“Sfida all’ok Korral”, ma uno resterà per terra. Oggi inizia la crisi, quella vera, e la decide il Colle. Conte vuole la conta in Aula

“Sfida all’ok Korral”, ma uno resterà per terra. Oggi inizia la crisi, quella vera, e la decide il Colle. Conte vuole la conta in Aula

13 Gennaio 2021 0 Di Ettore Maria Colombo

Sommario

“Sparatoria all’Ok Korral”, ma qualcuno resterà per terra. Renzi ritira le ministre e va all’opposizione di Conte, Conte cerca la conta in Parlamento con l’operazione Responsabili. Lo sceriffo sarebbe il Colle e da oggi scenderà in campo per evitarla, ma con poche speranze. Tutti gli scenari della crisi.

sparatoria allok korral

Renzi ritira le ministre e va all’opposizione di Conte, Conte cerca la conta in Parlamento

 

NB: una parte di questo articolo è stata scritta in originale per questo blog. altre parti vengono invece da due articoli pubblicati oggi, 13 gennaio 2021, uno sulle pagine di Quotidiano Nazionale e uno sul sito di notizie Tiscali.it 

 

Sfida all’Ok Korral. Un western quanto mai attuale…

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Il film, ovviamente un western, peraltro bellissimo, si chiamava “Sfida all’O.K. Corral” (Gunfight at the O.K. Corral nell’originale inglese) è datato 1957, è diretto da John Sturges, ha per protagonisti del calibro di Burt Lancaster e Kirk Douglas che interpretano due personaggi – doc Holliday e lo sceriffo Wyatt Earp – realmente esistiti. Liberamente ispirato ad un evento realmente avvenuto il 26 ottobre 1881, la sparatoria all’O.K. Corral non si svolse in uno spazio aperto, come il ‘corral’ della ricostruzione del film, e durò 27 secondi che nel film diventano circa 11 minuti. (Fonte wikipedia)

Insomma, come sempre Hollywood ci ricamò sopra, ma il film resta un caposaldo della cinematografia western. Alla fine, però, è la morale, lo sceriffo butta la stella da Marshall e se ne va dalla cittadina dove è stato aggredito, Tombstone, non prima di aver fatto giustizia dei nemici, i cowboys del clan Clanton, che gli hanno ammazzato il fratello, con l’aiuto della sua famiglia e dell’amico ‘Doc’, che aveva cercato di evitare la carneficina finale, sapendo il prezzo troppo alto che avrebbe pagato. Ne valeva la pena?

 

“Se l’uomo con la pistola incontra l’uomo col fucile…”

clint eastwood scaled

Se l’uomo con la pistola incontra l’uomo col fucile…

La domanda si può riproporre anche rispetto alla situazione politica attuale, rispetto alla crisi di governo oggi in corso. Nella sfida all’Ok Korral che oppone Conte a Renzi, infatti, ci si potrebbe chiedere ‘se’ e ‘quanto’ ne valeva la pena, le ragioni e i torti, il diritto e il rovescio, oppure la ‘morale’, ma sono domande oziose e, alla fine, solo una cosa è certa. Alla fine, qualcuno rimane per terra, morto stecchito (politicamente parlando, in questo caso, s’intende). Potrebbe trattarsi, nella fattispecie, di Conte, di Renzi o, persino, di tutti e due, se non di molti altri co-protagonisti (Zingaretti, Franceschini e Orlando per la parte dei dem, Di Maio, Crimi e Di Battista per i 5Stelle, le comparse di LeU, ma anche l’opposizione di centrodestra, i Responsabili, etc) del ‘film western’ che sta andando in onda nei Palazzi della Politica italiana, il nostro piccolo, angusto, ‘Ok Korral’.

Clint Eastwood

“Clint ha due sole espressioni: con cappello e senza cappello…”

Potrebbe trattarsi anche del Paese, volendo usare retorica, e dei cittadini italiani, basiti e stupiti da una crisi di governo che non capiscono e di cui non comprendono i veri motivi, ma anche in questo caso qualcuno – o più di qualcuno – alla fine resta, morto e stecchito, sul terreno, nella polvere. Infine, va ricordata anche un’altra massima dei film western – in questo caso, però, di quel genio del western all’italiana che era Sergio Leone e del suo caratterista principale, Clint Eastwood (“Clint ha due sole espressioni: con cappello e senza cappello…” dicevano, in modo ingiusto, dell’attore): “Quando l’uomo col fucile incontra l’uomo con la pistola, l’uomo con la pistola è un uomo morto”. A significare che, in definitiva, se hai armi migliori spari, centri il bersaglio, e uccidi prima dell’altro che, invece, inesorabilmente muore. E, dunque, chi vincerà la sfida – politica – all’Ok Korral? Vediamo cosa ne pensano e come pensano di vincere la ‘sparatoria’ in corso i principali protagonisti della crisi.

“La conta di Conte”. Il premier pensa di avere i numeri per vincere la sfida al Senato con i nuovi Responsabili

Giuseppe Conte

“La conta di Conte”. Il premier pensa di avere i numeri per vincere la sfida al Senato

Sono certo di avere i numeri per vincere la sfida in Senato. Si formerà un nuovo gruppo parlamentare, in entrambe le Camere, e sarà un fatto politico nuovo, come vuole il Colle. Voglio andare alla conta perché sono sicuro di vincerla”. Più o meno con queste parole, il premier ancora in carica, Giuseppe Conte, avrebbe spiegato a importanti ministri Pd – tra cui il capodelegazione dem, Dario Franceschini, ma non solo a lui, anche al ministro della Difesa, Lorenzo Guerini (capofila entrambi di due correnti dem non ‘zingarettiane’: Area dem il primo, Base riformista il secondo, Guerini) – che questa è la sua intenzione e la sua scelta politica in risposta al ritiro della delegazione delle ministre renziane e dell’appoggio parlamentare di Iv al governo Conte due.

I ministri dem, pur scettici, gli dicono: “Vai avanti”…

vai avanti

I ministri dem, pur scettici, gli dicono: “Vai avanti”…

I ministri dem si sarebbero dimostrati ‘scettici’, di fronte a cotanta sicurezza ostentata dal premier. Un esponente di rango del Pd sarebbe sbottato così, appena saputa la notizia: “Conte vuole suicidarsi per portarci alle elezioni con una sua lista e soprattutto imponendosi lui come ‘capo’ del centrosinistra, mettendo nell’angolo Zingaretti e Di Maio”. Eppure, il mandato del Nazareno, della delegazione dem e – molto meno – dei gruppi parlamentari dem (dentro ai quali ancora si spera di ‘rappattumare’ l’alleanza con Renzi e Iv, alleanza ormai in frantumi) è stato quello di dire a Conte: “se ritieni che sia opportuno lanciare una sfida simile, se pensi di avere i numeri e di vincere la sfida, vai avanti”.

ettore petrolini

Ettore Petrolini

Suona anche, certo, come un retro-pensiero (il famoso ‘vai avanti tu, che a me viene da ridere’ di Ettore Petrolini), ma tant’è. Del resto, “solo dopo che Conte avrà esaurito il suo, folle e improbabile, tentativo di vincere la conta in Senato”, spiega una fonte parlamentare democrat che di certo non ama il premier, “si potrà aprire la possibilità di dare vita a un governo Franceschini (o Guerini) che rappattumi la maggioranza andata in pezzi e fondi un nuovo patto che, stavolta, duri davvero fino alla fine di questa legislatura”.

La paura del parlamentare di andare a casa ‘fa 90’…

La paura del parlamentare di andare a casa ‘fa 90’

La paura del parlamentare di andare a casa ‘fa 90’

Ma se l’alternativa più concreta, una volta spazzato via da Renzi, come da Conte, il Conte ter – continuano nel loro ragionamento fonti dem vicine a Franceschini – restano solo le urne, e di conseguenza il solo governo che resta da fare è il governo elettorale per arrivarci cui ci porterebbe il Colle, è possibile che Conte, alla fine, i Responsabili li trovi. Non foss’altro che per la paura dei parlamentari di andare a casa”. E pure in casa renziana la pensano allo stesso modo, tanto che ieri sera il leader di Iv lo ha detto esplicitamente: “ci sono motivi nobili, come l’elezione del prossimo Capo dello Stato, e motivi meno nobili, e cioè che tanti onorevoli dei 5Stelle il prossimo scranno lo vedranno col binocolo e dovranno tornare tutti alle loro occupazioni precedenti, dal fare gli steward all’Alitalia al lavorare in un call center, per pensare che alle elezioni non si andrà e un governo si farà”.

Nascerà il governo ‘Conte-Mastella’? E grazie a chi? Mastella, certo, ma poi? I ‘Responsabili’ insospettabili

che governo nascera

Che governo nascerà?

Già, ma quale governo? Un governo ‘Conte-Mastella’ come Renzi irride il premier (“dopo il Conte-Salvini e il Conte-Zingaretti stiamo per vedere nascere il Conte-Mastella!”), oppure un governo a guida dem o un governo istituzionale, di tutti, a guida Draghi, o un governo elettorale Cartabia?

I renziani, ovviamente, se la ridono: “Conte, cercando la prova di forza, si è suicidato da solo. Ora avanti un altro, tanto un governo si farà e i grillini se lo berranno. In ogni caso, se proprio il premier ci tiene e vuole sfidarci, sarà un piacere andare all’opposizione. Ci ci vede in aula!”. Già, Renzi il guanto di sfida l’ha lanciato, Conte vuole coglierlo.

Conte, come si è detto, è pronto a sfidare Renzi in Aula (“Se Renzi si sfila, mai più insieme a lui” è stata la minaccia recapitata, e in chiaro, ieri, già all’ora di pranzo) ed è sicuro, come fa sapere a dem e cinquestelle che l’operazione ‘Responsabili’ è ormai giunta a ottimo punto. E non solo perché, per suo conto un vecchio protagonista di altre stagioni di ‘Responsabili’ della Seconda Repubblica, Clemente Mastella (c’era con Cossiga e il suo Udr nel 1998 quando cadde il governo Prodi e nacque quello D’Alema, c’era nel 2008 quando fece ricadere il Prodi 2 con l’Udeur), si è già messo in movimento. In odio a Renzi, che ha il grave torto di aver svillaneggiato la moglie, lady Mastella, Clemente ha dato il via all’operazione Responsabili con tanto di – sottolineatura fantasmagorica, da vecchio diccì – “radicamento sul territorio, tra la gente specie al Sud”, una specialità della casa di Ceppaloni, regno dei Mastellas’…

Pronti alla pugna sarebbero, oltre a una decina di esponenti del gruppo Misto, altri senatori provenienti da Forza Italia, ma anche da “altri gruppi” non meglio specificati (delle Autonomie, probabilmente, e i tre dell’Udc) e persino “alcuni senatori renziani” (forse tre, forse quattro, pare).

I conti della serva al Senato. Il magic number non è 161

161

I conti della serva al Senato. Il magic number non è 161

La maggioranza teorica, a Palazzo Madama è fissata a 161, quorum per la maggioranza assoluta, ma potrebbero bastare 158 senatori per far proseguire la navigazione a Conte. Infatti, pochi sanno e quasi nessuno ricorda – ma il deputato dem Stefano Ceccanti, vox clamans in deserto, lo ricorda sempre, ma lo ricordano anche esimi costituzionalisti come Francesco Clementi, Andrea Pertici, Salvatore Curreri – che, in realtà, per ottenere la fiducia alle Camere non è scritto da nessuna parte che serve raggiungere il quorum della maggioranza assoluta (161 al Senato e 316 alla Camera, con il plenum delle due assemblee a regime). Quello, per capirci, che serve quando si vota, come pure presto si voterà, intorno al 20 gennaio, lo scostamento di bilancio che, come scritto in Costituzione, prevede una maggioranza assoluta, cioè appunto il quorum del plenum. Per la fiducia al governo, invece, come per le altre leggi, quelle ordinarie, basta e avanza la maggioranza semplice, e cioè che i sì battano i no. Morale, servono molti meno voti.

il deputato dem Stefano Ceccanti vox clamans in deserto lo ricorda sempre

Il deputato dem Stefano Ceccanti, vox clamans in deserto, lo ricorda sempre

A palazzo Chigi, inoltre, si sostiene che al Senato si deve tener conto, da un punto di vista politico, ‘solo’ dei 315 parlamentari eletti, e non dei complessivi 321, tra cui i sei senatori a vita. Ed è questa quota – 315 e ‘non’ 321 – che Conte mira a raggiungere. C’è, però un problema politico: il Regolamento del Senato impedisce la formazione di nuovi gruppi se privi di simbolo presentato alle ultime elezioni. Ergo, serve un simbolo, come quello dell’Udc (o di Noi con l’Italia o di altri) che alle elezioni passate è stato presente, ha preso voti e seggi. Senza un nuovo gruppo parlamentare, Conte avrebbe una maggioranza numerica, ma non politica. Ecco perché la ‘caccia’ ai Responsabili è anche una ‘caccia’ ai loghi e ai simboli presentati alle Politiche del 2018. Non a caso, fu solo grazie al ‘prestito’ che il senatore Nencini fece a Renzi del simbolo del glorioso Psi che Iv è riuscita a formare un gruppo al Senato, pur avendo ben più di 10 senatori, il numero minimo necessario per formare gruppi. Morale, la nascita di esperimenti, cartelli e movimenti estemporanei come ‘Italia 2023’ del senatore Fantetti (oggi nel Misto-Maie, ieri in FI) non servono alla bisogna.

CONTE BIS 1 1

Governo conte bis

Oggi il Conte 2 si regge su M5s (92 senatori), Pd (35), Leu (5), Autonomie (6), 9 senatori del Misto (quasi tutti ex M5s due) e Iv (18). In totale, sono 165 voti che tracollano a 147 se Iv rompe. Dal pallottoliere mancano 11 voti, per arrivare a quota 158. Un’apertura arriva da due ex M5s del gruppo Misto, De Falco e Giarrusso. Voci, sempre smentite, di un soccorso bianco dei 3 senatori dell’Udc e dei 3 di Idea-Cambiamo si rincorrono di ora in ora. Da FI arriva un ‘no’ secco a qualsiasi forma di ‘aiutino’ o di ‘prestito’, ma si dice che gli azzurri Dal Mas, Mallegni e De Siano siano già entrati in odor di contismo. I renziani ‘moderati’ e ‘tiepidi’ Parente, Comincini, Vono, Conzatti, vengono spesso dati in via di abbandono di Iv e in fuga verso il Pd, ma smentiscono. Altri senatori da recuperare sono 4 ex M5s oggi nel Misto che, fino a ieri, votavano contro il governo e che, invece, magicamente potrebbero ora cambiare idea. Insomma, i conti, per Conte, potrebbero anche tornare, e lui vincere la sfida in Aula ma potrebbe essere vittoria di Pirro.

Giorgetti dixit: “serve gruppo e fatto politico nuovo”…

Giancarlo Giorgetti

Giancarlo Giorgetti

Il “fatto politico nuovo” e il “gruppo parlamentare solido” che si deve costituire, come spiega un osservatore attento e che la sa lunga, il leghista ‘draghiano’ Giancarlo Giorgetti, sono i pre-requisiti indispensabili per convincere il Colle ha dare il via libera a una tale, assai spericolata, osservazione. Servono, appunto, ‘particolari’ tecnici non da poco: un simbolo non qualsiasi, ma depositato alle scorse elezioni, recita il nuovo regolamento del Senato varato da Grasso: in questo caso a farsi avanti sarebbe l’Udc di Lorenzo Cesa, anche se fonti parlamentari smentiscono che sia disponibile e altre che Pierferdinando Casini, antico leader dell’Udc, oggi senatore iscritto al gruppo Autonomie e diventato uno dei più cari amici, se non un vero mentore, di Renzi stesso, avrebbe ‘persuaso’ Cesa a non prestarsi a tale operazione.

L’expedit del Colle a Conte c’è o invece è non expedit?

Mattarella il colle arrabbiato

Mattarella, il Colle – ‘arrabbiato’, per usare un eufemismo, con Renzi quanto con Conte, che ritiene entrambi ‘folli’

Anche dal Colle arriverebbe un sostanziale expedit (si proceda) all’operazione, almeno così assicurano a Chigi e così garantiscono anche fonti dem vicine al Quirinale. Invece, ma anche molto ovviamente, fonti renziane come pure, in parte, fonti democrat ‘ostili’ a Conte, parlano di un altrettanto sostanziale non expedit all’operazione di Conte. Insomma, il Colle – ‘arrabbiato’, per usare un eufemismo, con Renzi quanto con Conte, che ritiene entrambi ‘folli’ – avrebbe chiesto a Conte “numeri, nomi e gruppi certi e certificati” altrimenti, avrebbe detto, ‘in Aula non ci vai’.

In realtà, solo oggi, concretamente, Conte salirà al Colle, per aprire ‘praticamente’ la crisi (formalmente ancora no, quello lo decide il Colle), una volta che Renzi avrà annunciato che toglie l’appoggio di Iv al suo governo, e Mattarella qualcosa dirà. Qualcosa di ufficiale, s’intende, con tanto di comunicato timbrato dal Colle che inizierà con la frase di rito: “Il Capo dello Stato ha ricevuto il presidente del Consiglio e…” ma in quell’‘e’ ci sarà dentro un mondo.

Cosa succederà a partire da oggi? Tutte le tappe

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Il Colle, Quirinale

Cosa succederà, dunque, a partire da oggi? Innanzitutto, Conte salirà al Colle per le dimissioni, oggi pomeriggio, dopo la conferenza stampa con cui Matteo Renzi formalizzerà il ritiro della delegazione di Iv dal Conte due e il passaggio del suo partito all’opposizione (“altro che appoggio esterno! Vuole la guerra e avrà la guerra!” dicono da Iv). Annuncio che verrà fatto in una conferenza stampa che si terrà oggi pomeriggio al Senato in diretta tv, dopo il cdm di ieri sera nel quale le ministre renziane si sono astenute, sul Recovery Plan, invece di votare contro: “passi in avanti”, nell’ultima bozza di Gualtieri, “sono stati fatti”, il concetto, ma “non bastano”: non c’è il Mes, etc. etc. etc.

Mattarella potrebbe ‘congelare’ le dimissioni di Conte

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Mattarella potrebbe ‘congelare’ le dimissioni di Conte

Mattarella potrebbe decidere di ‘congelare’ le dimissioni di Conte e invitarlo a formare un nuovo governo, il Conte ter, sulla base della maggioranza attuale (chanches pari a zero virgola). Un tentativo che potrebbe durare, al più, un paio di giorni. I precedenti – quelli che “il Colle ha nel cassetto, buoni per tutti gli usi, a seconda di cosa serve escono fuori” scherza, neanche troppo, un dem che frequenta il Colle, ci sono tutti, e a iosa. Goria nel 1987, congelato da Cossiga, non passò per le Camere, come pure Andreotti VI nel 1991, che sostituì in un batti-baleno, sempre grazie a Cossiga, ben cinque ministri della sinistra dc (tra cui un certo Sergio Mattarella, motivo per cui Berlusconi non lo votò quando Renzi avanzò il suo nome per il Colle) che si erano dimessi per non votare la legge Mammì che estendeva le concessioni nazionali alle tv private, l’allora Fininvest. Andreotti li sostituì in una notte, senza nessuna fiducia. Così Conte potrebbe sostituire le due ministre di Iv con altri (gli appetiti dei ‘Responsabili’, come si sa, sono notevoli, in casi come questi), far finta di nulla e andare avanti così…

Ma il Colle potrebbe anche avallare la prova di forza

prova di forza

Ma il Colle potrebbe anche avallare la prova di forza

Oppure il Colle potrebbe accettarne le dimissioni di Conte (ma è molto difficile, a questo punto, che Conte le rassegni) e passare in rassegna subito le possibilità di nuovi incarichi. Oppure ancora, potrebbe accettare che Conti vada in Aula per ‘illustrare’ quanto è accaduto in queste settimane e mesi, spiegare la situazione politica ‘nuova’ che si è creata e chiedere un nuovo voto di fiducia alle Camere. Si chiama, in gergo, ‘parlamentarizzazione’ della crisi e di solito non succede mai, in Italia: solo i due governi Prodi, nell’intera storia repubblicana, caddero in Parlamento, nel 1998 il primo e nel 2008 il secondo. Infatti, anche il terzo caso, quello del IV e ultimo governo Berlusconi, che si dice ‘cadde’ in Parlamento, non cadde, in realtà, nelle Camere (308 i voti), restò solo sotto la maggioranza assoluta alla Camera ma, andando da Napolitano, accettò di dimettersi. Certo è – come si fa notare al Colle, ma anche in ambienti parlamentari, “Mattarella non è Napolitano” nel senso che i due presidenti “hanno avuto ed hanno stili e storie diverse”.

 

“Mattarella non è Napolitano”. Due presidenti, due stili

Mattarella non e Napolitano

“Mattarella non è Napolitano”. Due presidenti, due stili

Traduzione: Mattarella non è un ‘interventista, non prevarica i poteri del presidente del Consiglio – il quale, se si sente, in cuor suo, di battere la via del voto di fiducia, ha tutto il diritto di farlo – e rispetta le prerogative altrui, sommamente quelle del Parlamento. Anzi, di più: Mattarella è un “parlamentarista convinto” e, come pochi, vuole incanalare la crisi nei suoi giusti binari, nelle Aule. Infatti, come tutti ricordano, i non expedit del predecessore di Mattarella sul Colle – il ‘comunista’ migliorista Giorgio Napolitano, uno che aveva fatto il ministro dell’Interno, prima ‘ombra’, dentro il Pci, e poi effettivo, con Prodi – sono risultati decisivi in più di un’occasione, almeno tre. Quando Napolitano volle impedire a Fini di andare alla conta per disarcionare Berlusconi, diede a quest’ultimo il tempo di sfilare a Fini parlamentari dietro parlamentari (2011). Quando, invece, l’anno dopo, Napolitano volle impedire a Berlusconi di cercarsi altri Responsabili (2012) lo obbligò di fatto alle dimissioni, anche se aveva i voti. Infine, quando Napolitano volle impedire a Bersani di trovarsi una maggioranza – che aveva alla Camera ma che non aveva al Senato, dopo le elezioni (2014) – il ‘veto’ del Colle fu decisivo nell’impedire al premier ‘pre-incaricato’ (Bersani, appunto) di andarsela a cercare e forse trovarla.

Insomma, Napolitano – come dimostrò anche facendo nascere prima il governo Monti (2012) e poi il governo Letta (2014) – faceva e disfaceva governi a suo piacimento, metteva in sella, o disarcionava, presidenti del Consiglio (non ultimo, nel 2015, proprio Matteo Renzi, peraltro). Ma Mattarella, come si sa e come si dice sempre al Colle, ‘non è’ Napolitano e non lo sarà mai: “Se Conte ci vuole provare è un suo diritto”, si dice in ambienti dem molto vicini agli umori del Colle, “dopo, però, se gli andrà male, resteranno poche vie alternative, oltre all’andare al voto”, si avverte.

Il Colle vuole ‘preservare’ un governo, quello che c’è o quello che ci sarà, per evitare le urne e i sovranisti…

ElezionedelCapodelloStato

Elezione del nuovo Capo dello Stato (febbraio 2022)

Eh già, perché se è vero che “Mattarella non è Napolitano”, come si sottolinea negli stessi ambienti dem ‘quirinalizi’, è anche vero che “il Colle attuale farà di tutto per evitare che una maggioranza di stampo ‘sovranista’ e ‘trumpiano’ prima vinca le elezioni, come sicuramente accadrebbe, poi si elegga, l’anno prossimo, il nuovo Capo dello Stato e, infine, magari, per sovrannumero, faccia uscire l’Italia dall’Euro e dalla Ue come ha già fatto la Gran Bretagna, al grido del ‘si può fare!’ e metta in discussioni le alleanze geopolitiche dell’Italia: quelle con la Nato e con gli Usa, dove il vento è cambiato, ora a guidarli c’è il dem Biden. Chiosa, o glossa, al ragionamento appena esposto questa: “Mattarella, forse lo si dimentica, oltre che un sincero cattolico-democratico, è stato il ministro della Difesa che, sotto il governo D’Alema, bombardò il Kosovo e la Serbia, come chiesto e comandato dalla Nato e gli Usa di Clinton . Una nota forse maliziosa, ma che a sua volta dice molto…

Le vie impervie del Colle se va male ‘la conta di Conte’: il governo Franceschini, il governo Cartabia, o Draghi

Lorenzo Guerini

Lorenzo Guerini

Ma quali e quante vie sono aperte, davanti e per Mattarella, se quella della ‘conta di Conte’ decidesse di precludergliela, oppure se, pur dandogli il suo placet, la conta finisse male?
Le vie, per quanto impervie, sono sostanzialmente solo tre. La prima, e la più canonica, classica e anche realistica, sarebbe un governo a guida del democrat Franceschini, con identica maggioranza giallorossa (e sempre con Iv, però, quindi è assai difficile) o un governo a guida di Guerini, stimato da tutti, anche e soprattutto dal Colle, il quale Guerini però allontana così l’amaro calice con i suoi: “il mio nome non esiste e io non sono per nulla interessato”.

Dario Franceschini 1

Dario Franceschini

Un governo Franceschini, dunque, che però risponderebbe alla logica-refrain, che tanto fa sorridere, dentro i dem, di “Giuda che vuole interpretare sempre la parte di Giuda…”. Come reagirebbero i 5Stelle? Per molti dem ‘non reggono che un governo Conte’, per altri ‘si bevono la qualunque’. E il ritorno di Iv in coalizione, come se niente fosse, sarebbe possibile? E LeU direbbe di sì? Forse, ma la via è ardua.

marta cartabia

Marta Cartabia

L’alternativa è un governo tecnico, a guida Cartabia (o Giovannini o Lamorgese o Cottarelli, qui con i nomi ci si può sbizzarrire…), ma sarebbe l’ultima carta, quella della disperazione. Si tratterebbe, infatti, di un ‘governo del Presidente’ – formula che al Colle non amano, anzi non vogliono proprio usare, e che era cara a Scalfaro – utile solo a preparare le urne anticipate, da tenersi molto probabilmente agli inizi di maggio, con il Rosatellum, cioè l’attuale legge elettorale (un sistema di base proporzionale, al 64%, ma con forte correzione maggioritaria, al 36%) e il taglio dei parlamentari a regime (il che vuol dire eleggerne 600 in luogo di 945, una falcidia che mieterebbe molte vittime, specie tra i 5Stelle, ma anche dentro Pd, FI, Iv, etc).
La vittoria del centrodestra, peraltro già da ora scontata anche se si votasse con il sistema proporzionale o con quello australiano, come il professor Ceccanti sa e insegna, sarebbe un dato di fatto, una certezza, ‘garantita al limone’. Ma, agli occhi del Colle, un governo elettorale, tecnico e tutto di nomina presidenziale, fatto di civil servant, sarebbe l’unica via per garantire “in modo civile e ordinato, ottemperando a tutti gli impegni interni e internazionali del Paese che resteranno aperti in questo difficile frangente” (Recovery Plan, dl Ristori vari, piano vaccini, dpcm sulle chiusure e le zone a colori, scuole da aprire o chiudere, etc). Questo, almeno, dice il Colle e, dietro di lui, annuisce il Pd.

mario draghi

Mario Draghi

Ma se il governo elettorale verrebbe di certo vissuto, dal Colle come dal Pd e da molti altri (Forza Italia in testa), come una iattura, allo stato resta ancora a rango di chimera quel ‘governissimo’ – a guida unica, quella di Mario Draghi l’ex presidente della Bce, oggi semplice ‘Cincinnato’ – che appare, almeno ad oggi, lontanissimo e improbabile. Causa l’ostilità di M5s, da un lato e FdI, dall’altro, anche se sia Iv che FI, per non dire del Pd, ci starebbero a pieni polmoni.

La ‘fantapolitica’: Renzi che appoggia un governo di centrodestra, Berlusconi che appoggia il governo Conte

fantapolitica

La ‘fantapolitica’: Renzi che appoggia un governo di centrodestra, Berlusconi che appoggia il governo Conte

Infine, ci sono gli scenari da ‘fantapolitica’. Un governo di centrodestra appoggiato all’esterno dall’Iv di Renzi o addirittura con Renzi che pretende di fare lui il premier (l’indiscrezione l’ha lanciata ieri il collega Carlo Puca) oppure un governo Conte di centrosinistra (Pd+M5s+LeU) con l’appoggio esterno di… Forza Italia, operazione cu -ennesima voce impazzita di ieri – Berlusconi avrebbe dato il suo placet in ‘odio’ a Renzi, “un uomo infido e viscido”, lo avrebbe bollato il Cavaliere, “di cui non mi fido più, ormai”.

Si vedrà. Una cosa è certa. Si andrà allo show down in aula e, come gridava il protagonista del film Highlander, “ne resterà in piedi solo uno!”, tra il premier e il leader di Iv. Se a Conte andrà male, invece, si vedrà tutto un altro film, a partire dalle consultazioni al Quirinale che, a quel punto, diventeranno formali e metteranno la crisi su altri binari.