Tedeschellum e affini, la legge elettorale c’è, ma nessuno la vuole. Le manovre in corso tra Pd e M5s, Renzi, Conte e peones

Tedeschellum e affini, la legge elettorale c’è, ma nessuno la vuole. Le manovre in corso tra Pd e M5s, Renzi, Conte e peones

17 Giugno 2020 0 Di Ettore Maria Colombo

Sommario

Deinde cetera, deinde mille… Il proporzionale è come una donna ‘tira baci’ modello Catullo con la sua Lesbia: c’è chi la vuole e chi la scansa… La legge elettorale c’è, ma non si vede: per ora sta nel cassetto. Franceschini vorrebbe varare il Germanicum e i 5Stelle pure, ma Renzi (e Conte) hanno deciso di affossarlo.

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Il proporzionale ‘tira baci’: la legge elettorale c’è, ma non si vede

 

“Quando si parla di legge elettorale, poi si vota” recita l’adagio…

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L’aula (vuota) di palazzo Montecitorio

Quando, in Parlamento, si inizia a parlare, con troppa insistenza e troppa foga, di legge elettorale, specie se bisogna scriverne e farne una ‘nuova’, vuol dire che si avvicinano le elezioni. Figurarsi quando si inizia a votarla. Allora vuol dire che le elezioni stanno per essere indette”.

Così recita, mai smentito, un vecchio adagio politico-parlamentare, in auge da decenni. E, in effetti – nonostante le ‘raccomandazioni’ della Ue, del Consiglio d’Europa, dell’Ocse, dell’Onu e organismi ‘vattelapesca’ sostengano e ammoniscano che le leggi elettorali non vanno mai fatte sotto minaccia di elezioni (e, soprattutto, di scioglimenti anticipati della legislatura) – accade, da tempo immemore, l’esatto contrario. Quando si scrive una nuova legge elettorale vuol dire che elezioni sono alle porte.

 

“Hannibal ad portas!”. Il deputato peone teme l’orrenda iattura…

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Hannibal ad portas! – “Il generale Annibale è arrivato fin sotto le porte di Roma e viene per trucidarci tutti”

Hannibal ad portas! (“Il generale Annibale è arrivato fin sotto le porte di Roma e viene per trucidarci tutti”, la traduzione del detto, anche se non letterale) usavano dire le matrone romane ai loro figli per spaventarli e convincerli ad addormentarsi.

Ed ecco che il deputato peone si spaventa e s’inquieta perché, se si va a votare -si chiede angosciato – 1) chi mi ricandida? 2) che posto ottengo? 3) mi eleggono? Domande che, al deputato peone, fanno venire gli incubi. Materia per gli strizzacervelli, possibili cause di divorzio da mogli che, tutte acchittate, volevano godersi le ‘terrazze’ romane o da amanti che si volevano godere sudati regalini.

Ecco perché, di solito, meglio non parlare di leggi elettorali. Il deputato si agita, si stranisce, si contorce sulla sedia e, pur di non andare a votare, è capace di fare qualsiasi cosa: far cadere governi in carica, farne nascere di nuovi, mutare opinione, e gruppo politico, e partito, dal mattino alla sera in una sarabanda infinita, in un valzer frenetico e surreale.

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I divanetti del Transatlantico

Ecco perché è meglio non svegliar il can che dorme, non irritare l’occhio vigile e vispo del deputato che finge solo di sonnecchiare sui comodi divanetti del Transatlantico. Meglio non provocarlo, parlando di leggi elettorali passate, presenti e future: “Se parlano di leggi elettorali, vuol dire che ci vogliono portare a votare” è il brivido che corre lungo la schiena del deputato peone, il cui unico scopo, nella sua carriera politica, è curiosamente identico a quello di ogni primo ministro: ‘durare, durare, e ancora durare’. All’infinito, possibilmente, o come se non vi fosse domani.

 

Il timing perfetto: legge elettorale nuova e, zac!, nuove elezioni

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Il sistema elettorale proporzionale

Anche i precedenti non depongono a favore dell’inquietudine del nostro povero, e bistrattato, deputato. Volendo risalire lontano, negli annali della storia d’Italia, basti ricordare l’accoppiata 1923/legge Acerbo-1924 elezioni e quella 1953/legge truffa-1954/elezioni. Poi una lunga parentesi di pace, a causa degli oltre 50 anni di onorato servizio del sistema elettorale proporzionale, anche volendo scartabellare gli anni della Seconda Repubblica, l’accoppiata tra leggi elettorali ed elezioni politiche è scandita da un timing praticamente perfetto: 1995/Mattarellum-1996/elezioni (anticipate); 2005/Porcellum-2006 elezioni (anticipate); 2017/Rosatellum-2018 elezioni (a scadenza naturale).

 

Questa volta, però, l’adagio parlamentare non vale….

Francesco Verderami

Francesco Verderami

Questa volta, però, l’adagio ‘non’ vale. Infatti, è vero che in questi giorni si è tornati a parlare di legge elettorale. Nella fattispecie, trattasi del Germanicum o Tedeschellum, il ddl – un proporzionale semi-puro con sbarramento al 5% – oggi ‘parcheggiato’ nella I commissione Affari costituzionali, di Montecitorio, ma sono iniziate le audizioni e poco più altro, il che vuol dire che la legge elettorale è ferma al palo. E se è altrettanto vero che nei retroscena dei giornali torna a far capolino il tema – ieri, sul Corsera, Francesco Verderami, giornalista retroscenista principe, con Augusto Minzolini, del Palazzo ha tirato fuori la zampata  (titolo del pezzo, “Il tacito patto Conte-Renzi per far saltare il proporzionale”) – è anche vero che, di legge elettorale come di elezioni, per un tempo assai lungo, non se ne parlerà.

 

L’unica tornata elettorale sicura: l’election day del 20 settembre

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Parliamo, ovviamente, di elezioni ‘politiche’ anticipate, non certo di elezioni di altro tipo. Infatti, come si sa, un election day – il dl ‘elettorale’ è stato approvato lunedì, in via definitiva dalla Camera dei Deputati, ora va all’esame del Senato, ma bisogna fare in fretta: ‘scade’ il 20 giugno – è ampiamente previsto e sta per diventare legge dello Stato. Il prossimo 20 settembre, infatti, ‘vuolsi così colà dove si puote’ (è stata questa, cioè, la indefettibile volontà del governo e della sua maggioranza) si voterà per tre elezioni assai diverse tra di loro: sei elezioni regionali in altrettante Regioni (Liguria, Veneto, Marche, Toscana, Campania, Puglia) per rinnovare consigli regionali e presidenti di Regione, che dovevano votare entro maggio ma è arrivato il Covid19, più una a Statuto speciale (Valle d’Aosta); oltre mille comuni (idem, ballottaggi il 4 ottobre) e, last but non least, il referendum istituzionale per il taglio dei parlamentari che si prefigge lo ‘storico’ obiettivo di ‘tagliare le poltrone’: dai 945 attuali, deputati e senatori dovrebbero dimagrire a 600 (400 i primi e 200 i secondi, un secco-345).

 

La data ‘baricentrica’ di Ceccanti: la solenne fregatura per governatori e opposizioni accontenta solo i 5stelle e i dem…

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Il costituzionalista e deputato dem Stefano Ceccanti

Sulla data del voto ci si è accapigliati a lungo, in verità. I governatori volevano votare ‘prima’ (prima a fine luglio, poi il 3 o il 13 settembre), le opposizioni invece volevano votare ‘dopo’ (il 27 settembre), ma alla fine ha vinto quella data, il 20 settembre, che è stata definita ‘baricentrica’. La soave definizione – una fregatura solenne per i governatori come per le opposizioni – l’ha trovata il professore di diritto costituzionale, Stefano Ceccanti. Novella anima ‘candida’ dell’alleanza M5s-Pd, ne sa una più del Diavolo, Ceccanti: le grilline relatrici del ddl come della legge elettorale le porta, man nella mano, esattamente dove vuole lui e, in combutta con il ministro ai Rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà (M5s, ex dc di rito forlaniano quanto Ceccanti era un dc di rito martinazzoliano…) fa votare loro una data che, di fatto, fa comodo solo al Pd, anche se in nome di un ‘mercimonio’: il Pd ha accettato che il referendum si fondesse all’election day, provocando la rabbia del comitato del No al referendum e il disappunto dei più tra gli osservatori (mai un referendum, abrogativo o confermativo che fosse, è stato accorpato a un’elezione, politica o di altro tipo) ma sottostando ai timori dei 5Stelle sui rischi di affluenza e vittoria. Infatti, sono così poco fiduciosi in loro stessi, i grillini, che temono di perdere un referendum che non solo hanno voluto ma che, essendo ‘anti-Casta’, è di fatto già vinto.

 

La Zingaretti pochade: vuole ‘salvare’ la regolarità delle scuole e delle lezioni dall’election day appena votato. Gelmini furibonda.

Nicola Zingaretti

La Zingaretti pochade

Ma, come sempre, in cauda venenum. Infatti, proprio lunedì scorso, giorno dell’approvazione della legge alla Camera, scoppia la pochade. Mentre la Camera boccia un ordine del giorno a prima firma Mariastella Gelmini, capogruppo di FI, che chiede di ‘salvare’ le scuole dall’ondata elettorale, dato che le scuole medesime e i loro alunni già hanno perso più di mezzo anno scolastico, ecco che il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, lancia il suo ‘grido di dolore’: “Governo, alt! Fermi tutti! Non possiamo far perdere la scuola ai nostri ragazzi chiudendole per giorni per far svolgere le elezioni! Troviamo un’altra sede, premier Conte e ministro Lamorgese intervenite!”.

mariastella gelmini

Mariastella Gelmini

La pochade, appunto, però, l’opposizione la cosa la prende a male (“Ma perché non hai fatto votare a favore del nostro odg il tuo gruppo?!” gli ha detto, giustamente indignata, la Gelmini), il governo ha dovuto far finta di abbozzare (“Giusto scrupolo e timore”, ha detto Conte) e i dem hanno riso di gusto. “Forse Zinga vuole prendere gli elettori e portarseli tutti alla Pisana o al circo Massimo e farli votare lì” il lazzo più gentile dei dem che, il loro segretario, poco lo amano e poco lo stimano.

 

“Salvini se ne faccia una ragione. Nel 2020 non si vota”

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Salvini se ne faccia una ragione. Nel 2020 non si vota

Salvini se ne faccia una ragione: nel 2020 non si va al voto” è l’adagio che ci si sente ripetere in tutti i Palazzi. Resta, infatti, questo il punto politico di tutto il caravanserraglio. Quella che è la ‘prima cosa bella’ – si fa per dire – ma anche ‘la sola cosa certa’ è che, in Italia, nel corso del 2020, ‘NON’ si terranno elezioni politiche anticipate. Checché ne dica, infatti, il leader della Lega, Matteo Salvini, il quale strologa e fantastica di “elezioni politiche in autunno”, tutti sanno (compreso lui stesso) che il gran vociare resterà flatus vocis. Due le ragioni, una politica e una tecnica.

Quella tecnica è complicata da spiegare: ‘ci vuole il tempo che ci vuole’, in buona sostanza, per rendere effettivi gli esiti del referendum istituzionale, ridisegnare i collegi elettorali sulla base del numero decurtato, far entrare in vigore le nuove leggi e i nuovi Regolamenti parlamentari.

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Quella politica, invece, è facile. In autunno bisogna varare una manovra economica ‘monstre’, ben più strutturata del solito e pure di quelle varate in questi mesi, la Ue ci aspetta alla prova col fucile spianato, il Covid19 potrebbe tornare a far sentire i suoi effetti con una ‘seconda ondata’, etc. etc. etc.

Morale, per il 2020, eventuali elezioni politiche anticipate non sono in programma. Lo sanno i partiti, lo sanno i leader politici (tutti, compreso Salvini) e lo sa, soprattutto, il Colle più alto che tutto ordina e sovraintende, figurarsi una materia incandescente come le urne anticipate.

Ma allora, rebus sic stantibus, perché si torna a parlare, nei Palazzi della Politica, e con insistenza, di legge elettorale e, in particolare, di legge elettorale ‘alla tedesca’ che le forze della maggioranza di governo avevano studiato, individuato, scritto e poi messo in un cassetto a ammuffire? Perché la Politica ama parlare di sé stessa e perché la legge elettorale è, da sempre, il grido ‘Wilma dammi la ‘clava’  (come nel cartoon Gli Antenati) con cui si spaventano amici e nemici grazie ai ‘numeretti’.

 

Il Germanicum, o Brescellum, per ora, ammuffisce nei cassetti. La sua ragion d’essere stava nell’alleanza ‘organica’ Pd-M5s

Giuseppe Brescia

Giuseppe Brescia

Il ‘cassetto’, dove la legge elettorale giace da mesi (sono in corso, ma come in un film al rallentatore, le ‘audizioni’, il che vuol dire che di votare un testo proprio non se ne parla) è, come si diceva, quello del presidente della I commissione Affari costituzionali della Camera, Giuseppe Brescia (M5s). Il quale il testo di legge di riforma elettorale lo ha scritto di suo pugno e amerebbe tanto che lo si chiamasse Brescellum. Solo che lo ha fatto con il fattivo contributo di alcune illuminate menti del Pd (Fiano, Ceccanti, Parrini, etc.) – non foss’altro perché i democrat ritengono i 5Stelle “ontologicamente incapaci di scrivere leggi elettorali” – e, ovviamente, la supervisione discreta ma vigile del Colle.

 

Pd e M5s riuscirono, insieme, a battere Salvini, ma l’alleanza ‘organica’ tra dem e 5Stelle non è mai decollata davvero

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Pd e M5s riuscirono, insieme, a battere Salvini?

La ‘fase’ politica nuova, quella del governo giallorosso, cioè quella nata nell’agosto del 2019, ‘l’estate del Papeeete’ in cui Salvini perse la trebisonda e l’occasione della vita, cioè il voto politico anticipato, aveva dato il ‘là, e l’input, alle segreterie di Pd e M5s, di indicare la barra per il futuro: dobbiamo costruire una ‘Nuova, Grande, Alleanza’ – si dissero reciprocamente Di Maio per i 5Stelle e Zingaretti per il Pd – che non sia ‘transeunte’ e figlia del Caso, anche se di un Caso che doveva impedire il Caos (Salvini e il suo ‘folle volo’ verso le urne, volo schiantatosi presto al suolo), ma un’alleanza vera, organica, stabile, che punti al Futuro.

Le prime prove di tale alleanza, in realtà, ebbero ben miseri risultati: Pd e M5s si presentarono insieme alle elezioni regionali in Umbria, con un candidato comune, civico, che perse sonoramente (si chiamava, per la cronaca, Vincenzo Bianconi, oggi ridotto a un “Carneade, chi era costui?”) che fece un flop stellare e la ‘foto di Narni’ (Zingaretti, Di Maio e Conte vicini e sorridenti) si risolse in un imbarazzante disastro. Anche il mancato accordo alle Regionali in Emilia-Romagna, dove il governatore attuale, Stefano Bonaccini, vinse praticamente da solo, a mani nude, la ‘battaglia campale’ per il centrosinistra e della vita, non deponeva ‘buono’, per la nascita dell’asse Pd-M5s.

 

Trasformare i sogni in realtà. Il ‘Tutti Insieme contro la Destra’ si è trasformato, da ammucchiata ideologica, in legge elettorale

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Goffredo Bettini, ideologo di Zingaretti

Ma prova oggi che ti ritrova domani, nella testa del Pd – più che, va detto, a loro merito o demerito, dei 5Stelle – la spinta a trasformare un sogno in realtà è rimasta immutata.

In particolare, la ragione del dovere/volere di stringere una vera ‘alleanza organica’ la vagheggiava Beppe Grillo e la teorizza Goffredo Bettini, ideologo di Zingaretti, nel Pd. I due partiti, tra di loro, non erano certo nati per ‘fidanzarsi’ ma, anzi, per odiarsi: chi non ricorda che, per l’M5s, il Pd era il “Pdmenoelle” o “il partito di Bibbiano”? Insomma, i 5stelle ritenevano i dem alla stregua di assassini, ladri e stupratori. D’altro canto, i dem giudicavano i grillini degli “analfabeti funzionali” (la definizione è del battutista, e celebre latinista, tra i suoi colleghi, Umberto Del Basso de Caro, una vita politica spesa nel Psi prima e nel Pd poi) oppure degli “scappati di casa”, digiuni di Politica quanto di buone maniere. Ma la Politica, si sa, è compromesso. Il governo insieme va avanti e il Covid ha unito in alto i cuori e l’idea di ‘restare insieme’ accarezza, da mesi che ormai sono diventati anni, gli stati maggiori dei due partiti.

Umberto Del Basso de Caro

Umberto Del Basso de Caro

Inoltre, in comune, Pd e M5s, nutrono uno storico, vecchio, adagio della Sinistra che vale dalla notte dei tempi e che si traduce nello slogan “Tutti Insieme Uniti per battere le Destre”. Per ottenere il risultato così tanto ambito, però, l’unico sistema elettorale che corrisponde ai sogni a occhi aperti di entrambi, era, ed è, appunto, solo il proporzionale.

Non ti ‘vincola’ prima del voto, come fa il maggioritario (dove le alleanze, nei collegi, le devi dichiarare, ‘desistenze’ comprese) e, in fondo, non ti ‘vincola’ neppure dopo il voto. In Parlamento, infatti, una volta che si è formato, puoi fare tutti i giochi e le alleanze che vuoi. Per capirci, puoi ‘imbarcare’ Forza Italia in una alleanza di governo, puoi guardare a sinistra-sinistra come a destra, etc. Tanto, appunto, alle elezioni sei andato col proporzionale, preghiera che, tradotta, recita ‘ognun per sé, Dio per tutti’.

Dario Franceschini

Dario Franceschini

E così ecco che, a fine 2019, ti spunta fuori il Germanicum, cioè una legge elettorale con sbarramento nazionale al 5%. Figlio di molti padri, ma di una sola madre (Franceschini, il quale, da buon ex dc, è un ‘orfano’ della I Repubblica), paradossalmente, sembra andare bene a tutti: al centrodestra evita di dover litigare furiosamente prima del voto, ma – in caso di vittoria di quello schieramento – di convergere dopo (in Parlamento) per governare. Nel centrosinistra piace a tutti e non solo al Pd. Anche la nascitura (all’epoca) Iv di Renzi, che pure coltivava sogni di gloria, arci-sicuro lui e i suoi di poter superare, con agilità e rapidità, l’asticella del 5%.

Federico Fornaro

Federico Fornaro

Solo la sinistra-sinistra (Sel-SI) storce la bocca, ma Federico Fornaro – un passato da socialista e un presente da capogruppo ‘comunista’ di LeU – chiude loro la bocca: ci infila, nella legge, il recupero dei migliori perdenti sotto il 5% (fino al 3%) e dice ai ‘piccoli’ di centro, destra e sinistra: ‘accontentatevi o arrangiatevi’. Insomma, la legge elettorale sembra cosa fatta, come data per approvata. Viene ‘incardinata’ in commissione e sembra dover approdare presto in Aula, ma lì, in commissione, ormai da mesi, giace fino a quando, pochi mesi fa, durante il Covid19, Pd e M5s non hanno avuto la bella pensata di provare a ritirarla fuori dai cassetti, subito stoppati, però, da Iv, neppure dal centrodestra.

 

La Prima Repubblica, ma anche la ‘bipolare’ Seconda Repubblica, ha sempre trovato il modo di ‘aiutare’ i piccoli partiti a sfangarla

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Una volta vince la destra e una volta vince la sinistra, si alternano, al governo del Paese, manco fossimo nella regia Inghilterra

Corrisponde, peraltro, il Germanicum, a una piccola, vera, rivoluzione, se e ove mai passasse, in Italia, in tema di leggi elettorali. Infatti, da vent’anni, di riffa o di raffa, il nostro sistema elettorale – così almeno ci ha fatto credere la pubblicistica – era un sistema ‘bipolare’: una volta vince la destra (o, meglio, il centrodestra) e una volta vince la sinistra (o, meglio, il centrosinistra), i quali si alternano, al governo del Paese, manco fossimo nella regia Inghilterra.

Ma trattavasi, ai tempi come oggi, di specchietti per le allodole, favole per bambini, racconti buoni per i gonzi. Il nostro sistema elettorale, pur con tutti i cambiamenti e le manomissioni intercorse lungo vent’anni, o è stato, a lungo, un ‘quasi’ maggioritario (Mattarellum), ma bilanciato da un robusto 25% di quota proporzionale. O aveva una forte correzione in senso maggioritario, ma restando, di base, un sistema proporzionale (Porcellum), solo che dotato di un forte premio di maggioranza (premio dichiarato incostituzionale dalla Consulta nel 2015). Oppure, come il sistema ancora oggi in vigore (Rosatellum), trattasi di un sistema sempre di base proporzionale, ma con correzione maggioritaria (un terzo sono collegi uninominali secchi). Insomma, al netto dell’Italicum – legge elettorale voluta da Renzi e primo e unico caso nella storia d’Italia di legge dichiarata incostituzionale prima ancora di essere usata – lo zampino dei fan del proporzionale che volevano ‘tutelare’, con la democrazia, il potere di ricatto dei piccoli partiti, ha sempre fatto, e pure onestamente, il suo ‘sporco’ lavoro.

 

La ‘rivoluzione’ del Germanicum sta nello sbarramento ‘alto’

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La ‘rivoluzione’ del Germanicum sta nello sbarramento

Invece, il nuovo sistema elettorale, ad oggi solo ‘assegnato’ alla Prima commissione Affari costituzionali della Camera dei Deputati, è un’innovazione, anche se riuscita solo a metà. Da una parte ‘copia’ il sistema elettorale in vigore in Germania (sbarramento al 5%, listini bloccati per il 50% dei seggi, ma con l’altro 50% dei seggi assegnati dentro collegi uninominali secchi, all’inglese) e lo fa in modo pedissequo. Ma, dall’altro, non è un vero ‘ritorno all’antico’: trattasi, infatti, di un sistema proporzionale impuro, o semi-puro, ma assai diverso da quello della vituperata Prima Repubblica.

Infatti, a quei tempi, lo sbarramento era, di fatto, fissato intorno all’1% (con 800 mila voti entravi in Parlamento, in pratica ci entravano tutti, come al Totocalcio, tranne il Pdup nel 1972, una sfiga totale). Un sistema più democratico di quello, anche a volerlo architettare, non ci si riusciva. Ma anche nella Seconda Repubblica, caratterizzata da sistemi fintamente maggioritari, ma sempre a torsione proporzionalista, il ‘si salvi chi può’ trovava sempre una qualche compensazione.

Per dire, con il Mattarellum, c’era il famigerato ‘scorporo’ (un meccanismo infernale che permetteva il proliferare delle ‘liste civetta’), con il Porcellum il recupero delle liste piccole che entravano in coalizione (si passava pure col 2% alla Camera) e, infine, con il Rosatellum, lo sbarramento era al 3%. Anch’essa un’asticella francamente aggirabile: con un milione e 300 mila voti reali entravi in Parlamento (esempio, appunto, LeU: poco più del 3% e circa 30 eletti tra Camera e Senato, un trionfo).

Invece, con il nuovo sistema elettorale, ove mai adottato e che prevede lo sbarramento unico nazionale al 5%, se non prendi tre milioni di voti abbondanti, puoi anche dire addio agli augusti scranni parlamentari. Resti a casa e tanti cari saluti. Anche alle elezioni europee, in realtà, c’è la soglia di sbarramento, ma è più abbordabile (4%).

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Matteo Renzi

Detto anche che il nuovo sistema cancella la stessa ragion d’essere delle coalizioni e l’indicazione dei candidati alla carica di premier (carica, peraltro, mai e non prevista in Costituzione), e che, infine, prevede la stranezza – neppure tanto strana, considerando che le segreterie dei partiti vogliono seguitare a mantenere un ferreo controllo sugli eletti in Parlamento – dei listini bloccati in luogo delle care vecchie, preferenze, resta in piedi il punto politico: una forza di medio peso (IV, per dire…), quotata intorno al 3-4%. il Parlamento non lo vede neppure col binocolo. Ne resta fuori e punto. Renzi, che ha tanti difetti ma non è stupido, a forza di leggere i sondaggi che quotano il suo partito assai lontano dal 5% dei voti, ha mangiato la foglia ed ha deciso di far saltare l’intero Ambaradan.

 

Franceschini aveva pronta ‘l’arma fine di mondo’ per spaventare Iv: la riforma del sistema elettorale in senso proporzionale

Dario Franceschini

Tiriamo fuori il proporzionale dal cassetto e facciamolo approvare da almeno un ramo del Parlamento, la Camera, prima dell’estate. Poi la parcheggiamo al Senato e si vede” – aveva detto, richiesto e spinto i suoi deputati dem, il ministro Dario Franceschini, quando nei Palazzi del Potere, appena sgonfiatosi il tifone del coronavirus, erano tornati a soffiare i venti di imminenti crisi di governo. Insomma, era un modo come un altro per ‘spaventare’ Renzi e ridurlo a miti consigli. 

Così, nei confronti di chiunque voglia andare a votare, o ne abbia la tentazione, abbiamo la pistola carica sul tavolo”, aveva aggiunto il capodelegazione dem, consapevole, Franceschini, che – davanti a parlamentari spaventati e riottosi all’idea delle urne, ma anche davanti a leader politici bizzosi e ambiziosi stile Renzi – la sola arma ‘fine di Mondo’ in mano che puoi usare è quella di minacciare di fare la legge elettorale e, quindi, di correre alle urne, ché le due cose, si sa, vanno a braccetto.

Una prospettiva, quella di scrivere la nuova legge elettorale, in senso proporzionale puro e con lo sbarramento al 5%, che allettava di parecchio molti altri partiti: sia i 5Stelle ‘lato’ Di Maio, che vogliono mani libere, in Parlamento, oggi come domani, sia Forza Italia del Cavaliere che potrebbe così, finalmente, liberarsi dall’abbraccio mortale sia di Salvini che di Meloni.

 

“Il Big Ben ha detto stop!”. Renzi riesce a fermare tutti e tutto: la nuova legge elettorale resterà, per ora, ad ammuffire nei cassetti

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Il Big Ben ha detto stop!

Ma, come hanno subito constatato i deputati dem come pure quelli M5s, pronti alla pugna e a ubbidir tacendo, ‘Il Big Ben ha detto stop!’ ha urlato Renzi e tutto il marchingegno escogitato si è fermato.

Bene che vada la nuova elettorale la approviamo, alla Camera, prima dell’estate, sì, ma solo in commissione… – spiega un deputato dem che segue da vicino l’intero dossier – perché con IV contraria se andiamo in Aula, al primo voto segreto, la maggioranza va sotto, la legge muore e il governo rischia grosso. Quindi, prima di settembre-ottobre, di legge elettorale non si riparlerà più”, sospira il dem che, da maggioritarista convinto, neppure lo vorrebbe firmare e sostenere, il proporzionale, ma che è obbligato a farlo dagli ‘ordini’ di partito.

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Renzi e Berlusconi

Renzi, infatti, che di solito detesta, come anche Berlusconi, occuparsi di “cose noiose come le leggi elettorali”, ha mangiato la foglia, e cioè il tentativo di stipulare, tra Pd e M5s, un accordo ai suoi danni. Il sistema proporzionale in discussione prevede, come vedremo, lo sbarramento al 5%, cifra da cui, nei sondaggi attuali, IV è lontanissima. Senza dire delle rivalità, in campo centrista, dove la concorrenza, per il partito di Renzi, è sempre più spietata.

 

La concorrenza al centro è spietata, per Italia Viva. Il ‘partito di Conte’ ha, però, uguali esigenze di Iv: abbassare la soglia al 3%

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La concorrenza al centro è spietata

Prima il partito della Bonino e degli ex Radicali (+Europa), poi il partito di Calenda e Richetti (Azione civile), poi il partito di Toti e, pare, di altri centristi in fuga dagli azzurri (Cambiamo!). Nessuno dei quali vuole ‘fidanzarsi’ con Iv. Infine, ecco il nascituro e già testato dai sondaggi, con lusinghieri risultati, ad ora, ‘partito di Conte’. A sua volta contrario, Conte, alla nuova legge elettorale di stampo proporzionale e con sbarramento al 5% – come rivela oggi un retroscena di Francesco Verderami sul Corriere della Sera – perché una cosa sono i sondaggi, se fai un partito, e una cosa i voti reali: quindi, meglio tenere lo sbarramento al 3% come prevede la legge elettorale attuale, il Rosatellum.

Renzi ha fatto, in queste settimane, identico e speculare ragionamento e, tanto per cambiare, ha effettuato quello che gli riesce meglio, il “rovesciamento delle alleanze” o, come recita il titolo del suo nuovo libro, La mossa del cavallo: scartare di lato e prendere d’infilata l’avversario stordito.

 

La ‘Grande Riforma’ renziana e i sogni della ex ministra Boschi…

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I sogni della Boschi

E così, Renzi, dopo essersi convertito, nell’ultimo anno, alla ‘religione’ del proporzionale – sistema che un tempo detestava – eccolo tornare, come d’incanto, a farsi tifoso e fan del sistema maggioritario, nonché delle riforme costituzionali, anzi della ‘Grande Riforma’, il sogno che già fu craxiano di far diventare l’Italia, da normale e ‘modesta’ repubblica parlamentare quale è a repubblica presidenziale.

In occasione delle presentazioni del suo libro, Renzi ha così lanciato “il modello del sindaco d’Italia”, cioè l’elezione diretta del premier con corollario di sistema elettorale maggioritario a doppio turno di ballottaggio e collegi uninominali secchi. Una riforma che, in teoria, può piacere alla destra, che l’ha sempre voluta, ma che, per attuarla, bisognerebbe mettere mano alla Costituzione e stravolgerla tutta. Il che vuol dire, banalmente, che è una riforma destinata “all’anno del mai” o, per dirla altrimenti, una ‘Grande Riforma’ inattuabile, come furono quella craxiana, berlusconiana, e, appunto, quella renziana.

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Giuseppe Brescia

Insomma, la legge elettorale – almeno quella di stampo proporzionale, detta anche Germanicum o Tedeschellum o Brescellum, dal nome del presidente Giuseppe Brescia (M5S) – continuerà a dormire, nei prossimi mesi, i sonni del principe di Condé prima della battaglia di Rocroi, cioè quelli del Giusto, perché politicamente verrebbe bocciata, se mai andasse in aula, dal fronte di renziani+contiani+altri. E’ destinata, in buona sostanza, la legge elettorale, a prendere polvere nei cassetti della commissione Affari costituzionali della Camera. Commissione detta anche, in parlamentarese, ‘la Prima’, perché ritenuta, da sempre, la commissione più importante: vi passano tutte le leggi per il vaglio di costituzionalità e, a maggior ragione, le riforme, che siano elettorali o istituzionali o costituzionali.

maria elena boschi

Maria Elena Boschi

Il noblesse oblige del Parlamento, insomma. Motivo di prestigio, peraltro, per cui si dice che la capogruppo di Iv, Maria Elena Boschi, ex ministro alle Riforme, miri a prendere il posto del povero Brescia quando, a metà giugno, bisognerà rinnovare le presidenze delle commissioni parlamentari – che scadono tutte dopo due anni – e Iv coltiva molti ‘appetiti’. Non sia mai che, invece della legge elettorale, ci scappa la ‘Grande Riforma Istituzionale’ (sindaco d’Italia, etc): una come la Boschi, ovviamente, vuole esserci e, da ex ministro alle Riforme, accetta di sedersi solo in posti di prima fila.


NB: questo articolo è il resoconto ragionato, ampliato e per esteso, di due diversi articoli pubblicati il primo ieri pomeriggio sul sito Formiche.net e il secondo uscito oggi sul sito di Tiscali.it