Il metodo Draghi versione dem: in arrivo la ‘generalessa’ Pinotti, si scalda a bordo campo Bonaccini

Il metodo Draghi versione dem: in arrivo la ‘generalessa’ Pinotti, si scalda a bordo campo Bonaccini

6 Marzo 2021 0 Di Ettore Maria Colombo

Il ‘metodo Draghi’ in versione dem. Il Pd deve cambiare tutto se vuole sopravvivere e dunque si appresta a una vera rivoluzione interna. “Generale Pinotti, comandi!” è il nuovo grido di battaglia che mette d’accordo tutti.

Draghi, Pinotti Bonaccini

Il metodo Draghi versione dem: in arrivo la ‘generalessa’ Pinotti, si scalda a bordocampo Bonaccini

Per il post-Zingaretti, il Pd vuole affidarsi a una “generalissima”. Si scalda ai box Stefano Bonaccini…

 

Nb: Il succo di questo articolo per il mio blog è frutto della versione, ridotta, contenuta in due articoli usciti oggi, 6 marzo 2021, sulle pagine di Quotidiano Nazionale 

Mattarella Draghi

Matterella e Draghi

Il Pd, per cercare di ‘sopravvivere’ (vivere, ormai, è un’esperienza troppo forte e troppo ambiziosa) ha deciso di usare il ‘metodo Draghi’ detto anche ‘metodo Mattarella’: condurre una profonda e pensosa esplorazione delle sue energie migliori (le poche rimaste), cogliere il fiore migliore dal mazzo e metterselo all’occhiello, sperando che funzioni….

E, dunque, chi – dopo Zingaretti – per guidare il Pd? Lo deciderà, si sa, l’Assemblea nazionale del 13 e 14 marzo, ma nel frattempo i nomi girano vorticosi nel frullatore. E’ ovvio che senza un accordo di ferro tra le maggiori correnti (area Zingaretti/Bettini – Dems di Orlando – Area dem di Franceschini – Faccia a Faccia di Delrio – Giovani turchi di Orfini – Base riformista di Guerini e Lotti – etc etc etc) il nome del segretario (reggente, ponte o transeunte che sia) ‘non’ esce e che l’Assemblea finisce in rissa o in sparatoria degna di un film western (genere, però, spaghetti western all’italiana…).

In queste ore si sta cercando di chiudere l’accordo, ma quanta fatica! Le correnti si guardano in cagnesco, si temono, sospettano l’una dell’altra, si fanno gli sgambetti, litigano, si ostacolano. Insomma, siamo alla rappresentazione plastica di un partito da cui, non a caso, Zingaretti è fuggito a gambe levate proprio a causa, oltre che di un crollo di nervi, dell’auto-convincimento che “un partito così ridotto è irriformabile”.

matteo renzi

Matteo Renzi

Prima di lui cedettero, presero cappello e dissero addio, a un Pd “prigioniero delle correnti” e zeppo di “accoltellatori alla schiena”, il Fondatore (Veltroni) nel 2009, il post-comunista romagnolo (Bersani), nel 2013, il Rottamatore fiorentino (Renzi) nel 2018. Insomma, Zingaretti (ingerito, mangiato, triturato, digerito dal suo partito e dai suoi maggiorenti e dal suo vero cancro, le correnti) – è solo l’ultimo di una lunga schiera. Ma vediamo chi può, da metà marzo in poi, succedergli.

La ‘generalessa’ Pinotti salverà quel che resta del Pd?

pinotti

La generalessa Pinotti

Stiamo per affidare il Pd, o quello che ne resta, nelle mani di un generale. O, meglio, di una ‘generalessa’…” sbotta un deputato dem di lungo corso. La ‘generalessa’ si chiama Roberta Pinotti, è alta, bionda, ligure e soprattutto, ha fatto il ministro della Difesa, dove ha lasciato un ottimo ricordo di sé, oltre che il rispetto non scontato di generali e ufficiali. Per sua fortuna, inoltre, capisce di politica.

Ma soprattutto, per incidens, è ‘in quota’ Dario Franceschini nel senso che milita nella sua corrente, Area dem. Il ministro alla Cultura, in vista della corsa al Colle che si aprirà a inizio del 2022 e di un congresso che non vuole celebrare prima di allora (scadenza temporale su cui è d’accordo pure Guerini…), si sente più garantito, ovviamente, se a capo del Pd c’è una ‘sua’ che – non guasta nel Pd di questi tempi – è pure donna.

Gli altri nomi di donne che girano: Serracchiani, Ascani, etc.

Serracchiani

Debora Serracchiani

Ma i nomi di donne sono tanti: una è Debora Serracchiani. Friulana, è stata governatrice nella sua regione, vice di Renzi, sta nell’area di Delrio, ma è ‘figlioccia’ di Dario (il quale fu sublime: lei lo contestava e lui la sponsorizzò…). L’altro nome che pure gira, quello di Anna Ascani, è poco credibile: ex lettiana, ex renziana, è invisa a troppi, dentro il partito.

anna ascani

Anna Ascani

Infine, girà anche il nome della ex ministra ed ex capogruppo al Senato, Anna Finocchiaro, ma la tostissima ex magistrato siciliano, donna rigida e tutta d’un pezzo, ormai è più una ‘riserva della Repubblica’ (al pari di Livia Turco, per capirci) che una protagonista della vita quotidiana del Pd. 

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Anna Finocchiaro

Sarà dunque una donna a guidare il Pd? Potrebbe essere, e per la prima volta, nella storia del Pci-Pds-Ds-Pd anche se, a guidare un partito politico, la donna c’è e si chiama Meloni.

Maschi e alternativi, ma papabili: Orlando e Gualtieri

Andrea Orlando

Andrea Orlando

L’alternativa maschile, però, c’è e anche qui ha vari nomi. Il primo è quello di Andrea Orlando: il ministro al Welfare, che fino a ieri non voleva mollare la carica di ‘vice-Zinga’, cioè di vicesegretario, manco sotto tortura, ora scalpita per lanciarsi nell’agone e diventare subito leader. In continuità – più i meno, i due ormai si detestano – con la gestione di Zingaretti e la sua idea di alleanze e di partito.

Roberto Gualtieri

Roberto Gualtieri

Ma c’è anche un altro nome, Roberto Gualtieri: l’ex ministro del Mef nel governo Conte II è romano, di solida formazione dalemiana, è molto vicino a Goffredo Bettini e gode delle simpatie della sinistra interna (Cuperlo) ed esterna (la Cgil di Landini). Inoltre, la sua candidatura a sindaco di Roma, in cui pure crede, si fa sempre più ardua: i rapporti del Pd con M5s sono caotici, ma se i 5Stelle mollassero davvero la Raggi, a Roma serve un nome forte.

Zingaretti governatore del lazio

Il governatore del Lazio Nicola Zingaretti

Solo Zingaretti, che si ritirerà a fare ‘il Cincinnato’, per qualche mese, pur restando governatore, potrebbe assolvere a tale compito che è pure, da sempre, un suo grande sogno. Insomma, Gualtieri potrebbe ‘sacrificarsi’ per il suo partito.

Infine, girano anche, nel frullatore, i nomi di leader passati che, pur assai blasonati, sono del tutto improbabili o lunari: il Fondatore, Walter Veltroni, l’ultimo segretario del PPI, Pierluigi Castagnetti, e persino il leader dell’Ulivo, Prodi…

Le uniche due cose certe in vista del futuro congresso del Pd

guerini

Lorenzo Guerini

Al netto del toto-nomi, però, due sole cose sono certe. Il congresso anticipato non si terrà subito (forse entro il 2021, forse persino a metà del 2022: a quella data punta Guerini, per dire), ma nel frattempo il Pd un segretario ce lo avrà. E non sarà un ‘reggente’ o un ‘re travicello’, avrà pieni poteri.

Il nome del segretario uscirà l’Assemblea nazionale del 13-14 marzo del Pd che si terrà sotto forma di webinar, cioè da remoto, perché in tempi di Covid mille persone non le puoi certo riunire all’Ergife, e – quando uno dice le ironie della storia – saranno, di nome e di fatto, le ‘Idi di Marzo’ dem.

Insomma, un appuntamento da tregenda e al quale il Pd arriva nel pieno caos, in un totale marasma e in una guerra tra correnti che ricorda le peggiori scene della peggiore Dc.

Patrizia Prestipino

Patrizia Prestipino

Ieri, però, e anche questa va raccontata, è stato il day after l’annuncio delle dimissioni di Zingaretti. Fino alla notte precedente, cioè tra quando la notizia è comparsa sulle agenzie fino a sera, in molti – big, dirigenti, osservatori – si erano lambiccati il cervello sulla ‘mossa’ del segretario, pensando che si trattasse del “bluff di un pokerista inetto” o della “mossa del cavallo di uno che si crede di essere Renzi”. Solo Patrizia Prestipino – tosta, bella e grintosa deputata romana di Base riformista, ma che conosce Zingaretti e il suo inner circle, a causa di 40 anni di battaglie comuni a Roma e dintorni – aveva scritto nella chat di Br, dove il panico e i dubbi galoppavano potentissimi: “Calma e gesso, ragazzi, le dimissioni sono vere, Nicola non è un giocatore di poker, né bluffa, fa quello che sente”.

Le dimissioni di Zingaretti sono ciò che sono, “irrevocabili”

dimissioni zingaretti

Con le dimissioni di Zingaretti termina anche la gestione unitaria

Solo che praticamente nessuno, dai big in giù, gli crede. E così, i fedelissimi del segretario, ieri mattina, si sono pure tolti, con goduria, lo sfizio di smentire “le ricostruzioni politiciste di chi, come voi, cronisti e parlamentari, vive nel Palazzo. A noi il Palazzo fa schifo, infatti non ci mettiamo mai piede. Nicola si è dimesso perché era incazzato. Non stanco, ma incazzato sì, e pure tanto, contro tutti questi giochi e giochetti. Ma noi, a differenza degli altri, non facciamo ‘giochini’ come quelli che piacciono tanto a voi e agli amichetti di Renzi, come Lotti e Guerini. Noi siamo seri. Le dimissioni del segretario sono ir-re-vo-ca-bi-li”.

In effetti, a stretto giro, Zingaretti conferma pubblicamente, con una dichiarazione alle tv e alle agenzie, che così è. Ergo, tutti gli appelli e le mozioni degli affetti sono inutili. Il Pd deve eleggersi un nuovo segretario, e farlo subito.

Lo Statuto più arzigogolato del mondo, quello dei dem…

valentina cuppi

Valentina Cuppi

Infatti, lo Statuto più arzigogolato e astruso nella storia dei partiti politici europei – quello del Pd, appunto – equipara, di fatto, il Pd a un organo costituzionale e il rapporto tra segretario e Assemblea a quello governo-Parlamento. Peraltro, altra assurdità, lo Statuto del Pd è ricalcato sulla democrazie parlamentari liberal-democratiche europee di stampo presidenzialista, manco su quella italica…

Dunque, una volta ratificate le dimissioni del segretario (ieri Zingaretti le ha formalizzate con una lettera a Valentina Cuppi, che del ‘parlamentino’ è il presidente), delle due, l’una. O l’Assemblea (mille componenti, quelli con diritto di voto) procede subito alle primarie, il che è assurdo anche solo pensarlo – il Covid e le sue varianti sta per comportare la nuova, obbligata, chiusura di tutt’Italia – oppure elegge un nuovo leader a tutti gli effetti. Come già fu con Franceschini, dopo Veltroni, nel 2009, con Epifani, dopo Bersani, nel 2013, e con Martina, dopo Renzi nel 2018.

Tutti segretari non ‘reggenti’, ma effettivi, veri, che poi, però, a un certo punto, cedono il passo alle primarie e, dunque, a un nuovo leader, legittimato dal voto nei gazebo. E sarà solo allora, cioè alle primarie, che un ‘papa straniero’, e già oggi un vero big (reale e di fatto, non solo ‘nominale’) come Stefano Bonaccini, che per ora si limita a scaldarsi a bordo campo, potrebbe scendere in campo….

Resta il punto. Per la prima volta, il segretario dem può essere una donna. La ‘generalessa’ Pinotti già sta passando in rassegna le truppe sue e altrui …

 


Il ‘papa straniero’ Bonaccini sta per calare su Roma? “Non ora, non qui” è la risposta, almeno fin tanto che c’è il Covid…

bonaccini stefano

Stefano Bonaccini

Ma su chi può contare, il ‘papa straniero’ Bonaccini, se mai decidesse di scendere in campo per ‘prendersi’ il Pd? Innanzitutto, va detto che, ai tempi del Pci, andava di moda un vecchio adagio di Palmiro Togliatti (“Mai un papa romano e mai un segretario emiliano”) che resistette fino al Pds-Ds, e che invece, nel Pd, fu rotto da Pier Luigi Bersani, che pure era di Piacenza, oggi in Articolo Uno – Mdp, ma che è ormai privo di ragion d’essere. Il Pd ha ‘bisogno’ come il pane di un ‘papa straniero’ per risalire la china e il vicolo cieco – nei sondaggi, politica, ideale – in cui è finito.

pierluigi bersani pd

Pierluigi Bersani

Va anche detto e sottolineato, però, che, almeno oggi, parlare di congresso del Pd è sbagliato. Nell’Assemblea nazionale del 13 e 14 marzo il Pd eleggerà un segretario con pieni poteri che traghetterà i dem a un congresso anticipato, sì, ma in ‘tempi lunghi’. Si parla già della fine del 2021, ma – causa elezioni amministrative a ottobre e pandemia che corre, impetuoso – è realistico pensare che i gazebo si apriranno a inizio 2022. Resta, però, il tema, quello di una ‘lunga rincorsa’ cui il ‘papa straniero’ Bonaccini, e da tempo, si sta preparando. Rinnovato nel look e nel piglio, ‘grazie’ alla pandemia, la statura del personaggio Bonaccini ha assurto fama e peso nazionale.

La rete di relazioni di Bonaccini: sindaci, governatori, Lega…

rete relazioni bonaccini

La rete di relazioni di Bonaccini: sindaci, governatori, Lega…

Stefano conta più di un ministro, di sicuro più di un segretario di partito” dicono, nei Palazzi romani, quelli dell’establishment, alti ‘papaveri’, democrat e non, che sanno valutare il peso specifico di un governatore che, da presidente della conferenza Stato-Regione, apprezzato e stimato anche dai suoi colleghi di centrodestra, parla ogni giorno a tu per tu con i premier in carica (Conte ieri, Draghi oggi) e che, come il Cts, se dice una cosa “di fatto è legge”.

Giuseppe Falcomatà

Giuseppe Falcomatà

Venendo, però, a quelle che sono, o potrebbero essere, dentro il Pd, le ‘truppe’ di Bonaccini, il conto è presto fatto. C’è il ‘partito dei sindaci’, ovviamente. Da Giorgio Gori (Bergamo), che per primo ne lanciò l’ascesa, a novembre, a ad Antonio Decaro (Bari) passando per Dario Nardella (Firenze).

Ma anche sindaci del Sud giovani e brillanti come Giuseppe Falcomatà, sindaco Pd al secondo mandato che ha strappato il comune di Reggio Calabria alla destra, è figlio d’arte ed è anche un nome molto popolare, al Sud, e sindaci del centro Italia come il giovane sindaco socialista di Fano, membro della Direzione del piccolo Psi di Nencini e Maraio, Massimo Seri. 

Massimo Seri

Massimo Seri

Poi c’è il ‘partito dei governatori’, ovvio. Di certo quello della Toscana, Eugenio Giani, forse anche De Luca in Campania. E infine c’è un pezzo importante di correnti dem, da Base riformista (l’area guidata da Lotti e Guerini) all’area Delrio-Martina, ma soprattutto importanti segretari regionali del Centro-Nord, dalla Toscana  (Simona Bonafé) alla Lombardia, dal Veneto al Piemonte, mentre è debole al Centro-Sud.

Il ‘metodo Bonaccini’: dialogare con tutti e non dipendere da nessuno, tantomeno dalle troppe ‘correnti’ interne al Pd…

vaccino covid19

Ma Bonaccini, oggi, di mestiere fa il governatore e di una regione di nuovo martoriata dal Covid come l’Emilia-Romagna, per non dire del resto delle regioni italiane. Ieri, il Bonaccia aveva tanti guai e grattacapi da risolvere. Quelli di ‘casa dem’ erano, francamente, l’ultimo dei suoi assilli.

Eppure, essendo Bonaccini un pezzo pregiato di quella ‘casa’, per quanto disastrata sia, il day after delle dimissioni di Zingaretti non poteva non dire nulla. E in molti lo hanno chiamato (anzi: subissato, di telefonate), cronisti compresi. Per ‘Bonaccia’, però, prima di tutto vale la lealtà. Ecco il perché del post che il governatore pubblica a metà giornata, sulla sua pagina Facebook: “Il Pd è il mio partito e io non faccio parte di alcuna corrente” è il primo punto, assai secco e rivolto a chi pensa che il governatore stia giocando a risiko con e dentro le (tante, troppe) correnti democrat. Anche agli amici Bonaccini dice e ripete identico concetto: “Non ho mai fatto parte di correnti nel Pd né inizierò ora”. Un amico romano che lo conosce bene la mette così: “Chi pensa che si farà imbrigliare in correnti non lo conosce”. Ergo, Base riformista ‘tifa’ Bonaccini? E’ una loro scelta.

Bonaccini e Salvini

Bonaccini e Salvini

Bonaccini lavora a 360 gradi. Del resto, uno che non ha paura di trovarsi d’accordo con il leader della Lega, Matteo Salvini e che parla a tu per tu con i governatori leghisti del Nord e quelli azzurri del Sud, con gli imprenditori ‘falchi’ come con gli operai ‘rossi’, non ha bisogno di ‘correnti’.

Il secondo punto del post di Bonaccini è un attestato di stima per il leader uscente: “Con Nicola Zingaretti ci frequentiamo da ragazzi. La mia fiducia personale c’è ed è immutata, sia quando eravamo d’accordo e sia quando non lo eravamo. Penso che dimettersi sia stata una scelta sbagliata. Spero rimarrà segretario, ma se non lo facesse, la stima per lui resterà”.

“In tempi di pandemia il Pd non può parlare di se stesso”….

Pd boh

“in tempo di pandemia il Pd non può parlare di sé stesso”

Il terzo punto, però, è quello decisivo, per Bonaccini e per tutti quelli che vorranno, se lo vorranno, aiutarne la corsa: “in tempo di pandemia il Pd non può parlare di sé stesso” – è il warning del governatore – perché stanno arrivando meno vaccini del previsto, i contagi crescono più del previsto; abbiamo bambini, ragazzi e ragazze a casa da scuola e le famiglie in difficoltà; ci sono persone che perdono il lavoro e imprese che rischiano di non riaprire”.

“Un partito serve – è la riflessione, amara, del governatore – non se discute di sé stesso, ma se affronta i problemi dei cittadini. E una classe dirigente è tale se non si divide in gruppi, ma si unisce per assumere decisioni. Tanto più in tempo di pandemia”. Ancora più chiara e secca la chiusa: “Basta con le discussioni interne, acceleriamo su quelle per il Paese. Serve questo”. Parole più chiare e nette di così, Bonaccini non poteva dirle. E, alla fine del suo lungo post, manca solo il saluto finale che si usava vergare ai tempi del Pci: “al lavoro, alla lotta, compagni”…