“Il Giorno del Giudizio”. La paura fa 161 (e 315) al Senato come alla Camera. Conte alla ‘conta’ della fiducia

“Il Giorno del Giudizio”. La paura fa 161 (e 315) al Senato come alla Camera. Conte alla ‘conta’ della fiducia

18 Gennaio 2021 0 Di Ettore Maria Colombo

Sommario

“Il Giorno del Giudizio”. La paura fa 161 al Senato e 315alla Camera. Conte affronta la conta, la fiducia in Parlamento. Tutti i numeri e le combinazioni possibili.

 

“E se dovessimo finire sotto pure a Montecitorio?!”

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L’aula della Camera dei Deputati

“E se, dopo tutte queste menate sul quorum del Senato, il governo e il premier dovessero finire sotto alla Camera?”. La domanda se la fanno, un po’ sconcertati, deputati dem che, non a caso, hanno messo in atto, negli ultimi giorni, una aggressiva campagna acquisti proprio a Montecitorio.

Con tutti i fari puntati su palazzo Madama, infatti, nessuno ha pensato – o, meglio, ci hanno pensato in assai pochi – che il rischio, per la ‘conta di Conte’, non alberga solo tra gli scranni del Senato. La paura nel governo di non avere a favore una maggioranza ampia cresce anche alla Camera, dunque, e cioè dove, oggi, a partire dalle ore 12, il premier Giuseppe Conte chiederà la fiducia prima di tutto su sé stesso. In gergo parlamentare si parla di ‘comunicazioni’ del Presidente del Consiglio cui segue il voto su ‘risoluzioni’ presentate dai vari partiti, di maggioranza come di opposizione, quindi è facile prevedere le mozioni che saranno dalle due (mozione Pd-M5s-LeU-Misto/Responsabili/Costruttori e mozione delle opposizioni FdI-Lega-FI-Noi con l’Italia-Cambiamo), ma potrebbero essere di più – mozioni, rispetto alle quali, i gruppi di Iv si asterranno (va ricordato che il voto di astensione, recitano i regolamenti delle Camere, tecnicamente ‘NON’ si somma con i voti contrari). In ogni caso – ripetono a ogni più sospinto i dem e anche i 5Stelle – “basta che i sì battano i no” perché il governo vinca la sfida, maggioranza assoluta o semplice sia. 

Il Colle, però, non avrà nulla da eccepire sulla ‘semplice’….

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I corazzieri a cavallo al Colle

L’ultimo voto di fiducia, quello sulla manovra economica, al Senato è passato con 156 sì e alla Camera con 314 voti, in entrambi i casi un pelo sotto la maggioranza assoluta, e dunque con la maggioranza semplice il valore politico di un voto di fiducia su stesso ‘chiesto’ da Conte è diverso: peserebbe molto sulla solidità del governo, anche se dal punto di vista numerico, come ormai ben si sa, basta e avanza la maggioranza semplice pure per la fiducia. In ogni caso, però, la voce che arriva dal Colle è che “il Quirinale non avrà nulla da eccepire se la maggioranza sarà solo quella semplice” 

La precisione che arriva dai consiglieri del Presidente è questa: “se Conte chiederà la fiducia per andare avanti, gli basterà la maggioranza semplice o relativa dei voti espressi, non sarà necessario che al Senato il governo superi quota 161. Esistono almeno una trentina di precedenti al riguardo né la Costituzione pretende una maggioranza assoluta” quando si tratta di una votazione fiduciaria. Il Presidente della Repubblica non potrà, dunque, né vorrà mai, ‘costringere’ Conte a dimettersi. Tanto che secondo la prassi, Conte potrebbe non sentirsi in obbligo di salire al Quirinale, se non per un atto di cortesia istituzionale o proporre un rimpasto, nelle cose causa i due ministri da sostituire”

Alla Camera Conte pena: “troppe cose date per scontate…”

Numeri Ballerini

Alla Camera i numeri sarebbero ‘ballerini’

Anche alla Camera, dunque, i numeri sarebbero ‘ballerini’. “Trecentoquindici sì sono tanti – è il dato che rimbalza sulla chat dei deputati M5S – e i 28 renziani venuti meno tantissimi. Qui si stanno dando troppe cose per scontate”. Resta aperta ancor di più, a questo punto, la questione delle dimissioni di Conte e della nascita di un Conte-ter, con il premier e il M5s più orientati ad andare avanti con il ‘bis’ e il Pd meno convinto, che potrebbe chiedere, invece, un ‘ter’ e magari, chissà, chiedere o un mega ‘rimpastone’ a Conte o, se questi fallisse, direttamente un altro premier (dem). Un nodo di non poco conto. Proprio questa ambiguità del Pd avrebbe mandato all’aria l’ingresso nel governo dei centristi con il simbolo dell’Udc abbinato a quello del Ppe e benedetto dal premier, pronto a dare il suo imprimatur all’operazione. Un piano miseramente fallito ieri mattina dopo una telefonata tra il presidente dell’Udc Lorenzo Cesa e uno degli uomini più vicini al presidente del Consiglio, di stanza a palazzo Chigi. E così ora nulla più appare certo.

 

“Occhio che 28 renziani in meno anche alla Camera sono tanti…”

Pier Carlo Padoan

Pier Carlo Padoan

A Montecitorio la quota ‘politica’ da raggiungere, cioè il quorum del plenum, è di 315 sì, per il governo: sarebbero 316, ma uno scranno, quello lasciato vacante dall’ex ministro Pier Carlo Padoan, eletto con il Pd, non è stato ancora coperto, quindi il plenum dell’assemblea è fissato a 629 e il quorum a 315. “I 30 renziani venuti meno sono tantissimi”, nessuno lo nega, nelle chat grilline come in quelle dei democrat o di LeU. Basti pensare che, il 9 settembre 2019, il governo Conte II nacque con 343 voti favorevoli, 263 contrari e 3 astenuti, alla Camera, voti che comprendevano i 4 partiti di governo (Pd-M5s-LeU-Iv: 325) più una pattuglia di deputati del Misto. Se ai 343 si sottraggono i 30 deputati di Italia Viva si arriva a 313, un filo sotto la maggioranza assoluta, ma Iv ne ha appena persi due, che voteranno la fiducia a Conte, quindi il saldo, pur precario, torna sul filo dei 315 voti.

Infatti, come ormai è noto alle cronache, ben due parlamentari renziani, come ha fatto ieri Michela Rostan (ex LeU) e l’altro ieri Vito de Filippo (ex Pd), hanno annunciato che voteranno sì all’esecutivo, di fatto uscendo dal gruppo di Iv (che, con -2, scende a 28). Inoltre, almeno altri due deputati iscritti al gruppo di Iv (si parla di Giacomo Portas e Camillo D’Alessandro). Ma è anche vero che, per usare le parole di un pentastellato, “davanti a numeri così risicati non ci si può ammalare. Qui c’è il rischio che il governo cada per un raffreddore. E faccio presente che siamo da mesi tutti a rischio Covid…”.

 

I ‘Costruttori’, alla Camera, vanno chiamati in realtà i ‘Tabaccini’

I costruttori non crescono…

I costruttori non crescono…

Il punto è che l’operazione ‘Responsabili’, specie al Senato, si è sgonfiata, mentre alla Camera è andata un po’ meglio. Qui l’ha guidata l’ex diccì di cento Repubbliche, Bruno Tabacci, oggi vicino al Pd, a Zingaretti come a Bersani ieri. Di ‘Costruttori’, nel suo sottogruppo di Centro democratico, Tabacci ne ha portati, in pochi giorni, ben sette dai quattro che erano: ora sono arrivati 11, ma siedono ancora nel Misto perché bisogna essere in venti deputati, per formare un gruppo autonomo e poter pesare dentro la capigruppo, nei lavori parlamentari, nelle commissioni, in aula, etc.

Ma per un Tabacci che arriva e arruola parecchi ex M5s, recuperandoli dalla ‘Cayenna’ del gruppo Misto, e per un Maie che, come al Senato, sta stabilmente con il governo (sono in tre, alla Camera), come sempre fanno gli ‘italiani all’Estero‘, ecco fiorire, sempre nel Misto – una ‘Cayenna’ gonfia ormai di ben cinquanta (50) deputati – altri gruppi e gruppuscoli che invece siedono all’opposizione.

 

La ‘Cayenna’ del Misto (50 deputati): i ‘lupiani’ (12), i ‘popolari’…

maurizio lupi

Maurizio Lupi

Quelli di ‘Noi con l’Italia-Cambiamo-Usei-Alleanza centro’ sono molti di più dei ‘tabaccini’, ben 12, anche se sempre nel Misto stanno e li guida Maurizio Lupi. Milanese doc e ciellino doc, ex FI, ex Ncd, da anni tornato a casa, o meglio all’ovile, dentro il centrodestra, vicino a FI, ma anche alla Lega, Lupi ha più deputati dei ‘tabaccini’ (11) e nessuno di loro ha intenzione di schiodarsi da dov’è, cioè dall’opposizione. Poi, sempre nel Misto, ci sono quelli di +Europa-Azione civile (Calenda)-Radicali italiani, un fritto misto di Radicali ‘boniniani’ (due, tra cui Riccardo Magi) e ‘calendiani’ (altri due): sono quattro e voteranno contro o si asterranno. Infine, i tre sparuti deputati di Popolo protagonista-Alternativa Popolare-Psi: dovrebbero votare per Conte, ma si tratta di perfette, ‘anime perse’, di quelle che si ‘prestano’ al miglior offerente, ergo insondabili fino all’ultimo minuto, quando – in una manciata di secondi – diranno sì o no.

Infine, ben 13 sono i deputati che siedono nel Misto, ma non sono iscritti a nessuna componente: anime perse pure loro, come direbbe Gogol: per lo più ex grillini – reprobi o cacciati o auto-esiliatisi dai 5Stelle – che pur di non ‘tornare a casa’ voterebbero anche il ‘governo Belzebù’. Sono pro-Conte, come pure i 4 deputati delle minoranze linguistiche (Svp e Uv) che, storicamente, votano sempre per chi è al governo.

 

Alla Camera, alla fine, i ‘conti di Conte’ dovrebbero tornare…

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Il voto favorevole quasi scontato dell’ex ministro M5s Lorenzo Fioramonti.

Insomma, i conti dovrebbero sorridere a Conte, alla Camera. Si parte da questi blocchi di partenza: 92 Pd+191 M5s+12 LeU che da soli – e al netto delle assenze congenite ed endemiche, delle malattie (Covid e non) e dei deputati cosiddetti ‘in missione’ (cioè impegnati a fare altro…) contano su un gruzzolo di 295/297 voti, rispetto alla maggioranza dell’altro ieri, quella con Iv, perché vi vanno sottratti i 28 renziani, anche se in aggiunta vi sono i due ‘ritorni’ al Pd (De Filippo e Rostan).

A loro vanno sommati i deputati del gruppo Misto (fra loro alcuni che hanno sempre votato con la maggioranza e altri neonati ‘Costruttori’): i ‘misti’ pro-governo sono tra i 18 e i 21. Si arriverebbe così a un totale di 315-318 voti, al massimo. La maggioranza assoluta di 315 (316-1, Pier Carlo Padoan, presidente designato di Unicredit, che ha lasciato la Camera senza essere stato ancora sostituto) potrebbe essere superata se arrivassero nuove adesioni da quella decina abbondante di deputati del gruppo Misto non ancora schierata e che la maggioranza cercherà fino all’ultimo di arruolare. Fra loro c’è, per esempio, il voto favorevole quasi scontato dell’ex ministro M5s Lorenzo Fioramonti, il quale, in procinto di fondare il gruppo ‘Eco’ (mai fondato), è un ‘Costruttore’ ante litteram.

Insomma, a fare la differenza, i casi della vita, sarebbero gli 11 ‘tabaccini’, i tre popolari, i tre del Maie e i quattro delle Autonomie, per un totale di 318 voti, cioè tre voti in più del quorum di 315. Il governo Conte passerebbe per un filo, magari grazie a qualche ‘sorpresa’ in arrivo dal Misto (area ‘non iscritti a nessuna componente’), ma potrebbe ambire a superare quota 318, soglia di sicurezza.

 

Anche sommati, centrodestra e Iv non impensieriscono Conte

Federico DIncà

Federico D’Incà

Facile il calcolo, invece, per i voti contrari: 130 Lega+33 FdI+91 FI fa 254 voti, la ‘base’ o ‘zoocolo duro’ dei voti del centrodestra all’opposizione. Anche se a questi 254 voti si sommassero i 28 di Iv, il centrodestra più Iv si fermerebbe non oltre i 284/285 voti. Troppo pochi per impensierì Conte. Ai voti del centrodestra, in ogni caso, vanno però sommati, almeno oggi, i 12 ‘lupiani’, forse i tre ‘popolari’, probabilmente i 4 ‘bonin-calendiani’. Insomma, l’opposizione di centrodestra può contare su 270/273 voti cui potrebbero aggiungersi dei voti singoli: con i 18 di Iv toccherebbe quota 290. Sempre troppo poco per poter impensierire il governo, anche se i numeri non sorridono neppure alla Camera. Una indicazione sull’operazione ‘Costruttori’ è arrivata ieri anche dal vertice dei capigruppo di maggioranza di oggi con il ministro Federico D’Inca: “Una riunione breve, molto tecnica. Non si è parlato di numeri”, riferisce uno dei partecipanti, ma non è vero. Il pallottoliere è stato sviscerato in ogni modo e per entrambe le Aule, ma il vero pallottoliere, ovviamente, si aprirà domani al Senato…

 

Ma il vero pallottoliere, ovviamente, si aprirà domani al Senato…

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Il ‘pallottoliere del Senato’ è fermo a quota 154, forse meno

Senato dove, però, ormai persino nella maggioranza si alza bandiera bianca: “L’operazione Costruttori si è sgonfiata”, ammette uno dei senatori che più si era speso in questi ultimi giorni per reclutare i ‘neo-Responsabili’. Già da almeno 24 ore il lavoro era apparso in salita, ma ieri dopo l’addio di una deputata di Iv (Michela Rostan), si era sparso, nel Pd e M5s, un po’ di ottimismo. Una nuova serie di contatti e riunioni, a palazzo Chigi, poi l’amara constatazione: il ‘soccorso’ a Conte con la nascita del nuovo ‘Gruppo dei Costruttori’ è già finito nelle secche. Una indicazione è arrivata anche dal vertice dei capigruppo di maggioranza di oggi con il ministro D’Inca: “Una riunione breve, molto tecnica. Senza numeri” viene riferito da uno dei partecipanti. Insomma, si sta scivolando sempre di più verso un passaggio parlamentare da sfida all’Ok Corral, come qui già scritto.

 

Il rischio di defezioni tra i senatori del Pd come dentro i 5Stelle…

M5S PD

Pd e M5S

Certo, al Senato, i voti pro governo spunteranno in extremis, ma “Conte non supererà i155-158 voti”, è la previsione che si fa in ambienti parlamentari di maggioranza che frequentano palazzo Madama, “e potrebbe perderne anche qualcuno per strada”, si vocifera dal Pd. Nel gruppo Democrat, peraltro, si teme ora la defezione di due pedine illustri: l’astensione di Nannicini (da sempre ‘fuori linea’ rispetto alla linea del Nazareno) e Luigi Zanda, sempre più critico su Conte e il suo governo. Inoltre, nei 5Stelle si temono ‘sorprese’ e cioè esodi dell’ultima ora di un gruppetto di grillini verso Lega e FdI: farebbero crollare la maggioranza persino sotto la soglia di 151 voti, e sarebbe un bel disastro.

 

Calcolatrice alla mano, i ‘conti’ di Conte proprio non tornano…

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Calcolatrice alla mano, i ‘conti’ di Conte non tornano…

Calcolatrice alla mano, dunque, anche i più ottimisti fra i supporter del premier vedono come un miraggio di poter arrivare a quota 156 voti al Senato. Inumeri certi e certificati dicono ‘solo’ 151.

Al Senato, infatti, dove la maggioranza assoluta è di 161 voti, i voti sicuri per Conte al momento sono 150-151. Una cifra data dalla somma dei senatori del M5s (92), del Pd (35), del ‘Maie-Italia 2023’ (ad oggi sono 4) e di Leu (6), cioè lo zoccolo duro della maggioranza di governo che, solo grazie ai 18 senatori di Iv, arrivava fino all’altro ieri, quando i giallorossi governavano, a quota 155.

Quota che doveva in ogni caso essere integrata e corroborata dalle Autonomie (9 voti) per superare la maggioranza assoluta e arrivare almeno 163 voti, due voti in più della maggioranza assoluta. E voti che diventavano 165/166 solo coi senatori a vita. Ergo, -18 di Iv la maggioranza tracolla a 150.

Leu, ovvero i veri, e ultimi, ‘pretoriani’ di Giuseppe Conte…

Loredana de petris

La capogruppo del Misto al Senato Loredana De Petris

I senatori di Leu (4 eletti e un ex M5s arrivata nel tempo), sono ormai diventati i veri ‘pretoriani’ di Conte: i loro voti sono granitici. Siedono a loro volta nel gruppo Misto, il cui capogruppo è la ‘pasionaria’ di sinistra Loredana De Petris. All’interno del gruppo Autonomie, i voti per il governo dovrebbero essere quelli di 8 senatori su 9, così suddivisi: 4 delle minoranze linguistiche, SVP-Patt-Uv, più due singoli, l’ex leader dell’Udc, Pierfendinando Casini e l’ex dem trentino Gianclaudio Bressa, eletti con il centrosinistra che votano sempre con il governo, e un ex M5s, Mariotti.

In più, sarebbe in arrivo, il senatore a vita Mario Monti (ma non è ancora detto: l’ex premier pone a Conte molte condizioni), iscritto al Misto come Luciana Segre – che ha annunciato il suo voto favorevole – mentre, se potesse venire, di certo voterebbe sì pure Giorgio Napolitano, mentre quello di Elena Cattaneo (come Napolitano iscritta al gruppo delle Autonomie) dovrebbe essere un sicuro sì. Nessuna notizia di due a vita, Rubbia e Piano, che non vengono mai, non iscritti ad alcun gruppo.

 

I Costruttori dovevano essere almeno 13/15, non sono più di 4/5

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Costruttori: numeri ‘favolistici’ dati per giorni da palazzo Chigi

E, infine, finalmente, ecco i ‘Costruttori’, ma per ora assai pochi rispetto ai numeri ‘favolistici’ dati per giorni da palazzo Chigi come dal Pd e M5s, che ne contavano almeno 13/15. Invece, a oggi, si contano, i ‘Costruttori’, sulle dita di una mano: Sandra Lonardo (ex FI, moglie di Clemente Mastella), gli ex M5s Maurizio Buccarella e Gregorio de Falco, forse altri due (seppure) e l’indipendente di sinistra napoletano Sandro Ruotolo (Misto) che andranno ad aggiungersi ai quattro del Maie.

Riccardo Nencini

Riccardo Nencini

Il conto, però, include anche Riccardo Nencini: senatore eletto nel centrosinistra, ex segretario del Psi, ha dato lui il simbolo a Renzi per permettere la formazione del gruppo Iv-Psi al Senato: oggi pencola, di ora in ora, tra l’astensione e il sì a Conte. In questo modo, però, la maggioranza si ferma a quota 155 e potrebbe superarla solo grazie all’apporto massiccio del voto dei senatori a vita….

Conte, dunque, potrebbe arrivare a 156/158 voti solo se fossero presenti in aula e votassero almeno tre senatori a vita – Segre, Cattaneo e Monti – e potrebbe sfiorare quota 161 voti solo se i Costruttori riusciranno a imbarcare gli ex M5S Lello Ciampolillo e Luigi di Marzio. I calcoli si sprecano ma i numeri restano incerti perché si basano sulle presunte defezioni di alcuni esponenti di Italia Viva – l’Opa degli emissari di Conte sui renziani non si è mai interrotta – e danno per scontato che Iv si astenga, come annunciato. Ma in queste giornate di colpi di scena, nessuno dà niente per scontato. 

 

Renzi gonfia il petto: “Conte non asfalterà né me né il Senato”

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Renzi gonfia il petto: “Conte non asfalterà il Senato”

Matteo Renzi – ieri ospite a ‘Mezz’ora in più’ su Rai 3 e alla sera all’Arena di Massimo Giletti (la 7) (in pratica, nell’ultima settimana, Renzi è stato ospite fisso in tutti i talk show politici italiani di tutte le reti…) – si dice convinto che “il governo non ha il quorum” e che “Conte non mi asfalterà al Senato, come diceva”. Insomma, è chiaro che il vero ‘conto di Conte’ si fa al Senato. In maggioranza c’è chi ipotizza che, grazie al soccorso dei ‘Responsabili’, si arriverà a 158-159 voti a favore, il che significa che il Colle avrà di fronte a una maggioranza relativa, non assoluta, ma assai robusta, mentre Renzi non concede, come pronostico, più di 151-152 voti al governo, maggioranza relativa, o semplice, assai anemica e scarsa anche per il Colle. I calcoli più ottimistici del Pd si fermano a una via di mezzo, 155/156 voti ma con un altro problema non da poco. Come ‘contare’ i senatori ‘a vita’?

 

Come ‘si contano’ i senatori a vita già in pancia al governo?

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Come si contano i senatori a vita in pancia al governo?

I senatori a vita dovrebbero essere cinque, per legge, ma sono sei (cinque di nomina presidenziale: Piano, Rubbia, Cattaneo, Segre, Monti, più un presidente emerito, Napolitano) ma tra questi Napolitano è malato da tempo e non viene mai, in Aula, come invece faceva prima, la Segre – tipa tosta – quando può viene, ma è molto anziana, Piano e Rubbia al Senato non si vedono manco ai… concerti di Natale mentre la Cattaneo con Monti è già più assidua e normalmente vota col governo.

Naturalmente, i senatori a vita hanno tutto il diritto a votare, tanto che vengono conteggiati nel quorum di maggioranza (semplice o assoluta che sia), ma politicamente che valore ha una maggioranza che si ‘regge’ su 2/3 senatori a vita (Monti, Segre e Cattaneo i 3 sicuri per il governo)?

Insomma, restando fermo il ‘no’ politico e il ‘ni’ tecnico (astensione) di Italia Viva, si tratterà di mettere insieme, per Conte, una maggioranza relativa o semplice fragile e precaria, di volta in volta. Tecnicamente è possibile, ma “politicamente però un esecutivo fragilissimo”, ammettono fonti governative. Tra l’altro, il gruppo di Italia Viva a palazzo Madama tiene: salvo colpi di scena, non si hanno notizie di fughe di senatori renziani (Comincini, Conzatti, Vono e Cucca hanno tutti smentito).

Non è sia più sul tavolo neppure l’ipotesi che Riccardo Nencini ritiri il simbolo Psi al gruppo di Iv. Naturalmente, gli ‘appelli’ dei ministri e dei big dem e M5s ai renziani (ieri sono arrivati quelli di Boccia e Provenzano) e alle ‘anime perse’ del gruppo Misto, a farsi ‘costruttori’ e/o ‘responsabili’ si sprecano a ogni ora, ma quanto frutteranno, in termini numerici, per la fiducia? E poi, serve davvero raggiungere la maggioranza assoluta o basta e avanza, lo dice da giorni il Pd, quella ‘semplice’?

 

Il governo di minoranza è legittimo? La ‘lana caprina’ di casa dem

lana caprina

Questioni di lana caprina?

Si noti bene: la linea del Pd – decisa, espressa e corredata di dotti precedenti, paragoni e richiami storici e internazionali, da autorevoli dem come il deputato e costituzionalista, assai vicino al Colle, Stefano Ceccanti, o il senatore Dario Parrini, presidente della commissione Affari costituzionali (due ex renziani, peraltro, Parrini lo era in modo sfegatato: del resto, come sempre, a sinistra, il ‘nemico’ più perfido è sempre l’ex…) – è che nulla quaestio, e cioè che il problema neppure esiste.

I ‘governi di minoranza’, come li chiama Matteo Renzi, hanno piena legittimità a operare, in Italia come dimostrano i precedenti di diversi governi e pure altrove, in altri Paese europei e non (Parrini porta gli esempri della Spagna, con il governo guidato da Sanchez in carica dall’inizio, Olanda, Israele, etc.).

E, soprattutto non c’è scritto da nessuna parte – nella Costituzione ‘più bella del mondo’ come nei Regolamenti delle due Camere – che, all’atto del voto di fiducia, necesse est la maggioranza assoluta dei voti delle due Camere. Il cosiddetto, scioglilingua da barocchismo parlamentare, quorum del plenum, intendendo con quorum la metà più una dei componenti dell’assemblea e con plenum il totale, fotografato in quel preciso momento, dell’assemblea stessa. La questione, così posta, è vera e falsa allo stesso tempo. Vera perché così è, per i Regolamenti delle Camere e per la prassi costituzionale. Dal punto di vista tecnico e numerico, infatti, sia all’atto del voto di fiducia, come pure di altre importanti votazioni (conversione in legge dei decreti legge, dei dpcm, etc.), compresa la legge di Bilancio, la maggioranza assoluta dei voti, in una o in entrambe le Camere, ‘non’ serve, basta e avanza la maggioranza semplice, e cioè “che i sì battano i no”, come ripete il Pd da giorni, in una sorta di litania o giaculatoria infinita.

Ma, per votazioni importanti e cruciali come lo scostamento di bilancio, che sarà votato entro pochi giorni, subito dopo il voto di fiducia, o per altre votazioni come le riforme istituzionali (il caso di scuola è la dichiarazione dello stato di guerra si vota a maggioranza assoluta) serve la maggioranza assoluta.

I due governi Prodi (Prodi I, 1996-’98, e Prodi II, 2006-2008), cioè i due soli governi che, nella storia repubblicana, sono stati battuti in Parlamento, si dimisero in modo irrevocabile proprio perché sconfitti, anche se per un soffio, in entrambe le occasioni, mancando il quorum della maggioranza assoluta e solo in una delle due Camere (Montecitorio per il Prodi I nel 1998, palazzo Madama per il Prodi II nel 2008), anche se, fa notare Ceccanti,in entrambi quei casi successe che i ‘no’ batterono i ‘si’, cosa ben diversa“.

 

Senza maggioranza assoluta, di sicuro governi, ma non ‘regni’…

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Senza maggioranza assoluta, governi ma non regni…

Insomma, senza maggioranza assoluta governi, certamente (mediamente, in aula, il II governo Conte viaggia sui 150-155 voti al Senato e sui 310-320 voti alla Camera, quindi ben sotto il quorum del plenum), ma se devi fare cose importanti e cruciali per il Paese – proprio come quelle che il Capo dello Stato chiede da mesi, per dire – beh, allora la maggioranza assoluta, pur non restando un obbligo, costituzionale, è vivamente consigliata, almeno all’atto del voto di fiducia che un governo chiede quando nasce o quando va alle Camere per atti politici. Altrimenti, finisce che, a capo di un ‘governo di minoranza’ (stile Fanfani nel 1959 o Andreotti nel 1976-79 con il governo ‘della non sfiducia’ o delle astensioni, et similia…) sei di fatto come quella che, nel sistema politico Usa, si chiama ‘anatra zoppa’. Insomma, prima o poi, numericamente o politicamente, finisci male.

 

 

“Usque effusionem sanguinis.” Il Pd e Iv si fronteggiano come italiani e francesi alla disfida di Barletta, guardanodosi in cagnesco. Questo almeno fino a martedì, “poi però si vede”…

(Nb: questo articolo è stato scritto per il Quotidiano nazionale e pubblicato il 18 gennaio 2021)

 

disfida di barletta

Usque effusionem sanguinis.” Il Pd e Iv si fronteggiano come alla disfida di Barletta e si guardano in cagnesco. Almeno fino a martedì, poi si vede

“Meno due! Dopo Di Filippo, ecco che torna da noi anche la Rostan!” fanno la ola nel Pd nazarenico e anti-renziano, quello dentro il quale Renzi, ormai, è bollato alla stregua di come Giancarlo Pajetta apostrofò il Giulio Andreotti che aveva scaricato il Pci dai governi di solidarietà nazionale: “Con lui non prenderò più neppure un caffè alla buvette”.

I renziani – al netto di Renzi, che invece al Pd continua a mandare ambasciatori e offerte per un “governo insieme, che non parta da Conte, ma sulla base della ex maggioranza e con un premier che, stavolta, potrebbe essere il vostro…” – se la ridono, di rimando, pur se masticando un po’ amaro. In effetti, due deputati in meno in due giorni bruciano (il gruppo, da 30, ora scende a 28, con altri due in uscita, pare). “Sbagliano i conti – ribatte un pasdaran del renzismo – o forse li vogliono far male apposta. Segnalo che i due che hanno abbandonato Iv stanno nel gruppo alla Camera”.

Per reazione, i renziani ora fanno serpeggiare altro panico, sussurrando: “ma siete sicuri che Conte gode della maggioranza assoluta (315 voti su 629, manca un seggio, ndr.) anche alla Camera?”. La risposta negativa al quesito avrebbe, in effetti, del clamoroso, ma lo si saprà solo oggi.

Renzi, invece, ripete a ‘In mezz’ora’, da Lucia Annunziata (Rai 3) e alla sera all’Arena di Giletti (La 7) i suoi totem. Uno, “Conte non avrà la maggioranza al Senato e nessuno asfalterà nessuno” (“di certo non lui noi…” è il sotto-testo) e, due, “si può fare un nuovo governo, diverso da questo. Veti su Conte? Non metto veti sui nomi, il nome si vedrà”, ma è chiaro che pensa a un esecutivo a guida Pd (o M5s…), se non direttamente a un ‘governissimo’ di unità nazionale.

Prima, però, bisogna che Conte non ottenga la fiducia. E qui renziani e democrat diventano provetti costituzionalisti e almanaccano: per i primi, ‘sotto’ quota 161 (e quota 315) nascerebbe un governo ‘di minoranza’ precario e instabile, per i secondi ‘basta che i sì prendano un voto in più dei no” affinché il governo sia legittimo e in carica (tesi Ceccanti, deputato vicino al Colle, e tesi Parrini).

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Il costituzionalista e deputato del Pd Stefano Ceccanti

Chi ha ragione, per ora, non si sa, ma lo deciderà il Colle, a prescindere dalle opposte tifoserie e anche di altri scenari che, in queste ore, si affacciano (dimissioni preventive di Conte, re-incarico, etc.). Il punto restano i numeri al Senato.

“Dal nostro gruppo non se ne va proprio nessuno” dice Iv. In effetti, i 18 senatori di Renzi appaiono blindatissimi. Ieri, dopo Cucca e Parente, Comincini e Conzatti – che secca dice: “Basta con ’sta storia di mettermi tra i Responsabili!”, non si trovava un solo senatore renziano pronto al ‘salto della quaglia’. Anzi, si parla di almeno due senatori dem (Tommaso Nannicini e Luigi Zanda) che potrebbero fare ‘quota 20’, in merito alle astensioni, cioè sommarsi a Iv. Solo il ‘solito’ comunicato del socialista Nencini, insieme al giovane segretario del Psi, Maraio (vicino al Pd), lasciava adito ai dubbi: “Sì a un esecutivo autorevole dentro la stessa maggioranza di prima, ma allargata” la nota del Psi. Come voterà Nencini, martedì, rimane ‘un mistero avvolto dentro un enigma’, come Churchill diceva dell’Urss, ma certo è che, per ora, Pd e Iv si affrontano stile italiani contro i francesi alla sfida di Barletta, usque effusionem sanguinis: i primi tutti a difesa di Conte e i secondi all’attacco, anche se – come si sa – la scelta del gruppo di Iv sarà l’astensione.

“Fino a martedì pomeriggio procederemo l’un contro l’altro armati. Da mercoledì mattina in poi, a seconda di cosa è ‘davvero’ accaduto il giorno prima, decideremo il da farsi” tiene, però, aperta una porticina al dialogo un big dei dem. A stare a ieri, però, la temperatura restava quella solita, e cioè gli ‘zero gradi Fahrenheit’, la stessa della città eterna. Il Pd riunisce la Direzione e, con Zingaretti e Orlando, mette i sacchetti di sabbia a difesa della trincea di Conte. “Abbiamo promosso noi – dice il primo – il vertice del 5 novembre per spingere l’intero governo Conte a una stagione di impegno e rilancio. Una cosa è rinnovare, aprirsi, cambiare e mettersi in discussione, altra cosa è distruggere, aprire crisi al buio, l’opposto di migliorare azione di governo e affrontare i problemi delle persone”.

I pesi massimi dem avevano parlato già dalla mattina presto. Goffredo Bettini – ‘consigliori’ del premier come del segretario dem – è tranchant, con il Corriere della Sera: “Basta, Renzi è inaffidabile. Conte dà fastidio a tanti, votiamo la fiducia e torniamo a lavorare”. Graziano Delrio sospira con la Stampa che “la ferita di Matteo è troppo profonda, difficile che si possa ricucire”.

dietro conte ce dalema

“dietro Conte c’è D’Alema”, di Renzi l’arci-nemico

E, via così, durante la Direzione, anche tutti gli altri big (Orlando, Serracchiani, Fassino), tranne il povero Marcucci (“Renzi ha due capigruppo, al Senato: Faraone e Marcucci” è l’adagio che, al Nazareno, si recita da diversi mesi…). Non che il resto del vecchio Pci-Pds-Ds-Pd la pensi diversamente: “dietro Conte c’è D’Alema”, di Renzi l’arci-nemico, sussurrano in molti. “Bersani non smette di consigliare il premier” dicono altri, ben sapendo quanto ‘Pier Luigi’ abbia ancora un conto aperto con l’ex segretario del Pd che costrinse alla piccola, e fallimentare, scissione di LeU, un ‘partitista’ come lui. Romano Prodi, poi, non ne parliamo: ancora conta i renziani tra i 101 (ma il Prof, si sa, mantiene tutt’altro stile). “Anche Enrico Letta tifa Conte e lo aiuta” fanno la ola altri, conoscendo i pregressi tra i due ex premier a colpi di tweet. Infine, anche i due ex ‘Margheritini’ in teoria più vicini, almeno politicamente, da Renzi, Franceschini e Guerini, hanno accumulato tante di quelle delusioni (e colpi bassi, più nel caso di Franceschini, ed erano, a dirla tutta, reciproci) che non hanno alcuna intenzione di ‘fare pace’. Insomma, non si trovava un big che fosse uno, ieri, prima, durante e dopo la riunione della Direzione del Pd che lasciasse presagire la possibilità di una ‘porta aperta’ o lasciata ‘socchiusa’ a Iv. Fino a martedì. Dopo tutto può succedere.