Uno, nessuno e centomila. Il Pd diviso su un tema caldo, i migranti, e gli scontri interni

Uno, nessuno e centomila. Il Pd diviso su un tema caldo, i migranti, e gli scontri interni

9 Luglio 2019 0 Di Ettore Maria Colombo

Il Pd è una Babele di lingue, dove tutti sono contro tutti

la torre di babele

La torre di Babele

 

Matteo Renzi scrive aRepubblica per attaccare Minniti e Gentiloni, sia sul caso migranti e sul caos Libia che sullo ius soli, legge che era pronti ma ‘qualcuno’ (leggasi: Gentiloni) non ha “avuto il coraggio” di portare a casa. Gentiloni scrive a Repubblica per dire che la colpa di tutto è “di Salvini”. Pure Minniti scrive, ovviamente a Repubblica, per rispondere duro agli attacchi di Renzi e rivendicare la sua, di linea. Zingaretti dà un’intervista al Foglio, ma nel giorno sbagliato, cioè lo stesso in cui Renzi scrive a Repubblica, per rivendicare la ‘linea Minniti’, che in teoria è pure la sua.

 

Il quotidiano Repubblica, ‘buca delle lettere’ dei dem…

 

buca delle lettere

Buca delle lettere

Il quotidiano La Repubblica, insomma, quotidiano che ha scelta la linea ‘umanitaria’ sui migranti e sulle Ong , è diventata la ‘buca delle lettere’ del Pd. In realtà, anche qui, nulla di nuovo: dal fondatore Eugenio Scalfari al successore, Ezio Mauro, dalla meteorina Mario Calabresi all’attuale direttore, Carlo Verdelli, Repubblica si è sempre prefissa due scopi fondamentali: mettere le braghe al mondo, a suo piacere e insindacabile giudizio, e ‘dettare la linea’ al principale partito della sinistra italiana (Scalfari lo faceva con uno di spessore come Enrico Berlinguer, quindi i successori di Scalfari si sono sentiti giustamente in dovere di farlo con i suoi piccoli epigoni del Pds-Ds-Pd).

Ma è anche vero il contrario. Ex leader ed ex big democrat usano Repubblica per ‘regolare conti’ che, in realtà, riguardano altro e che rispondono a tutt’altra domanda, rispetto ai migranti: chi comanda, oggi, nel Pd? La risposta, in teoria, è facile: Nicola Zingaretti, il segretario che ha vinto il congresso e le primarie con una messe di voti, comanda. La segreteria l’ha fatta lui, la maggioranza in Direzione e Assemblea le ha lui. Punto. Invece, non stanno del tutto così, le cose, nel Pd del 2019.

 

Pure gli ex renziani di Base riformista si dividono sulla Libia

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La corrente di Lotti e Guerini nel Pd si chiama Base Riformista

 

Prendiamo la tre giorni che “Base riformista” – la nuova corrente organizzata da Luca Lotti e Lorenzo Guerini che è nata nel Pd e che conta su una settantina di parlamentari e il 20% circa dentro gli organismi dirigenti del Pd – ha tenuto a Montecatini Terme lo scorso fine settimana. Depositata la polvere dell’arringa difensiva che ha tenuto Lotti, coinvolto nello scandalo del Csm (ma, a onor del vero, non indagato), arringa seguita in diretta da tutti i suoi con il fiato sospeso (1500 le persone che sono transitate in quel di Montecatini), ma anche da un folto manipolo di giornalisti, la discussione, dentro Base riformista, si fa aperta e vivace anche perché, di giornalisti, in sala – tranne lo scrivente, presente per conto di Tiscali.it – non ne è rimasto più nessuno.

Al netto della solidarietà “a Luca” (Lotti), che contraddistingue, in premessa, gli interventi di tutti, e anche al netto della tiritera sulla “vocazione maggioritaria” che il Pd di Zingaretti avrebbe perso mentre quello guidato da Matteo Renzi ne aveva da vendere, gli ex renziani di ‘Br’ (sic), sull’intero scibile umano sono coesi come una falange macedone: dal Pd non usciamo, “Pd sì, ma non così”, Zingaretti non riapra le porte alla ex ‘Ditta’, 80 euro e Jobs Act non si toccano, le riforme costituzionali vanno fatte, e con tutti, mai con la Lega – ovvio – e pure “mai con i 5Stelle”, scandisce Guerini dal palco domenica, dato che Repubblica (ma guarda un po’…) scrive il contrario. Guerini, peraltro, offre pure una ‘notizia’, il che è singolare (da buon ex-diccì è abituato a ‘non’ dare mai notizie…), e cioè che, se Zingaretti metterà davvero mano allo Statuto del Pd con l’obiettivo di separare la figura di segretario del partito da quella di candidato premier (figure che, oggi, coincidono), “noi, come area, chiederemo le primarie del centrosinistra per scegliere il candidato alle future elezioni politiche e avanzeremo un nostro nome”. Seguono, ovvio, applausi scroscianti.

 

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Il capogruppo alla Camera del Pd, Graziano Delrio

 

Su tutto, sono coesi, gli ex renziani, ma tanto per cambiare, come oramai è chiaro, nel Pd, non sulla questione migranti. Delrio, che di ‘Br’ è un ‘fiancheggiatore’ (ri-sic), pur se non un aderente, sposa la linea sostanzialmente umanitaria (non a caso, è salito sulla Sea Watch 3 con Orfini, giorni fa) mentre Antonello Giacomelli chiede “risposte dall’Europa” e fa capire che non è troppo lontano da quella che, ormai, viene detta “linea Minniti”. E lo stesso Guerini spiega che “non basta dirsi contro Salvini” e chiede “nuove politiche migratorie”. Invece, Beppe Fioroni, parla dal palco, di Moro e De Gasperi, don Sturzo e La Pira, invita al dialogo con i cattolici che stanno con Papa Francesco su una linea “solidale e di accoglienza”, cattolici che – avverte – “si vogliono muovere anche in politica”. 

La Cascina

Il ristorante La Cascina a Montecatini Terme

Ma è a cena, e nel dopocena, in un posto luccicante ed elegante della Montecatini by night che il dibattito s’infiamma. Pur se ‘in amicizia’, il giovane e brillante deputato del Piero De Luca, figlio del governatore campano Vincenzo, propende per la linea ‘dura’ (quella di Minniti, appunto) e ritiene “un errore” essere saliti, come hanno fatto diversi esponenti dem, sulla Sea Watch 3, perché “così la gente normale non ci capisce”. Invece, il deputato siciliano Carmelo Miceli, fine e brillante avvocato, gli contro-ribatte, con tanto di citazioni e pandette in mano, perché e percome “Salvini vìola tutte le leggi internazionali e il diritto internazionale. Il decreto Sicurezza bis è del tutto incostituzionale, questa è la verità, e noi dobbiamo dirlo”. La discussione, ovviamente, avviene tra amici di partito e di corrente ma la dice lunga sulla ‘babele di lingue’ (e di opinioni) che agita, oggi, il Pd. Manco in una componente o corrente, per il resto ultra-compatta, di ex renziano la pensano allo stesso modo…

 

Qualcuno ha capito la linea del Pd sui migranti? No…

 

Migranti barcone

Migranti su barcone

 

I fatti, del resto, dicono esattamente questo. Il Pd non ha una linea univoca e litiga al suo interno. Dice, dov’è la novità? Il Pd litiga sempre al suo interno. Vero, ma stavolta in gioco c’è il voto e le opinioni degli italiani, diventati ‘sensibilissimi’ sul tema (come se fossimo invasi dai profughi, per capirci) e pronti a orientare il loro voto in base a chi garantisce loro ‘risposte’ il più possibile ‘forti’.

Renzi lo capisce e ci si butta a pesce sopra, adottando una linea che sta a metà tra Fratoianni (Nicola, quello del ‘salviamoli tutti’) e Minniti (Marco, quello dell’aiutiamoli a casa loro’) che però attacca. Perché Renzi è Renzi, cioè un uomo politico spregiudicato ma ancora dotato di fiuto: ha capito che gli italiani, ormai, non votano su ‘lavoro e tasse’ (almeno non ora) ma su ‘negri e furti’.

Del resto, un Pd esangue, sfibrato e diviso al suo interno aiuta di molto Renzi a colpire di maglio. Solo pochi giorni prima del simpatico scambio delle missive tra Renzi, Gentiloni e Minniti via Repubblica, il ‘nuovo’ Pd aveva preso una ‘non-linea’ sul tema dei migranti e della Libia, astenendosi dal voto parlamentare sulle missioni militari italiane all’estero nella parte in cui, appunto, si parlava della Libia e delle motovedette libiche da finanziare e dei suoi porti. 

La linea Minniti ‘salta’, pur essendo Minniti oggi uno sponsor di Zingaretti e, se Zingaretti avesse davvero voluto imporla al gruppo dem, sarebbe, sì, passata, ma a costo di una spaccatura feroce all’interno del gruppo parlamentare e, anche, del partito. Infatti, un gruppo capeggiato da Giovani Turchi,  guidati da Matteo Orfini – ex presidente del Pd e che, da sempre, va detto – contesta la linea Minniti, e una pattuglia di renziani pasdaran e ortodossi – i quali si sono riscoperti ‘ribelli’ e di super-sinistra, solo sul punto – avrebbero votato in modo difforme dalla linea ufficiale, fino al punto di votare la mozione di LeU-SI, cioè della sinistra-sinistra impersonata da Fratoianni e Palazzolo, i quali – detto per incidenza – sono i due ideatori dell’operazione “Mediterranea” e della barca “Alex”, che finanziano e governano. 

Matteo Orfini

Matteo Orfini, leader dei Giovani Turchi

D’altro canto, sempre negli stessi giorni, quelli della scorsa settimana, diversi parlamentari dem (Orfini, Faraone, etc) capitanati dal capogruppo alla Camera, Graziano Delrio, erano saliti e si erano pure fermati a dormire, per ben due notti (sic) sulla nave Sea Watch 3 della ‘capitana’ Racketa rendendo plastica e visibile tutt’altra linea: il Pd, agli occhi della gente ‘normale’ – quella che un voto parlamentare per “parti separate” o la differenza tra astenersi “dal voto” o “nel voto” non sa neppure, giustamente, cosa diamine sia – sta dalla parte di Carola Racketa e con le ong, i ‘taxi del mare’, contro cui combatte Salvini, e non certo sulla linea ‘dura’ sui migranti (quella di Salvini e, prima di lui, di Minniti). Insomma, per un cittadino qualsiasi, Delrio “è come” Fratoianni, segretario di Sinistra italiana e tra gli armatori della nave ong “Mediterranea”, e la posizione del Pd sull’immigrazione è ‘pro-migranti’ e ‘pro-Ong’, non certo ‘contro-migranti’ (e contro Ong) come dovrebbe essere, invece, se il Pd avesse davvero sposato la linea Minniti. Ci avete capito qualcosa? No? “Niente paura”, neppure noi.

 

Riepilogo delle puntate precedenti. Le ‘lettere’ dei big dem

 

Lettera di Renzi

Lettera di Renzi

 

Ma torniamo al carteggio amoroso (si fa per dire) tra i big dem. Si comincia con la lettera di Renzi a Repubblica.L’ex premier fa mea culpa sul tema migranti, ma per attaccare sia Minniti (allora ministro dell’Interno) che Gentiloni (all’epoca ministro degli Esteri e poi premier) e snocciola, in dieci punti, le sue riflessioni sul fenomeno. Il concetto di fondo di Renzi è questo: “Troppa esasperazione sul tema degli sbarchi, poco coraggio sullo ius soli”. Il declino del Pd, partito di cui era segretario, inizia “quando si esaspera il tema arrivi dal Mediterraneo e allo stesso tempo si discute lo Ius soli senza avere il coraggio di mettere la fiducia come avevamo fatto sulle unioni civili”. Un attacco secco, neppure velato, alla linea di Minniti, e pure a Gentiloni, che subito accende lo scontro, dentro il Pd.

Per l’ex premier quella del Pd è stata una “geometrica dimostrazione d’impotenza: allarmismo sugli sbarchi, mancanza di coraggio sui valori. Il successo di Salvini inizia li”. La questione dei flussi migratori, nel Pd, “l’abbiamo sopravvalutata quando nel funesto 2017 abbiamo considerato qualche decina di barche che arrivava in un Paese di 60 milioni di abitanti, ‘una minaccia alla democrazia’. L’Italia non ha un’emergenza immigrazione – sostiene Renzi – ma tre emergenze gravissime: denatalità, legalità, educazione”. Poi, l’affondo: “Non mi vergogno di ciò che ha fatto il mio governo. Non chiedo scusa per le vite salvate nel Mediterraneo. Non chiedo scusa per aver combattuto il protocollo di Dublino, firmato da Berlusconi e Lega. Non chiedo scusa per aver recuperato i cadaveri del naufragio del 2015. La civiltà è anche dare una sepoltura: ce lo insegnano Antigone e Priamo. I Salvini passano, i valori restano”. Poi Renzi dice una frase che contraddice il ragionamento umanitario: “la priorità è “aiutarli a casa loro” (cioè, appunto, la linea Minniti…). Con tanti cari saluti ai cadaveri insepolti di Antigone e non ‘di Priamo’, ma di Ettore, suo figlio (qualcuno regali a Renzi una versione dell’Iliade). 

 

Dopo le parole di Renzi, nel Pd parte la ‘guerra dei Roses’

 

la guerra dei roses

La guerra dei roses

 

Come nel film La guerra dei Roses, i piatti volano subito, tra moglie e marito (renziano e anti-renziani) e la discussione prima s’accende, poi degenera: in teoria si parla di migranti, Libia e ius soli, in pratica si discute di chi ‘comanda’ davvero nel Pd. Le parole di Renzi suscitano subito vespai di polemiche. C’è a chi, come Carlo Calenda, non va già l’attacco al governo Gentiloni: “A prescindere dal fatto che quegli atti sono tutti stati votati dal Pd di cui eri segretario l’emergenza c’era eccome. Non facciamoci del male”. Invito, ovviamente, non accolto da parte di nessuno.

Gli orfiniani, intanto, se la godono, perché, appunto, nel voto sulle mozioni parlamentari, il Pd – per evitare di spaccarsi – ha adottato il ‘lodo Franceschini’ (meglio non votare nulla che dover rendere plastica la vita da ‘separati in casa’). Ma dato che il ‘non voto’ è, nei fatti, una sconfessione della linea Minniti, il quale voleva che il Pd votasse a favore, la piccola pattuglia di guastatori di Orfini rivendica “la scelta di non partecipare al voto” come una vittoria. “Ora bisogna convocare al più presto una Direzione del partito ad hoc sulla Libia, tema tabù al nostro interno”, dice Giuditta Pini, orfiniana doc.Di rincalzo ecco Matteo Orfini: “Io penso quello che pensavo nel 2017, cioè che quelle parole furono sbagliate. Lo dicemmo in pochissimi: io, l’allora ministro Orlando e pochi altri. Oggi sono felice che questa riflessione sia condivisa anche da chi allora non lo disse”. “La linea Minniti”, continua, “raccontava una visione sbagliata che non può essere quella di un grande partito di centrosinistra. Con quella linea e scelte politiche ci siamo spostati sulla lettura del fenomeno di Salvini e della destra, accettando l’idea che esisteva un nesso tra immigrazione e sicurezza, ma l’idea che l’immigrazione metta a rischio la democrazia era ed è sbagliata”. Il presidente dei senatori del Pd, Andrea Marcucci, renzianissimo, ci mette il carico da dodici: “Il governo Gentiloni non ebbe il coraggio di affiancare alla strategia di Minniti, un provvedimento giusto, lo ius soli”.

 

Zingaretti replica stizzito: “Più che una critica, un’autocritica”

 

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Momento difficile per il PD di Zingaretti

 

“E’ sbagliato vivere nel passato quasi in un eterno regolamento dei conti che ci isola dalla società, che invece a noi chiede, un progetto, una visione, politiche per il lavoro, lo sviluppo” replica, amaro, Nicola Zingaretti. “Renzi era il segretario – aggiunge – e rieletto con grande consenso dalle primarie Pd – ricorda il segretario attuale – Faccio fatica a credere che questi temi gli siano sfuggiti di mano, quindi interpreto le sue parole anche come una severa autocritica”. Infine, l’accorato appello: “Tutti i dirigenti Pd intervengano per costruire e pensare il futuro non per logorare il presente”. Parole che, essendo il Pd il Pd, lasciano subito il tempo che trovano.

 

Gentiloni si difende come può e attacca, ma di fioretto

 

Paolo Gentiloni

Paolo Gentiloni

 

Tocca, a questo punto, a Gentiloni scrivere a Repubblica. L’ex premier prende carta e penna e risponde a Matteo Renzi sul tema migranti e pure sullo ius soli. Gentiloni non mette sotto processo il Pd, come ha fatto Renzi solo il giorno prima, ma dice: “Io accuso Salvini per il danno che sta facendo alla funzione stessa del ministro dell’Interno” e anche perché “sta cancellando l’immagine di un’Italia che sull’immigrazione aveva ‘salvato l’onore dell’Europa’”. Insomma, la palla va in tribuna. 

Ma Gentiloni rivendica anche la linea Minniti “che aveva raggiunto risultati importanti”. Quanto alle accuse di Renzi, Gentiloni si limita a dire che “so bene che anche i nostri governi avrebbero potuto fare di più e di meglio sul terreno dell’integrazione anche con scelte positive come la legge sullo ius soli. Io purtroppo non sono riuscito a farla approvare, al Senato. Per mancanza di numeri, non certo di coraggio o di volontà. Coraggio o volontà che semmai ci mancarono tra il 2015 e il 2016 ,quando i numeri c’erano eccome, ma governo e Pd decisero di non procedere. I crolli di consensi al Pd nel voto del 2018 non dipendono certo dalle politiche migratorie di Minniti. Al contrario, garantire sicurezza e protezione è compito irrinunciabile di un qualisasi governo progressista”. Insomma, Gentiloni, seppure con il suo stile (sobrio e felpato) attacca Renzi e ne rintuzza le critiche.

 

Tocca a Minniti: uppercut a Renzi. Parte una nuova polemica

 

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Tocca a Minniti: uppercut a Renzi e nuova polemica

Marco Minniti, calabrese e fumatino, oltre che ex dalemiano,non mostra l’understatement di Gentiloni, romano e ‘papalino’, e risponde a Renzi per le rime: “Mi chiedo come mai Renzi, che mi ha voluto accanto, addirittura pregandomi di ricandidarmi alle politiche del 2018 mentre avevo deciso il ritiro, ora mi attacchi. Proprio chi si è voluto mostrare con me in tv alla fine della campagna elettorale a In mezz’ora di Lucia Annunziata indicandomi uomo simbolo della coalizione, ora addita me come emblema di una linea sbagliata sugli immigrati”. Uno sfogo pesante, amaro, sincero.

Minniti è durissimo nei confronti di Renzi e riconduce l’astio dell’ex premier alla sua mancata candidatura alle ultime primarie dopo l’investitura del mondo renziano, poi ritratta lei e ritirato lui. “Ho fatto una scelta in autonomia e ho deciso di non candidarmi dopo aver valutato quale aspetto politico prendeva la mia candidatura”, argomenta su Repubblica. E poi: “Di tale scelta non sono contento, ma contentissimo”. Quindi, la rivendicazione: “Merito rispetto, se non altro per essere stato l’uomo della sinistra che negli ultimi vent’anni ha ricoperto più a lungo incarichi di governo”. Insomma, un uppercut a Renzi e in pieno volto. Ma qui vanno specificate due cose. La prima riguarda la mancata approvazione dello ius soli: la legge era nel programma delle prime dieci leggi che il governo Bersani – mai nato – nel 2013 voleva approvare (la scrisse, all’epoca, Livia Turco), era nel programma del governo Letta (mai fatto un passo, però, in un anno, dal 2013 al 2014), in quello del governo Renzi (vedasi la ambigua ricostruzione di cui sopra) e in quello del governo Gentiloni.

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Angelino Alfano, ex leader dell’Ncd

Ma la presenza, fondamentale e vitale, per quei governi, prima di Ncd-Ap di Angelino Alfano e poi anche di Ala di Denis Verdini, i quali avevano spiegato che “i nostri senatori lo ius soli non lo voteranno mai, piuttosto preferiscono andare tutti a casa, il governo cade”, rendeva impossibile – per chiunque, anche per un leader forte come Renzi – la possibilità di forzare la mano, almeno al Senato

 

Come sono andate le cose sullo ius soli e sul ritiro di Minniti 

Minniti

Minniti

Per quanto riguarda, invece, il ‘come è andata’ rispetto al ritiro di Minniti dalla corsa alle primarie del Pd, lo scorso autunno, va ricordato che questi chiese a Renzi un impegno – scritto, pare, addirittura, che Renzi non avrebbe mai potuto dargli neppure a voce: “devi promettere che resterai nel Pd”, perinde ac cadaver” come i padri gesuiti. Renzi non poté assicurare nulla del genere (neppure ora, potrebbe farlo…) e i renziani si riunirono in quel di Salsomaggiore dove, appunto, si divisero. La componente che oggi fa capo al ticket Giachetti-Ascani è pronta ad andarsene dal Pd di Zingaretti al primo ‘richiamo dalla foresta’ da parte del Capo (Renzi), per lanciarsi in nuove, mirabolanti, avventure, mentre gli ormai ex renziani di Lotti e Guerini hanno deciso di “restare nel gorgo”, come spiegò Antonello Giacomelli, allora, a Salsomaggiore, richiamando la dolorosa ma fiera scelta di Pietro Ingrao che, a dispetto dei santi, scelse di rimanere nel Pds di Occhetto e non aderire al Prc

Non è un caso che, anche nella tre giorni di Montecatini, i renziani abbiano deciso di mettersi “alla stanga”, come ha detto Guerini, richiamando – con suggestione da ex democristiano colto – l’invito che Alcide De Gasperi, allora leader della Dc, rivolse ai ‘professorini‘ (Moro, Fanfani, La Pira): non ce ne andiamo, dal partito, restiamo a lavorare, ma tu – Zingaretti – assicuraci che non lo deturpi, etc. 

Abbiamo finito qui? No…

 

Renzi si ri-riprende la parola: “siete diseducativi”….

 

Matteo_Renzi

Matteo Renzi?

Matteo Renzi, non pago, decide di contro-rispondere, ma si vede che a Repubblica non ne possono più di pubblicare lettere di big ed ex leader dem ogni giorno che Domine Dio manda sulla Terra, e allora si sfoga dalla sua pagina Facebook: “Chi fa polemica su quella lettera (quella a Repubblica, la prima, la sua, ndr.) dovrebbe spiegare quali alternative offre: per me la priorità è culturale ed educativa”, scrive. “I proclami di Salvini – dice – durano in media poco più di una mezzoretta, ma alla fine sbarcano tutti da noi, tutti in Italia. La verità è che l’immigrazione serve a Salvini solo per dettare l’agenda, non per risolvere la questione. Occorre una battaglia culturale, lottare contro la propaganda, investire in educazione, scommettere sulla globalizzazione contro il sovranismo”.

La ‘battaglia culturale’. E vabbé. Peccato, però, che l’ex premier aveva sempre difeso le politiche di Minniti, sui migranti, ringraziando ed elogiando più e più volte l’uomo cui aveva lasciato, peraltro, anche l’importante e delicata delega ai Servizi segreti, datagli da Enrico Letta, e che poi ha elevato a ministro dell’Interno. Senza contare la ventina di pagine del suo penultimo libro, Un’altra strada, in cui, con un linguaggio più tipico di un altro Matteo (Salvini), Renzi sosteneva la necessità di “aiutarli a casa loro” e in cui diceva “basta buonismo” e “basta terzomondismo” perché, appunto, “non possiamo accoglierli tutti” (i migranti). Un libro che, causa la svolta ‘securitaria’, era stato molto contestato, a sinistra, sinistra che, però, ora Renzi supera, pur mettendosi, per sorpassare, a destra. 

Come finirà, lo scontro nel Pd, sul caso Libia e migranti? Non è dato saperlo, ma viene facile una vecchia citazione: “dum Romae consulitur, Saguntum est expugnatur”. Mentre a Roma, cioè nel Pd, si discute, l’Italia viene espugnata. Da Salvini.

 


 

NB: Questo articolo è stato pubblicato sul sito di notizie Tiscalinews.it il 9 luglio 2019