Il nome senza la Cosa. Dalla Bolognina del Pci al Pds-Ds-Pd. Troppe svolte e sempre meno voti

Il nome senza la Cosa. Dalla Bolognina del Pci al Pds-Ds-Pd. Troppe svolte e sempre meno voti

13 Novembre 2019 0 Di Ettore Maria Colombo

L’annuncio a sorpresa arriva una domenica mattina del 1989

PiazzadeiMartiriPortaLame

Piazza dei Martiri di Porta Lame

La mattina di domenica 12 novembre 1989 era prevista a Bologna, in una sala comunale di via Tibaldi 17, nel quartiere della Bolognina, la riunione di un gruppo di partigiani per celebrare il 45 esimo anniversario della battaglia di porta Lame, avvenuta il 7 novembre 1944, un episodio tra i più importanti della Resistenza italiana. Il segretario del Partito comunista italiano (PCI), Achille Occhetto partecipa a sorpresa all’incontro, che si svolgeva pochi giorni dopo la caduta del muro di Berlino (9 novembre).

achille occhetto

Achille Occhetto

Il discorso di Occhetto, destinato a entrare nella storia della sinistra italiana, dura solo sette minuti. L’annuncio clou, ovviamente condizionato da quanto era successo a Berlino, era che bisognava inventare “nuove strade per unificare le forze di progresso”. Erano presenti soltanto due giornalisti, uno dell’Unità e uno dell’Ansa, a cui non sfugge il carattere storico della breve dichiarazione. Uno di loro chiede a Occhetto se le sue parole lasciassero presagire che il PCI avrebbe potuto anche cambiare nome: il segretario del PCI risponde “Lasciano presagire tutto”.

Partito democratico della sinistra

Partito Democratico della Sinistra

Iniziava così la svolta della Bolognina, che portò alla fine del PCI e alla nascita del Partito democratico della Sinistra (PDS). Un processo lungo e tormentato che dura ben due anni (1990-1991). La trasformazione del nome e del simbolo del PCI in “qualcos’altro” in realtà era nell’aria e la discussione su un eventuale cambiamento di nome della maggiore forza della sinistra italiana era già cominciata da qualche anno, incontrando però notevoli resistenze. Molti, soprattutto tra coloro che dentro al partito si opponevano alla svolta, accusarono Occhetto di aver deciso da solo di proporre pubblicamente la svolta e di aver preso alla sprovvista tutti, senza concordare nulla, oltre che di averlo fatto in modo improvvisato e senza una reale riflessione politica e ideologica. Era vero.

XX congresso PCI

XX Congresso PCI

Si aprì comunque una stagione sofferta, con un dibattito che appassionò migliaia di militanti, con rotture che investirono i rapporti umani e interruppero percorsi decennali di appartenenza politica. Alla fine, nel febbraio del 1991, nel XX e ultimo Congresso del PCI, svoltosi a Rimini, la maggioranza dei delegati ratifica il cambiamento, sciogliendo il PCI e dando vita al Partito democratico della sinistra, mentre una minoranza faceva nascere l’esperienza del movimento, poi partito, della Rifondazione comunista. A distanza di 30 anni, l’enfasi emotiva e ideale che accompagnò la svolta della Bolognina appare lontana: la geografia politica del Paese, non solo a sinistra, è radicalmente cambiata; rimane però l’eco di una grande battaglia di idee e di valori che attraversò quel periodo, coinvolgendo milioni di persone e cambiando la Storia, nel nostro Paese, come l’aveva cambiata nel Mondo la caduta del Muro.  

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La fine della storia del più grande partito comunista dell’Europa occidentale

Un momento molto importante per la storia della sinistra in Italia e, dunque, per la politica italiana in generale perché segnò la fine della storia del più grande partito comunista dell’Europa occidentale.

 

Il contesto storico: il Pci dal dopoguerra a Berlinguer

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Il Partito Comunista d’Italia (PCd’I) nacque il 21 gennaio del 1921 a Livorno

Il Partito Comunista d’Italia (PCd’I) era nato il 21 gennaio del 1921 a Livorno. Finito in clandestinità durante il ventennio della dittatura fascista, quando riemerge non ha quasi più nulla di ciò che era.

Nel 1944, durante la Seconda guerra mondiale, il PCI aveva già operato una prima ‘svolta’, detta “Svolta di Salerno”: era diventato un importante partito nazionale, un partito di massa e non più solo di quadri, non solo promuovendo e organizzando la Resistenza contro i tedeschi e il fascismo, ma anche lasciando cadere la pregiudiziale anti-monarchica (i Savoia avevano avallato l’instaurazione e il permanere della dittatura fascista) e collaborando nei cosiddetti “governi di CNL” alla liberazione del Paese e al ritorno della democrazia. Governi dove le forze moderate, in testa la Dc, ma anche i partiti laici minori, erano molto lontani dall’ideologia comunista ma governavano insieme con la stessa presenza di ministri comunisti (Togliatti in testa) nei governi di CNL dal 1944 al 1947.

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Palmiro Togliatti, storico segretario del Pci

Palmiro Togliatti, segretario del PCI, dunque, aveva inserito il PCI nella politica democratica e lo aveva fatto collaborare al governo del Paese. Ma, nel 1947 Alcide De Gasperi, leader della Dc, aveva deciso di estromettere le sinistre dal governo e il PCI era passato all’opposizione, rimanendo fedele alle direttive politiche dell’Unione Sovietica ma sviluppando – nel tempo e pur tra mille contraddizioni – una politica sempre più autonoma e lontana dai ‘diktat’ di Mosca, nonostante la rinnovata appartenenza del PCI al blocco comunista internazionale che perdurò fino agli anni Settanta.

alcide de gasperi

Alcide De Gasperi

La filosofia politica del PCI era rimasta quella della “democrazia progressiva” di Togliatti: una forma di democrazia che, se arrivati al potere, doveva comprendere una forma di avvicinamento agli ideali del socialismo pur se in una cornice democratica e, possibilmente, neutralista tra i due blocchi.

Pietro nenni

Il PSI di Nenni aveva abbandonato il “patto di unità d’azione” con il PCI

Dopo la stagione dei governi di centrosinistra, quando, negli anni Sessanta, il PSI di Nenni aveva abbandonato il “patto di unità d’azione” con il PCI, il PCI stesso, negli anni Settanta, continuava a trovarsi ‘condannato’ all’opposizione in nome di quello che veniva chiamato ‘fattore K’ o ‘conventio ad excludendum’: in sostanza, il PCI – a causa dei suoi legami con l’Urss – non avrebbe potuto governare neppure se avesse vinto le elezioni dato che l’Italia apparteneva alla Nato e al blocco occidentale e il PCI, anche se in modo sempre meno convinto, ‘obbediva’ a Mosca. Un legame che si era via via allentato, almeno a partire dalla condanna dell’invasione sovietica di Praga (1968).

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Enrico Berlinguer

All’inizio degli anni Settanta, per sbloccare l’impasse di quella che veniva chiamata la “democrazia bloccata”, il nuovo segretario del PCI, Enrico Berlinguer, aveva formulato la teoria del “compromesso storico”, cioè la necessità dell’incontro tra le masse comuniste e quelle cattoliche per governare il Paese di fronte ai rischi di involuzione autoritarie delle democrazie occidentali come aveva dimostrato il golpe in Cile (1973). Berlinguer, dunque, non parlava più di “rivoluzione comunista” ma di “un processo interno allo sviluppo della democrazia” che poteva/doveva avere i tratti o comunque elementi di socialismo ma in una cornice saldamente democratica e fino al punto di accettare “l’ombrello della Nato” (dichiarazione del 1976) rispetto a quello del patto di Varsavia.

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Il premier della Dc Aldo Moro

Il presidente della Dc, Aldo Moro, tese la mano a Berlinguer e preparò governi della svolta che prevedevano la partecipazione diretta al governo del PCI, ma il suo rapimento e omicidio (1978) impedirono il pieno ed effettivo sviluppo di quella politica. I governi detti “della non sfiducia” e della “solidarietà nazionale” (1976-1979) furono un sostanziale fallimento perché il PCI si limitava a fornire l’appoggio esterno a monocolori Dc, senza potere entrare realmente nella “stanza dei bottoni”, anche se partecipò, al pari degli altri partiti, alla lotta al terrorismo.

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L’esperimento del compromesso storico e dell’incontro tra PCI e Dc

L’esperimento del compromesso storico e dell’incontro tra PCI e Dc, dunque, era fallito e Berlinguer operò, nel 1980, una “seconda svolta di Salerno”, rompendo la politica della solidarietà nazionale e ricollocando il PCI all’opposizione lanciando la formula dell’alternativa democratica, formula dai confini indefiniti e che doveva ricomprendere quella sinistra (il PSI) che il PCI aveva messo ai margini con il compromesso storico, ma anche sollevando il tema della “questione morale” (1980). 

 

Gli anni Ottanta, il retroterra e il contesto della ‘svolta’

enrico berlinguer

Berlinguer morì sul palco di un comizio a Padova

Gli anni Ottanta furono anni difficili e complicati per il PCI: le lotte operaie e sindacali si erano affievolite, Berlinguer morì sul palco di un comizio a Padova (1984), il sorpasso operato ai danni della Dc alle Europee del 1984 fu un successo breve ed effimero dovuto solo all’emozione suscitata dalla drammatica fine di Berlinguer, al referendum sulla scala mobile (1985) avevano vinto i “no” contro la richiesta del PCI e della Cgil di abrogarla e il PSI era riuscito a conquistare la presidenza del Consiglio (1983) con il suo nuovo leader, Bettino Craxi, che aveva messo in campo una politica fortemente anti-comunista quanto autonomista. Alla guida del partito c’era Alessandro Natta, erede di Berlinguer, che a causa di problemi di salute venne sostituito nel giugno del 1988 da Achille Occhetto.

Mikail Gorbačëv

Mikhail Gorbačëv

Nel frattempo, però, Mikhail Gorbačëv era diventato segretario generale del Partito Comunista Sovietico, aveva lanciato la politica della glasnost e della perestroika (rinnovamento) e l’Unione Sovietica attraversava una crisi profonda così come tutto il blocco dei Paesi dell’Est.

Proprio durante la segreteria di Occhetto iniziò un grande dibattito interno al PCI sul rinnovamento, proprio a partire dal nome e dalla parola “comunista”. Il primo a introdurre apertamente la possibilità di cambiare nome fu Giorgio Napolitano, responsabile a quel tempo della commissione internazionale del PCI e leader dell’ala ‘migliorista’ del partito, che nel febbraio del 1989 disse:

Giorgio Napolitano

Giorgio Napolitano

Se il partito comunista decidesse di cambiare nome, la scelta più opportuna sarebbe quella di Partito del lavoro o Partito dei lavoratori. (…) Non mi scandalizzerei di un cambiamento del nome, ma vorrei che fosse legato a dei fatti politici, nel senso di una ricomposizione della sinistra in Italia e in Europa, del superamento pieno delle divisioni e di tutto ciò che di storicamente vecchio e non più sostenibile c’è nella sinistra nel suo complesso”.

PCI congresso

Congresso

La maggioranza degli iscritti e degli elettori del PCI era, però, nettamente contraria e ribolliva. Subito dopo, al XVIII Congresso del PCI (marzo 1989), dove aveva lanciato una ‘svolta’ di taglio ambientalista, pacifista e movimentata del partito, suscitando già polemiche, Occhetto inizia a definire meglio la nuova prospettiva che avrebbe dovuto assumere il PCI: “Si pone alla base di tutti i processi riformatori, ad Est come ad Ovest, il riconoscimento del valore universale della democrazia, confermando che il processo di democratizzazione si può pienamente realizzare solo se sospinto in avanti da forti idealità socialiste, oltre l’individualismo capitalista e lo statalismo burocratico”.

caduta del muro di berlino

La sera del 9 Novembre 1989 la caduta del muro di Berlino

In gioco non c’era solo la questione del nome, ma anche quella di un possibile ricongiungimento fra socialisti e comunisti sotto le insegne dell’Internazionale socialista e delle socialdemocrazie europee cui il PCI, nonostante mantenesse il nome, era sempre più vicino. La sera del 9 novembre 1989 crolla il Muro di Berlino. Tre giorni dopo Occhetto fa il celebre annuncio della “svolta”.

 

Il discorso di Occhetto: nasce la “svolta della Bolognina”

la svolta della Bolognina

Il discorso di Occhetto: nasce la “svolta della Bolognina”

Il 12 novembre 1989 Achille Occhetto partecipa, come si è detto, alla commemorazione della Resistenza alla Bolognina. Non era previsto un suo intervento, ma il segretario del PCI chiede la parola e parla per circa sette minuti. Il discorso doveva essere commemorativo, ma è tutto tranne che di circostanza. Occhetto dice che era tempo di “andare avanti con lo stesso coraggio che fu dimostrato durante la Resistenza (…) Gorbaciov prima di dare il via ai cambiamenti in URSS incontrò i reduci e gli disse: voi avete vinto la Seconda guerra mondiale, ora se non volete che venga persa non bisogna conservare ma impegnarsi in grandi trasformazioni”. Poi Occhetto pronunzia le parole poi diventate celebri: era necessario “non continuare su vecchie strade ma inventarne di nuove per unificare le forze di progresso”. Al cronista che gli chiede se le sue parole lasciassero presagire che il PCI avrebbe potuto anche cambiare nome, risponde, appunto, che “Lasciano presagire tutto”.

La svolta della Bolognina

Achille Occhetto

Il “discorso della svolta” (la terza, nella storia del PCI, dopo le due svolte di Salerno), viene annunciata da Occhetto senza consultare il partito e questo fatto gli verrà a lungo rimproverato. Lo riconosce lo stesso Occhetto in diverse interviste rilasciate oggi, 25 anni dopo la Bolognina. “Il 9 novembre 1989 ero a Bruxelles per incontrare il leader laburista Neil Kinnock – racconta in un’intervista a Repubblica del 3 novembre 2019 – Rimanemmo ipnotizzati di fronte alle immagini televisive che giungevano da Berlino. Stavano picconando il Muro. Dissi subito ai giornalisti: “Qui non crolla soltanto il comunismo, ma tutto il Novecento”. “Cambierete nome?” mi domandò Kinnock. Ed io: “È molto difficile, è molto difficile, è molto difficile”.

Neil kinnock

Il leader laburista Neil Kinnock

E difficile lo sarebbe stato davvero, per un partito che alle Europee di giugno aveva preso un buon 27,6%, appena due punti sotto il risultato delle Politiche del 1979. Occhetto, insomma, sa che può riuscire nel suo intento solo se lo fa a sorpresa, forzando la mano a un gruppo dirigente e a militanti che non ne vogliono ancora sapere. 

 

Nel Pci inizia una lunga e drammatica discussione interna…

bandiera PCI

Bandiera del PCI

Della “svolta” si inizia a discutere ufficialmente solo il 13 novembre 1989 nella segreteria del PCI e dopo, per altri due giorni, in Direzione nazionale. La discussione viene e propria viene però rinviata al Comitato Centrale che si apre il 20 novembre. In quei giorni iniziano a delinearsi le diverse posizioni all’interno del PCI: da una parte “la destra” del partito (ala dei miglioristi e ala liberal), poco convinta dei modi di Occhetto, ma favorevole nella sostanza alla svolta, e dall’altra parte “la sinistra” (gli ingraiani) che assume un iniziale atteggiamento di prudenza, che poi diventerà di opposizione, mentre solo una piccola parte della sinistra (i cossuttiani) si pronunciarono subito contrari all’abbandono del nome del PCI.

Pietro Ingrao

Pietro Ingrao

Ma al rientro da Madrid di Pietro Ingrao, storico leader della sinistra del PCI, questi dichiara con un’altra frase poi passata alla storia: “Non sono d’accordo con la proposta avanzata da Occhetto. Spiegherò il mio dissenso nel Comitato centrale” (nella liturgia del PCI non era mai successo che ci si dichiarasse in ‘disaccordo’ con il segretario…).

palombella rossa

Palombella Rossa di Nanni Moretti

Tra i militanti, nel frattempo, la svolta era stata accolta con rabbia, proteste e in modo drammatico. Palombella Rossa, film del 1989 di Nanni Moretti, racconta a modo suo quella fase, mettendo in luce il senso di disorientamento e spaesamento che si allarga a macchia d’olio tra gli iscritti, i militanti e anche i dirigenti del PCI.

Il 20 novembre si apre il Comitato Centrale a Roma in via delle Botteghe Oscure, storica sede del PCI. I suoi 300 membri discussero della svolta per cinque giorni, accolti da centinaia di militanti che protestano sotto il Bottegone. Nella sua relazione introduttiva Occhetto afferma di “condividere il tormento” dei compagni, ma chiede: “Fino a quando una forza di sinistra può durare senza risolvere il problema del potere, cioè di un potere diverso?”. Da qui l’idea di costruire un nuovo partito con altri partiti di sinistra, ma anche con quella che veniva detta “sinistra diffusa”, o “sinistra dei club”, per poi andare al governo con il PSI e altri partiti minori della sinistra con l’obiettivo di mandare la DC all’opposizione. Occhetto chiude avvertendo però che “prima viene la cosa e poi il nome. E la cosa è la costruzione in Italia di una nuova forza politica”.

nanni moretti la cosa

La Cosa

Da quel momento in poi il dibattito sulla svolta della Bolognina sarà anche chiamato il “dibattito sulla Cosa”. Sempre Nanni Moretti gira un documentario, intitolato appunto La Cosa,  nel 1990, raccontando le discussioni – non accompagnate da commenti ma in fedele presa diretta – all’interno di alcune sezioni del PCI proprio nei giorni successivi alla proposta di Occhetto.

 

Il nome e la Cosa. Due congressi in due anni e tre mozioni

PCI XIX congresso 1990

PCI XIX congresso 1990

Il Comitato Centrale si conclude il 24 novembre con il voto di 326 membri su 374: i sì furono 219, i no 73 e gli astenuti 34. Il Comitato Centrale assume dunque la proposta del segretario Occhetto “di dar vita ad una fase costituente di una nuova formazione politica”, ma allo stesso tempo accetta anche la proposta delle opposizioni di indire un congresso straordinario entro quattro mesi. Il XIX e penultimo congresso del PCI si tiene dal 7 all’11 marzo del 1990. Le mozioni discusse furono tre.

ingrao angius lama

Ingrao Angius Lama

Quella del segretario Achille Occhetto (titolo “Dare vita alla fase costituente di una nuova formazione politica”) proponeva la costruzione di una nuova formazione politica democratica, riformatrice e aperta a componenti laiche e cattoliche che superasse il centralismo democratico. Quella firmata da Alessandro Natta e Pietro Ingrao, che invece si opponeva ad una modifica del nome, del simbolo e della tradizione comunista era intitolata “Per un vero rinnovamento del PCI e della sinistra” ed era sottoscritta, tra gli altri, anche da Angius, Castellina, Chiarante e Tortorella.

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Armando Cossutta

Secondo i sostenitori di questa mozione il PCI doveva sì rinnovarsi nella politica e nella organizzazione, ma senza cambiare nome. Infine, la terza mozione era quella proposta da Armando Cossutta (“Per una democrazia socialista in Europa”), era simile alla seconda, ma Cossutta venne costretto a presentarne una propria perché gli ingraiani non vogliono unire i loro voti ai cossuttiani, ritenuti troppo ‘filosovietici’ e ‘veterocomunisti’. Vince la mozione di Occhetto con il 67% dei voti contro il 30% della seconda mozione e il 3% della terza: Achille Occhetto venne riconfermato segretario e, in quell’occasione, pianse.

 

La fine del Pci. La nascita del Pds e quella di Rifondazione

DAlema Veltroni Fassino

D’Alema, Veltroni, Fassino

L’ultimo (il XX) congresso del PCI si apre il 31 gennaio del 1991 a Rimini. Le mozioni che si contrappongono al Congresso sono sempre tre, anche se con schieramenti leggermente diversi. La mozione di Occhetto, D’Alema, Veltroni, Fassino e molti altri dirigenti, intitolata “Per il Partito Democratico della Sinistra”, ottenne il 67,46% dei voti eleggendo 848 delegati.

Antonio Bassolino

Antonio Bassolino

Una mozione intermedia, intitolata “Per un moderno partito antagonista e riformatore” e capeggiata da Bassolino, ottenne il 5,76% dei voti eleggendo 72 delegati: era una mozione che accettava la ‘svolta’ e il cambio del nome ma voleva dare al partito una connotazione più marcatamente di sinistra. La mozione contraria alla nascita del nuovo partito, intitolata Rifondazione comunista e nata dall’accorpamento delle precedenti mozioni di Ingrao e Cossutta al XIX congresso, ottenne il 26,77% dei voti eleggendo 339 delegati, cioè meno della somma dei voti delle due mozioni presentate al precedente Congresso. Una sconfitta psante, per gli oppositori della svolta, che – convinti di rappresentare almeno la metà degli iscritti al PCI – non riuscirono a convincere delle loro tesi che meno del 30%.

Achille occhetto oggi

Achille Occhetto oggi

Nel suo ultimo discorso da segretario del Pci, Achille Occhetto dice: “Cari compagni e care compagne, in molti sentono che è giunta in qualche modo l’ora di cambiare: Non si tratterà solo di cambiare targhe sulle porte delle sezioni, occorrerà andare a una grande opera di conquista e di proselitismo (…) Oggi è un momento importante della nostra vicenda collettiva e sarà un momento memorabile della storia politica d’Italia (…) Per costruire, con il compito, con l’orgoglio che vi guida, il futuro dell’Italia”. Il 3 febbraio del 1991 nasce, dunque, il Partito Democratico della Sinistra con 807 voti favorevoli, 75 contrari e 49 astenuti: il simbolo era una quercia; falce e martello comparivano in piccolo alla base del tronco della quercia. Occhetto diventa il primo segretario del PDS e Stefano Rodotà viene eletto come suo primo presidente.

Stefano Rodotà

Stefano Rodotà

Tra i circa 90 delegati contrari, al congresso, c’erano Armando Cossutta, Alessandro Natta, Pietro Ingrao, Sergio Garavini e Fausto Bertinotti (era il cosiddetto “Fronte dei no”). Un gruppo di delegati della terza mozione (ma non tutti: Ingrao e Natta restarono nel Pds) decide di non aderire al nuovo partito e di dare vita a una nuova formazione politica che mantenesse nel nome la parola “comunista”: il 15 dicembre del 1991 nasceva Rifondazione Comunista. Il Pci moriva per sempre

 

Cosa è successo da allora in poi? I troppi voti perduti

scheda elettorale

Scheda elettorale

La flessione dell’elettorato e del peso del Pci-Pds-Ds-Pd nella società italiana corrisponde a un’erosione lenta e costante. Per dare un’idea di cosa stiamo parlando, nel 1987 – le ultime elezioni politiche in cui il simbolo del PCI è presente sulla scheda elettorale – il PCI pur perdendo circa tre punti percentuali (dal 29,8% al 26,5%) rispetto al 1983, può ancora contare su oltre dieci milioni di voti assoluti.

natta occhetto

Natta e Occhetto

Il segretario era ancora Alessandro Natta e Occhetto era il coordinatore della segreteria. Dopo le elezioni Occhetto viene nominato vicesegretario e si prepara a succedere a Natta come avverrà nel 1988 grazie al patto con D’Alema. Ancora nel 1989, alle elezioni europee, il PCI – pur in netto calo rispetto all’exploit del 1984, quando anche grazie alla morte di Berlinguer aveva toccato il suo massimo storico (34%) e sorpassato la Dc – prende 9 milioni e 500 mila voti (27,6%), in aumento rispetto alle Politiche del 1987.

pds

Pds

Ma sono le prime elezioni dopo la Svolta, quelle del 1992, a segnare un tracollo pesantissimo per il PCI diventato Pds: 16,11% e 6.321.084 voti contro l’exploit del PRC (5,6% e 2.343.946) e anche di altre formazioni di sinistra (la Rete). Alle Politiche del 1994, le prime della Seconda Repubblica e con il nuovo sistema elettorale, il Mattarellum, il Pds prende il 20,3% (7.881.646 voti) mentre il Prc prende il 6,5% (2.343.946). La somma dei vari partiti di sinistra supera i 10 milioni di voti ma l’alleanza dei Progressisti che vedeva il Pds di Occhetto perno dello schieramento perde male le elezioni. Le elezioni del 1996, che vedono la vittoria dell’Ulivo come schieramento, segnano un miglioramento per il Pds: 21,1% (7.994.118 voti) ma anche il Prc, grazie al patto della desistenza, avanza molto (8,5% e 3.213.748 voti) per un totale delle liste di sinistra di 11 milioni e 100 mila voti.

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L’ex premier Massimo D’Alema

Il Pds, che nel 1994 era stato scalzato da Forza Italia, diventa il primo partito italiano per numero di voti e seggi. Dopo le dimissioni di Occhetto, a guidare il Pds, dal 1994 e fino al 1998, è Massimo D’Alema. Nel 1998, a Firenze, nascono i Ds, evoluzione del Pds, che riuniscono, oltre al Pds, i laburisti italiani di Valdo Spini, i Comunisti unitari (scissione dal Prc) di Famiano Crucianelli, i Cristiano sociali di Pierre Carniti, la sinistra del Pri e altri riformisti.

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Walter Veltroni, , fondatore e ‘padre nobile’ del Pd

A guidare la fase costituente del nuovo partito è sempre D’Alema, ma dal 1998 al 2001, il segretario è Walter Veltroni, mentre dal 2001 fino allo scioglimento dei Ds, avvenuto nel 2007 il segretario diventa Piero Fassino.

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L’ex segretario dei Ds Piero Fassino

La seconda svolta, dopo quella del Pds, però, non paga. Alle Politiche del 2001, le prime in cui compare il nome dei Ds (che hanno tolto, tra l’altro, la falce e martello dal simbolo) il partito crolla al 16,5% (6.151.659 voti), ma anche il Prc paga il prezzo della scissione del Pdci di Armando Cossutta (5% al Prc e 1.868.659 voti e 1,7% e 620 mila voti al Pdci) per un totale di appena 8.640.672 voti dei partiti di sinistra (-2 milioni e 600 mila voti circa dalle elezioni del 1996).

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L’ex premier Romano Prodi

Alle Politiche del 2006 si presenta una nuova lista unitaria di Ds e Margherita sotto l’egida dell’Unione di Prodi e con una nuova legge elettorale, il Porcellum. Ds e Margherita corrono uniti alla Camera, ma divisi al Senato: l’Ulivo, alla Camera, prende il 31,2% e 11.930.983 voti, al Senato i Ds prendono il 17.5% (5.977.347 voti). Il Prc prende il 5,8% (2.229.464) e il Pdci il 2,3% (884.127), dati della Camera. Dunque, la somma del listone dell’Ulivo, del Prc e del Pdci raggiunge la cifra, mai toccata prima, di 15.044.574 voti. Alle Politiche del 2008 è già nato il Pd, primo segretario Walter Veltroni, fusione ‘a freddo’ di Ds e Margherita, che inizia a eleggere i suoi segretari con il metodo delle primarie. Segretari del Pd, dopo Veltroni (2007-2009), saranno Dario Franceschini (2009), Pier Luigi Bersani (2009-2013), Guglielmo Epifani (2013), Matteo Renzi (2013-2018), Maurizio Martina (2018), Nicola Zingaretti (dal 2019).

Nicola Zingaretti

Nicola Zingaretti

Alle prime elezioni cui si presenta, quelle del 2008, il Pd di Veltroni, che rifiuta ogni alleanza a sinistra, prende il 33,1% (12.095.306), primato mai più raggiunto, mentre collassa la sua sinistra: Prc, Pdci, Verdi e Sd si uniscono nella Sinistra arcobaleno che, però, con il 3%, non supera la soglia di sbarramento e racimola appena 1.124.298 voti, altre liste trotzkiste non superano l’1%. Il totale, teorico, delle liste riconducibili alla sinistra storica arriva a 13.596.816 voti (-1,5 milioni di voti sul 2006).

sinistra arcobaleno

Logo Sinistra Arcobaleno

Alle Politiche del 2013 le cose vanno ancora peggio. Il Pd prende il 25,4% e 8.646.034 voti, perdendo circa tre milioni di voti rispetto al 2008, la Sinistra di SeL (Vendola) il 3,2% (1.089.231) e, anche sommando altre liste minori di sinistra che si erano presentate al di fuori della coalizione nata intorno al Pd (Italia bene comune) e che non superano la soglia di sbarramento, i voti totali sono 10.590.097, cioè circa tre milioni in meno rispetto alle politiche del 2008 (da notare, però, che l’affluenza è calata di 2,5 milioni di voti).

Infine, alle Politiche del 2018, il Pd ottiene solo il 18,7% (6.161.896 voti) e raggiunge così il punto più basso della sua storia, considerando tutte le sue trasformazioni, quelle cioè da Pds a Ds in Pd (il precedente in negativo sono i 6.321.084 voti del Pds alle elezioni politiche del 1992). Anche sommando, al risultato del Pd, il voto di LeU (3,3% e 1.114.799 voti) e quello di Potere al Popolo (1,1% e 372.179 voti), più almeno altre due liste trotzkiste, il totale delle liste di sinistra si ferma a 7.785.054 voti assoluti.

sinonimi di astensione

Sintomi di astensione

Certo, dal 1994 al 2018, si sono persi nell’astensione (ma vale per tutti i partiti) 6,5 milioni di elettori, ma resta il risultato più basso dell’insieme delle liste di sinistra dal ’92: 7 milioni e 700 mila voti vuol dire 1 milione e 600 mila voti in meno del peggior risultato in 25 anni.

 

Troppe svolte e tutte dal colore indistinto. Un bilancio 

dal PCI al PD

Dal PCI al PD

La verità ‘politica’ di questi dati è che, stante il crollo nella partecipazione elettorale, la ‘svolta’ della Bolognina e, poi, le svolte che hanno portato alla nascita dei Ds e poi del Pd, invece di allargare la base elettorale della Sinistra, che oggi è compiutamente una sinistra democratica e riformista (su questo non vi è, ovviamente, ombra di dubbio) l’hanno ristretta. I dieci milioni e rotti di voti del Pci nel 1987 sono diventati i 7 milioni e 700 mila voti del Pd e altri nel 2018.

Di certo hanno influito, ripetiamo, fenomeni generali come la disaffezione generale dell’elettorato, la perenne litigiosità delle forze di sinistra (soprattutto sull’asse sinistra riformista versus sinistra radicale) tra di loro e al governo, i cambiamenti continui della legge elettorale e altri fattori.

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La continua diminuzione dei consensi ai partiti della sinistra storica fa impressione

Ma certo è che il dato numerico della continua diminuzione dei consensi ai partiti della sinistra storica fa impressione. Come pure l’incapacità di definire un orizzonte progettuale e ideale alla stessa sinistra riformista e democratica italiana. Si è passati dalla ‘sinistra diffusa’ e ‘sinistra dei club’ del Pds di Occhetto, che vagheggiava svolte ambientaliste e aperture alla società civile mai compiutamente realizzate, all’adesione acritica alla “Terza via” del laburismo inglese e nordamericano degli anni Novanta, senza rendersi conto – da parte dei Ds di D’Alema

blair

Tony Blair

che l’impianto del revisionismo socialdemocratico lanciato da Blair e Clinton faceva a pugni con i guasti della globalizzazione e con il carattere sempre più aggressivo del capitalismo finanziario fino al

bill clinton

Bill Clinton

‘pantheon’ confuso e generico del Pd di Veltroni che, pur di unire due partiti dal ceppo storico assai diverso (i Ds che venivano dal Pci-Pds e la Margherita che veniva dalla Dc-PPI), ha mischiato le carte del nuovo partito fino a fargli perdere qualsiasi identità dentro un orizzonte ‘democratico’ e liberal privo di identità e valori fondanti.

Matteo Renzi

Matteo Renzi

La quarta ‘svolta’, dopo quella del Pds, quella dei Ds e quella del Pd, però, è stata senz’altro rappresentata dalla segreteria di Renzi che ha introdotto un concetto fuorviante, quello del “partito della Nazione” come se il Pd non dovesse collocarsi a sinistra, anche se riformista e liberale, ma direttamente ‘al centro’ dell’agone politico in modo da diventare un partito ‘pigliatutto’ privo di ogni idealità e spinta progressista e, persino, democratica, oltre che riformista. Un tentativo che, oggi, sembra essere archiviato, ma al cui posto non sembra ne sia ancora sorto uno nuovo. Il Pd, oggi, non ha più nulla del Pd di Renzi ma neppure del ‘rosso antico’: non è un partito ‘democratico’ all’americana ma neppure un partito socialdemocratico alla tedesca. E di partiti socialisti, o democratici, che sono spariti, nel tempo, ce ne sono. Cosa accadrà in futuro?

 


Questo articolo è stato pubblicato in forma originale per questo blog il 13 novembre 2019