“Non gioco più, me ne vado…”. Zingaretti si dimette e il Pd va nel panico. Mossa sincera per fare Cincinnato o tattica per farsi rieleggere

“Non gioco più, me ne vado…”. Zingaretti si dimette e il Pd va nel panico. Mossa sincera per fare Cincinnato o tattica per farsi rieleggere

5 Marzo 2021 0 Di Ettore Maria Colombo

“Non gioco più, me ne vado…”. Zingaretti annuncia le sue dimissioni da segretario e il Pd entra nel panico. Le dimissioni, però, il segretario le formalizzerà in Assemblea nazionale, dove gode di una larga maggioranza. E da questo fatto che nascono i dubbi.

E’ una decisione ‘vera’, e sofferta, quella di Zingaretti o una pantomima per farsi rieleggere, a furor di delegato, e bruciare così tutti i suoi avversari interni? Scenari di una crisi infinita, quella di un partito, il Pd, che ama logorare e ‘bruciare’, uno a uno, i suoi leader.

Nb: la prima parte di questo articolo è stato pubblicato sul sito di notizie Tiscali.it il 5 marzo 2021

‘Tertium non datur’… Le interpretazioni del beau geste di Zinga

Tertium non datur… Le interpretazioni del beau geste

Tertium non datur… Le interpretazioni del beau geste

Tertium non datur, quindi, per non dirla in latino, delle due l’una. O Zingaretti – schifato da tutti i suoi avversari, interni ed esterni al Pd che mette alla berlina per uno “stillicidio che non finisce” dicendo “mi vergogno che da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie” – vuole davvero ritirarsi nell’agro pontino, schifato dalle correnti e dalle loro brame e desideri di poltrone, posti e prebende.

 

La prima interpretazione: Zinga vuole fare il ‘Cincinnato’ semplice

il cincinnato

OLIO SU TELA NEOCLASSICO: IL CINCINNATO

Zinga, così, si metterebbe nella posizione, scomoda e comoda insieme, di fare ‘il Cincinnato’, cioè quello che ‘finge’ di ritirarsi dall’agone pubblico e politico ma solo in attesa di essere richiamato, e a furor di popolo. E dunque, forse già ottobre, quando si terranno le elezioni amministrative che si dovevano fare a giugno, candidarsi a sindaco di Roma. Sempre che, si capisce, i 5Stelle gli ‘tolgano di mezzo’ la Raggi, che della Capitale d’Italia è l’attuale sindaco, e che vuole ricandidarsi a tutti i costi costi quel che costi, cioè pure al ‘costo’ di perderla, la città, e di consegnarla ‘alle destre’.

Patrizia Prestipino

Patrizia Prestipino

Sono in pochi, in pochissimi, a pensarla così, ma tra loro c’è anche chi non ti aspetti, come la deputata riformista (nel senso di aderente alla corrente di Base riformista) e molto romana Patrizia Prestipino: lei – e pochi altri avversari interni di Zinga – credono che “Nicola voglia davvero ritirarsi dalla scena politica e fare Cincinnato. Solo in un secondo momento, in autunno, potrebbe accettare di farsi richiamare in servizio. Per fare, d’accordo con i 5Stelle e la Raggi, il sindaco di Roma…”.

Insomma, l’interpretazione delle dimissioni di Zingaretti sarebbe vera, schietta, umana, di uno che si è ‘stufato’. I suoi, dal suo staff (il portavoce Andrea Cappelli, i suoi fedelissimi, da Marco Miccoli a Cecilia D’Elia, da Marco Furfaro a Massimiliano Smeriglio) cercano, all’interno come all’esterno, di far passare questa interpretazione, e la ritengono la ‘sola’ giusta e vera, a dispetto di tutte le voci (malevole) che parlano invece di “mossa tattica”. “Vivete troppo in Transatlantico, un luogo malsano, e ne respirate tutti i miasmi” è l’accusa che gli zingarettiani rivolgono ai giornalisti. 

 

‘Il re è nudo’. Zingaretti molla tutto perché “è davvero stufo”?

zingaretti dimissioni

Zingaretti molla perché “davvero stufo”?

Nicola Zingaretti, a quanto apprende l’Adnkronos, aveva anticipato le sue intenzioni solo a pochi, pochissimi, dentro al Nazareno. Solo i fedelissimi, dunque, sapevano. Una decisione, si spiega, frutto di un’esasperazione verso lo stillicidio quotidiano delle ultime settimane. E di fronte al logorio interno, il segretario avrebbe deciso di dire basta e, come ha scritto su Facebook, di rompere “un assedio ingeneroso”, di uscire da una “morsa” divenuta insopportabile. “Che sia io o un altro il segretario del Pd, non è questo il punto, ma ora tutti sono messi davanti alle loro responsabilità”, sarebbe stato il ragionamento, a quanto si riferisce. Il re è nudo, insomma, e lo stesso ‘re’ lo rivela.

Valentina Cuppi Nicola Zingaretti

Valentina Cuppi e Nicola Zingaretti

Quindi resterebbero, non solo ‘vere’, ma confermate le dimissioni che il segretario presenterà alla presidente dell’assemblea dem, Valentina Cuppi, sindaca di Marzabotto, fedelissima di Zinga, una Carneade che è arrivata fino alle consultazioni al Colle e con Draghi e che presto potrebbe tornarci. La mossa di Zingaretti, assicurano i suoi, non è stata una giocata di poker, una strategia per farsi riconfermare. “Nicola non ne vuole più sapere” dicono i suoi, tra i quali, però, guarda caso, già in molti sperano che la mossa del segretario suoni la sveglia a tutti e che l’Assemblea lo rielegga.

 

Il coro che si leva unanime: “Nicola, non ci lasciare! Resta!”

Dario Franceschini

Dario Franceschini

Non a caso, si moltiplicano, come se piovessero, le dichiarazioni. Dal ministro alla Cultura, Dario Franceschini (Abbiamo sulle spalle non solo il destino del Pd ma una responsabilità più grande nei confronti di un Paese in piena pandemia. Il gesto di Nicola Zingaretti impone a tutti di accantonare ogni conflittualità interna, ricomponendo una unità vera del partito attorno alla sua guida”) a Luigi Zanda, franceschiniano, ex tesoriere, che pure aveva chiesto, anche lui, un congresso anticipato), che auspica l’assemblea respinga all’unanimità le dimissioni di Zingaretti.

goffredo bettini

Goffredo Bettini

E poi, ancora, ecco Andrea Orlando: “Occorre chiedere a Zingaretti unitariamente di ripensare la sua decisione. Il Pd in un momento così difficile ha bisogno di un riferimento affidabile per affrontare le sfide della fase che abbiamo di fronte”. Per non dire di Goffredo Bettini: “La decisione di Nicola Zingaretti mi addolora. Ne comprendo le ragioni. Spero ci sia lo spazio per un ripensamento. Il Partito Democratico ha bisogno della sua onestà, passione e intelligenza politica”.

sir biss

Parole, tuttavia, quelle di Orlando e Bettini, che a orecchie più smaliziate suonano come quelle di ‘sir Biss’, il consigliere dello sceriffo di Nottingham che combatteva Robin Hood nella favola del ‘Principe dei Ladri’ rivista e politicamente ‘corretta’ dalla Disney. Quelle di Orlando e Bettini, sarebbero, in buona sostanza, parole dette mentendo sapendo di mentire perché vengono da chi ha consigliato tale ‘mossa’ a Zingaretti e lo fa proprio per stanare e bruciare i suoi avversari interni.

Intanto, anche dall’area “Fianco a Fianco” (ex area Martina) arriva il sostegno del capogruppo dem Graziano Delrio:In un momento così grave e difficile per il Paese il Pd ha bisogno che Nicola, che ha sempre ascoltato tutti, rimanga alla guida del partito. Il dibattito interno è fisiologico e non deve essere esasperato. Ritroviamo insieme la strada”.

 

Base riformista e Giovani turchi spiazzati dalla ‘mossa’

la mossa

Tutti spiazzati dalla ‘mossa’

Restano, invece, silenti, per ore le due correnti di opposizioni, Base Riformista e Giovani Turchi, tra le più critiche, in questi giorni di polemiche interne, contro il segretario, su governo e alleanze.

Ieri, per tutto il giorno, sono state in corso lunghe riflessioni per valutare come reagire a una mossa, quella del segretario, che con il suo annuncio via Facebook ha letteralmente colto di sorpresa tutti, spiazzando dirigenti e parlamentari dem, specie quelli della minoranza.

guerini

Lorenzo Guerini

L’effetto si materializza a sera, quando arriva la nota di Lorenzo Guerini: “Mi auguro davvero che Zingaretti ci ripensi e ritiri subito le sue dimissioni”. Base Riformista, la componente che raccoglie il grosso dei parlamentari dem e che in questi giorni è stata protagonista di una dialettica aspra con il segretario, è dunque ‘costretta’ a confermare la fiducia in Nicola Zingaretti. A mancare all’appello, al momento, è l’altra area critica – contenuta nei numeri ma compatta – dei Giovani Turchi di Matteo Orfini. Gli unici a non essere mai entrati, peraltro, nella gestione unitaria che da anni governa il Pd.

 

Il Pd si ricompatta, per una volta in modo unanime, su Zingaretti

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L’effetto è che, appunto, dopo settimane di bombardamento, tutte le anime dem si ricompattano attorno al segretario cioè attorno al ‘bersaglio’ come si è auto-definito lo stesso Zingaretti nel post su Fb con cui ieri, totalmente a sorpresa, ha annunciato le sue dimissioni. Una decisione che i suoi definiscono “irreversibile” “Nicola non ne vuole più sapere” dicono all‘Adnkronos. Il segretario aveva anticipato solo a pochi intimi al Nazareno le sue intenzioni. Quella di dire basta, di rompere un “assedio ingeneroso”, di uscire da una “morsa” divenuta insopportabile. “Che sia io o un altro il segretario del Pd, non è questo il punto, ma ora tutti sono messi davanti alle loro responsabilità”, sarebbe stato il suo ragionamento, a quanto si riferisce. Ora il re è nudo, ma a giorni ci sarà l’assemblea nazionale del Pd. E in quella riunione i numeri per una riconferma di Zingaretti alla guida del Pd ci sono tutti, sono schiaccianti: attorno al 66%, compresa l’area di Dario Franceschini.

Roma palazzo del bufalo 03 largo del nazareno

Largo del Nazareno, ove ha sede il PD

Ma il segretario potrebbe rivedere la sua decisione. I suoi non danno per scontata la possibilità, anzi. Magari per candidarsi a sindaco di Roma? “Non è nei suoi piani”, assicura chi ci ha parlato. Intanto al Nazareno sono arrivate centinaia di mail e sono state tantissime le prese di posizione di segretari di circolo, eletti sui territori, segretari regionali, segretari provinciali e di federazione a sostegno del segretario. Caloroso quanto spontaneo consenso? No. Era tutto già organizzato, dal Nazareno: la tattica doveva essere ed è stata quella di creare il panico e poi coprire il vuoto…

 

La seconda interpretazione: il ‘regolamento di conti’…

La seconda interpretazione: il ‘regolamento di conti’…

La seconda interpretazione: il ‘regolamento di conti’…

Ed ecco che, dunque, si fa largo, specie nella minoranza, la seconda interpretazione della ‘mossa’ di Zinga, e cioè che, invece, l’obiettivo del segretario dimissionario sarebbe assai più machiavellico e, per una volta, Zinga non abbia giocato a scopone scientifico in spiaggia, ma a poker al Casinò. L’idea dunque è farsi rieleggere, per acclamazione, segretario del Pd per altri due anni all’Assemblea nazionale che si terrà il 13 e 14 marzo, ssemblea che Zingaretti e i suoi controllano manu militari.

La mozione Zingaretti, nel parlamentino dem, che decide vita e morte dei segretari e a prescindere dalle primarie, gode infatti del 65% di partenza (Martina aveva il 22%, Giachetti il 12%), insieme a Area dem di Dario Franceschini (10%), il che vuol dire che ha il 55% dei consensi solo lui, ‘Zinga’.

Solo che le due ex aree di minoranza non esistono più e i loro posti, dentro l’Assemblea (mille i membri con effettivo diritto di voto, circa duecento gli invitati permanenti ma senza diritto di voti), sono stati distribuiti, in modo proporzionale, a tutte le altre correnti, quindi di più alla mozione Zinga. Zingaretti sfiora così, con Orlando e Franceschini, il 77-80% dei voti, mentre Base riformista, la minoranza capitanata dal ministro Lorenzo Guerini e da Luca Lotti, sta, a spanne, sul 16-18%. Insomma, ‘se’ Zingaretti si ripresentasse candidato alla carica di segretario, il voto, all’interno di un’Assemblea che si terrà in modalità webinair, cioè da remoto, sarebbe, di fatto, un plebiscito.

 

Gli obiettivi di Zingaretti, quelli veri: rilanciare la sua egemonia

ANDREA MARCUCCI

ANDREA MARCUCCI

Ma gli obiettivi di Zingaretti e di dimissioni che, dentro la minoranza di Base riformista, vengono giudicate, nel migliore dei casi, da “irresponsabile” e, nel peggiore, da “giocatore di poker”, potrebbero essere tanti e diversi tra loro, ma di certo sono coerenti, lucidi, palesi. Il primo è quello di ‘addomesticare’ gruppi parlamentari riottosi e anarchici che non ne vogliono sapere, di seguirlo. Poi, sostituire il capogruppo al Senato, Marcucci, ritenuto “più renziano di Renzi”. Delrio potrebbe, invece, salvarsi, perché è più ‘gentile’ nelle sue critiche e più in sintonia con il segretario.

Nei gruppi parlamentari, infatti, ben 20 senatori su 35 e 31 deputati su 95, senza contare la nutrita pattuglia dei Giovani turchi, sono di Base riformista e fanno la maggioranza relativa, dentro i gruppi, mentre gli zingarettiani sono pochi, anzi pochissimi.

Graziano Delrio

Graziano Delrio

Il secondo obiettivo, quando si voterà per le Politiche (al Nazareno pensano, e sperano, che si voti a inizio del 2022, quindi non oltre un anno da adesso, e non nel 2023), sarebbe quello di compilare liste ‘affini’, finalmente, al mood e al pensiero della ‘triade’ che oggi regge il partito (Zingaretti-Orlando-Franceschini, ideologo e supervisor Bettini, ovviamente). Una triade che punta a tre obiettivi: stringere, ovunque, alleanze alle amministrative con M5s e LeU; mettere Conte a guida della coalizione dei Progressisti e, infine, presentarsi alle Politiche con questa formazione.

stefano bonaccini

Stefano Bonaccini

Last, but not least, il segretario dimissionario punterebbe a farsi rieleggere alla carica di segretario e proprio ora che è così pesantemente contestato, ma ‘solo’ a metà mandato. Zingaretti, infatti, è stato eletto segretario, vincendo le primarie in modo, va detto, trionfale, a marzo del 2019, quindi ‘scade’ tra quattro anni, esattamente a marzo 2023. Vuol dire, per lui, rilegittimarsi davanti agli occhi del ‘popolo democratico’, che già sta inondando il Nazareno di mail, tweet e post in cui tutti gemono e si stracciano le vesti al grido “Nicola ripensaci, non ci abbandonare ai renziani!” ma anche di impedire alla minoranza dem, gli ex renziani, appunto, di ‘logorare’ il segretario e ottenere, in autunno, un congresso straordinario. Un modo come un altro, dunque, per impedire che il ‘campione’ di Base riformista, ma anche del ‘partito dei sindaci’ e di molti altri soggetti dem, Stefano Bonaccini, possa scendere in campo e contendere, a Zingaretti o a Orlando o chi per loro, la leadership del Pd. Meglio, molto meglio, trincerarsi nella ridotta di M5s&Leu, il vero obiettivo di Zingaretti e dei suoi. 

 


NB: Questa parte di articolo è stata pubblicata sul Quotidiano nazionale del 5 marzo 2021

“E mo’ che succede? E mo’ so cazzi…”. Panico nel Pd

il cortile d onore

Cortile d’onore di Montecitorio

E mo’?” dice un deputato della minoranza ex renziana mentre, in un cortile di Montecitorio buio, freddo, deserto, legge le agenzie di stampa. “E mo’ so c.zi…”, gli risponde un altro suo collega di corrente, quasi urlando, al telefono.

E pecché?”. “Perché – spiega il secondo, più avvezzo agli interna corporis del Pd – le dimissioni di Zinga sono finte. Si farà rieleggere a furor di popolo dentro un’Assemblea che governa in modo militare. Poi chiederà le nostre teste, una a una. Da Andrea (Marcucci, capogruppo al Senato, ndr.) a Simona (Bonafé, segretaria della Toscana, ndr.). Forse solo Graziano (Delrio, capogruppo alla Camera, ndr.) si salva perché gli tiene botta e bordone. Infine, impedirà a Bonaccini (Stefano, governatore dell’Emilia-Romagna, ndr.) di logorarlo prima e di candidarsi lui a segretario poi, nei tempi che noi pensavamo per quando noi volevamo farlo noi il congresso, cioè in autunno. In ogni caso, a noi ci sta muovendo guerra. Ci vuole morti. Anzi, cadaveri. Dirà: o vi adeguate, e seguite la mia linea, oppure ve ne andate nel partito di Renzi, se vi prendono. E stato Bettini a consigliargli la ‘mossa del cavallo’…”. L’altro deputato, sconcertato, deglutisce e scuote la testa.

In effetti, sono proprio il disorientamento e l’incredulità i sentimenti che albergano, per ore, all’interno degli animi di quelli che sono considerati – da Nicola Zingaretti e dal suo inner circle – i ‘nemici pubblici numero uno’ del segretario formalmente ancora in carica, ma di fatto dimissionario.

 

L’incredulità e lo sgomento di tutte le correnti dem alla notizia…

luca lotti

Luca Lotti

Stiamo parlando di Base riformista, la minoranza interna che fa capo al ministro alla Difesa, Lorenzo Guerini, e al deputato semplice (che tanto ‘semplice’ non è) Luca Lotti. Quando la notizia prorompe ed erutta, prima su Facebook, poi sulle agenzie, la minoranza è davvero colta di sorpresa, come pure tutte le altre aree interne del partito.

Andrea Orlando

Andrea Orlando

Guerini, Lotti, Orfini, persino Franceschini, persino Orlando – formalmente sta dalla sua parte, in realtà sono molti i conti in sospeso che i due devono regolare, oggi e in futuro – non ne sapevano nulla, della decisione di Zinga di dimettersi. ‘Orlandiani’ che – da Antonio Misiani a Gianni Cuperlo – hanno chiesto apertamente un congresso, proprio come la minoranza degli ex renziani di Base rifo.

Franco Mirabelli

Franco Mirabelli

Franceschini, e tutti i suoi, a partire dal sergente di ferro Franco Mirabelli, soldato di Zingaretti e di ‘Dario’, neppure se l’aspettavano, la intemerata di Zinga. Come pure non se l’aspettavano i Giovani turchi di Orfini, le truppe raccogliticce di Delrio, i pochi fassiniani rimasti e tutti i vari rivoli e rivoletti che compongono il mondo dem, cioè quella congerie (o accozzaglia) di correnti e correntine.

 

Dall’incredulità al livore. La reazione rabbiosa degli ex renziani

cavallo troia renzi

“Un cavallo di Troia” di Renzi nel Pd

Passati, però, l’incredulità e la sorpresa, l’area e i componenti di quelli che vengono additati, dal segretario, al pubblico ludibrio –infatti nel mail bombing partito subito sui social per implorare Zingaretti di ‘restare’ a guidare il partito le accuse e le contumelie per gli ‘ex renziani’, i “cavalli di Troia di Renzi nel Pd”, si sprecano – mangiano la foglia e, seppur in forma anonima, sparano a palle incatenate. “E’ un irresponsabile”. “E’ un bastardo”. “E’ uno strz.” le frasi che corrono di voce in voce

alessandro alfieri

Alessandro Alfieri

Formalmente, si capisce, le reazioni sono fredde, gelide, condite solo da tanta diplomazia. Il coordinatore di Br, Alessandro Alfieri, si limita a dire che “durante una pandemia, il Capitano non scappa col pallone, non scende dalla nave, ma la guida tra i marosi, la barca, e la salva”. Parole che, però, nascondono disappunto, se non fastidio. Guerini – capofila di una corrente in piena ebollizione – rilascia una dichiarazione che è un capolavoro di (livida) diplomazia: “Mi auguro davvero che Zingaretti ci ripensi e ritiri subito le sue dimissioni. Abbiamo tra pochi giorni un’Assemblea durante cui, come sempre abbiamo fatto, discuteremo del futuro del nostro partito e anche del suo contributo fondamentale all’azione del Governo in un momento delicatissimo per il Paese. In un grande partito come il nostro è normale e legittimo che convivano posizioni diverse, ma tutti abbiamo a cuore il Pd e l’Italia”.

 

Un po’ di storia…. Quando è arrivato Zinga a guidare il Pd e come

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Nicola Zingaretti, neo segretario del Pd, ringrazia i suoi elettori alle primarie

Due anni fa Nicola Zingaretti è stato eletto segretario del Partito Democratico e oggi, a distanza di due anni esatti, il Pd si ritrova con un segretario dimissionario. Di fronte al bombardamento continuo che arriva dagli eletti di Base Riformista e da Matteo Orfini, con la prospettiva di farsi logorare e logorare il partito, Zinga annuncia le sue dimissioni e alla vigilia di una assemblea (il 13 e 14 marzo) chiamata a decidere fra un congresso delle idee (si chiama ‘a tesi’), sulla collocazione e l’identità del partito, e un congresso sulla leadership e, quindi, sul segretario stesso.

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I due leader della mozione “Sempre Avanti” Giachetti-Ascani

Era il 3 marzo 2019 quando, al termine di un iter congressuale durato quasi un anno, si celebrarono le primarie che videro trionfare il governatore del Lazio con il 66% dei voti. Zingaretti si presentava allora con la mozione Piazza Grande e lo slogan “Nicola Zingaretti, per cambiare”. Suoi avversari erano i renziani Roberto Giachetti e Anna Ascani, che si presentavano in tandem (12%), e la lista del segretario uscente, eletto in assemblea dopo le dimissioni di Matteo Renzi, Maurizio Martina (22%). Un assetto che non rispecchia però quello parlamentare: prima della sconfitta del 2018, infatti, Matteo Renzi redasse le liste sulle quali sarebbero stati composti i gruppi alla Camera e al Senato.

Matteo Renzi, Maurizio Martina

Matteo Renzi Maurizio Martina

Il risultato è che la maggioranza di questi gruppi è assai diversa da quella degli organi statutari del Partito Democratico, a larghissima maggioranza zingarettiana. Non solo: oggi fra i gruppi è molto forte la componente di Base Riformista che conta 20 senatori e 35 deputati ma che, però, non era presente al precedente congresso: i suoi aderenti erano, infatti, sparsi fra le fila renziane.

guerini lotti

Guerini Lotti

Solo dopo la scissione del partito operata da Renzi e la nascita di Italia Viva, Luca Lotti e Lorenzo Guerini ritennero necessario dare vita ad un’area “liberale e moderata” per contenere le spinte centrifughe che avrebbero portato il partito troppo a sinistra. In Base Riformista si accasarono la maggior parte degli ex renziani, ma non tutti, peraltro, perché altri stanno con Delrio. Consapevole di dover creare un filo diretto con i gruppi parlamentari e spinto dalla sua naturale propensione al dialogo e alla mediazione, Zinga ha inseguito da subito la stella dell’unità interna del partito.

 

La politica ‘inclusiva’ di Zingaretti verso le minoranze

Graziano Delrio e Andrea Marcucci

Graziano Delrio e Andrea Marcucci

Zingaretti, finora, si è ben guardato dal cambiare i capigruppo parlamentari scelti da Renzi, lasciando al loro posto sia Graziano Delrio che Andrea Marcucci (tra i primissimi a chiedere un congresso che rimettesse in discussione il segretario), ma ora è stufo di gruppi riottosi e ribelli. Ma se la sedia di Marcucci balla, quella di Delrio per nulla: pronto a sostenere, subito, la ricandidatura di Zinga, Delrio conserva troppi buoni rapporti col Quirinale e Chigi per rischiare di essere bypassato.

Anna Ascani

Anna Ascani, competitor di Zingaretti all’ultimo congresso, è divenuta vice presidente del partito

Soprattutto, Zingaretti ha formato l’ufficio di presidenza del Pd e la sua segreteria attingendo  piene mani dalle fila degli ex lettiani (Boccia, De Micheli) e delle ex renziane, ora dentro Base Riformista. Anna Ascani, competitor di Zingaretti all’ultimo congresso, è divenuta vice presidente del partito.

Con il Conte II Ascani diventa sottosegretaria, prima, e viceministra poi dell’Istruzione. Il governo Draghi la vede, infine, sottosegretaria di stato al Ministero dello Sviluppo Economico. Insomma, partita come ultra-renziana, Anna Ascani, oggi appare come una delle dirigenti più apprezzate dal segretario Pd. Ma non si può dire lo stesso di altre donne (Morani, Rotta, Zampa, etc.) segati senza troppi complimenti nella trattativa con il governo Draghi sul sottogoverno o sui vari e bei ministeri.

Mario draghi

Mario Draghi

Zingaretti ha puntato molto anche sul rapporto con Guerini che di Base Riformista è il leader con Lotti. Un rapporto fra due “pontieri”, si può dire, dato che entrambi gli esponenti sono considerati i campioni della mediazione interna, ma anche un rapporto che ha portato Guerini a ricoprire il ruolo di ministro della Difesa con il governo rosso-giallo, poi riconfermato dal premier Mario Draghi.

crach rottura

Il ‘crack’ del governo Conte II

Gli scossoni seguiti al ‘crack’ del governo Conte II, però, non hanno risparmiato questo rapporto. Guerini aveva chiesto, assieme a tutta la sua corrente, di procedere all’indizione del congresso “non appena ce ne saranno le condizioni”, ovvero dopo le amministrative – che si terranno in ottobre – e al termine dell’emergenza pandemica. Movimenti interni che non rendono facile ‘pesare’ con esattezza le correnti del Pd dentro l’assemblea che si riunirà a metà marzo. In ogni caso, considerato l’addio dei renziani, dopo la scissione, e la scomposizione dell’area che faceva capo a Maurizio Martina, in parte confluita nella maggioranza interna e in parte nella minoranza, la componente di Base Riformista è accreditata del 15 /18%. Nel 70/75% accreditato a Zingaretti si trovano anche i componenti di Areadem (la corrente di Franceschini), l’area Orlando, l’area Martina e la Ascani.

dimissioni zingaretti

Con le dimissioni di Zingaretti termina anche la gestione unitaria

Una maggioranza così ampia tale da poter anche respingere, e in modo schiacciante, le dimissioni del segretario e chiederne una riconferma proprio in assemblea, senza passare dal congresso. Ma questa è una partita che, eventualmente, si giocherà in punta di statuto. Al momento, l’unica cosa certa, è che con le dimissioni di Zingaretti termina anche la gestione unitaria e nel partito potrebbe aprirsi una fase di tutti contro tutti dagli esiti davvero imprevedibili. Se la ‘mossa’ di Zingaretti è stata, dunque, una mossa da abile, o da pessimo, giocatore di poker, lo si scoprirà molto presto.