“La mossa del cavallo”. Renzi, Conte e il Colle da oggi giocano a scacchi. Chi darà scacco matto?

“La mossa del cavallo”. Renzi, Conte e il Colle da oggi giocano a scacchi. Chi darà scacco matto?

14 Gennaio 2021 0 Di Ettore Maria Colombo

Sommario

Il ‘Grande Annuncio’ finalmente arriva. Renzi ritira le ministre di Iv dal governo e apre la crisi. L’obiettivo: spodestare Conte da palazzo Chigi e sostituirlo con altri nomi (Cartabia o Lamorgese)

renzi bellanova bonetti italia viva

Conferenza stampa Renzi Bellanova e Bonetti

 

Le parole del leader di Iv alla fine della conferenza stampa: “Conte è finito perché il premier s’è bruciato da solo”

renzi vs conte

Renzi dice “Conte è finito perché il premier s’è bruciato da solo”

“Penso – dice ai suoi, alla fine della conferenza stampa in cui annuncia il ritiro della delegazione ministeriale di Iv dal governo Conte due, da ieri sera in piena crisi, Matteo Renzi – che un Conte ter non sia più possibile, a questo punto, ma mai dire mai. Vedremo se sarà possibile ricostruire una nuova maggioranza nel perimetro di questa uscente oppure se sarà possibile allargarla, con altri partiti (e qui pensa a Forza Italia, ndr.) per altre forme di governo, come un governo istituzionale che ci traghetti fino al 2023”. I suoi, invece, si spingono oltre: “Il Conte ter è morto e sepolto, lo ha ucciso Conte che si è suicidato pensando di asfaltarci. Il Colle gli ha stoppato la caccia ai Responsabili. L’ipotesi più plausibile, per noi, è un governo tecnico-istituzionali che, guidato da nomi come Cartabia o Lamorgese (per paradosso, il nome più gettonato, tra i renziani è proprio quello dell’attuale ministro dell’Interno, fino a ieri principale ‘appetito’ di Iv, come del Pd, per tagliare la sua testa e sostituirla nella sua poltrona, ma ora tornata in auge e in gran spolvero, forse solo perché voluta da Mattarella, ndr.), traghetti il Paese oltre la pandemia e alla scadenza naturale della legislatura. Il voto anticipato non esiste. Arriverà la terza ondata e non si terranno neppure le amministrative, a inizio maggio. Governi a guida Pd (e qui il nome più insistente che fanno i renziani è, ovviamente, quello di Dario Franceschini, cui segue a ruota Guerini, ndr.) e con la stessa maggioranza attuale sono possibili, ma difficili da realizzare. In ogni caso, decide Mattarella, ma se Berlusconi ci sta, e noi crediamo ci stia, si possono trovare nuove e inedite maggioranze. Conte? Si è bruciato da solo. Nessuno più, alle consultazioni, farà il suo nome e amen”.

Il passaggio istituzionale che Renzi prevede: dimissioni del premier e consultazioni formali al Quirinale

Dimissioni

Dimissioni del premier, rapido passaggio al Quirinale, nuovo accordo all’interno della stessa maggioranza attuale

Come a voler riprendere il filo dei ragionamenti off record, Renzi, in conferenza stampa – che si tiene nell’auletta dei gruppi parlamentari, che è enorme ma strapiena di cronisti, viene poco usata, dai gruppi parlamentari, pur essendo nuova di pacca, i commessi sono particolarmente tesi e nervosi nel far rispettare le norme anti-Covid, la calca, dentro e fuori, è impressionante, peraltro l’auletta è intitolata ad Aldo Moro, di recente citato a piene mani da Renzi come da Conte, e pure questo è un bel paradosso – ribadisce il punto con tanto di ‘ripassino’ di diritto costituzionale: “dimissioni formali del premier, consultazioni, esame delle soluzioni da parte dei partiti e da oggi al vaglio del Colle. Noi non mettiamo veti sui nomi. I nomi possono essere tanti (pare che pensi alla Cartabia, ma anche a Lamorgese, ndr). Abbiamo chiesto una crisi di governo formale perché noi rispettiamo le regole e le liturgie della democrazia”.

Renzi punta alla nascita di un governo da ‘saldi finali’ nel senso di ‘fine legislatura’, sicuro che ‘tanto non si vota’

il re e nudo

Renzi dichiara “‘il re è nudo’, abbiamo fatto saltare i giochi di Palazzo perché amiamo così tanto la democrazia e le sue regole, forme e prassi, che abbiamo aperto una crisi di governo anche durante una pandemia”

“Quali altri governi sono possibili? – risponde, incalzato da tante domande dei giornalisti – “Molti e diversi tra loro, la sola cosa certa è che non si andrà a elezioni anticipate. Se poi Conte troverà i Responsabili per governare senza di noi, auguri, noi passiamo all’opposizione. Io sui miei ci metto la mano sul fuoco, ma non ne dispongo: sono persone libere”.

Una cosa è sicura – conclude – ora ‘il re è nudo’, abbiamo fatto saltare i giochi di Palazzo perché amiamo così tanto la democrazia e le sue regole, forme e prassi, che abbiamo aperto una crisi di governo anche durante una pandemia. Ora la palla passa al Colle, che rispetto profondamente, a partire dal suo splendido appello a essere ‘costruttori’. Noi lo siamo e, in Parlamento, garantiamo i nostri voti a tutti i provvedimenti che il governo, credo dimissionario, porterà dal dl Ristori allo scostamento di bilancio ai dl anti-Covid fino al Recovery Plan”. Poi, però, Renzi, per stemperare la tensione, racconta ai suoi anche il ‘dietro le quinte’: “Ho subito tante pressioni, e fortissime, non era facile resistere. Diciamo la verità: abbiamo fatto un capolavoro!” esulta.

“Ho fatto un capolavoro!” esulta il leader Iv con i suoi alla fine, ma la Fiorentina ha perso e il leader è nervoso

renzi giocatore di poker

Renzi è, si sa, un abile giocatore di poker

Il ‘Grande Annuncio’ si materializza mentre a Roma è buio e fa un freddo cane. Solo che entra nell’auletta dei gruppi trova conforto e riparo, chi resta fuori maledice tutta Iv.

Renzi è, si sa, un abile giocatore di poker, ma da giorni spiegava che, avendo un asso in mano, non stava bluffando. Il Colle, il Pd, lo stesso Conte, che fino a poche ore prima pensano ancora che non avesse in mano nulla e che il suo era, come al solito, un bluff, restano basiti perché Renzi chiama ‘piatto’, cala le carte e vince, almeno questa mano.
Renzi arriva teso e in ritardo, forse per telefonate che cercano di trattenerlo, promettendogli di tutto, dell’ultimo minuto, forse perché la Fiorentina ha perso, e pure male, la partita da ‘dentro/fuori’ per la Coppa Italia con l’Inter (goal di Lukaku che fissa il risultato sul 2 a 1 poco prima dei rigori, praticamente al 120 esimo minuto). Il leader è vestito bene, di nero, come sempre, ma irritato, nervoso: dietro di lui scendono le scale le ministre Bonetti e Bellanova, il sottosegretario Scalfarotto, il gotha di Iv (i due capogruppo, Boschi e Faraone, il coordinatore Rosato), mentre sparsi sugli spalti, mischiati ai giornalisti, ecco i fedelissimi pasdaran: Giachetti, Migliore, Nobili, Marattin, Paita, Colaninno, Annibali, Del Barba e ben pochi altri: pochi, troppo pochi, per un annuncio che, per Iv, è esiziale. Su 48 parlamentari (30 deputati e 18 senatori) ne mancano tanti.

Intanto, però, l’operazione ‘Responsabili’ messa in campo da Conte prende sempre più quota

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l’operazione ‘Responsabili’ diventa ogni giorno più reale, concreta, fattibile

Conte conta e riconta i numeri del Senato: non manca molto e l’operazione ‘Responsabili’ diventa ogni giorno più reale, concreta, fattibile. Il governo, senza Iv (18 senatori) gode già di 14 senatori del gruppo Misto che votano a suo favore: ergo, da 168 tracolla, con il -18, a 150, ma risalirebbe a 164 (tre senatori sopra il quorum della maggioranza assoluta, fissato a 161. Un quorum ‘politico’, ma non tecnico, perché – come ricordano i costituzionalisti, da Ceccanti a Clementi a molti altri – per paradosso, in merito al voto di fiducia, basta solo che i ‘sì’ battano i ‘no’. Con 4/5 senatori di Iv, il governo tornerebbe a quota 168 e senza i senatori a vita, tra i quali almeno due o tre voteranno di certo per il governo. Insomma, Renzi sarebbe a un passo dall’essere battuto.

Le possibili defezioni e crepe all’interno del gruppo di Iv al Senato

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Renzi sa che il suo gruppo non resisterà all’onda d’urto

La verità è che Renzi sa che il suo gruppo – gracile, debole, zeppo di parlamentari che vengono non solo dal Pd, ma da FI e da altre esperienze – non reggerà all’onda d’urto del tentativo di Conte di arruolare una truppa di Responsabili. I senatori più indicati come possibili ‘traditori’ e che, se passassero sotto le insegne degli ‘straccioni di Valmy’ di Conte, farebbero pendere la bilancia dei numeri dell’aula dalla parte del governo, garantendogli la maggioranza: sono cinque: Parente (la più inquieta di tutti), Vono, Comincini, Conzatti e il socialista Nencini più un paio alla Camera (si parla di Camillo D’Alessandro e altri ex dem ‘responsabili’ e timorosi che Renzi “ci stia solo portando a sbattere”…). Renzi, punto sul vivo in merito, durante la conferenza stampa, ribatte: “Io non ‘dispongo’ di loro, sono persone libere e forti. Ognuno di loro deciderà in scienza e coscienza, e io lo rispetterò, ma pronto a mettere la mano sul fuoco su di loro”.

Il polverone sulla possibile separazione tra Iv e Nencini, tenutario del simbolo del gruppo e segretario del Psi, che ad oggi tentenna

Riccardo Nencini

Riccardo Nencini

Su quest’ultimo, però, serve un ulteriore approfondimento. Senza Nencini, socialista tutto d’un pezzo, toscanaccio con il gusto della battuta sapida e fulminante, amante dei libri di storia (ne scrive altrettanti) e del ciclismo, in Parlamento da una vita, ex viceministro alle Infrastrutture, uomo di potere ma senza essere mai stato sfiorato da un’indagine o dubbio, Renzi il gruppo al Senato non lo avrebbe mai potuto neppure formare. A causa del nuovo Regolamento, infatti, servono un simbolo depositato e presentato alle ultime elezioni, e che ha prodotto eletti, per averne diritto, oltre ai canonici dieci senatori. Nencini, con il suo simbolo (quello del glorioso Psi di Turati, Nenni e Bettino Craxi…), ha permesso l’operazione. Ieri, un comunicato anodino, firmato da Nencini e dal nuovo, e giovane, segretario del Psi, Enzo Maraio (molto vicino al Pd e anche a Zingaretti), lascia margini all’ambiguità: chiede un nuovo esecutivo forte, ma guidato da Conte, e una rapida soluzione alla crisi. Si sparge subito, velenosa e infiammabile, la voce dentro le Camere che Nencini starebbe per ‘tradire’ Renzi: “se Conte gli promette e garantisce un re-ingresso al governo – dicono parlamentari del Pd, di LeU, persino di FI che lo conoscono perché toscani o perché ex colleghi – Nencini il salto della quaglia lo fa in un battibaleno. Di Renzi non ne può più”.

Se Nencini se ne andasse, addio gruppo di IV, che finirebbe nel Misto, “con la Loredana (De Petris di LeU, la capogruppo del Misto al Senato, ndr.) che decide lei quanti minuti di parola avrebbe Renzi e i suoi. Che spettacolo! Renzi sarebbe morto!”. In effetti, senza un gruppo costituito nelle Camere, affrontare il nuovo governo Conte, rafforzato dai Responsabili, sarebbe una battaglia a mani nude, impari. Ma dal Psi, e da fonti vicine a Nencini, si smentisce secchi: “I socialisti vogliono che sia riconosciuta la loro dignità e la loro presenza. Senza il Psi, Renzi non poteva fare il gruppo e Conte non avrebbe potuto fare il governo. Ci aspettiamo il giusto riconoscimento, se ci sarà il rimpasto, tutto qua”. Insomma, per ora Nencini non tradisce (ma ambisce a rientrare in un nuovo governo Conte o anche a guida dem), e Renzi può tirare un sospiro di sollievo, ma quanta fatica.

Renzi garantisce che “tutti i provvedimenti del governo per combattere il Covid” saranno approvati da Iv

covid19

Il resto della conferenza stampa è pura, inutile, cronaca. Renzi cita Cassese, per supportare le sue tesi contro il ‘tirannicidio’ antidemocratico che il governo Conte avrebbe messo in atto tra dpcm, preconsigli dei ministri, tentativi di accentrare le deleghe, Recovery Plan, servizi segreti, etc., e i suoi fanno capire che “anche un governo dimissionario può far passare scostamento di bilancio, dl Ristori, etc”, anche se dal Quirinale sono, in realtà, dell’idea opposta, e cioè che serva un effettivo governo in carica per farlo. Insomma, i voti di Iv ci saranno, ma solo su quei provvedimenti. Nessun ‘appoggio esterno’ o altre strane e strambe formule, dunque. Iv va all’opposizione del governo Conte, e basta.

sabino cassese

Il giurista Sabino Cassese

In ogni caso, l’annuncio del ritiro delle due ministre – che a loro volta parlano per difendere la loro scelta ma che nessuno davvero ascolta, perché tutti i cronisti vogliono solo da Renzi risposte, chiarimenti, ai loro dubbi e dilemmi – è arrivato a Conte ieri pomeriggio stesso, via lettera. Da oggi Renzi si terrà mani libere per fare e disfare di tutto: governi ‘diversi’ (istituzionali o tecnici che siano), nuove maggioranze (con Forza Italia o altri, il leader di Iv esclude solo governi ‘di ribaltone’ fatti da lui con il centrodestra), nuove formule politiche (una maggioranza giallorossarosa, o giallorossazzurra? Si vedrà) e nuovi candidati premier (Cartabia e Lamorgese, ma anche Franceschini e Guerini). Solo un ‘no’ resta secco, scandito a chiare lettere, tetragono e irrinunciabile: quello a un reincarico al presidente Conte. Renzi ha voluto, perseguito, preteso e forse da oggi ottenuto una crisi formale, canonica, proprio per bruciarne il nome. La sua ‘mossa del cavallo’ (titolo di un suo fortunato libro) Renzi l’ha fatta. Ora tocca agli altri muovere le loro pedine.

 

NB: questo articolo è stato pubblicato sulle pagine del Quotidiano Nazionale il 14 gennaio 2021

 Il Pd, diviso al suo interno, prova a ‘fare muro’ a difesa di Conte, ma non sa bene che pesci pigliare. Ma c’è chi dice: “Il Pd è il partito di Mattarella e lo seguirà”

muro a difesa di conte

Il Pd, diviso al suo interno, prova a ‘fare muro’ a difesa di Conte

La scelta di Iv è una scelta fatta contro l’Italia”, Nicola Zingaretti dixit. “Un grave errore le cui conseguenze pagheremo tutti”, Andrea Orlando dixit. Gli altri via così. Oggi si riuniranno ufficio politico, gruppi, organismi vari, ma la domanda resta: “e ora, che fare?”. Continuare a sostenere Conte, legandosi mani e piedi al suo destino? Il che vuol dire seguirlo nella strada della ‘conta in Aula’, della ricerca dei ‘Responsabili’, della resistenza ad oltranza all’avventurismo di Iv.

Zingaretti, Orlando e tutti i ministri condannano “l’avventurismo” di Renzi che “ci porterà tutti a sbattere”

andrea orlando e nicola zingaretti

Zingaretti, Orlando e tutti i ministri condannano “l’avventurismo” di Renzi che “ci porterà tutti a sbattere”

Ma fare questo vuol dire accettare il diktat di Conte, compresa la rapida sostituzione in corsa delle due ministre dimissionarie renziane via interim, continuando a governare e a sfornare provvedimenti come se nulla fosse successo. E, alla fine, se sarà il caso, seguire il premier anche sulla strada della ‘bella morte’: il governo cade in aula, il Pd si dichiara ‘indisponibile’, come i 5Stelle, a formare un altro governo, chiunque lo guidi e qualsiasi colore politico abbia, a Mattarella non resta che la strada dello scioglimento delle Camere e delle urne anticipate, probabilmente a maggio. Urne, da tenersi con il cappio del Rosatellum, cui il Pd che hanno in mente il segretario Zingaretti, il suo vicesegretario di ‘sinistra’ Orlando e il ‘consigliori’ del Nazareno, come di palazzo Chigi, Goffredo Bettini, si presenterebbe in alleanza organica con i 5Stelle e con una lista Conte, non prima di aver cannibalizzato, ingoiandola, LeU e altri pezzi. Non prima, ovviamente, di aver spazzato via quel che resta dei renziani rimasti nel Pd (i vari Marcucci, etc.) e aver messo la croce del ‘vade retro Satana’ su Iv, cacciandola da tutte le alleanze, sia nazionali che locali, e poi cancellarla.

Il Pd di Franceschini e di Guerini, due nomi papabili per palazzo Chigi, la pensa in modo un po’ diverso

palazzo chigi

Vista esterna Palazzo Chigi

Un altro pezzo del Pd, invece, quello che fa capo a due aree storicamente non di derivazione e filiazione ‘comunista’ (cioè della filiera Pci-Pds-Ds), ma di germinazione ex PPI ed ex Margherita, quella che fa capo a Dario Franceschini (Area dem) e quella che fa capo a Lorenzo Guerini e pure a Luca Lotti (gli ex renziani oggi dentro Base riformista) hanno posizioni più sfumate. Franceschini, è vero, ha garantito a Conte il suo appoggio e gli ha detto, in buona sostanza, “se pensi di avere i numeri per vincere la conta in Senato vacci e falla, sfida Renzi, noi ti sosterremo leali”. Con toni più sfumati, anche Base riformista ha garantito il suo ‘leale’ appoggio a Conte. Ma non è un mistero per nessuno che, se Conte dovesse fallire la sfida, o se nelle consultazioni il suo nome venisse ‘bruciato’, ecco che il nome di Franceschini come capo di un governo che, sulla base della stessa maggioranza attuale, forse con vari innesti, potrebbe tentare la carta di rimettere insieme i cocci andati in pezzi ieri potrebbe diventare una tentazione irresistibile.

Più lontana, e difficile, invece, l’ipotesi di un governo Guerini. Il ministro, assai benvoluto dal Colle, la smentisce secco.

I Giovani turchi e la truppa parlamentare: nessuno vuole ‘correre’ verso il voto anticipato

mattarella zingaretti

Il Pd è un partito formalmente guidato da Nicola Zingaretti, ma informalmente diretto da Sergio Mattarella

Infine, ci sarebbero altri piccoli pezzi di Pd come i Giovani Turchi (area Orfini) e altri ancora che vorrebbero la riforma elettorale in senso proporzionale e che sarebbero pronti, come gran parte dei gruppi parlamentari dem (tutti, non va dimenticato, di nomina renziana) a votare qualsiasi governo pur di scavallare questo difficile tornante e arrivare al 2023. Infine, però c’è anche chi, con antica saggezza, fa notare: “Il Pd è un partito formalmente guidato da Nicola Zingaretti, ma informalmente diretto da Sergio Mattarella. Nel senso – spiega un deputato dem assai vicino al Colle – che se il Quirinale vuole una cosa e spinge per una soluzione, il Pd si comporterà di conseguenza e viceversa”.

 


NB: questo articolo è stato pubblicato oggi 14 gennaio sul sito di notizie Tiscali.it

3. Il Colle, ‘irritato’ con Renzi come con Conte (ma di più con il primo) attende le mosse del secondo per aprire la crisi. L’appello del “Grande Costruttore” è stato disatteso da tutti

 

Delusione e preoccupazione, i due sentimenti che animano il Colle in queste ore

La delusione

Delusione e preoccupazione, i sentimenti del Colle in queste ore

Delusione e preoccupazione sono i due sentimenti che albergano nel cuore dell’attuale inquilino del Colle. La ‘delusione’ il Capo dello Stato la prova verso i due principali responsabili della crisi in atto, Renzi e Conte (più Renzi che Conte, ‘ma anche’ Conte). La ‘preoccupazione’ è per le sorti del Paese che, in piena crisi pandemica, sociale, economica, deve affrontare le incognite di una crisi al buio. Mattarella – che ieri ha ricevuto il premier, Giuseppe Conte (nel primo pomeriggio e per circa quaranta minuti, dalle 14 alle 14.40), dopo aver visto, ieri mattina, il presidente della Camera, Roberto Fico, e dopo ‘non’ aver visto la ex presidente della Consulta, Marta Cartabia (la notizia di un suo colloquio con una delle principali ‘papabili’ per guidare un governo di unità nazionale o solo elettorale era stata diffusa da alcuni giornali di destra è stata smentita nel senso di una ‘salita’ fisica della Cartabia al Colle, ma non di un contatto) si è chiuso in un ostinato, e corrucciato, mutismo. “Il Presidente non parlerà fino a quando la crisi non sarà formalizzata da parte del presidente del Consiglio con la sua richiesta di andare in Parlamento o con le sue dimissioni formali” spiegano autorevoli fonti del Quirinale.

 

La prima risposta del Colle alle parole di Renzi come pure a quelle di Conte: un corrucciato silenzio

Silenzio Stampa

La battuta dei collaboratori di Mattarella diventa quindi questa: “Da ora in poi entriamo in silenzio stampa”

Riprendendo il filo della giornata di ieri vissuta con occhi ‘quirinalizi’ e volendo riprendere il filo della matassa, va detto che la ‘prima risposta’ del Colle, dopo le parole del leader di Iv, Matteo Renzi, che nella conferenza stampa di ieri sera ha aperto di fatto la crisi di governo del Conte due con il ritiro della delegazione di Iv (due ministre e un sottosegretario), è stata quella del…. silenzio. “Il premier e la maggioranza di governo devono valutare, per primi, il discorso del leader di Iv – filtrava ieri sera dal Quirinale – noi siamo solo, per ora, spettatori attenti della crisi”. La battuta dei collaboratori di Mattarella diventa quindi questa: “Da ora in poi entriamo in silenzio stampa”. Traduzione: “Prima deve essere Conte a valutare e rispondere alla mossa di Renzi. Noi non possiamo aprire la crisi di governo se ancora non l’ha sancita Conte. Puntate i fari su palazzo Chigi e toglieteli dal Colle. Noi, per ora, restiamo muti…”.

 

Sul filo del diritto costituzionale: chi apre la crisi di governo, in Italia, il Quirinale o il premier?

lana caprina

Questioni di lana caprina?

Qui, però si entra in un terreno delicato, tutto da giocare sul filo del diritto costituzionale e della prassi repubblicana. Un Capo dello Stato cosa deve fare? ‘Attendere’ che il premier decida di dimettersi e lasciargli fare, nel frattempo, di tutto – dall’andare in Parlamento a cercarsi la fiducia al prendersi l’interim delle due ministre dimissionarie al sostituirle fino all’organizzare proprie consultazioni per altre maggioranze – oppure il Colle può, e deve, interrompere questa spirale, scandire il proprio ‘il Big Bang ha detto stop’, convocare il premier al Quirinale e scandire lui, Mattarella, le sue mosse e quelle della crisi – sostanziale, anche se non formale – che ormai è in atto? Insomma, il ‘modello’ che un Capo dello Stato deve seguire è quello ‘non interventista’ (alla Ciampi, per dire) o quello ‘interventista’ (alla Napolitano, ma anche alla Scalfaro o, molto prima, alla Cossiga)?

Questioni di lana caprina? Forse, ma questioni non da poco. Come e se il Colle deciderà di sbrogliare la crisi di governo, infatti, essa prenderà una strada ed esito piuttosto che altri.

 

Eppure, Mattarella il suo ruolo e peso lo aveva speso: a Conte ha detto ‘apri a Renzi’, a Renzi ha detto ‘aspetta’

braccio di ferro

Il braccio di ferro tra il premier e Renzi

La palla è nelle mani del presidente del Consiglio” è dunque il refrain del Colle perché la crisi non è stata ancora formalmente aperta e rimane tutta politica. Dopo il lungo confronto (50 minuti) con Conte, Mattarella entra in stand-by in attesa di conoscere l’evoluzione del braccio di ferro tra il premier e Renzi. La delusione, però, è palpabile, per usare un understatement adatto alla presidenza della Repubblica. Il lavoro a tenaglia esercitato da Mattarella e dal Pd era riuscito a convincere un dubbiosissimo Conte a lanciare un ramoscello d’ulivo al leader di Italia Viva. In soldoni, si trattava dell’apertura a un tavolo politico per un patto di legislatura che Mattarella ha ‘imposto’ a Conte.

 

L’unico vero monito uscito ieri dal Quirinale: “Uscire al più presto da questa situazione di incertezza”

incertezza

Regna l’incertezza

Un’apertura non da poco e che arrivava, obtorto collo, da parte del premier, solo dopo che il capo dello Stato aveva ribadito al premier che non vedeva di buon grado l’idea di ricorrere a un gruppetto di Responsabili non meglio identificati per sostituire i parlamentari di Italia Viva. Una posizione – peraltro nota da tempo – che vede il presidente contrario all’ipotesi di “governi abborracciati”, fragili e a rischio di impallinamento ad ogni passaggio parlamentare.

“L’incertezza”, aveva fatto notare anche in passato come ieri, il Presidente al premier ancora formalmente in carica, difficilmente potrebbe essere sanata da una maggioranza che si regga su una manciata di voti sparsi, i Responsabili.

La linea di condotta permanente nel settennato di Mattarella – che si comprende con ancora maggiore chiarezza oggi, e cioè in un momento drammatico nel quale il Paese necessita di una maggioranza coesa per le scelte durissime di limitazioni delle libertà personali e per le decisioni epocali in campo economico – è di “fare presto, bene e insieme”.

Ecco perché Mattarella ha accompagnato il premier Conte all’uscita del Quirinale con una raccomandazione finale ben precisa: qualunque cosa tu poi decida, fai presto. Quasi identiche le parole rivolte a Renzi, sembra in un colloquio telefonico: “C’è la necessità di uscire velocemente da questa condizione di incertezza, a fronte dell’allarmante situazione causata dalla pandemia”.

 

I toni di Mattarella sono stati aspri e irritati con entrambi i ‘duellanti’

Toni aspri con i duellanti

I toni di Mattarella sono stati aspri e irritati con entrambi i ‘duellanti’

C’è chi racconta il tenore del colloquio tra Mattarella e Conte in modo ancora più drammatico, con toni – da parte del Capo dello Stato – assai duri e aspri, per lui inusuali, ma di toni altrettanto duri usati con Renzi, questa volta al telefono. Le parole rivolte a Conte, uscendo dal ‘quirinalese’, linguaggio paludato, soft, moderato, sono: “Ma come ti è venuta in mente la nota di ieri contro Renzi! E’ stato un azione impolitica”. Qui parte un botta&risposta con il premier che ribatte: “No, è stata un azione difensiva”.

Ancora Mattarella: “Tu, i partiti di maggioranza, i suoi leader, avete dato un pessimo spettacolo davanti al Paese in crisi. Ora dovete fare quello che non avete fatto fino a ieri: trattare e ricomporre il quadro, quello della maggioranza”.

Ma anche i toni usati con Renzi sarebbero stati assai duri: “Basta con la logica del ‘più uno’, del rilancio continuo, della sfida. Metti questi toni e queste modalità da parte. Siediti attorno a un tavolo con Conte e tutti gli altri per assicurare, al governo e alla maggioranza, una ripartenza”.

 

Il ‘metodo’ di lavoro chiesto dal Colle a premier, leader e partiti di maggioranza: quello seguito sul Recovery Plan

Mattarella e per ultimo venne il colle

Infatti, la richiesta, perentoria, del Colle rivolta a Conte è di “chiamare tutti i segretari di partito per metterli intorno a un tavolo e siglare un nuovo e vero patto di legislatura”, seguendo un metodo di lavoro che deve essere “quello del Recovery, sensibilmente migliorato grazie al contributo di tutti”. L’altra richiesta, altrettanto perentoria, del Colle e rivolta, in questo caso, e da giorni, a Conte, Renzi e tutti gli altri, sarebbe stata, ovviamente e comprensibilmente, quella di “mettere in sicurezza, nell’ordine, “piano vaccini, norme anti Covid, etc.”, ma soprattutto “scostamento di bilancio (24 miliardi, che vanno votati a maggioranza assoluta, ndr.) e decreto Ristori. Provvedimenti urgenti e indifferibili” – chiude il Colle – che “non possono essere disattesi”.

Infatti, come si sa, il presidente della Repubblica continua a guardare con preoccupazione ai prossimi appuntamenti politici e parlamentari, da quelli più vicini come il nuovo scostamento di Bilancio e il decreto Ristori, pur sapendo che questi nodi possono essere sciolti con una certa facilità, fino soprattutto all’avvicinarsi delle scadenze parlamentari per l’approvazione del Recovery plan (c’è tempo fino ad aprile e il dialogo con Bruxelles è buono, sottolineano fonti del Quirinale). Ma tutti scadenze e appuntamenti che confermano come l’esigenza è di non lasciare il Paese senza guida. “Nave senza nocchiero in gran tempesta”, per dirla col sommo poeta Dante Alighieri nel 2021 tornato di moda.

DANTE serva italia

“Nave senza nocchiero in gran tempesta”, per dirla col sommo poeta Dante Alighieri nel 2021 tornato di moda

Infine, un’ultima stoccata rivolta a Conte: “l’operazione ‘Responsabili’, abborracciata e sfilacciata come è finora, per me non esiste. Voglio nomi, numeri, date, un gruppo con un simbolo depositato e un fatto politico nuovo, cioè un idea di partito e di coalizione. Senza, non ti rimando davanti alle Camere”. Duro anche l’avvertimento a Renzi: “Non decidi tu quando si apre la crisi e come si chiude, se si formano nuovi governi e nuove maggioranze. Calmati”.

A fine giornata, i toni di Conte si placano (da qui l’apertura a Renzi e alla ricomposizione della maggioranza, apertura che fino al giorno prima il premier si era ben guardato dal voler fare e dal fare) mentre quelli di Renzi si alzano assai (le dimissioni delle due ministre in conferenza stampa e, con l’omaggio formale reso a Mattarella, la risposta alle sue richieste di ‘frenare’ sull’orlo del burrone: no, vado avanti). L’appello di Mattarella il Costruttore resta lettera morta.

 

Le carte di Conte posto davanti a un bivio: conta in Aula, con o senza reincarico, o dimissioni

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Nel borsino salgono le quotazioni del ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese

Eppure, le pressioni per evitare che Conte drammatizzi ulteriormente la situazione con una conta al buio in aula a caccia dei Responsabili, ricordando tutti – anche il Colle – che ai tempi dello scontro con Salvini non ci fu alcun voto, fatto che aprì nella forma e nella sostanza al reincarico, mentre una ‘conta’ in Aula, se persa, non lo permetterebbe, si sprecano. Arrivano dal Colle, ma pure dal Pd e persino da Grillo che chiede un ‘governissimo’ con dentro tutti, ma Conte ora vuole tirare dritto e andare allo scontro diretto. Il lavoro per rimanere nel perimetro dell’attuale maggioranza, con un premier politico (che può essere lo stesso premier uscente, ma non necessariamente lui) va in fumo e presto. Invece, lo schema che preveda un presidente di garanzia per tutti (nel borsino salgono le quotazioni del ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, e scendono quelle della Cartabia), concordato con il Quirinale, e che preveda una squadra di ministri politici, iniziano a salire vorticosamente.

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Scendono le quotazioni di Marta Cartabia

Certo è che, se lo show down finale, dovesse andare in atto, Conte potrebbe giocarsi un’ultima carta: salire al Colle per uscirne formalmente non dimissionario, ma solo ‘congelato’ con l’obiettivo di ‘assicurare’ al Paese il varo dei cruciali provvedimenti su Covid e scostamento di bilancio, necessario per approvare il quinto decreto Ristori, provvedimenti in programma, in cdm, tra oggi e venerdì. Un estremo scampolo di tempo per ricomporre una situazione che ad oggi, complici le mosse dei suoi due principali protagonisti, sembra essere andata in frantumi.

 

L’ipotesi delle dimissioni ‘congelate’ ancora resiste, ma perde quota

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Mattarella potrebbe ‘congelare’ le dimissioni di Conte

Il premier, dunque, ha ora davanti a sé diverse strade. Potrebbe accogliere l’invito di Renzi a presentarsi alle Camere per una verifica della tenuta della sua maggioranza (magari dopo aver congelato le dimissioni delle ministre di Iv prendendone l’interim su di sé) e decidere, dopo aver sentito il dibattito parlamentare, se andare alla conta o salire al Quirinale per dimettersi, come successe durante la crisi del governo giallo-verde. I governi, infatti, nascono e muoiono in Parlamento – almeno nella teoria e in dottrina – e dunque prima o poi un passaggio in Parlamento viene considerato una cosa scontata. In caso di rinnovata fiducia Conte proseguirebbe il suo impegno, altrimenti dovrebbe dimettersi. Solo dopo le sue eventuali dimissioni, il Capo dello Stato entrerebbe ufficialmente in campo, aprendo le consultazioni al Quirinale per verificare se la maggioranza ha ancora intenzione di sostenere Conte, se intende restare unita ma sotto un’altra guida o se non ci sono nemmeno più le condizioni per proseguire l’alleanza. Sullo sfondo, ma sconsigliato da tutti, resta la strada del voto anticipato, chiesto dal centrodestra in modo compatto. Dal Colle non viene nessun consiglio in questo momento, che è totalmente politico e per ora ancora assai poco istituzionale. L’unica raccomandazione che il Presidente vorrebbe assolutamente che venisse accolta, da parte di tutti, è quella consegnata ieri al premier: bisogna uscire presto da questa incertezza.

 

Presto il ‘Grande Costruttore’ irromperà sulla scena e allora il boccino della crisi lo avrà solo lui

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Presto il ‘Grande Costruttore’ irromperà sulla scena e allora il boccino della crisi lo avrà solo lui
(foto di Francesco Ammendola – Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

Ma se i moniti e parole e consigli del Capo dello Stato sono fino a ora rimasti inascoltati, a partire dal bellissimo discorso di Capodanno con l’elogio dei ‘costruttori’, il ‘Grande Costruttore’ stesso, cioè il presidente Mattarella stesso sta per ritornare prepotentemente sulla scena politica. E non solo quella italiana. Come ha ben spiegato il ministro per gli Affari europei Enzo Amendola, che con il presidente ha una buona frequentazione, “ai colleghi europei che mi chiamano per chiedere spiegazioni dico che Mattarella è la garanzia della tenuta politica e sociale del Paese”. Ma se bisogna fare presto, come sanno tutti, Colle compreso, quanto il Quirinale, di fronte a una crisi politica al buio, potrebbe resistere alle pressioni di un centrodestra – oggi maggioritario nel Paese – che già gli chiede di far tornare al voto gli italiani? Tra l’altro con la riforma costituzionale sulla riduzione dei parlamentari è pienamente in vigore: con il Rosatellum, l’attuale sistema elettorale (proporzionale, ma con forte correzione maggioritaria), si può andare a votare in ogni momento, “probabilmente a inizio maggio”, sussurrano fonti parlamentari dem vicine al Colle. Ma queste sono considerazioni che Mattarella prenderà in esame, forse, solo più avanti. Per adesso la parola è a Chigi. Il Colle resta, formalmente, silente, ma lo resterà per poco.


SCHEDA TECNICA. Tutti i precedenti delle crisi politiche ‘ritardate’ o ‘congelate’: da Tambroni nel 1960 a Craxi nel 1985, per l’Achille Lauro, a Prodi dimessosi (due volte) ma rimasto a Palazzo Chigi dopo un passaggio al Quirinale. Sono diversi i casi in cui, dopo le dimissioni del premier, il capo dello Stato ha chiesto a Palazzo Chigi di tornare in Parlamento, per verificare la tenuta politica della maggioranza, o per approvare le leggi più urgenti. Ecco l’elenco stilato da professor Marco Olivetti della Lumsa.

ZOLI, 1957. Adone Zoli, poco dopo aver ottenuto la fiducia, si dimette perché si accorge che i voti a suo favore da parte dell’Msi sono essenziali per la sua maggioranza. Il presidente Gronchi lo invita a ritirare le dimissioni, cosa che avviene: si forma un esecutivo che verrà definito di “minoranza precostituita”.

TAMBRONI, MARZO 1960. In questo caso il presidente della Repubblica Gronchi respinge le dimissioni di Tambroni, seguite alla crisi dovuta all’appoggio che gli era stato dato dall’Msi. Tambroni ottiene la fiducia con i voti di Pci, Psi, Psdi, Pli e Pri per un ‘governo provvisorio’ per consentire le Olimpiadi del 1960 a Roma, e approvare il bilancio entro il 15 ottobre.

 RUMOR V, MAGGIO 1974. Il presidente del Consiglio Rumor si dimette il 10 giugno, di fronte ai contrasti interni alla coalizione sulle misure per fronteggiare la crisi economica. Pochi giorni dopo, però, ottiene di nuovo la fiducia.

CRAXI I, 1985. Dopo i fatti dell’Achille Lauro e di Sigonella, il titolare della Difesa Spadolini chiede le dimissioni del Governo. I ministri repubblicani ritirano la loro delegazione del governo, aprendo la crisi. Ma il novembre il governo ottiene la fiducia, dopo un discorso in cui Craxi difende le sue scelte e ottiene il sostegno del Pci.

GORIA, 1987, e poi 1988. Il presidente della Repubblica Cossiga respinge le dimissioni di Goria, che non aveva più l’appoggio di parte della sua maggioranza. Il premier ottiene poi una fiducia provvisoria per approvare la legge di bilancio. Uno scenario simile si ripete poche settimane dopo, nel febbraio 1988.

PRODI I, OTTOBRE 1997. Rifondazione Comunista annuncia voto contrario alla legge finanziaria. Prodi sale al Quirinale, rassegna le dimissioni. Il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro le respinge e rinvia il governo alle Camere. L’esecutivo ottiene la fiducia alla Camera e al Senato, la crisi rientra (ma si riproporrà un anno dopo, con un cambio di maggioranza e l’arrivo di D’Alema a Chigi).

 PRODI II, FEBBRAIO 2007. In questo caso, il leader del centrosinistra si dimette perché al Senato non viene raggiunto il quorum di 160 voti: ci si ferma a 158 Sì alla risoluzione di maggioranza sulla presenza di forze Nato in Afghanistan. A seguito di formali consultazioni, Napolitano respinge le dimissioni.