Il silenzio è d’oro. Mattarella parla poco, ma quando parla se lo ricordano tutti. Intanto, guerra aperta tra il governo e i governatori sull’election day

Il silenzio è d’oro. Mattarella parla poco, ma quando parla se lo ricordano tutti. Intanto, guerra aperta tra il governo e i governatori sull’election day

29 Maggio 2020 0 Di Ettore Maria Colombo

Sommario

“Chi tace acconsente! No, chi tace sta zitto!”. In tanti ‘tirano la giacchetta’ al Capo dello Stato: pretendono che il Colle intervenga sui più svariati temi, sia gravi (la destra sul caso Csm) sia futili (i governatori sull’election day). Mattarella tace, ma presto arriverà uno ‘specialissimo’ 2 giugno e allora sì che parlerà…

“Chi tace acconsente! No, chi tace sta zitto!”

“Chi tace acconsente! No, chi tace sta zitto!”

 

“Giovanni e il barbiere”. Dal video-messaggio alla Nazione

che ha commosso l’Italia ormai sono passati più di due mesi

mattarella barbiere

Il barbiere di Mattarella

Giovanni, guarda che neanche io vado dal barbiere!”. Così si rivolgeva, in un fuori onda passato alla Storia, al suo portavoce (Giovanni Grasso) il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, il 27 marzo scorso. Sono passati più di due mesi, da quando, quel giorno. Il custode della Costituzione, il ‘nonno’ della Repubblica, l’uomo politico di gran lunga più amato e rispettato dagli italiani (altro che Conte, e lasciamo perdere Renzi, Salvini, etc.), ha tenuto un intervento pubblico di tipo ‘politico’. Intervento nel quale ha unito la descrizione del dramma del coronavirus che il Paese stava vivendo alla necessità che la Ue dimostrasse forme nuove di solidarietà verso gli Stati colpiti dalla tragedia. In più, appunto, il gustoso episodio relativo a quel fuori-onda mandato in onda per errore dal segnale interno del Quirinale che ha messo di buonumore, nel bel mezzo di una tragedia epocale, tutti gli italiani e ha reso loro ‘prossimo’ un Mattarella dalla chioma storicamente bianca ma, per l’occasione, fin troppo lunga.

 

Mattarella scende i gradini dell’Altare della Patria da solo e sembra Superman. Le (tante) differenze con i suoi predecessori

Mattarella scende i gradini dell’Altare della Patria e sembra Superman

Roma – Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della deposizione di una corona d’alloro sulla Tomba del Milite Ignoto, nella ricorrenza del 75° anniversario della Liberazione, 25 aprile 2020.
(Foto di Paolo Giandotti – Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

Ne è passato molto (troppo?) di tempo da allora? Sì, tanto. Certo, il 25 aprile Mattarella ha deposto una corona di fiori all’Altare della Patria e quella foto – che ha fatto il giro del mondo proprio come quella di papa Francesco che benediceva una piazza San Pietro vuota e piovigginosa, – di lui che scendeva lo scalone dell’Altare della Patria (la nostra ‘macchina da scrivere’ la chiamano i romani) da solo e con la mascherina era talmente bella, significativa, emozionante e ‘calda’ che ha ‘parlato’ agli italiani più di mille parole (“Sembra Superman” hanno detto, persino, tanti giovani ragazzi…).

Per il resto, Mattarella è sempre rimasto, rispetto al governo come rispetto alla lotta politica, un passo indietro. Naturalmente per precisa convinzione e scelta, non certo per timore o per paura.

 

I videomessaggi con il contagocce del Capo dello Stato:

appena cinque in due mesi ma tutti impregnati di messaggi forti

video messaggio Mattarella scaled

I videomessaggi con il contagocce del Capo dello Stato: appena cinque, ma tutti impregnati di messaggi forti

In ogni caso, in questi due mesi pieni di lockdown da cui il Paese dovrebbe uscire, in via definitiva, solo il prossimo 3 giugno, il Capo dello Stato ha centellinato gli interventi con il contagocce.

Parla poco, Mattarella, e solo a ragion veduta. La sua è una precisa scelta di comunicazione istituzionale figlia del ‘raccordo’ dei suoi più stretti collaboratori (Grasso e Astori, consiglieri per la comunicazione, ma anche Sardo e Guerini, il segretario generale Zampetti), ma anche figlia del suo carattere schivo, riservato. Il lockdown era appena calato, come una ‘cortina di ferro’, sull’Italia intera quando Mattarella si rivolgeva, con un videomessaggio, agli italiani per la Festa della Donna, l’8 marzo scorso. Un’eternità. Poi, appunto, il videomessaggio del 27 marzo: un ‘liscia e busso’ alla Ue e ai suoi ‘poteri’ che mostravano, allora, assai scarsa solidarietà all’Italia e che nella Ue si ricorderanno a lungo, ma anche un incitamento alla ‘resilienza’ degli italiani.

Un giovane Mattarella insieme a Falcone

Un giovane Mattarella insieme a Falcone

Poi, ecco il messaggio per gli auguri di Pasqua, l’11 aprile, un inno toccante alla solidarietà da trovare e alla solitudine da evitare. Un altro videomessaggio, ma tutto rivolto ai ragazzi delle scuole, e alla forza della Cultura (diffuso per i nuovi programmi di Rai Cultura), del 27 aprile, come pure tutto rivolto al ricordo del sacrificio di Giovanni Falcone e alla lotta alla mafia è stato il videomessaggio del 23 maggio, prodotto per onorare le cinque vittime della strage di Capaci (1992). In tutto, dunque, appena cinque videomessaggi in due mesi che però sono stati devastanti per il Paese e per la sua tenuta. C’era chi si aspettava di più, da parte sua. Interventi ‘alla Macron’, o alla Trump, o alla Putin, cioè come se Mattarella fosse a capo di una repubblica presidenziale mentre, invece, il nostro Capo dello Stato è a capo di una Repubblica parlamentare, come si sa.

 

E così, mentre Conte e gli altri sproloquiano, Mattarella centellina

Il Premier Conte in tv

Il Premier Conte in tv

Per i critici e i detrattori, che sempre ci sono, gli interventi del Colle sono stati troppo pochi. Per i suoi sostenitori, una scelta più che azzeccata, anche considerando l’overbooking di conferenze stampa a cui il presidente del Consiglio Conte ha sottoposto gli italiani, per non dire delle lunghe –e  spesso stucchevoli – dirette Facebook di tutti i leader politici di maggioranza come di opposizione.

Ma Mattarella è fatto così. Schivo e taciturno di suo. Persino in occasione di due feste ‘comandate’ come il 25 aprile (Liberazione) e quella del I maggio (Festa dei lavoratori), quando normalmente il Capo dello Stato parla alla Nazione davanti agli schermi tv, stavolta Mattarella si è limitato a mettere in circolazione due messaggi scritti e poco più. Certo, altri interventi, sempre scritti, e sempre per varie ricorrenze, anticipati da take di agenzia, hanno caratterizzato questi due mesi.

 

Un solo messaggio ‘politico’: c’è il governo Conte, stop.

Ma si elargiscono anche consigli e moral suasion, dal Colle

governo conte completo

Il Governo Conte Bis al completo

Infine, uno solo è stato il ‘messaggio’ spedito dal Quirinale alle forze politiche come ‘avviso ai naviganti’, ma stavolta via ‘retroscena’ sui giornali (genere giornalistico che l’attuale inquilino del Colle detesta cordialmente da tempi non sospetti) attraverso una categoria, quella dei quirinalisti Quando, in questi mesi, la corda è sembrata spezzarsi, il Colle ha avvertito tutti gli attori politici: volete – voi opposizioni, voi Renzi, voi M5S, voi Pdfar cadere il governo Conte? Sappiate che non vi sono altre soluzioni. Se mi fate girare gli zebedei, sciolgo le Camere e vi porto alle urne anticipate, così vi prendete tutti voi le vostre responsabilità davanti al Paese.

Questa seconda parte, in realtà, è ancora oggi in discussione che Mattarella l’abbia davvero detta. Troppo rispettoso delle prerogative del Parlamento, se si trovassero i numeri e le forze per dare vita a una nuova maggioranza di governo, che ovviamente dovrebbe scalzare l’attuale governo Conte, il Capo dello Stato non potrebbe certo non tenerne conto e farebbe esperire almeno un tentativo di raccogliere la fiducia delle Camere per dare vita a un nuovo governo, anche se si tratterebbe del terzo cambio di maggioranza a partire dall’inizio della legislatura (gialloverdi, giallorossi, e poi?).

Forse, però, sostengono alcuni, Mattarella si era fermato solo alla prima parte del messaggio: c’è Conte, e c’è il coronavirus, ora. Fin quando persiste l’emergenza (cioè almeno per altri trei mesi) si va avanti con quel che c’è, cioè con Conte. Punto, fine, stop. Poi, dopo, casomai, più avanti si vede.

Certo, qualche ‘sopracciglio’ alzato verso alcune ‘cadute di stile’ o veri e propri errori del governo, Mattarella lo ha avuto e con Conte si è fatto sentire il mancato, iniziale, accordo con la Cei sulle riaperture delle chiese e delle messe, l’uso e l’abuso dei dpcm, la situazione delle carceri che stava sfuggendo di mano a Bonafede, etc., fino ai decreti legge del governo troppo pasticciati e in aria.

 

Per il resto, dal Colle poche parole e tutte pregne di significato

Mattarella Tobagi

Il Presidente Mattarella ha ricordato Tobagi

Non che manchino, ogni giorno, al Capo dello Stato le occasioni, le celebrazioni e gli appuntamenti per intervenire. Ieri, per dire, ha ricordato il giornalista, e vice direttore del Corriere della Sera, Walter Tobagi (1980). E spesso, in questi giorni, Mattarella ha parlato, e difeso, la libertà di stampa, nonostante siano proprio alcuni giornali – segnatamente quelli di destra-destra: la Verità, Libero quotidiano, il Giornale, ma anche altri – che lo attaccano in modo a volte scoperto, altre volte subdolo. Poi, sempre ieri, ha ricordato l’anniversario della strage neofascista di piazza della Loggia che insanguinò Brescia nel 1974, Mattarella ha ricordato che, anche oggi, “lotta con coraggio”.

Per il resto, poco o nulla. Il Capo dello Stato è rimasto in perfetto silenzio.

 

Intanto, però, la lotta politica italiana divampa tra i partiti:

caso Csm, dl Rilancio, trattativa con la Ue, il cappone Bonafede

CSM

La targa del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM)

La lotta politica italiana, però, non conosce requie e se ne frega del bon ton istituzionale. Lo scandalo al Csm divampa e appicca altri fuochi (Mattarella, per Costituzione, è presidente del Csm e molti partiti dell’opposizione si lamentano perché non interviene con parole nette). Il dl Rilancio è stato approvato in cdm e, solo a distanza di una settimana, pubblicato in Gazzetta Ufficiale (il Colle scruta con il lanternino, prima di firmare, ogni legge, figurarsi questa, così importante). Il ministro della Giustizia, Bonafede, è stato travolto da vari errori e gaffe compiuti: doveva essere sfiduciato, dal Senato, e s’è salvato per il rotto della cuffia (il Guardasigilli è il solo ministro citato in Costituzione), ma ora è finito come i capponi di Renzo (non Renzi…) Tramaglino: un pollo che tutti gli altri partiti, da Iv al Pd, vogliono spennare.

Ursula Von der Layen

Ursula Von der Layen

L’Europa prima lancia il piano ‘franco-tedesco’ di aiuti da 500 miliardi, poi i ‘quattro frugali’ si mettono di traverso, ora la Von der Layen ne promette uno da 750 miliardi, di piano di aiuti, ma già c’è chi parla di nuove ‘condizionalità’ (insomma, si vedrà). I sindaci litigano con i governatori che litigano con lo Stato centrale, cioè con il governo, sulla fine del lockdown, sulle riaperture di bar e ristoranti, hotel e stabilimenti balneari senza dire della lite sulla data del voto.

 

La durissima protesta dei governatori sulla data del voto:

“Pronti a ricorrere alla Consulta e anche al Colle”, già chiamato

election day

Election day

I governatori hanno ‘deciso’, in totale autonomia, che la data del 20/21 settembre – l’election day proposto dal governo per elezioni regionali, amministrative, referendum – è, addirittura, un vulnus alla democrazia, un ‘attentato’ alla Costituzione e, quindi, hanno citofonato al suo custode.

Il governatore del Veneto, Luca Zaia, quello della Liguria, Giovanni Toti, il presidente della Conferenza Stato-regioni, Stefano Bonaccini (i primi due di centrodestra, il terzo no!), hanno intasato, in questi giorni, il centralino del Quirinale: votare il 20 settembre sarebbe, per loro, di fatto un golpe, un vulnus istituzionale gravissimo. O si vota il 13 settembre (cioè appena una settimana prima…) oppure “solleviamo un conflitto di attribuzione davanti alla Consulta”. Per una settimana in meno o in più? Pare di sì. Nel frattempo, tutti e tre hi governatori anno telefonato e scritto al Colle.

il fronte del no

Il fronte del NO

Anche i promotori del Comitato del No (i senatori Cangini, Pagano e Nannicini), che ieri sono stati ricevuti dal premier (“E’ stato cortese e affabile”, racconta Cangini, “ci ha ascoltato, vedremo ora se opererà in modo persuasivo sulla maggioranza almeno ottenenrdo lo scorporo del referendum dall’election day”) per protestare, a loro volta, contro l’abbinamento del loro referendum con altri tipi di consultazione elettorale, se non saranno soddisfatti andranno alla Consulta e pure al Colle.

Una misura, quella di salire al Colle, per i promotori del referendum del No, legittima e forse eccessiva. Per quanto riguarda la data del voto, cioè l’election day, invece, se si terrà o meno il 20 settembre, come vuole il governo e la maggioranza – che lo ha fatto mettere nero su bianco nel decreto ‘elettorale’ ora all’esame del Parlamento (doveva essere votato, in via definitiva, ieri 28 maggio dalla Camera dei Deputati per poi essere trasmesso al Senato ma il voto è slittato all’8 giugno, dopo il dl Scuola) – o se la data del voto, almeno per le elezioni regionali, verrà cambiata.

Il fronte dei governatori spinge per anticipare (al 6 o al 13 settembre, al massimo, non oltre) mentre il fronte delle opposizioni spinge per ritardarle (al 27 settembre e oltre), la considerazione più efficace e lungimirante arriva dal deputato dem e costituzionalista provetto Stefano Ceccanti.

Ceccanti: “Il governo rischia la fine dell’asino di Buridano”

ceccanti

Il professore e deputato del Pd Stefano Ceccanti

Ovviamente tutti auspichiamo la quadratura del cerchio – ha spiegato Ceccanti in commissione battibeccando con l’azzurro Francesco Paolo Sisto, raffinato avvocato barese di nobileche ora rivendica persino forme di opposizione ‘guevarista’ contro il ‘golpismo’ del governoda una data condivisa per l’election day. C’è però, almeno al momento, un problema oggettivo che rende difficile muoversi dal testo arrivato in Aula. Sulla base delle norme vigenti non è possibile imporre alle Regioni l’election day ed esse possono legittimamente indire le loro elezioni sin da domenica 6 settembre.

Il Governo e il Parlamento possono solo dialogare con le Regioni e provare a convincerle, ma non hanno margini di imposizione. Il decreto ha prorogato la durata dei Consigli regionali impedendo elezioni durante lo stato di emergenza, ossia fino a fine luglio, ed anche nel mese di agosto per ovvie ragioni, ma non ci si può spingere oltre. Il problema è che le richieste delle Regioni e quelle dei gruppi di opposizione, espresse con particolare enfasi da Forza Italia e Fratelli d’Italia, vanno in direzione del tutto opposta. Se il Governo decidesse di indicare una data più avanzata di quella già individuata nel 20 settembre, come richiesto dalle opposizioni, sulla base della finestra di legge, incentiverebbe le Regioni, già scontente per il 20, a votare da sole il 6 settembre. Se, invece, Governo e Parlamento volessero aprire prima la finestra per evitare quello scenario, scegliendo il 6 o il 13 settembre, come ad un certo punto si era ipotizzato, la critica delle opposizioni, già sproporzionata, diventerebbe ancora più forte. Maggioranza e Governo – concludeva Ceccanti in commissionesono state e restano pragmatiche ed aperte, ma se anche le Regioni ed i gruppi di opposizione non si prestano ad un’analoga flessibilità, nessuno è in grado di fare miracoli”. Insomma, avverte Ceccanti, il governo rischia di fare la fine dell’asino di Buridano, ‘suonato’ da tutti i suoi ‘padroni’…

 

Poi c’è Salvini che invoca ogni giorno l’intervento di Mattarella,

stavolta sul caso Csm-Anm e intercettazioni dei giudici

Salvini Matteo

Matteo Salvini

Infine, ecco l’ultimo caso che riguarda Mattarella e che sta creando grande scalpore. Il leader della Lega Matteo Salvini vuole che il Capo dello Stato intervenga – in pratica glielo sta chiedendo, da giorni, tutti i giorni – sullo scandalo delle intercettazioni tra le toghe che, tanto per cambiare, ha investito, distruggendone l’immagine, il Csm – massimo organo di autogoverno della magistratura di cui Mattarella è il presidente – come pure l’Anm, sindacato autonomo dei giudici togati italiani.

Anche Fratelli d’Italia – nonostante i rapporti tra Salvini e Meloni siano vicino allo zero assoluto sulla scala Celsius come su quella Farhenait – torna a chiedere, con Giorgia Meloni, al Presidente della Repubblica di intervenire sullo scandalo che sta sconvolgendo i rapporti tra magistratura e politica. Idem sentire di Forza Italia, dove  hanno abbandonato da tempo i toni duri e da ‘incendiari’.

 

Il silenzio di Sergio Mattarella sul Csm è un silenzio ‘d’oro’

Presidente Mattarella

Il presidente tace

Perché, dunque, non parla, Mattarella, sul caso Csm? Innanzitutto, non è detto che non stia per farlo, e molto presto, ma certo è dal Colle, verso i propri detrattori, esce una considerazione sola, secca e lapidaria: “il Capo dello Stato non può mettersi in mezzo perché non è titolare di azione disciplinare. Se dall’indagine affiorassero novità, andranno sotto la lente del ministro della Giustizia e del procuratore generale della Cassazione e non del Quirinale, dunque”.

Che dire, dunque, del presunto ‘silenzio’ di Mattarella in questa turbolenta fase politica? E’ un silenzio attento a ciò che accade, ma non vuol dire per forza ‘assenso’. A volte vuol dire solo avere idee e opinioni forti e centellinarle in modo paziente e certosino, oculato e attento. In ogni caso, dato il ruolo così importante che il presidente ricopre, l’inquilino più assennato e meno presenzialista che il Colle abbia mai conosciuto nella sua lunga storia sta per dire ‘stop’ al suo silenzio e lo farà in occasione solenne, la Festa della Repubblica del 2 giugno

 

La ‘non’ parata del 2 giugno, dopo vent’anni di sfilate ai Fori 

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Il decimo presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi nel suo studio al Quirinale

La parata militare, ovviamente, quest’anno non ci sarà, causa Covid19, e sarà la prima volta dopo vent’anni, cioè da quando – nell’ormai lontano 2001 l’allora Capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi, volle ripristinare la tradizionale parata militare delle Forze Armate ai Fori Imperiali, scelta confermata e rinnovata sia da Napolitano che da Mattarella.

Il prossimo 2 giugno, invece, sarà molto speciale. Mattarella – dopo aver deposto una corona di fiori all’altare della Patria, senza dover veder sfidare, alla parata militare, le nostre truppe, spesso impegnati nei luoghi più impervi del pianeta – si recherà a Codogno, dove il morbo della pandemia ha più colpito e infuriato, in visita non del tutto ‘privata’ ma ‘riservata’, e poi, nel pomeriggio, all’ospedale Spallanzani di Roma. Parlerà, eccome se parlerà, Mattarella. Del coronavirus, dell’Italia della recessione economica e della ripresa, forse anche della situazione politica generale e non solo per un generico invito alla coesione sociale e all’unità nazionale. Infine, festeggerà il 2 giugno, festa di tutti gli italiani, nel modo meno retorico e palaudato possibile: deposizione di fiori all’Altare della Patria, concerto al chiuso per i cittadini nei giardini del Quirinale e poco altro. Come è evidente, sia la parata militare del 2 giugno ai Fori Imperiali, sia il ricevimento per le Alte cariche dello Stato del I giugno, sono stati cancellati per rispettare le precauzioni sanitarie. Ma Mattarella non rinuncerà ad aprire i giardini del Quirinale agli italiani che, in numero contingentato, ovvio, vorranno visitarli. Il Presidente più amato dagli italiani, non si è mai dimenticato di loro neppure quanto è rimasto zitto.

 

“Chi tace acconsente!”. “No, chi tace sta zitto!” (Francesco Nuti)

francesco nuti

Francesco Nuti

Morale, ci sovviene che in un vecchio film di Francesco Nuti – attore toscano anarchico e irriverente troppo presto dimenticato e isolato – un surreale dialogo tra lui e un altro attore spalla recitava così: “Chi tace acconsente!”. “Eh, no! Chi tace sta zitto!”. La battuta la si può adoperare, si parva licet comparare magnum, e col dovuto senso del rispetto istituzionale che si deve al Colle, anche all’attuale Capo dello Stato, Sergio Mattarella. Il 2 giugno parlerà, con un nuovo messaggio alla Nazione e la sua voce risulterà alta e forte come forse mai in passato. Avercene, di ‘Matta’.

 

NB: L’articolo è stato pubblicato, in forma più succinta, sul sito di Tiscali.it il 29 maggio 2020 


NB: ecco un articolo dell’Ansa di oggi sull’election day che fa molto bene il punto della situazione

Caos Regionali, slitta decreto su voto a settembre. Governo stretto tra governatori di centrodestra e comitato del No. Bonaccini chiama Colle

Di Giovanni Innamorati) (ANSA) – ROMA, 28 MAG –

Giuseppe Conte rischia di ritrovarsi nella posizione del matematico Lindemann che dimostrò l’impossibilità della quadratura del cerchio: sulla questione della data delle elezioni regionali il governo è infatti strattonato in direzioni opposte, con i Governatori delle Regioni che chiedono di votare o il 27 luglio o il 6 settembre, mentre sul piano politico il centrodestra spinge per ritardare ulteriormente la tornata oltre il 20 settembre ipotizzato dall’esecutivo.

Il governo rischia dunque di dover scegliere tra lo scontro con le Regioni e quello con le opposizioni, che potrebbero non votare il decreto all’esame della Camera. Intanto slitta all’8 giugno l’esame del decreto in materia alla Camera. A complicare la vicenda c’è il tema dell’accorpamento nell’election day del referendum costituzionale, voluto da M5s e osteggiato dal centrodestra, che potrebbe finire davanti alla Corte costituzionale. Il decreto approdato nell’aula della Camera prevede una finestra per svolgere le amministrative e il referendum tra il 15 settembre e il 15 dicembre, con il governo che ha già anticipato che la data ipotizzata è il 20 e 21 settembre per il primo turno e il referendum, e il 4 e 5 ottobre per il ballottaggio. In tutti gli interventi Fi, Fdi e Lega hanno chiesto uno slittamento del primo turno di almeno una settimana perché la data del 20 farebbe impattare la campagna elettorale con la stagione turistica. In più è stato chiesto di non tenere il referendum costituzionale con le amministrative, cosa a cui tiene invece M5s, come ha ribadito Carlo Sibilia. Nel centrodestra c’è chi è disposto ad accettare il 20 settembre in cambio dell’accorpamento del referendum con i ballottaggi, cosa a cui potrebbe accedere anche il Comitato promotore della consultazione referendaria. Comitato, che in un incontro col il presidente del Consiglio ha ripetuto la propria contrarietà all’election day, facendo capire che in questo caso potrebbe sollevare un conflitto tra poteri dello Stato dinanzi alla Corte Costituzionale. In questo quadro già teso il governo dovrebbe mettersi d’accordo con le Regioni per far coincidere il voto per il rinnovo dei loro organismi con le amministrative. Le Regioni infatti (articolo 122 della Costituzione) hanno il potere di indire le proprie elezioni. In un ruvido incontro con il ministro Luciana Lamorgese (è il Viminale che gestisce le amministrative) mercoledì sera, dai Governatori è arrivato un “niet” al 20 settembre, ma in direzione opposta a quella del centrodestra. Le date preferite, come ha ribadito in giornata Giovanni Toti, sono o il 27 luglio o il 6 settembre al massimo. Si è fatto portavoce di tali richieste con il Quirinale il presidente della Conferenza Stato Regioni, Stefano Bonaccini, che ha avuto – si rende noto in ambienti politici – un colloquio telefonico con Mattarella. Maurizio Gasparri (Fi) si è detto “sorpreso” per le richieste dei Governatori, le cui Regioni vivono di turismo. Ma i Presidenti ricordano che le elezioni in settembre inoltrato impatterebbero sulla riapertura delle scuole. E il Dem Stefano Ceccanti osserva che se il Governo dovesse dar retta al centrodestra e far slittare l’election day, i Governatori potrebbero prendere tale atto come provocazione e fissare le Regionali davvero il 6 settembre. In questa prospettiva il 20 settembre potrebbe essere l’impossibile quadratura del cerchio.


NB questo articolo è stato pubblicato sul sito di Tiscali il 29 maggio 2020