“Il mio nome è ‘la Sfinge’…”. Draghi sale al Colle, ma non parla: ecco perché i partiti tremano

“Il mio nome è ‘la Sfinge’…”. Draghi sale al Colle, ma non parla: ecco perché i partiti tremano

12 Febbraio 2021 0 Di Ettore Maria Colombo

Sommario

“Il mio nome è ‘la Sfinge’…”. Draghi non parla con nessuno e nessuno riesce da giorni a parlare con lui…

la sfinge

Il premier forse neppure oggi salirà al Colle. Il guaio è che non ha dato garanzie sulle ‘poltrone’ alla sua larga, larghissima maggioranza: le scelte del premier sui ministri prescinderanno dai ‘desiderata’ dei partiti. I quali ‘tremano’ perché ancora non hanno capito quali saranno i ministri. Il tormentone del ‘manuale Cencelli’ e quello delle ‘quote rosa’. Il terrore corre sul filo (del telefono): “A te ti ha chiamato?”. “A me no, e a te?!”. “No…”. I big dei partiti e gli ex ministri nel panico…

Mario Draghi QUIRINALE

Draghi non parla e i partiti tremano.

 

NB: Questo articolo è stato pubblicato sul sito di Tiscali.it il 12 febbraio 2021

Le tappe formali della nascita del governo Draghi si allungano: quando scioglierà la riserva, Mario Draghi? Oggi, oppure domani oppure ancora domenica 14 febbraio, facendo nascere il ‘governo di San Valentino’? In ogni caso, solo dopo la salita al Colle, arriveranno gli altri atti formali: giuramento del governo al Quirinale e ‘rito della campanella’ con il quale si passano le consegne vecchio e nuovo premier.

campanella

Le tappe formali della nascita del governo Draghi: sciolta la riserva, giuramento e rito della campanella

Oggi tutti si aspettavano che Mario Draghi salisse al Colle per sciogliere la riserva e presentare al Capo dello Stato la lista dei ministri, ma sembra proprio che così non sarà: forse (ma siamo nel campo dei ‘forse’) salirà al Quirinale stasera, più probabilmente domani, sabato 13 febbraio, con giuramento del nuovo governo posticipato a domenica 14 febbraio, giorno di San Valentino, il che vorrebbe dire che potremmo chiamarlo ‘governo di San Valentino’, forse addirittura lunedì 16 … 

Ma restiamo nel campo delle cose ‘certe’. I presidenti del consiglio incaricati accettano sempre l’incarico con riserva e fanno sempre le loro consultazioni: solo una volta, nel 2001, Berlusconi fece a meno della formula di rito e disse a Napolitano che formava il governo e amen, forte del risultato elettorale arriso allora al Pdl. Una volta sciolta la riserva e presentata la lista dei ministri, Draghi accetterà formalmente l’incarico di formare un governo. Governo che presto è atteso al voto di fiducia da parte delle Camere, voto che si dovrebbe tenere tra martedì e mercoledì prossimi: un ‘giro’ doppio che stavolta partirà dal Senato. Senza la piena fiducia delle Camere, e quindi un voto delle Camere conferito a maggioranza assoluta, come si sa, il governo non potrebbe operare: sarebbe cioè – come è oggi l’attuale governo Conte – in carica solo per ‘il disbrigo degli affari correnti’.

Salone delle feste quirinale

Il salone delle Feste del Quirinale

Ma prima del voto di fiducia, altre formalità vanno espletate. Subito dopo aver sciolto la riserva, si terrà il giuramento del nuovo governo nel salone delle Feste del Quirinale, dove ‘giura’ ogni governo, nelle persone del presidente del consiglio e dei suoi ministri, con o senza ‘portafoglio’ che abbiano ricevuto e messo in tasca. Ma il Giuramento, quest’anno, causa Covid, sarà in formato ridotto e assai parco: mogli, figli e fidanzate non potranno sfoggiare i loro vestiti migliori per partecipare alla ‘festa’ che di solito organizza il Colle con tanto di ricevimento e dignitari della Nazione presenti in spolvero e pompa magna perché, appunto, bisogna adeguarsi agli attuali tempi bui.

rito campanella conte

Il rituale passaggio di consegne con il premier uscente, Giuseppe Conte

Al giuramento seguirà, entro poche ore, di solito nella stessa giornata, la ‘presa di possesso’ di palazzo Chigi da parte del governo entrante (premier e ministri) con il rituale passaggio di consegne con il premier uscente, Giuseppe Conte, che – così vuole il rito – gli passerà la campanella con la quale, nei tempi antichi, veniva richiamata l’attenzione perché iniziava il consiglio dei ministri (oggi basta un whats’app e arrivano tutti…). Insomma, oggi e domani si terranno, al Quirinale e a Chigi, le cerimonie di rito, ma quello che ancora non si sa è ‘quali’ nomi di ministri giureranno nelle mani del Capo dello Stato perché, da ieri, sull’argomento, è sceso un silenzio glaciale, e imbarazzato, da parte di Draghi e un frenetico attivismo, ma inutile, un dibattersi stile tonni nella tonnara dei partiti.

Il panico corre sul filo: “ma a te ti ha chiamato?”. “No…”

Il terrore corre sul filo

Il panico corre sul filo: “ma a te ti ha chiamato?”. “No…”

Il panico corre sul filo, del telefono, e angoscia tutti i partiti (ministri in testa): “ma davvero Draghi vuole fare ‘solo’ ministri tecnici? Ma davvero ci fa fuori tutti? Ma dobbiamo accettarlo per forza o possiamo ancora ribellarci? Possiamo minacciarlo di non votare la fiducia? Possiamo trattare?”. Queste le angosciose domande dei big, ma a cui mancano le risposte. Draghi, infatti, da giorni è muto, una Sfinge impenetrabile: non comunica, non sta sui social (nemmeno un po’, e qui forse esagera), non tiene conferenze stampa, non fa uscire spin più o meno circostanziati sui suoi pensieri e intenzioni. “Lui”, dunque, come già lo chiamano dentro i Palazzi, manco fosse una divinità, tace, e tutti gli altri parlano, ma come oche del Campidoglio che, impazzite, starnazzano.

oche del campidoglio

Tutti gli altri parlano, ma come oche del Campidoglio che, impazzite, starnazzano

Il problema di fondo è che il metodo Draghi non è solo laconico, è proprio silenzioso, impenetrabile, proprio come il sorriso della Sfinge. Lui tace e tutti gli altri parlano per lui immaginando, ma al buio più assoluto, il manuale Cencelli 4.0 del premier incaricato: “Il super ministero per la Transizione ecologica vale uno o vale due ministeri normali?” è la domanda più gettonata. I grillini hanno già messo gli occhi addosso a questa nuova poltrona: “Certo, se la desse a noi ci farebbe un gran favore. I nostri iscritti si tranquillizzerebbero” dicono i grillini, angosciati dai venti di scissione.

Il pentastellato Stefano Patuanelli, che era allo Sviluppo economico, si scalda, ma difficilmente Mario Draghi darà ai politici dicasteri di peso, quelli di spesa.

Patuanelli 1

Stefano Patuanelli (M5S)

“Ma a te ti ha chiamato?” è invece diventato il nuovo modo per salutarsi, tra i big, uomini che vivono, ormai, sulle macerie del partitismo, esponenti di destra e di sinistra (storica o meno che siano entrambe…). La risposta è sempre “No, a me no, e a te?” anche tra ministri oggi finiti in ‘castigo’ come bambini che non hanno fatto i compiti o che hanno ‘marinato’ la scuola. Se Draghi ha sondato qualcuno lo ha fatto direttamente tramite i leader dei partiti che andranno a comporre la maggioranza e di certo non ha svelato loro l’organigramma per non finire nel gioco dei viti incrociati.

Il premier incaricato ha deciso di rispettare pienamente l’articolo 92 della Costituzione secondo cui la squadra di governo deve essere scelta dal presidente del Consiglio insieme al Capo dello Stato. Quindi niente liste, niente mini liste, niente spifferi e nessuna possibilità di fare pressione. Solo tanti desiderata e autocandidature nel vento: “La verità è che nessuno sa niente, almeno per adesso”, dicono dai vertici dei partiti, allargando le braccia.

Mattarella

Il presidente Mattarella

Il timore diffuso – anzi il panico crescente – è che ai partiti possano arrivare solo quei ministeri e quei posti di governo e sottogoverno che vengono, da tutti i partiti, definiti degli “scartini”. Gli scarti, cioè, in termini di posti, peso specifico, prestigio, di ministeri che avevano. Quel poco che filtra è che il nuovo esecutivo sarà metà tecnico e metà politico, metà composto da uomini e metà da donne.

Ma il ‘metodo Draghi‘, che è fatto di discrezione e di silenzi, dovrà inevitabilmente e molto presto confrontarsi con il pubblico, i media, l’opinione pubblica, compresa la sua eventuale ‘gogna’. E venire rappresentato per iscritto – userà la mitica Bic o il pc? – nella lista dei ministri che consegnerà nelle mani del Presidente Mattarella.

Certo, un bigliettino – scritto a penna – hanno provato a consegnarglielo tutti, o quasi. Si narra che qualcuno ci sia riuscito e altri invece si siano sentiti rispondere, con grande cortesia, dal premier incaricato, «no grazie, non ce n’è bisogno, farò una proposta io».  Si narra solo, però, perché non si può affermare nulla con certezza. Nello stesso partito, che si tratti del Pd o di Forza Italia, circolano versioni diverse: «In qualche modo una rosa di nomi gli è stata recapitata», ma anche l’esatto contrario, ovvero «ci abbiamo provato e non ci siamo riusciti».

Quello che non è narrazione ed è certezza è che sono tutti rimasti al buio pesto. Di sicuro non ha risposto a nessuno e nessuno lo ha sentito al telefono, Draghi. A poche ore dallo scioglimento della riserva da parte di Mario Draghi, alla vigilia della presentazione della squadra di governo, leader politici, dirigenti di prima e seconda fascia, si sentono fra loro, tutti per porgere la stessa domanda: «A te ti ha chiamato?». Risposta costante e sconfortata: «No, nessuno, di certo non Lui…».

Ogni tanto si contatta anche Bankitalia, dove ieri mattina Mario Draghi ha trascorso alcune ore, e dove è stato segnalato anche Fabio Panetta, membro del board della Bce, grande stima reciproca.

È stato una coincidenza o qualcosa di più? Ognuno degli ex governatori ha un suo studio privato, in via Nazionale, ma chi conosce entrambi dice che il premier incaricato non ha alcun interesse a togliere un suo uomo di fiducia dalla Bce.

La ‘giornata’ di Draghi ieri è passata nel riserbo più assoluto

Draghi Mario

Mario Draghi

Certo è che, per tutta la giornata di ieri, il premier incaricato Mario Draghi è stato al lavoro, nella Capitale, prima al suo ufficio a BankItalia e poi alla Camera, su quella che sarà la squadra e i punti programmatici del suo governo. I riflettori ieri non stati puntati solo sulle scelte della squadra che compirà – o ha già deciso – l’ex numero uno della Bce. C’era molta attesa, infatti, per il risultato della votazione sulla piattaforma Rousseau in cui i militanti M5s erano chiamati ad esprimersi sul sostegno al futuro. I sì sono stati il 59,3% e i no il 40,3% con una partecipazione alla consultazione on line che è stata alta: 74.537 votanti, pochi meno di quelli che nel 2019 si sono espressi sul Conte II e il doppio di quelli che avevano votato il Conte I, nel 2018. L’esito rispecchia i desiderata dei vertici del Movimento, che per tutta la giornata hanno fatto in modo di rendere pubblico il loro voto favorevole a Draghi, ma i tanti no restituiscono fiato e forza all’opposizione degli ‘ortodossi’.

“Tristezza, per favore va via…”. Persino uno come Draghi deve attendere il voto su Rousseau… I 5stelle si avviano verso la scissione definitiva dell’ala guidata da Di Battista

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La Piattaforma Rousseau, il sistema operativo del M5S

Nell’attesa che si voti sulla benedetta piattaforma on-line, torna a farsi sentire, ma sui social, l’Elevato Beppe Grillo. Il garante M5S non parla, ma si limita a postare una foto che ritrae Draghi in bilico su un cornicione con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella che guarda da una finestra. Sotto l’immagine la scritta “aspettando Rousseau”. L’ennesimo sberleffo, del tutto immeritato, a Draghi, sintomo che la ‘pancia’ e la vecchia guardia del Movimento soffre il banchiere della Bce, e non solo l’ala oltranzista che, con Di Battista, annuncia, in pratica, la scissione dei pentastellati duri e puri: se ne andranno un pugno di deputati e senatori (sette deputati e sei senatori, pare) e un piccolo insieme di consiglieri comunali e regionali, ma anche qualche eurodeputato, soprattutto collocati nel Sud.

Anche gli altri partiti sono tutti in attesa, alla finestra…

in attesa alla finestra

Anche gli altri partiti sono tutti in attesa alla finestra

‘Alla finestra’ anche gli altri partiti. Il leader della Lega Matteo Salvini evita di alzare troppo la polemica, ma si limita a ‘suggerire’ al premier incaricato l’istituzione di un ministero per i disabili “anziché ministeri che già ci sono”. Chi invece dovrà assistere da Milano alle prossime tappe che porteranno alla nascita del governo è Silvio Berlusconi. L’ex premier, causa una caduta accidentale nella sua nuova villa romana che gli ha procurato una contusione al fianco, è stato costretto a far rientro a Milano per accertamenti. Poi, dopo aver trascorso la notte nella clinica ‘la Madonnina’, il Cav, fanno sapere da Fi, è tornato a casa “e già è al lavoro”. Infine, il Pd ha riunito la Direzione nazionale per dare il suo ‘via libera’ a Draghi: la relazione del segretario Nicola Zingaretti è stata votata all’unanimità, come ormai avviene sempre, nel Pd (ai tempi del Pci si sarebbe parlato di ‘voto bulgaro’), ed ha presentato diverse ovvietà contrabbandate per vittorie (“Non abbiamo bandierine da fissare”, il governo metterà in difficoltà altri, noi no” dice e intigna, riferendosi alla Lega) più le solite lodi sperticate per dei 5stelle in pieno marasma.

Fino ad arrivare al travisamento ‘orwelliano’ della realtà: “Senza l’asse politico tra Pd e M5s non ci sarebbe il governo Draghi” dice il vicesegretario del Pd Andrea Orlando, il quale – pur di non dover ammettere che Draghi è arrivato perché Renzi ha aperto la crisi di governo – si taglierebbe le mani.

Il ‘buio’ sui nomi dei ministri agita i sonni di tutti i partiti…

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Il ‘buio’ sui nomi dei ministri agita i sonni dei partiti

Il problema è che i partiti, che pure tramano sempre, ogni giorno, la loro tela, ora tremano di paura: non sanno nulla. E la convinzione, ormai quasi una certezza, che alligna e dilaga è che fino all’ultimo resteranno al buio. Il silenzio di Draghi agita i partiti, ancor più fa tremare i ministri uscenti, soprattutto quelli che confidano di avere ancora qualche chance. “Per ora a noi non risultano telefonate” assicura un big dei 5 Stelle. Più o meno stesse parole spese dagli esponenti degli altri partiti che si apprestano a prendere parte a una variegata maggioranza dal colore ‘arcobaleno’. Le mosse di Draghi, che era alla Camera quando ha appreso il risultato del voto della base grillina, angosciano tutti. La domanda che rimbalza nei palazzi romani è: “Ma ora Mario che fa?”.

Tempi duri per chi vive di pane e politica, anche se l’economista Draghi dimostra di saper maneggiare la materia con estrema destrezza: “La carta che ha giocato ieri, con l’ok al ministero della transizione ecologica chiesta da Grillo e giocata via associazioni ambientaliste, è stato un colpo da vero maestro”, ragiona un ministro uscente. Il premier incaricato, per ora, continua sulla linea del silenzio: persino sul ‘timing’ della salita al Colle e dell’insediamento vige il massimo riserbo. Una linea che potrebbe anche cambiare da qui a brevissimo perché il risultato del voto della base grillina ha definito in maniera chiara il perimetro della nuova maggioranza. Per ora, però, la tensione è palpabile, mentre il totoministri impazza e le telefonate rimbalzano tra i big di partito: “Niente?”, “Niente”, la domanda – o, meglio, il gemito – che tutti i big e ministri si ripetono l’uno con l’altro. E con un altro tormentone che sta agitando i partiti: le cosiddette (e maledette) ‘quote rosa’.

L’altro tormentone è quello delle (e sulle) ‘quote rosa’…

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L’eterno tema delle ‘quote rosa’ che mancano…

Una delle convinzioni che rimbalzano, complice l’ansia crescente, è che Draghi voglia una squadra equilibrata anche dal punto di vista della presenza femminile, “un 50-50”, sostengono diverse voci. E che questo indirizzo possa incidere anche nella scelta sugli ‘innesti’ politici che andranno a far parte del gabinetto del nuovo premier. Una decisione che manderebbe all’aria i ‘piani’ delle forze in campo, a partire dai dem che puntano su tre esponenti (Lorenzo Guerini, Dario Franceschini, Andrea Orlando), notoriamente tutti e tre dei bei maschietti. Ma anche i 5 Stelle che hanno sulla rampa di lancio Luigi Di Maio e Stefano Patuanelli, altri maschi come pure D’Inca, etc. Invece, sulla presenza di Giuseppe Conte in squadra continua a registrarsi grande incertezza.

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Fabiana Dadone, ex ministra alla P.A

Nonostante il premier uscente, nell’assemblea congiunta dei 5 Stelle, abbia fatto sostanzialmente un passo di lato potrebbe essere lui il nome giusto per il ministero di Transizione ecologica voluto fortemente da Beppe Grillo. Nel caso di una donna, per i 5 Stelle la favorita potrebbe essere Fabiana Dadone, ex ministra alla P.A. che può contare su un buon seguito nella base parlamentare ma anche nella fiducia dei vertici grillini. Mentre per il Pd il nome giusto potrebbe essere quello di Debora Serracchiani o dell’ex ministra (alla Difesa) Roberta Pinotti.

Apparentemente meno problematica, la questione quote rosa, per gli altri partiti coinvolti. In FI, infatti, occhi puntati – oltre che su Antonio Tajani – sulle due capigruppo Anna Maria Bernini e Maria Stella Gelmini, che godono di ottime chanches da giocarsi, mentre la Lega vanta la carta Giulia Bongiorno, su cui punta, e Iv non fa mistero di volere Teresa Bellanova in squadra.

Per i partiti minori l’ex ministra Emma Bonino potrebbe essere la scelta ideale. Di ‘NOMI’, in ogni caso, sono pieni, tutti i giorni, con i loro rispettivi totoministri i maggiori giornali e siti…

‘Giochiamo’ al toto-ministri, ma c’è assai poco da ‘giocare’…

totoministri

Toto Ministri

Il guaio è che, appunto, proprio nessuno ha certezze né sui nomi che sceglierà il premier incaricato e tantomeno sullo schema finale. Un misto di politici e tecnici? Una prevalenza dei primi sui secondi?

L’ingresso dei leader è condizionato non solo dalla disponibilità o meno di Zingaretti ma anche dalla possibile presenza, per alcuni ingombrante, di Salvini e persino da quella di Tajani. E non ultimo dall’offerta che arriverà da Draghi: ci saranno dicasteri di prima o di seconda fascia per i partiti? «Alla fine scontenterà tutti, ma tutti si diranno soddisfatti», continua un ex ministro. 

marta cartabia

Marta Cartabia

Al momento fra le poche certezze ci sono Daniele Franco e Marta Cartabia. Nel caso del direttore generale di Bankitalia, uomo di fiducia di Draghi, le caselle a disposizione sono due: o il ruolo strategico di sottosegretario alla presidenza del Consiglio o il ruolo più importante del governo ad eccezione di quello del premier, e dunque il Mef, ovvero la poltrona più alta di via XX Settembre.

Su quest’ultimo ministero restano in piedi due ipotesi: uno spacchettamento utile a dedicare una fetta di competenze alla riforma fiscale che dovrà essere adottata, oppure l’interim di Draghi e due viceministri d’area. 

Ernesto Maria Ruffini

Ernesto Maria Ruffini

In questo quadro sembrano in ascesa le quotazioni dell’attuale direttore generale dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, e c’è anche chi sostiene che non sia tramontata la conferma di Roberto Gualtieri. Un altro nome quotato è quello di Alessandra Dal Verme, ispettore generale per gli affari economici del Mef, esperta di programmazione economica: potrebbe avere un ruolo per l’attuazione del Recovery plan, magari come sottosegretaria alla presidenza del Consiglio.

Marta Dassu

Marta Dassù

In perfetta sintonia con il Quirinale, Draghi sceglierà il ministero dell’Interno, della Difesa, della Giustizia e degli Esteri. Al Viminale nel segno della continuità potrebbe essere riconfermata Luciana Lamorgese. Alla Giustizia in pole position c’è Marta Cartabia, già presidente della Consulta. Mentre per la Farnesina, oltre a Luigi Di Maio in caso di soluzione politica, corrono Elisabetta Belloni, segretario generale del ministero degli Esteri, e Marta Dassù. Per la Difesa non emerge finora una candidatura forte. Alle Pari opportunità è invece in lizza Linda Laura Sabbadini, oggi all’Istat.

Linda Laura Sabbadini

Linda Laura Sabbadini

Se i partiti non schiereranno i loro rispettivi leader, resterebbero in pole position alcuni big di peso dei partiti. Per il Pd in lizza sono in tre: Dario Franceschini, Andrea Orlando, Lorenzo Guerini.

In casa M5S ci sono Stefano Buffagni e Stefano Patuanelli, oltre a Luigi Di Maio.

Per Forza Italia ci sono Anna Maria Bernini, Mariastella Gelmini e Antonio Tajani.

E infine per la Lega Giancarlo Giorgetti, Riccardo Molinari, Massimo Garavaglia e Giulia Bongiorno.

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Raffaele Cantone

La new entry sarebbe Raffaele Cantone, ex presidente dell’Autorità anticorruzione: sarebbe destinato al ministero dei Trasporti con l’obiettivo di garantire l’assoluta trasparenza nella costruzione delle infrastrutture che sarà uno dei cuori pulsanti del Recovery fund. Categoria tecnico, o tecnico d’area? Dal Pd subito avvertono “non datecelo in carico a noi per toglierci un altro posto”.

Umberto Guidoni

Umberto Guidoni, l’ex astronauta

Daniele Franco, un tecnico, direttore generale della Banca d’Italia, è uno dei pochi punti fissi, forse, nello scacchiere del professore e sarebbe destinato al dicastero dell’Economia, anche se gira forte anche il nome di Ernesto Maria Ruffini, ora all’Agenzia delle Entrate.

La prima donna presidente della Corte costituzionale, Marta Cartabia, sarebbe stata designata per il ministero della Giustizia. Ma girano anche le voci più pazze. Come quella secondo cui ministeriabile sarebbe Umberto Guidoni, l’ex astronauta, che è stato europarlamentare della sinistra e ha lavorato alla Nasa. Si dice che in Europa abbia conosciuto Draghi e grazie a questo rapporto, oltre che alle sue qualità, potrebbe avere un posto da ministro. Così come l’ex ministro della Giustizia nel governo Monti, Paola Severino, potrebbe essere destinata alla Pubblica amministrazione.

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L’ex ministro alla Giustizia nel governo Monti Paola Severino (Photo Mauro Scrobogna /LaPresse)

Per quanto riguarda i partiti, i più grandi, Pd e M5s, sperano in due dicasteri, chiedendone almeno tre. Mentre, restando nella compagine dell’ex maggioranza, Leu e Italia Viva ne dovrebbero avere uno soltanto come pure i Responsabili di Tabacci e, forse, anche Più Europa-Azione della Bonino. Anche se ancora nessuna richiesta ufficiale è arrivata perché, dicono contriti gli sherpa dei partiti, “non sappiamo dove recapitarla e neppure come chiederla”: a riprova che il metodo Draghi che è stato loro imposto li rende timidi e impauriti. Temono di sfigurare, cercano lumi in tutti i Palazzi istituzionali ricevendo sempre la solita risposta: “Boh”.

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I nomi di punta per il Movimento sono quelli di Luigi Di Maio e di Stefano Patuanelli. Non è chiaro neanche se Draghi vorrà mettere le prime o le seconde linee dei partiti, quindi se portare con sé o meno i leader. Di Maio avrebbe comunque gioco facile non ricoprendo alcuna carica all’interno del Movimento. È chiaro che entrambi sperano in una riconferma – alla Farnesina e al Mise – ma soprattutto per lo Sviluppo economico appare però una possibilità remota trattando di un ministero molto tecnico con capitoli di spesa importanti. A sperare, ma con pochissime possibilità, per un posto nell’esecutivo, c’è anche il capo politico Vito Crimi. Mentre Federico D’Incà potrebbe essere riconfermato ai Rapporti con il Parlamento se Patuanelli dovesse uscire dalla squadra di governo.

Teresa Bellanova

Teresa Bellanova

Il Pd si espone invece con Lorenzo Guerini, ex ministro della Difesa, che però potrebbe essere scalzato da Andrea Orlando, molto vicino al segretario Nicola Zingaretti, si racconta in ambienti dem. Dario Franceschini, ex titolare del dicastero dei Beni culturali, potrebbe essere riconfermato.

In ambienti di Leu si cova l’aspirazione di vedere riconfermato Roberto Speranza al ministero della Salute, ma anche qui il nome che gira in realtà è quello di un tecnico: Franco Locatelli. Infine Italia Viva potrebbe vedere riconfermata Teresa Bellanova ma non si sa ancora bene in che ruolo.

SCHEDA. Anche gli scommettitori rischiano di ‘non’ prenderci 

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Il premier incaricato Mario Draghi incassa il sostegno di Forza Italia e Lega

Dopo le consultazioni con i partiti, il premier incaricato Mario Draghi incassa il sostegno di Forza Italia e Lega ma non scopre le sue carte, in vista dello scioglimento della riserva: i betting analyst di oddsdealer.com hanno già aperto le scommesse su un ministero per Antonio Tajani, un’ipotesi a 1,52 (il “no” è più lontano, a 2,25). Ancora più bassa, riporta Agipronews, la quota per il leghista Giancarlo Giorgetti: l’ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio è dato a 1,21, in vantaggio rispetto a Giulia Bongiorno (a 4,55) e a Gianmarco Centinaio (a 9,15). Tra i 5 Stelle scendono le quotazioni di Luigi Di Maio: l’ingresso nella squadra di governo è lontano a 3,02. In quota Dem, invece, potrebbe spuntarla Dario Franceschini, favorito a 1,15 su Andrea Orlando (a 3,02) e Lorenzo Guerini (a 4,55). Anche Roberto Speranza, attuale ministro della Salute, viene considerato della partita: un posto nel governo Draghi si gioca a 1,64.