto l’M5S ci tenga, a questa riforma, storica bandiera del Movimento, ma i segnali che arrivano dal Senato sono preoccupanti. Ecco perché già è partita la ‘caccia’ ai voti dei senatori del gruppo Autonomie – dove siede la Svp, ma anche Casini, per dire, e Mario Monti – e a quelli, ovviamente, del gruppo Misto, dove c’è il Maie (due senatori eletti all’Estero e privi di bandiera ma che, di solito, votano sempre a favore del governo).

Matteo Salvini

Matteo Salvini

Di certo, bisognerà cancellare tutte le ‘missioni’ grazie a cui i senatori possono, legittimamente, non presentarsi in Aula e ‘precettare’ tutti i membri del governo che sono anche senatori, a partire dallo stesso Salvini. Altrimenti, addio quorum (i 161 voti) e, di conseguenza, addio riforma, con esiti non calcolabili, sulla tenuta del governo, ma che è facile prevedere aprirebbero la strada alla crisi.

Il Senatore Andrea Cangini

Il Senatore Andrea Cangini

Infine, brutti segnali arrivano anche dalle opposizioni. Il Pd voterà ‘no’, già si sa, ma anche Forza Italia – che al primo giro aveva votato ‘sì’ – avrebbe già cambiato idea e, su spinta del senatore Andrea Cangini, ex direttore del Quotidiano Nazionale, avrebbe chiesto al gruppo di “opporsi a una riforma scellerata”. La capogruppo azzurra al Senato, Annamaria Bernini (e lo stesso Berlusconi) sarebbero d’accordo con Cangini. Insomma, se il governo – che ‘balla’ intorno ai 162/163 voti – non incassa almeno l’appoggio di Fratelli d’Italia rischia. Infine, una nota cattivella, ma realistica.

Tagliare il numero dei parlamentari proprio quando la Lega potrebbe vincere le elezioni vuol dire assicurare meno incassi economici ai gruppi (a causa del minor numero di parlamentari eletti) e, quindi, a ogni partito, che si finanzia, ormai, esclusivamente, proprio con i contributi dei gruppi.

Alla Lega, insomma, oltre che, ovviamente, ai piccoli partiti – che, al Senato, si troverebbero ‘tagliati fuori’ dalla possibilità di elezione e con uno sbarramento al 20% di fatto perché tagliando il numero dei parlamentari i collegi crescono a dismisura e le possibilità di eleggere diminuiscono in modo drastico – la riforma Fraccaro ‘non’ conviene. Conviene solo ai 5Stelle perché è una loro bandiera (ma anche loro, alla fine, ci perdono). Cosa succederà? Presto per dirlo, bisogna aspettare il 9/07.

 

Terzo step, il decreto Sicurezza bis. Passerà o cambierà?

Decreto di sicurezza Bis

Decreto di sicurezza Bis

Mentre il Senato sarà un catino rovente, causa voto sulla riforma Fraccaro, alla Camera sta per approdare il decreto Sicurezza bis (dopo, appunto, dovrà andare al Senato, per il voto definitivo). Relatrice è una deputata leghista dall’aspetto mite, ma molto determinata, la bresciana Simona Bordonali, la quale – in una pausa dei lavori sul dl Crescita, l’altra settimana – rassicurava così le sue colleghe: “Tranquille, il governo non cade. Matteo vuole prima vedere il suo decreto approvato, poi se ne parla. Lo approviamo, presto e bene, dopo si fa la manovra e di elezioni ne riparliamo agli inizi del 2020…”. Un parere di certo autorevole, quello della Bordonali, ma va anche detto che ‘Matteo’, cioè Salvini, il decreto Sicurezza bis, già ha fatto sapere che addirittura vuole cambiarlo, per inasprirlo, dopo la vicenda della nave Sea Watch 3, che si è appena conclusa (male, per tutti).

Simona Bordonali

Simona Bordonali

Ora, vero è che, alla Camera, a differenza che al Senato, la maggioranza ha numeri saldi (Lega+M5S=345 deputati), ma è anche vero che i ‘fichiani’, cioè i supporter del presidente della Camera, Roberto Fico, ormai entrato in rotta di collisione con Di Maio sull’intera linea dell’M5S, sono un numero discreto, pur se non considerevole né enorme, e che, tra emendamenti e ordini del giorno, le opposizioni faranno di tutto per cogliere la maggioranza in fallo e farla andare a sbattere. Morale, anche qui, il governo Conte, che di certo metterà la questione di fiducia, prima o poi, non ha di che dormire sonni tranquilli. Se il decreto non dovesse passare, Salvini inizierebbe a ululare.

 

Se il governo ‘scavalla’ il 20 luglio, il gioco è fatto: regge…

Il braccio di ferro fra Salvini e Di Maio

Il braccio di ferro fra Salvini e Di Maio

Riassumendo, sono tre gli step, e gli scogli, sui quali il governo Conte e la maggioranza può andare gambe all’aria: la flat tax nella manovra economica, la riforma Fraccaro (taglio del numero dei parlamentari) e il decreto Sicurezza bis. Più, ovviamente, il dossier Autonomie e le crisi industriali, con il relativo – ennesimo – braccio di ferro tra Salvini e Di Maio – sui tavoli aperti (Autostrade, Alitalia, Ilva, Tav, etc.). Se, invece, il governo supererà brillantemente, queste tre prove (più tutte le altre…) e il 20 luglio verrà ‘scavallato’ (quella è, appunto, la data ultima per ottenere, dal Colle, elezioni a settembre, oltre proprio non si può andare, e Salvini lo sa bene, come lo sa Di Maio), allora è sicuro che la maggioranza arriverà fino a fine anno e, quantomeno, ai primi mesi dell’anno prossimo, cioè il 2020, quando una nuova ‘finestra’ elettorale potrebbe aprirsi portando a casa anche la manovra economica. ‘Come’ e con quali danni (o effetti positivi) è tutto un altro paio di maniche.

 


 

NB: Questo articolo è stato pubblicato il 30 giugno 2019 sul sito di notizie Tiscali.it