Il Re e il Parlamento. Conte decide tutto (dpcm, stato di emergenza, fondi Ue), alle Camere non resta che fare ‘una commissione’

Il Re e il Parlamento. Conte decide tutto (dpcm, stato di emergenza, fondi Ue), alle Camere non resta che fare ‘una commissione’

26 Luglio 2020 1 Di Ettore Maria Colombo

Il premier Conte, dopo la vittoria in Ue, si sente ‘un Re’. Vuole decidere tutto da solo, sia dentro il governo sia rispetto a un Parlamento sempre più ‘dimezzato’. Dpcm, stato di emergenza, distribuzione dei fondi Ue attraverso il redivivo Ciae: alle Camere, che pure protestano (lato opposizioni e lato riformisti democrat) resta solo l’ultima parola, nel senso letterale del termine, quello di mera ratifica. Il premier e il governo ha già deciso tutto prima

‘The King and the Parliament’, ‘Il Re e il Parlamento’. Come si lavorava, e si lavora, nella più antica democrazia del mondo…

Giovanni Senzaterra

Il Re Giovanni Senza Terra

 In Inghilterra – o meglio, in Gran Bretagna – si chiama “the King (o the Queen, ndr.) and the Parliament” – e non è solo un modo di dire, ma una tradizione che va avanti, più o meno, dal XII secolo, quando il re di allora, Giovanni Senza Terra, fu costretto a concedere, ai ‘baroni’, la Magna Charta Libertatum. Detta in soldoni, senza troppi fronzoli, vuol dire che il ‘re’ ieri e il ‘governo’ oggi governa insieme al Parlamento, non ‘senza’ il Parlamento, o a suo dispetto. Così vollero gli inglesi, privi in modo congenito di una Costituzione scritta, e da allora – o, meglio, dalla metà del ’600, dopo la Rivoluzione Gloriosa, il Re – e, poi, piano piano, nel corso dei secoli, il governo che il premier cui il Re incaricava di formare il suo ‘cabinet’ (gabinetto: questa è letterale, i ministri si riunivano nelle stanze private del Re) – fu costretto a dividere il suo potere con quello del consesso parlamentare.

 

In Italia, invece, è il governo che ‘predomina’ sul Parlamento

costituzione

La Costituzione

Bene, in Italia, che per Costituzione è una repubblica ‘parlamentare’, le cose sembrano andare diversamente, almeno da un po’ di tempo. E non solo perché, come si sa, in modo ormai pedissequo, il Parlamento si limita, da vari decenni, a essere un ‘votificio’ di leggi prese dal governo (i famosi decreti legge), limita i suoi atti a quelli ispettivi (interrogazioni e interpellanze) o a quelli conoscitivi e istruttivi dei lavori (nelle commissioni), e fa poco altro. Per capirci, produce pochissime leggi di iniziativa propria, parlamentare, meglio noti come disegni di legge. Il ddl di contrasto alla transfobia, per dire, è di iniziativa parlamentare, come pure lo è il ddl sulla riforma della legge elettorale, il Germanicum, quello sulla separazione delle carriere dei magistrati e quello sul conflitto d’interesse: stanno tutti a ‘carissima amica’, cioè assai e ben lungi dall’essere approvati. Tutti i proveddimenti citati, dopo due anni pieni di legislatura, sono calendarizzati per l’aula per il 27 luglio, ma ovviamente non possono arrivarci tutti insieme: quindi se ne riparlerà a settembre, per molti di loro, ma a ottobre inizia la sessione di bilancio e le Camere discuteranno solo di quella, morale se ne parla l’anno prossimo. Peraltro, sono tutte legge in ‘prima lettura’ (della Camera), quindi considerando la obbligatoria seconda lettura del Senato e la probabile ‘terza lettura‘ (sempre della Camera) è impossibile che ognuna di queste, se andrà avanti, veda la luce prima del 2021. 

Ora, però, si sta arrivando al parossismo e non solo alcuni eminenti giuristi e costituzionalisti (Cassese, Clementi, etc.) sollevano, da mesi, il problema, un vero e proprio vulnus inferto a un assetto, quello italiano, che dovrebbe corrispondere, appunto, a una repubblica ‘parlamentare’. Insomma, Conte sta lavorando e producendo atti di governo come se, in Italia, fosse in vigore la formula del ‘The King and the Parliament’ con lui nella figura, e nella persona, del ‘Re’ (the King), ma di un Re dotato di sempre maggiori ‘poteri’, con il suo governo, e un Parlamento sempre più debole. 

 

Il governo Conte va avanti a colpi di decreti legge e di dpcm

decreto cura italia inps

Decreto “Cura-Italia”

In buona sostanza, ecco il vulnus, sempre più evidente, il governo attuale, per colpa o con la scusa del coronavirus, fa un po’ quello che gli pare e va avanti non solo più ‘a botta’ di decreti legge (che vanno convertiti entro 60 giorni, altrimenti decadono) e ovviamente a colpi di voti di fiducia.

Il governo, praticamente su ogni legge che presenta, mette la ‘fiducia’ su se stesso, una sorta di – rischiosa – scommessa: caro Parlamento, se mi bocci la legge, io lo considero una mancanza di ‘fiducia’, quindi okkio, che poi di sicuro mi dimetto ma se cado io, cadi pure tu, cioè ‘vai a casa’.

Negli ultimi mesi, poi, quelli della pandemia, il governo è andato avanti a colpi di dpcm: decreti della presidenza del Consiglio dei ministri (più le varie ‘ordinanze’ dei ministri e della Protezione civile) che non abbisognano di controllo preventivo né successivo e neppure della firma del Capo dello Stato. Il premier li vara, limitandosi ad avvertire il cdm, cioè la sua maggioranza, e tante care cose.

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L’aula (vuota) di palazzo Montecitorio

Certo, il Parlamento ha protestato vibratamente, ha sbattuto i pugni, ha detto che ‘così non va bene’, ‘basta con i dpcm’, bisogna che siano, ‘almeno’, dei veri decreti legge. E il governo ha risposto ‘massì, ma certo, ma figuriamoci’, ma sta per sfornarne un altro bel gruzzolo, da qui in avanti.

La proroga dello stato di emergenza è sicura: durerà di sicuro fino al 31 ottobre, ma forse anche fino al 31 dicembre…

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La proroga dello stato di emergenza è sicura

Poi, però, succedono anche altre cose, e tutte diversamente ‘inquietanti’. Serve una proroga dello stato di emergenza per alcuni mesi, di sicuro fino al 31 ottobre (tanto, poi, c’è da scommetterci, si andrà avanti fino al 31 dicembre…)? Bene, il governo decide che serve, la proroga – anche se prima, in realtà, aveva detto che ‘non’ serviva, ma ora pare che la pandemia torni a infuriare forte, fuori dai nostri confini, quindi ‘serve’ di nuovo, un po’ come la serva di Totò, che ‘serve’ sempre – e, quindi, un cdm (uno dei prossimi, non si sa ancora quale) varerà la proroga dello stato di emergenza e amen.

Ceccanti Stefano

Il costituzionalista e deputato dem Stefano Ceccanti

Certo, il Parlamento aveva detto, con tanto di emendamento a prima firma Ceccanti a uno degli ultimi decreti legge (quello chiamato ‘Covid19’ e varato a giugno) che sarebbe stato meglio, molto meglio, che il governo venisse ‘prima’ alle Camere, per chiederlo, e ‘dopo’ lo decidesse e varasse, e in effetti, almeno stavolta, andrà così. Il governo si prenderà la proroga dello ‘stato di emergenza’ (fino al 31 ottobre, per ora) e, per una volta, graziosamente informerà le Camere e ne seguirà il voto che si terrà il prossimo mercoledì 29 luglio, un giorno di vero ‘intasamento’ di voti, nelle Camere. Lo stato di emergenza, dunque, sta per essere ‘ri-varato’ (quello precedente, stabilito, con un semplice atto amministrativo, una riunione del cdm,  il 31 gennaio 2020 scade il 31 luglio 2020) e tanti cari saluti alla presidenza del Senato, Elisabetta Casellati, che aveva chiesto al governo di venirlo a chiedere e proporre al Parlamento, con un relativo voto preventivo, e non successivo.

La presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, esce da palazzo Madama

La presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, esce da palazzo Madama

Il governo aveva risposto, e pure a brutto muso, alla Casellati, che un’altra proroga è non solo possibile (la proroga può durare 12 mesi e può essere prorogata a sua volta ‘non più’ di un’altra volta, cioè altri 12 mesi, che farebbe, in totale, la bellezza di due anni...), ma molto auspicabile.

Roberto Speranza

Roberto Speranza

Il ministro Speranza (Salute) l’ha richiesta, il ministro Boccia (Autonomie regionali) l’ha caldeggiata, insieme a Conte, negli ultimi cdm, la proroga. Il capodelegazione dem, Franceschini, ha dato il via libera, i 5Stelle erano tutti d’accordo (per una volta), Italia Viva si è limitata a dire ‘facciamolo per misure mirate’, LeU ha detto ‘si, certo, ci mancherebbe, facciamola, che il nostro Speranza la vuole’. Per il governo, del resto, le ragioni della richiesta sono molte, tutte di buon senso e di prevenzione: il commissario straordinario Arcuri deve acquistare banchi per la scuola, oltre che mascherine, l’ondata di ritorno della pandemia è dietro l’angolo, etc. E, insomma, ‘non ci rompete’, è stato il messaggio sotteso rivolto al Parlamento, mica vogliamo chiedere o stiamo chiedendo “pieni poteri”.

Domenico Arcuri

Domenico Arcuri

Solo che, come un gatto che si morde la coda, la proroga dello stato di emergenza si tira dietro la possibilità di sfornare nuovi dpcm (quindi, senza dover passare per le Camere, se non in sede successiva, per ‘sanarli’ e farli diventare decreti legge) e nuove ordinanze volte a creare, ove mai servissero, nuove ‘zone rosse’, nuove forme di distanziamento sociale, uso delle mascherine, etc.

I cittadini vogliono sicurezza” dice tutto fiero e orgoglioso di sé Conte, che guarda ogni giorno i sondaggi in cui il suo indice di popolarità, ormai, è alle stelle e gli brillano gli occhi, rigirandoseli tra le mani (Ipsos, uscito ieri, lo vede schizzare alle stelle con il 65% di consensi).

MES

MES-fondo salva Stati

Certo, c’è il problema del voto sul Mes, per settembre, con il Pd (oltre che Iv, ovviamente, ma anche LeU con lo stesso Speranza) che intignano per volerlo utilizzare, l’M5s che dice ‘no’ e poi ancora ‘no’, le opposizioni già pronte per approfittarne: Lega e FdI per cercare di far cadere Conte, FI per correre in soccorso e rendersi indispensabile per farne un altro, di governo, con Conte o senza, si vedrà.

 

Il Parlamento ha provato, inutilmente, a mettere dei ‘paletti’ contro l’abuso dei Dpcm e contro lo stato di emergenza

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Arriva il vacanzificio

In Parlamento – dove ormai, peraltro, oltre e più che al ‘votificio’, siamo prossimi al ‘vacanzificio’ (le ferie di agosto si appropinquano a grandi passi e il parlamentare medio vorrebbe godersele in pace) – le resistenze agli ‘abusi’ del governo, in queste ultime settimane, ci sono state. ma assai deboli.

Tra un applauso scrosciante a Conte per la vittoria ‘contro’ l’Olanda, un decreto legge – uno dei tanti – da convertire, una battaglia di ostruzionismo sulla legge elettorale da fare, il rinnovo delle commissioni che proprio non si riesce a fare (ci si riproverà sempre mercoledì 29 luglio, ma non è detto ci si riesca), ci si appresta ad ascoltare Conte che, in un giorno solo, sempre quello, il 29 luglio, verrà a chiedere al Parlamento due cose  belle grosse. La proroga dello stato di emergenza, al 31 ottobre, e la richiesta dello scostamento di bilancio per la terza manovra economica, quella lievitata a 25 miliardi, che il governo varerà ad agosto per farla convertire dalle Camere a settembre.

Un voto doppio e delicato perché serve, per approvare lo scostamento di bilancio, norma inserita in Costituzione, che si trovi il quorum del plenum: latinismo che indica la maggioranza assoluta di Camera, 316 deputati su 630, e Senato, 160 senatori su 320, e al Senato il governo rischia.

Ma se il voto sullo scostamento di bilancio è un voto ‘politico’ (difficilmente Forza Italia, per adesso, dirà di sì, quindi la maggioranza dovrà bastare a se stessa, pescando, al Senato, nel gruppo Autonomie, Misto e senatori a vita), il voto sulla proroga dello stato di emergenza ha anche un rilievo ‘costituzionale’. Una di quelle cose che ai parlamentari, in realtà, interessa però assai poco, e che verrà approvato senza colpo ferire, ma che meriterebbe ben altro surplus di attenzione e analisi.

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Enrico Borghi

Certo, Italia Viva mugugna, ma non si mette di traverso. Nel M5s dormono tutti i sonni dei giusti (si fa per dire). LeU tace e acconsente. L’opposizione, ovvio, strepita, ma neppure più di tanto. Solo nel Pd si eccepisce che servono dei ‘paletti’ (definizione delle competenze, legittimazione chiara del atti, perimetrazione degli interventi, etcetera), come chiede il segretario d’aula Enrico Borghi, severo censore del governo, quando si ‘allarga’ nel prendersi competenze e prerogative parlamentari.

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Stefano Ceccanti

Ma insomma, più che altro è un flatus voci. Come quella di un altro deputato dem e costituzionalista – quel Stefano Ceccanti citato: chiede “limiti e controlli”, la convocazione in via permanente delle Commissioni parlamentari competenti, “così sarebbero le Camere a definire il perimetro d’intervento”, ma le sue richieste sono cadute, sostanzialmente, nel vuoto. Insomma, il ‘rifiuto della logica dei Dpcm’ si ferma ai sosliti mugugni. Conte, che già una volta a Ceccanti, sull’abuso dei Dpcm, disse, in buona sostanza, e per giunta in aula, ‘hai ragione, caro, mo’ me lo segno e ti faccio sapere’, parla di un “atto dovuto”, etc. Morale, lo stato di emergenza sarà prorogato, per ora fino al 31 ottobre, e il governo andrà avanti a colpi di altri Dpcm, nonostante, neppure due settimane fa, il premier Conte avesse ‘rassicurato’ il Parlamento, e pure il Colle, che proprio non l’avrebbe fatto.

 

Chi gestirà i soldi del Recovery Fund? Ma il governo, ovvio!

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Il ministro agli Affari europei, Enzo Amendola

Ma prendiamo, per dire dei rapporti tra governo e Parlamento, la questione della spesa – tanti, tanti soldi: 209 miliardi – che la Ue ha stanziato a favore dell’Italia con il Recovery Fund all’interno del programma Next Generation Ue. Grande vittoria dell’Italia, e non ci piove, con tanto di ‘cucchiaio’ fatto agli olandesi e rivendicato, via intervista, dal ministro agli Affari europei, Enzo Amendola (tipo tosto, curioso, ironico, raffinato, il classico napoletano bene ‘di sinistra’, non fosse che tifa… Inter).

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La sede del Parlamento europeo di Bruxelles vista dall’esterno.

Bene, ora bisogna decidere ‘chi’ deciderà ‘come’ spenderli e con quali metodi e forme. La sola certezza sono i tempi: bisogna fare tutto in fretta perché il Piano nazionale delle Riforme (Recovery Plan) va presentato a Bruxelles entro il 15 ottobre,cioè  lo stesso giorno in cui si presenta la manovra, quella ‘classica’, cioè autunnale, quindi c’è poco tempo. Il governo ha deciso che i soldi della Ue deciderà come e per cosa spenderli il… governo, con tanti saluti, anche qui, al Parlamento.

Infatti, il governo, dopo che Conte aveva improvvidamente e inizialmente parlato di una ‘task force’ per decidere come e su quali capitoli di spesa andranno i soldi del Recovery Fund, ha tirato fuori dal cilindro un comitato governativo, il Ciae, che già c’era, ma di cui tutti avevano perso le tracce.

 

E’ rispuntato il Ciae, un comitato interministeriale di epoca Monti: sarà quella la sede in cui verranno gestiti i fondi Ue

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Trattasi del Ciae (Comitato interministeriale affari europei), una sorta di Consiglio dei ministri ‘tarato’ per gli Affari Ue che, non a caso, vedrà nel ruolo di indiscusso protagonista il ministro stesso agli Affari Ue, Amendola. Nato in epoca Mario Monti, premier di allora ci teneva molto, alla Ue, era finito nel dimenticatoio e ci si era persino dimenticati della sua esistenza. Ma dato che, tra i partner dell’attuale maggioranza, si sono subito scatenati gli ‘appetiti’ sulla (enorme) torta di aiuti Ue che, sotto forma di pioggia di miliardi, arriveranno all’Italia nei prossimi sette anni (in particolare gli 81 miliardi di aiuti a fondo perduto della Ue), Conte ha pensato bene di rispolverarlo e di riproporlo.

ministro dellEconomia Roberto Gualtieri

Il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri

La guida del Ciae, ovviamente, è affidata alla regia del premier: in questo modo Conte potrà sottrarre i fondi Ue al temuto controllo del Mef e alla direzione generale del Tesoro, dove ritiene allignino i suoi peggiori nemici,. Ne ha ben donde. Lo ha dimostrato la ‘fuga di notizie’ su Gualtieri che ammetteva, in un articolo uscito sul Sole 24 ore, che, se non arriveranno i fondi del Mes, fondi che né Conte né i 5Stelle vogliono prendere, ci saranno “problemi di cassa” per lo Stato, alle prese con un deficit enorme e ben tre manovre da 100 miliardi foriere di voragini nei conti pubblici. La notizia è stata pigramente smentita dal Mef, dove il direttore generale, Rivera, è ‘nemico’ di Conte.

 

I ruoli chiave nel Ciae di Conte: Amendola, Gualtieri, Di Maio

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I ruoli chiave nel Ciae di Conte: Amendola, Gualtieri, Di Maio

Ma, se Conte non c’è o è impegnato, la regia del Ciae spetta, per statuto, ad Amendola, di cui Conte si fida, ormai, ciecamente. A Conte o ad Amendola spetta il compito di convocare e presiedere il Ciae, cui prendono parte anche il ministro dell’Economia (Gualtieri, Pd) e degli Esteri (Di Maio, M5s), oltre ai responsabili dei ministeri competenti, di volta in volta invitati sulla base dei dossier da affrontare. Ma del Ciae fanno parte anche tutti i capi di gabinetto dei ministri interessati e tutti i dirigenti di massimo livello dei ministeri interessati all’uso dei fondi europei e, in sovrannumero, il che non guasta, sempre secondo la legge istitutiva, i rappresentanti delle Regioni e dei Comuni.  

Legge istitutiva del Ciae, datata n. 234/2012, che attribuisce al comitato “l’obiettivo di concordare le linee politiche del governo nel processo di di formazione della posizione italiana, nella fase di predisposizione degli atti della Ue”. Insomma, un identikit che calza a fagiolo e all’uopo, per Conte.

Vittorio Colao

Vittorio Colao

Niente task force esterne, dopo la ‘brutta’ (per Conte) esperienza di quella di Colao, che temeva gli facesse ombra e che è stato subito esautorato, nessuna sottrazione o storno di fondi (70 miliardi su 81 saranno gestiti dal Mef, il resto dal ministro al Sud, Provenzano, Pd), nessun decreto da varare (e poi da convertire) per installare una nuova struttura, nessuna ‘lite’ interna al cdm su quali ministri devono farne parte perché stanno già belli scritti nella istituzione del Ciae. Anche se, va notato, i M5s ne risultano sottorappresentati, LeU e Iv per nulla rappresentati, il Pd sovra-rappresentato…

 

“Il Parlamento? Avrà un ruolo di controllo”… Conte dixit

Il Re e il Parlamento

Il Re e il Parlamento

E il Parlamento? Conte, con i suoi, ha tagliato corto così: “Le Camere hanno tutto il diritto di istituire commissioni speciali e perfino bicamerali, ma i tempi sono stretti, quindi il Parlamento avrà un ruolo di indirizzo e di controllo, non certo di gestione diretta delle risorse europee”. Come dire, fatevi pure la vostra ‘commissione speciale’ o bicamerale, fate quello che volete, baloccatevi e giocateci pure dentro, ma come si investono i soldi della Ue lo decido io, con Amendola e i membri del ‘mio’ Ciae.

mariastella gelmini

Mariastella Gelmini

Ovviamente, i partiti e i parlamentari non l’hanno presa bene la notizia fatta filtrare da Conte sugli organi di stampa. In Parlamento, tra le fila della maggioranza come pure della opposizione, si sono adontati e da giorni si sbracciano molto. “Bata con le task force. Deve essere centrale il Parlamento. Serve una commissione bicamerale!” si erge la capogruppo di FI alla Camera, Mariastella Gelmini.

giorgia meloni

Giorgia Meloni

La presidenza deve andare all’opposizione!” tuona la leader di FdI, Giorgia Meloni. Solo alla Lega, cui tutti quei soldi fanno evidentemente schifo, non sembra appassionarsi al tema (“non è tempo di bicamerali, hanno tempi troppo lunghi”, dice Matteo Salvini), ma certo è che FI, per non perdere tempo, ha già depositato una proposta di legge per istituire una commissione bicamerale ad hoc.

 

I parlamentari di tutti i partiti non la prendono bene. L’opposizione chiede una bicamerale e molti Democrat anche

italia viva

Ma pure la maggioranza – specie quella di lato democrat riformista – si agita e si sbraccia parecchio. Italia Viva la pretende, la ‘bicameralina’. E il Pd, lesto lesto, deposita una proposta di legge per farla eccome, la bicamerale. Solo che, i dem, devono sempre fare i ‘primi della classe’ e, quindi, eccepiscono che sarebbe meglio formarne ben due, di commissioni, una alla Camera e una al Senato, paritetiche, perché “per varare una commissione bicamerale i tempi sarebbero più lunghi”.

lotti guerini

Lotti Guerini Area Riformista

A spingere per il varo di una commissione bicamerale sui fondi U sono in particolare gli ex renziani di ‘Base riformista’, la corrente che fa capo al ministro Lorenzo Guerini e a Luca Lotti,. Sono loro i più accesi sostenitori, nel Pd, della nascita di una commissione parlamentare in tema di fondi Ue e, seguiti anche dall’area che fa capo a Maurizio Martina, ricordano all’avvocato del Popolo, cioè a Conte, che “sarebbe meglio non gestire in solitaria i progetti, ma accogliere la proposta di Forza Italia di una commissione bicamerale che definisca, nelle Camere, il piano da inviare a Bruxelles”.

Nicola Zingaretti

Nicola Zingaretti

Insomma, “serve uno strumento agile in cui anche le opposizioni siano pienamente coinvolte” dicono Borghi, Ferrari, Ceccanti, Fiano, etc, fino al capogruppo al Senato del Pd, Andrea Marcucci.. I democrat riformisti pensano a uno strumento di commissione ‘agile’ (sic), composto da 35 membri della maggioranza e 35 rappresentanti dell’opposizione, magari ficcandoci dentro anche i vari ‘capi partito’ (Zingaretti, che non è membro del Parlamento, ne rimarrebbe, singolarmente, fuori, tuttavia).

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Il presidente della Camera dei Deputati, Roberto Fico

Anche il presidente della Camera, Roberto Fico, prova a dire la sua, a modo suo, cioè alla ‘grillina’: “Il Parlamento è la prima task force degli italiani (sic) spetta ad esso dare le priorità”. Il dissenso potrebbe pure allargarsi e, soprattutto al Senato, dove il governo ‘balla’ di suo, tracimare in una sorta di ‘rivolta’ dei parlamentari inviperiti per essere stati, di fatto, ‘tagliati fuori’ da ogni decisione.

 

Una commissione non si nega mai a nessuno, ma sarà inutile

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Il filosofo liberale Benedetto Croce

Ora, al di là del fatto che una ‘commissione’ – bicamerale o meno che sia e, comunque, ‘speciale’ – non si nega mai a nessuno, nel nostro Paese, e che spesso le commissioni corrispondono a una – infinita e inutile – perdita di tempo (Benedetto Croce diceva che “la commissione parlamentare migliore è quella che ha un numero di membri pari che sia inferiore a uno”, cioè che la commissione migliore è quella che non si fa…), tutti i tentativi del Parlamento per cercare di ‘avocare’ a sé almeno una parte delle scelte sulle risorse dirette all’Italia sono, di fatto, già andati a farsi benedire.

Palazzo Chigi

Palazzo Chigi

Il governo ha scovato, negli anfratti di palazzo Chigi, l’esistenza del Ciae e userà quello per decidere come spartirsi la ‘torta’ degli aiuti Ue. Poi, se il Parlamento vorrà farsi la sua bicamerale, che se la faccia pure. Come nel caso dell’abuso dei Dpcm, o della proroga dello stato di emergenza, l commissione, prima di essere insediata, discussa, rappresentata e incardinata, arriverà a cose fatte. In Italia, in teoria una repubblica parlamentare, vige la innovativa formula del ‘King and the government’. La ‘centralità’ del Parlamento, evidentemente, è una roba da ‘secolo scorso’.

 


NB: L’articolo è stato pubblicato, in forma più succinto, sul sito di notizie Tiscali.it il 26 luglio 2020